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Volevi la bicicletta

Il sogno è molto sciocco, non varrebbe la pena parlarne.
Io ho studiato Freud, sapete, e anche il mio inconscio lo ha studiato. Perciò non è così facile infinocchiarlo. Non è quel tipo di inconscio che sogna simboli fallici evidenti, del tipo banane o Space Shuttle, seh, stai fresco. È un inconscio scaltro.
Nel sogno in questione – per esempio – sto pedalando.
Mi piaceva pedalare da ragazzino, ero un discreto passista. Una volta andai al mare da solo, la bici la tenda ed io. Dormivo in tenda con la bici, per salvarla dall'umidità. È chiaro il simbolismo? Autonomia, mi porto la casa sulle spalle, come una chiocciolina. E la sera mi ritiro nel guscio, e tiro dentro la bicicletta. Autonomia, autoerotismo? O la bicicletta rappresenta la partner? Ma non credo che pedalare significhi far sesso. Freud non avrebbe dubbi, ma il mio inconscio è più furbo di Freud. Noi stiamo sulle spalle dei giganti, e il mio inconscio sta appollaiato sull'inconscio di tutti i pazienti di Freud. Per cui escluderei il trito simbolismo sessuale.
In ogni caso, se è sesso, è sesso faticoso e sterile e inutile: per quanto pedalo non mi sposto di un centimetro. All'inizio questo aspetto del sogno ne era la componente più angosciosa. Ma in una versione più recente l'angoscia si è condensata in un particolare iperrealista e bizzarro: non mi sposto di un centimetro, perché sto pedalando su una cyclette.
Una cyclette in stile Liberty, o Secessione, il mio inconscio se ne intende più di me di qste cose. Non credo che esistessero attrezzi ginnici di qsto tipo nel periodo Liberty, ma il mio inconscio se ne frega.
Mi trovo dunque in una palestra (odore di suole di gomma e sudore), una bizzarra palestra liberty con vetrate istoriate di scene di caccia e Santi martiri, ma in realtà non è vero, è solo una pietosa bugia che il mio inconscio racconta a sé stesso, perché io e lui sappiamo bene che siamo all'inferno.
A questo punto c'è sempre un brivido che corre lungo la schiena (sudata, è da un'eternità che pedalo) fin sulla punta dei miei capelli, e probabilm è il momento in cui potrei svegliarmi se volessi, ma evidentem non voglio, e continuo a pedalare, senza più speranza di poter essere altrove che all'inferno.
L'inferno è a 144 piedi di profondità, il numero lo so con precisione, ma purtroppo ho dimenticato quanto è lungo il piede. Un demone (non riesco a vederlo, è alle mie spalle) mi suggerisce che un piede è lungo esattam un piede: ci sono piedi lunghi e meno lunghi, piedi di vecchi e fanciulle, e sono conficcati uno sotto l'altro nel sottosuolo. Mi vergogno un poco a confessare queste simbologie idiote. Non so poi perché il numero 144 rappresenti per me l'essenza della malvagità e della lussuria. Un ricordo puberale forse.
Il demone sa tutto di me, e mi rassicura. Si crea quel tipo di affetto che unisce carnefice e vittima, sul quale Orwell scrisse pagine che non vi devo rammentare. In ogni caso so per certo che il mio inconscio le ha lette. Se smetto di pedalare lui mi punzecchia, o morde, non è chiaro. Non gli piace farlo. Ma se smetto di pedalare, se smettiamo tutti di pedalare (siamo in tanti), l'inferno va gambe all'aria in mezz'ora, e io non voglio questo, vero? Me lo chiede con tono di supplica. Dà per scontato che l'inferno sia qualcosa di doloroso, d'accordo, ma meglio l'inferno di tante altre robacce che ci sono in giro, e poi quando sei fuori ti vengono in mente tante cose che non avresti mai creduto ti potessero mancare, e insomma lo rimpiangi, l'inferno. In breve, l'inferno è casa tua. Sei tu. Chi può darti di più.
Ultimam il sogno si è fatto sempre più nitido, ormai sembra una fiction via supernet. Io pedalo, e non provo particolare dolore. Solo un po' di fatica, e sudo. Sono ammanettato al... portapacchi? Ogni tanto il demone alle spalle mi fa un discorso.
Discorsi strani. Sembrano scritti (male). Siamo verso la fine del romanzo, il protagonista è prigioniero, ma il carnefice prima di sopprimerlo gli svela tutto il meccanismo. La macchinazione ai suoi danni. Il mio inconscio è un narratore non così imprevedibile come crede.
Inizia sempre con "Caro Leonardo" – bella presa per il culo.
E sì, d'accordo, sono stato un pollo. Ho abboccato a un'esca grossa così. Pensare che esistesse ancora il vecchio protocollo www. Che esistesse solo per me. Ma sono davvero così cretino?
Forse l'età. O forse sono sempre stato cretino. Forse mi sono incastrato vent'anni fa. Il mio inconscio non ha idee chiare.
Inizia sempre con "Caro Leonardo" – e poi continua con toni da blog saccente. Mi spiega cose arcinote sul petrolio, i gialli, gli usastri, l'idrogeno… un riassunto, il mio demone mi sta riassumendo svariate puntate precedenti. Il mio inconscio è un narratore assai sciatto. Ma sì, certo, ce ne sono di peggiori, ma non è il caso di vantarsi.
Sarebbe il caso di svegliarsi, piuttosto. Dato che è un sogno. Un sogno ricorrente. Anzi, di più, un sogno condiviso. So che lo abbiamo fatto in tanti. Concetta è stata una delle prime. A riprova che è un sogno. Mi sono svegliato tante altre volte e mi sveglierò anche stavolta. Sono già in quella fase meta-onirica, in pratica sto facendo la critica, la recensione del sogno, per cui coraggio, al mio tre, uno, due, due e mezzo…
Il demone m'ha morso.
Non fa davvero male (è un sogno). Solo un brivido. Sudore freddo. Mi sveglierò con la febbre.
Dalla schiena alla punta dei capelli.

"Caro Leonardo…"

E ricomincia.
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