Ma Trump non è Berlusconi

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Un giorno - possibilmente da qui ai primi di novembre - dovrò tentare di spiegare anche a me stesso perché Trump non mi sta spaventando neanche un quinto di quel che mi spaventava il piccolo Bush. Nel frattempo però lascio un appunto sul paragone più banale che sta girando tra i giornalisti: quello con Berlusconi.

Paragone ormai abusato non solo tra giornalisti italiani, a cui non sembra vero poter vantare vent'anni di esperienza di un mitomane col parrucchino (il che dimostra che in vent'anni non hanno messo a fuoco il problema): la cosa sta prendendo piede anche tra gli anglosassoni; per esempio ieri il Financial Times definiva Trump un "Berlusconi americano", benché privo del suo fascino e del suo talento per gli affari ("albeit without the charm or business acumen"). Ok, divertente. E forse la maggior somiglianza col caso italiano non sta nei due personaggi, ma proprio nella reazione incredula e stizzita che scatenano presso il ceto intellettuale, non solo a sinistra: effettivamente il passaggio dalla sottovalutazione all'indignazione al panico qui in Italia l'abbiamo vissuta più di vent'anni fa. E abbiamo capito - purtroppo un po' meno di vent'anni fa - che insistere sulle gaffes del tizio non fa che renderlo più forte verso il suo serbatoio elettorale: del resto in Italia l'anti-intellettualismo lo studiamo da un secolo, siamo passati per il fascismo e il qualunquismo ed evidentemente non abbiamo ancora trovato il vaccino efficace.

Detto questo, chi paragona Trump a Berlusconi mostra di non aver capito qual era il vero problema con Berlusconi: non il parrucchino, non le barzellette e le figuracce, le smorfie ai vertici internazionali (per quanto, via, chiamare kapò un europarlamentare tedesco) e nemmeno l'imbarazzantissima esuberanza sessuale, che è poi il motivo per cui all'estero lo conoscono e ce lo ricordano ridacchiando. Non è nemmeno il populismo - o meglio, il populismo è un problema grave, ma esisteva prima di Berlusconi e non è affatto tramontato con lui. E allora cosa?

C'è bisogno di ricordarlo? A quanto pare sì. Berlusconi possedeva quasi metà dell'etere televisivo, in spregio della normativa (Rete4 avrebbe dovuto finire sul satellite); e quando vinse le elezioni modificò la normativa e mise le mani anche sull'altra metà, quella pubblica. Nel frattempo era uno dei principali editori italiani, e uno dei principali concessionari di pubblicità, che raccoglieva sul mercato e rivendeva alle sue aziende. In sostanza per qualche anno in Italia non ci furono direttori di reti televisive e tg che lui non approvasse direttamente o indirettamente: malgrado fior di opinionisti assunti in queste reti o dai suoi giornali ci spergiurasse che no, Berlusconi non vinceva le elezioni grazie alle televisioni: che il fatto che continuasse a esercitare quel controllo, arrivando a fare i nomi di chi non voleva più in RAI, fosse semplicemente una coincidenza, una cosa che gli capitava di fare perché si sa, la tv è sempre stata il suo pallino.

Quanto a Trump, per quel che ne so è un palazzinaro e una celebrità televisiva. Ma non possiede la CBS, né la FOX, né la CNN né una delle Big Three: che di conseguenza possono decidere di parlare di lui come vogliono. Anche molto male. Forse avrete intravisto anche voi lo spezzone dello show di John Oliver (definirlo "comico" è riduttivo) dedicato a Trump: venti minuti di demolizione sistematica del personaggio, andati in onda su HBO e poi rimbalzati via internet in tutto il mondo. Ecco, questo su un canale televisivo italiano nel 2002 sarebbe stato impossibile. Negli USA invece si fa abitualmente, e si continuerà a fare persino nel malaugurato ma sempre più probabile caso in cui il mitomane di turno vinca le elezioni. Perché davvero, non è che le televisioni siano indispensabili per farti vincere.

Però in Italia aiutano.

Ognuno poi ha i suoi parametri, le sue pietre di paragone: il mio canarino-in-miniera è Giuliano Ferrara, a cui Trump dà un certo fastidio. Per il populismo? Ferrara ne ha avallati di peggiori. Per il cattivo gusto? Parliamo del tizio che si mise il rossetto e andò in piazza col cartello "siamo tutti puttane", per solidarietà col capo accusato di avviare minorenni alla prostituzione. E allora, insomma, cosa c'era in Berlusconi che Ferrara non riesce a trovare in Trump? Secondo me è una questione preconscia: Ferrara non pensa, Ferrara annusa. E per quanto inspiri, non riesce a sentire quell'odore di vero potere che gli darebbe alla testa. Per un Berlusconi si sarebbe messo in mutande; per un Bush era disposto a millantare consulenze con la CIA; per Trump niente. Lo trovo molto indicativo.
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