- 2025

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L'ora di vertigine

[Questa è la lezione con cui ho inaugurato il nuovo seminario di narrativa ucronica, davanti a sei studenti che probabilm avevano sbagliato corridoio. Un ciccio in ultima fila, con tutta l'aria di un informatore; due tizi anonimi; tre ragazze abbastanza carine, due brunette e una bionda coi tacchi. I tacchi non sono molto in linea col Teopop, specialm se ostentati in prima fila. Forse si tratta di uno scambio culturale. Oppure una studentessa della classe alta: pare siano sempre più sfacciate.
Io non sono molto concentrato. Voglio fare in fretta, stasera ho un appuntamento con l'amante della mia seconda moglie. La prima cosa che dovrò chiedergli è un anticipo per un lavoro che ancora non so che sia. A questi racconto le solite due palle sulla vertigine, e via].

"Sia lodato Gesù Cristo, inauguriamo questo seminario di narrativa ucronica. Io mi chiamo Immacolato e la mia qualifica è di docente aggiunto, quindi vi esorto a non chiamarmi professore, qualche mio collega potrebbe prendersela a male e mandarvi... nell'aula 68, ah-ah".

[Non ride mai nessuno. Ma intanto ho fatto caso ai due registratori che sono posati sulla mia cattedra. Uno è un normalissimo walkman sony di 25 anni fa, tenuto assieme col nastro adesivo: complimenti a chi proverà a riascoltarmi con quell'affare.
L'altro è, se non mi sbaglio, un ipodo, di quelli che registrano su chip. Devo averne visti un paio in tutta la mia vita. Perché mai uno che possiede un affare del genere dovrebbe perdere tempo ad ascoltare le mie lezioni?]

"Chiamatemi docente. Il corso di questo semestre è dedicato alle proiezioni del futuro, un argomento che volevo trattare da un po' [un argomento che forse non vi farà scappare dopo tre lezioni]. Voi sapete già come la nostra concezione del tempo storico sia radicalm cambiata nel corso degli ultimi anni. Fino a qualche tempo fa amavamo raffigurare il nostro cammino nel tempo come una marcia fiduciosa verso il futuro, in cui il passato veniva lasciato alle spalle, senza essere mai veramente perduto. In sostanza, l'uomo era un conquistatore, che progressivam annette a sé nuove porzioni di futuro.
Questa concezione trionfale è stata messa in crisi, negli ultimi anni, da una serie di studi, alcuni portati coraggiosam avanti da gloriosi pionieri del Teopop".

[Una volta si usava far l'inchino, a questo punto. La facoltà è scaduta di molto da quando sono state reintrodotte le sedie].

"Non mi dilungo su questi argomenti che dovreste già conoscere bene. Per farla breve, ci siamo resi conto che il passato…

[S'ode un bisbiglio collettivo, gli ultimi resti di una lunga coazione a ripetere:
"…è perduto".]

…per sempre. Quello che noi consideriamo "ricordi" sono, nella maggior parte dei casi, interazioni della nostra fantasia con alcuni oggetti grezzi, come foto, vecchi documenti eccetera, gusti, odori, che suscitano quella particolare sensazione a cui è stato dato il nome scientifico di… qualcuno lo rammenta? Un nome francese…"

"Maddalena, Prof?"
"Che in francese si dice…"
"Non lo so prof".

"Madeleine. E io non sono un Prof. Se la nostra presa sugli eventi del passato si è in gran parte rivelata illusoria, il futuro continua a essere in gran parte imponderabile. Abbiamo smesso di vedere nel tempo una marcia trionfale, una guerra di conquista: oggi più facilm immaginiamo il nostro percorso nel tempo come una caduta libera. È una visione antica, in realtà, che secondo alcuni risalirebbe ai Greci.
Noi non marciamo, dunque, bensì precipitiamo nel futuro come da una rupe. Precipitiamo a testa in su: intorno a noi scorrono immagini dei luoghi dove siamo appena stati, del nostro cosiddetto passato. Paradossalm, più le immagini sono vicine a noi, più ci sembrano mosse e indecifrabili. Molto più nitido appare il cielo sopra di noi, la cima da cui siamo caduti, il cosiddetto passato remoto. Abbiamo anche calcolato dopo quanto tempo un evento passato raggiunge questo orizzonte nitido in primo piano: il Muro di Cristallo. Qualcuno si ricorda?"

[Il ciccio in fondo sta russando]

"Vent'anni?"
"E quarantasette giorni, signorina, esatto.
Quanto al futuro – anche il più immediato – esso continua a essere un assoluto mistero. Possiamo fare congetture, ma esse sono miseram fallaci. La più diffusa è riassunta nella frase "Fin qui tutto bene". Che significa: "dal fatto che finora non c'è stato nessun impatto, io deduco che ancora per molto non ce ne sarà". Congettura che ha ben poco di logico, come vedete".

[Dalle facce direi che non vedono un bel nulla, ma andiamo avanti].

"Per la verità, accanto ai cantori del "fin qui tutto bene", vi sono sempre stati intellettuali che hanno cercato di capovolgersi e fissare il futuro, con le tecniche concesse dalla scienza e dalla fantasia dei loro tempi. Le immagini che ci hanno restituito, le loro pre-visioni, non sono naturalm meno fallaci dei nostri ricordi. Ma è interessante la sensazione che ci fanno provare. Non più il caldo conforto di una madeleine, bensì, quel brivido particolare che forse già conoscete…"

[Macché, 'sti qua manco il loro indirizzo, conoscono].

"…la vertigine. Se le immagini che ci arrivano addosso possono essere del tutto fuori fuoco e illusorie, quel brivido è reale, ed è il senso ultimo della nostra indagine. Noi non vogliamo veram sapere su cosa sbatteremo tra dieci, venti, cento anni: peraltro, non c'è nessun modo di saperlo davvero. Ma vogliamo sapere che stiamo cadendo, in questo preciso momento. Anche il futuro, come il passato, non esiste. Quel che esiste è la nostra angoscia per esso, la nostra vertigine. Ed è la vertigine che studieremo assieme nel corso di questo semestre".

[Ora stanno pensando che fanno ancora in tempo a disiscriversi e provare con Tecniche Domestiche… È ora di indorare la pillola].

"Stavolta ho pensato di privilegiare la narrativa audiovisiva, così sono riuscito a corrompere il custode e a scaricare alcuni lungometraggi del secolo scorso. Cose che Supernet non ha mai messo in onda, direi…"

[Il ciccio in ultima fila si è svegliato di botto. I filmini! Il prof ci fa vedere i filmini!]

"La prossima settimana cominciamo con un lungometraggio bizantino di metà Novecento. Per oggi direi che è tutto, sia lodato Gesucrì".
"Sempre sia".
"Ah, stavo per dimenticarmi che giorno è oggi. Ricordatevi che siete cenere".
"... e cenere torneremo, Amen".

[Vorrei scappare, invece aspetto. Magari qualcuno ha delle domande… nessuno. In realtà volevo solo vedere chi passa a prelevare l'ipodo. La biondina, naturalm.
Mi ha sorriso].
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Ma quando cresci

A un certo punto i calciatori hanno smesso d'invecchiare. Si vede perfino dalle foto. O è un'impressione mia?

Ho qui davanti un almanacco Panini del 1984, con Bruno Conti in copertina. Bruno Conti, per me, è un uomo. È sempre stato un uomo. Mi costa fatica ammettere che quando vinse la Coppa del Mondo aveva la mia età. Riguardandolo, mi accorgo della muscolatura notevole, e dell'addome che sporge lievemente: negli anni Ottanta era ancora un attributo mascolino. E mi sembra un uomo, maturo e affidabile.

In fondo è una questione di punti di vista. Io guardo il mondo da un punto in movimento (anche voi, del resto). Attraverso il mondo precipitando, ma in mancanza d'attrito ho l'impressione di galleggiare fermo, mentre il mondo mi precipita intorno. E le cose più vicine appaiono distorte, una specie di effetto Doppler. A un certo punto la figura del calciatore si è distorta, è passata da eterno adulto (mio padre…) a eterno ragazzo, bambinone, pupo. Quando è successo? Provo a guardarmi indietro. Paolo Maldini.

Paolo Maldini, in effetti, sembrava non crescere mai. Il Tom Cruise, il Michael J. Fox del calcio italiano: quando comincerà ad assomigliare a un adulto? (Se ci rifletto bene, mi accorgo che gli sto chiedendo di invecchiare prima di me, di precipitare più alla svelta). Accanto a lui giocava Franco Baresi, l'ultimo grande adulto. Forse la generazione di mio padre finisce con Baresi (Franco), la mia comincia con Maldini (Paolo). E forse anche la mia è già finita. Da qualche anno in qua i calciatori mi sembrano tutti bambocci.

D'altro canto, non devo neanche dare eccessivo peso alla mia soggettività. Può darsi che siano davvero un po' tutti bambocci. Troppi soldi troppo presto, e un modello di giovanilismo estenuato, perché il calcio è marketing e il marketing punta tutto sul grande target giovanile. L'orecchino, il tatuaggino, l'acconciatura carina… e poi questi addomi concavi, questo nuovo modello di mascolinità fortemente innaturale (gli antropologi di domani guarderanno alle copertine di Men's Health come noi guardiamo le foto delle donne africane che si allungano il collo coi collari o gli aborigeni che si allungano labbra o lobi delle orecchie: "che strani gusti… mah… era la loro cultura").

Tutto questo non mi piace, non mi è mai piaciuto, sin dal primo momento, dal primo spot orientato su di me. Così guardo indietro, ai campioni del Mondo. Quelli sì che erano uomini. Giganti. Poi arriva Gigi Riva e mi scuote un po' di certezze.

Riva è una figura mitica per me, di quelle scolpite nel bianco e nero. Ieri, in un'intervista alla radio che non riesco a lincare, ha detto che Totti ha sbagliato, sì, ma che lui sa quanto le marcature a uomo possano essere esasperanti (il giornalista ricorda che Riva è il solo calciatore a essersi fratturato due gambe in maglia azzurra). Che Totti ha sbagliato, ma ai suoi tempi avrebbe spesso voluto prendere i suoi marcatori a rivoltellate. Che è giusto che Totti paghi, ma ai suoi tempi al fischio finale si metteva a rincorrere i suoi mastini, "e quattro o cinque li ho anche presi, non lo dico per vantarmi". Che non dobbiamo mitizzare la sua generazione, non era affatto più matura di questa. Sottointeso: quel che è cambiato davvero è la prova video.

La prova video. L'ossessione della diretta. Una telecamera fissa su Totti per 90 minuti. Un reality show su Totti. E quanto assomigliano ai calciatori bambinoni, i protagonisti dei reality show. Anche loro tengono stretta la pancia, portano orecchini e treccine, sembrano in grado di reggere lo stress della diretta, finché, prima o poi, sbroccano. Sono lì apposta per sbroccare, d'altra parte. È per questo che li guardiamo.

Bene, ho trovato il colpevole perfetto: il Grande Fratello. La ripresa televisiva moderna, invasiva e pervasiva, che ci rende tutti più patinati e più immaturi. È colpa sua se non vinceremo mai la Coppa del Mondo dei nostri papà (e nemmeno gli Europei). I nostri genitori probabilmente non erano dei santi, né dei campioni di eleganza: ma quando posavano per una foto si presentavano eleganti e ben pettinati. Così anche in campo, dove si picchiavano con meno complimenti di noi: ma il montaggio, compiacente, filtrava e ci restituiva un'immagine di uomini adulti e responsabili. Ma oggi la telecamera sempre in diretta restituisce ogni vaffa, ogni sputo. Tira fuori il peggio da ognuno di noi, perché è quel peggio che ci piace guardare. O no?

O forse no. È difficile descrivere la realtà mentre si precipita. Ma tante filippiche sul bel tempo che fu, si potrebbero riassumere in una sola frase: perdonatemi, sto invecchiando. I calciatori sono tutti più giovani di me, adesso. Non posso che trattarli da ragazzini. E mi dispiace per Totti, davvero. È dura rovinarsi una carriera per dieci minuti di follia.

Del resto i tempi cambiano, le mode si adeguano, e anche la tendenza del pupone irresponsabile potrebbe avere i giorni contati. La "mia generazione" si è ritrovata le strade e le case piene di telecamere, e non ha saputo fare di meglio che salutare con la manina, sputare e mettersi le dita nel naso. La prossima generazione troverà un modo di eludere anche questo controllo. Reagirà, crescerà, in modi e forme che io non posso nemmeno immaginare, e forse nemmeno capirò. Continuerò a precipitare brontolando che non ci sono più i calciatori di una volta, quelli che vinsero il Mundial.

(Ma se i puponi, nelle loro divise attillate, stringessero i denti e andassero avanti, sarei così felice di essermi sbagliato).
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