Tajani e il bambino nel forno
29-03-2024, 01:57bugie, Israele-PalestinaPermalinkStavo appunto riflettendo, senza molto costrutto, sul disastro di Gaza e a cosa posso paragonarlo, per cercare di spiegarlo a me stesso e agli altri; e a come, guardando i volti rapiti dei volontari israeliani che sembrano divertirsi un mondo mentre trasformano una città in un cumulo di macerie che nessuno forse avrà più la capacità di smaltire, mi sia affiorata alle labbra la parola: Pogrom. Un improvviso sussulto di violenza, nei confronti di una minoranza percepita come ostile; dove la diffidenza secolare improvvisamente viene portata a combustione: e la scintilla è molto spesso la propaganda.
Gaza | “What’s your dream?”
— Younis Tirawi | يونس (@ytirawi) March 25, 2024
“To conquer Gaza.. to flatten Gaza.. to shove them a pipe.. to resettle in Gush Katif.. to avenge.. to erase Gaza.. crush subdue.. It’s either us or them… no proportionality… no symmetry”
Israeli soldier asks his fellows before their entry to Gaza. pic.twitter.com/kk2moGYLzU
Volantini che additano i nemici dello Zar o della Rivoluzione; leggende nere su bambini scomparsi, dati per sgozzati a scopo alimentare; uno potrebbe anche osservare che non c'era bisogno di raccontare cose del genere per sobillare gli israeliani contro Hamas; eppure le leggende sono state raccontate lo stesso, e qualche effetto lo hanno sortito. Stavo riflettendo su questo, e su quanto bisognerà insistere, in futuro, sulla nuvola di disinformazione che si abbatté su di noi nell'autunno 2023: storie incredibili e francamente poco plausibili, spacciate per vere da testate prestigiose e persone esperte e intelligenti. Ora che ormai nessuno le riprende, bisognerà ricordare che per settimane e mesi sono state ripetute con foga sempre maggiore, e hanno offerto a chi era sul campo una scusa e un'ispirazione per commettere crimini di guerra.
Sarà complicato dover riferire di leggende come quella del bambino cotto dai miliziani nel forno a micro-onde, pregando gli interlocutori di credere che è successo davvero – non che un bambino sia stato cotto dai miliziani, ma che fior di giornalisti opinionisti e ufficiali dell'esercito ci abbia voluto credere; e mentre penso a queste cose nell'altra stanza è rimasta accesa una tv, e sento il ministro Tajani spiegare a Bruno Vespa che i miliziani di Hamas hanno messo un bambino vivo nel forno. "Avrà visto le immagini". Con Vespa che risponde: lo so, lo so (qui al minuto 14). Eppure le immagini non le ha viste nessuno. Non ci sono. È una storia messa in giro dai primi soccorritori, che però non hanno mai fornito prove.
Here is pampered neocon Bari Weiss spreading an obvious hasbara hoax to smear @itranslate123, an academic in Gaza who is weathering the genocidal Israeli blitzkreig she celebrates https://t.co/UKrFfeHhCN
— Max Blumenthal (@MaxBlumenthal) October 31, 2023
Il poeta Refaat Alareer è stato preso di mira e ucciso, con la sua famiglia.
Ora, questo è curioso. Continuo a imbattermi in persone che sostengono di avere "visto le immagini". Su twitter più o meno un mese fa, una tizia aveva visto un miliziano estrarre il feto da una vittima sbudellata, benché l'episodio fosse stato denunciato come falso mesi prima dalla stessa stampa israeliana. Hanno filmato gli stupri! dicono. Lo hanno fatto i miliziani per vantarsi, e li hanno visti tutti. E quindi i video dove sono? Boh, però li hanno visti tutti. Viene il sospetto che qualcosa, tra sette e otto ottobre, sia stato veramente trasmesso. Immagini di repertorio, o fiction spacciata per vera a un pubblico sotto choc. Ma forse semplicemente basta saper usare le parole giuste, mentre in primo piano scorrono fotogrammi che la memoria ricombina a suo piacimento.
Sia come sia, ormai è primavera. L'Onu ha chiesto un Cessate il Fuoco e per la prima volta gli USA si sono astenuti. Ma ancora per il nostro Ministro degli esteri, Hamas è l'organizzazione che mette i bambini nel forno. C'è un repertorio di vecchie leggende e nuove fake news che ha convinto soldati e civili della necessità di sconfiggere un nemico disumano, a ogni costo. Ora che il disastro si è compiuto, dovranno continuare a crederci, o smettere di credere in sé stessi. La seconda opzione è più difficile e dolorosa; la prima comporta una fuga dalla realtà che non può portare molto lontano.
Un giorno potrebbero raccontare ai vostri figli che il Nemico sta stuprando e mangiando le sue vittime; e questi racconti avranno una funzione istigatrice e una funzione descrittiva. Serviranno a giustificare i crimini di guerra e offriranno qualche spunto fantastico su come commetterne. Magari Vespa non ci sarà più (anche se ormai ne dubito), ma ce ne sarà un altro. L'unico antidoto che riesco a immaginare è lo studio del passato, delle leggende e delle evidenze. E un po' di senso morale, certo.
Storia di un falso ricordo (la "piccola bara" della CGIL)
25-06-2020, 18:12bugie, Israele-Palestina, terrorismoPermalinkIl 25 giugno 1982 (38 anni fa) successe qualcosa che, a seconda del punto di vista, è una sciocchezza o un crimine. Siccome non ero presente, cedo la parola a una persona che qualche mese fa l'ha descritta al pubblico inglese (la traduzione è mia).
"C'è una ragione per cui sono scettico sui tentativi della Sinistra europea di terminare il conflitto tra Israele e il mondo arabo. [...]
La ragione per cui non mi fido di loro è davvero molto piccola e bianca. È una bara adatta a un bambino, bianca, che fu lasciata sulle scale della Grande Sinagoga di Roma nel 1982, durante un corteo sindacale.
Una piccola bara. Bianca. Vuota.
Qualche settimana dopo quell'odioso corteo, un commando palestinese attaccò la Grande Sinagoga di Roma. Era Shabbat. Era Shemini Atzeret, il giorno in cui i bambini ricevono una benedizione speciale, secondo la tradizione romana. La sinagoga conteneva trecento fedeli, tra cui cinquanta bambini. I terroristi gettarono bombe e aprirono il fuoco con mitragliatrici. Trentasette persone furono gravemente ferite. Un bambino di due anni, Stefano Taché, fu ucciso. Quella bara bianca, lasciata vuota dai sindacalisti qualche settimana prima, ora era piena".
Ecco il motivo per cui il signore non si fida della sinistra europea. Noi, invece, possiamo fidarci di questo signore che – ora bisogna dirlo – si chiama Andrea Zanardo? Chi in passato si attardava a leggere la sezione commenti di questo blog forse ricorda la sua tendenza, diciamo, a confondere realtà e fantasia. Per un po' di tempo mi sono domandato fino a che punto ne fosse consapevole; poi ho deciso che era una domanda che ha senso soltanto all'interno della sua coscienza, luogo dove non mi compete entrare. Se la sbrigherà lui: il massimo che posso fare io è osservarlo, da fuori, e notare come mescoli ad arte fatti veri a cose inventate per un pubblico selezionato.
Il dubbio che ne sia inconsapevole rimane, perché malgrado tenti con enfasi tipicamente fallaciana di accreditarsi come testimone diretto, alla fine Z. non fa che rielaborare cose rilette in giro: ed è anche stavolta un lettore frettoloso, abbastanza pasticcione. Se c'è disinformazione qui (e ce n'è), ne è insieme vittima e complice.
Z sta indicando nella CGIL il mandante morale dell'attacco alla Sinagoga del 1982: un'accusa (se uno ci riflette un attimo) pazzesca e non sostenuta da nessuna indagine: ma chi ha bisogno di inchieste quando ha una "piccola bara", "bianca", e "vuota"? Magari leggendo quel punto vi siete emozionati (la prosa fallaciana a questo servirebbe: a commuovere, i ragionamenti seguiranno). Insomma, i sindacalisti lasciano una piccola bara bianca, e "qualche settimana dopo" i terroristi la riempiono. Agghiacciante.
Salvo che non è vero.
O meglio, qualcosa di vero c'è: nessuna opera di disinformazione avrebbe successo se non mescolasse vero e falso. La verità più importante di tutte – molto, molto più importante di tutto il resto – è che un bambino è morto davvero, a due anni, vittima di uno spaventoso attentato terroristico. Si chiamava Stefano Taché Gay (in altri articoli ho trovato anche le grafie "Tachè" e "Gaj"). La "piccola bara", "bianca" e "vuota", su cui Zanardo torna ossessivo, si vede distintamente sulle foto del funerale (il ritaglio di una foto correda l'articolo). Anche la manifestazione della CGIL ci fu: Zanardo non dice la data perché, malgrado sostenga che l'episodio gli abbia lasciato un segno indelebile, forse nemmeno la conosce (oppure la conosce e preferisce tacerla, per un motivo che vedremo in seguito). Non importa, ve l'ho detta io: 25 giugno 1982, trentotto anni oggi. In quell'occasione è molto plausibile che un gruppo di dimostranti (non necessariamente tesserati CGIL) abbia inscenato una farsa di funerale davanti alla Sinagoga: dico che è molto plausibile non solo perché ho letto che la CGIL se ne scusò con un comunicato ufficiale, ma anche perché questa forma di contestazione di discutibile gusto è abbastanza tipica delle manifestazioni sindacali. Per rendersene conto è sufficiente googlare "CGIL bara". Io l'ho fatto e ho trovato una bara a una manifestazione anti jobs act del 2014; un'altra bara dedicata all'università di Siena nel 2009; un'altra dei metalmeccanici di Savona nel 2016; nel 2013 un cronista racconta come i lavoratori della Bombardier di Vado Ligure si portino con loro in ogni manifestazione una cassa da morto "ormai inseparabile". E così via.
Prego il lettore di notare il dettaglio: in tutti questi casi, e ne conosciamo decine, i lavoratori usano la bara come un simbolo della loro condizione. Dentro l'"inseparabile" cassa da morto dei dipendenti Bombardier c'è un manichino che rappresenta i dipendenti della Bombardier. Dentro la cassa della manifestazione anti jobs act del 2014 ci sono i "diritti dei lavoratori". Mi sembra che il codice sia chiarissimo: i manifestanti usano la bara per dichiararsi vittime e accusare i loro avversari di un assassinio. Giusta o sbagliata che sia, la bara ai cortei funziona così.
E allora perché Zanardo decide di leggerla in un modo diverso, come un avvertimento di sapore mafioso – nonché una precisa indicazione al commando terrorista: riempiteci una bara così e così? Non è per forza in malafede. Semplicemente vive, da più di vent'anni, in una bolla comunicativa che ha sempre interpretato quella singola bara in quel singolo modo. Facendo la stessa ricerca di prima ("CGIL bara") in effetti troverete anche abbondanza di citazioni dell'episodio di 38 anni fa. Si tratta in dieci casi su dieci di siti sionisti italiani, il che dimostra quando davvero l'episodio abbia lasciato un segno sulla comunità ebraica, e in particolare su quel settore che aderì con molto entusiasmo al neoconservatorismo intransigente post 11 settembre. Sul sito Focus On Israel ci sono addirittura due tag dedicati: 25 Giugno 1982 bara sindacati davanti Sinagoga Roma, bara davanti alla Sinagoga di Roma.
Il che dimostra anche un altro punto che tornerà in seguito, ovvero: scusarsi non serve a nulla. Nel caso in questione la CGIL aveva subito preso le distanze dal gesto con un comunicato. Quasi quarant'anni dopo, il comunicato non si trova più e qualcuno racconta ancora in giro di quando la CGIL portò una bara sui gradini della sinagoga.
E tuttavia quel che si raccontano la maggior parte dei membri di questa bolla non è esattamente una bugia: al limite la possiamo considerare un'interpretazione un po' forzata di un gesto simbolico. Secondo me non era un avvertimento di stampo mafioso, ma appunto, secondo me. Invece per molti lo era, e vabbe', sono opinioni (questo è il motivo per cui ai gesti simbolici preferisco i discorsi, il più possibile circostanziati e con un parchissimo uso di ironia: ma è anche il motivo per cui non faccio il sindacalista e anche come attivista lascio molto a desiderare).
La mia interpretazione si basa forse su un pregiudizio positivo nei confronti del (mio) sindacato? Senz'altro, ma anche su una minima conoscenza del contesto: il modo in cui di solito i manifestanti usano le bare "simboliche"; la situazione dei palestinesi nei Territori Occupati durante la guerra del Libano, alla vigilia delle stragi di Sabra e Shatila, eccetera. Per tutti questi motivi io ritengo che quella bara (comunque esecrabile) non fosse da considerarsi una minaccia; ma d'altro canto posso benissimo capire che qualcuno l'abbia letta così, e lo faccia ancora: i simboli non sarebbero tali se non si offrissero a più interpretazioni.
Zanardo però fa un passo oltre, ed è interessante chiedersi perché lo faccia. Non si limita a fornire dell'episodio l'interpretazione accreditata dalla sua bolla (è come se non gli bastasse): aggiunge dei dettagli che dovrebbero fugare ogni ragionevole dubbio sul fatto che la sua interpretazione sia l'unica possibile. Questi dettagli, prima di lui, non li descriveva nessuno. Il che significa con molta probabilità che se li sta inventando – non necessariamente in modo consapevole.
Per Zanardo la bara era "piccola" e "bianca": su questo dettaglio torna ossessivamente con una foga autolesionista che mi ricorda quella del protagonista del Gatto Nero di Poe, quando davanti ai poliziotti batte col bastone sulla parete proprio nel punto in cui ha nascosto la sua vittima. E in effetti il dettaglio è degno di un racconto di Poe: come facevano i sindacalisti a sapere che l'unica vittima di un assalto condotto con mitragliatrici e granate avrebbe riempito una bara "piccola"?
Non è che Z ci voglia dire che i sindacati abbiano chiesto ai terroristi: uccideteci un bambino, però... però battendo sempre su quel punto vorrebbe che per un attimo lo pensassimo. E magari lo facciamo: un attimo prima di accorgerci che siamo davanti a una fabbricazione di pessimo gusto. Visto che un bambino è davvero morto, e l'operazione di intestarne l'assassinio a un sindacato richiede un livello di cinismo di cui almeno io non credo Z capace. Tutto questo all'interno di un minuscolo resoconto autobiografico: ricordiamo che Z sta spiegando all'ignaro pubblico inglese il motivo per cui da ragazzino ha smesso di fidarsi della sinistra: e quel motivo è una "piccola bara bianca" deposta durante un corteo sindacale che però non era né piccola né bianca: un falso ricordo? Può anche darsi, in fondo la nostra memoria a volte funziona così: a un certo punto la bara in cui fu inumato il piccolo Stefano viene duplicata, e Z ricorda di averla vista anche durante il corteo CGIL, anche se lui non c'era: non importa, se l'è fatto raccontare e adesso lo ricorda probabilmente meglio di molti testimoni oculari.
Un'altra possibilità è la fretta dell'apologeta, quel tipo di pregiudizio cognitivo che gli studiosi di Storia conoscono bene. Quando vuoi difendere una tua ipotesi e cominci a ricordare tutte le cose che hai letto che, in effetti, sosterrebbero proprio la tua ipotesi: salvo che poi le vai a cercare e in molti casi scopri che te le ricordavi un po' distorte, e che a leggerle bene, con calma, non sostengono la tua ipotesi più di quanto non ne sostengano una completamente diversa. Questo succede quando sei uno studioso coscienzioso. Zanardo non è uno studioso, piuttosto un apologeta: non ha un'ipotesi sua personale, ne ha scelta una per così dire preconfezionata; le prove gli interessano soltanto come espedienti retorici da esibire al pubblico: ecco, vedete, questa è una bara bianca, quindi il sindacato ci voleva morti, quindi io non mi fido della sinistra (forse è una tortuosissima excusatio non petita per spiegare che vota qualche altro partito).
D'altro canto, se Zanardo legge in fretta è anche perché all'interno della sua bolla l'episodio ormai viene evocato con una cadenza meccanica, ogni volta che un corteo non solo sindacale accenna a protestare contro l'occupazione israeliana dei Territori. In questo modo si risolve anche l'imbarazzante problema dell'antisemitismo di sinistra, un fantasma che si aggira per l'Europa e che anche in Italia a quanto pare sarebbe fortissimo, secondo alcuni molto più pericoloso dell'antisemitismo di matrice nazifascista... salvo questo piccolo particolare che fin qui non risultano vittime. Invece indicando nella CGIL l'ispiratrice dell'attentato alla Sinagoga di Roma, il bilancio cambia drasticamente. Basta solo immaginare una collusione tra organizzazioni terroristiche palestinesi e sinistra italiana – non ultrasinistra, si badi: tesserati CGIL. Ci vuole molta fantasia, ma le bolle comunicative a questo servono: a creare intorno a me una distorsione della realtà in cui alcuni messaggi diventano progressivamente credibili. È sufficiente reiterarli ed eliminare ogni altra campana – certo, la reiterazione provoca inevitabilmente una semplificazione.
Non so se avete presente la cadenza un po' sbrigativa con cui i ministri di un culto affrontano alcuni passi particolarmente ripetitivi delle rispettive liturgie: ecco, qui Zanardo legge in fretta un canovaccio scritto in fretta da altri che leggevano in fretta. Tanto alla fine è la stessa zuppa, no? Qualcuno protesta per la Palestina? Antisemitismo-di-sinistra, come-la-CGIL, bara-davanti-Sinagoga, attentato-alla-Sinagoga. Sembrano tag ma anche nella nostra testa alla fine le nozioni si organizzano così, intorno a segnalibri molto sommari. Col tempo è fatale saltare un passaggio, o equivocarlo. Credo di aver trovato un bell'esempio del processo in questo post di un blog (titolo: "Il pregiudizio antisraeliano della CGIL: un cancro mai del tutto debellato"), che a sua volta ricopia un intervento del professor Ugo Volli (titolo: "La faccia di tolla della signora Cgil"):
Magari voi penserete che esagero, che in fondo la nostra povera pensionata non va in giro con le cinture esplosive finte alla cintura come usano fare i suoi amichetti palestinesi nelle manifestazioni pro-Hamas. [La CGIL non ha mai appoggiato Hamas, sembra banale ricordarlo ma chissà]. Il fatto è che le profezie della Cgil spesso si avverano. Sono passati poco meno di trent´anni da quanto una manifestazione sindacale a favore della Palestina, il 25 giugno 1982 si fermò davanti al tempio di Roma si fermò per regalare agli ebrei del ghetto una bara simbolica come segno di apprezzamento per l´appoggio della comunità ebraica romana a Israele. E alcuni dopo, il 9 ottobre dello stesso anno, dei terroristi palestinesi, naturalmente provocati dall´”arroganza istituzionale”, fecero un bell´attentato nello stesso posto ammazzando un “arrogante” bambino di due anni, Stefano Gay Tachè.
Come vedete se avete pazienza nel brano c'è già molto di quello che Zanardo riprenderà: la chiara volontà di leggere nell'episodio un intento intimidatorio ("le profezie della Cgil spesso si avverano"). Però c'è anche un'ammissione che Z, lettore frettoloso, si è perso: la bara in quel caso non è definita né piccola né bianca ma"simbolica". Altrove mi sembra di aver letto che fosse di cartone, ma non riesco a trovarlo e forse sono vittima dello stesso pregiudizio che descrivo. E anche voi, non crediate. Probabilmente avete letto in fretta e non avete notato i refusi, che sono un chiaro indizio di rimaneggiamento. Sul serio: avevate notato che dopo la data "il 25 giugno 1982" il predicato "si fermò" compare due volte? In compenso, alla fine del testo in grassetto, manca almeno una parola, perché c'è scritto "E alcuni dopo". Alcuni cosa? Siccome l'attentato si svolse in ottobre, ci viene spontaneo completare con "mesi". Probabilmente veniva spontaneo anche al professor Volli. Salvo che... se davvero scriviamo "mesi" tutto l'impianto accusatorio si smonta un poco. Sentite come comincia a suonar falso? I sindacalisti mettono una "profetica" bara davanti alla Sinagoga, e tre mesi dopo i terroristi di Abu Nidal avverano la profezia. Sarebbe molto meglio scrivere "settimane" al posto di "mesi", se non addirittura "giorni". Qualcuno in seguito l'ha fatto. Ma nel testo che ho citato qui è come se mancasse ancora il coraggio, non so se da parte del professor Volli o del copia-incollatore.
In seguito, leggendo frettolosamente brani composti altrettanto frettolosamente, Z sceglie di scrivere "qualche settimana dopo" ("A few weeks after"). Ora tra il 25 giugno e il 9 ottobre ci sono effettivamente 13 settimane: sono poche? Si possono definire "a few"? Lo lascio alla coscienza di chi è riuscito a leggere fin qui. Sull'argomento avrei ancora altro da segnalare (la leggerezza con cui Z accosta alla figura di Arafat un attentato compiuto dai suoi avversari), ma mi sembra di averla fatta fin troppo lunga per stasera.
Enrico IV e altre maschere
24-06-2020, 01:26bugie, epidemia 2020Permalink– Mi è ricapitato di pensare all'Enrico IV di Pirandello stamattina, mentre guardavo il video di un trumpista americano che partecipava a una specie di corteo anti-covid – ne fanno anche in Italia. Questo signore candidamente spiegava davanti al microfono di avere già avuto un morto e un ferito in famiglia, a causa del covid. Però forse non la sappiamo tutta, spiegava. Forse conosciamo solo un aspetto della storia (il che è sempre vero: tutti i lati non li conosciamo). E quindi, insomma, un morto e un ferito non gli impedivano di partecipare a un corteo in cui lui aveva un posto, un ruolo. Ci sono tanti motivi per raccontare una bugia: la pressione sociale è uno dei più interessanti.
– Quando è arrivato il virus, abbiamo tutti dovuto scegliere se crederci o no. Quindi abbiamo studiato attentamente la situazione da un punto di vista epidemiologico, e solo a quel punto – ah ah, no. Abbiamo tutti fiutato il vento, scegliendo di chi fidarci e continuando a guardarci attorno con un certo nervosismo perché le campane erano tante e tutte prima o poi suonavano false: compresa la nostra. Col tempo, comunque, le narrazioni hanno cominciato a delinearsi, e saltare dall'una all'altra è diventato socialmente sempre più complicato. Ognuno di noi, oltre a essere un individuo, è il nodo di un tessuto di relazioni che si intessono sempre di più su internet, e questo senz'altro rende la nostra possibilità di cambiare idea ancora più complicata: cambiare narrazione significa sottoporre tutto il reticolo intorno a noi a una torsione fastidiosa – banalmente, ti tocca litigare coi tuoi amici, tradire l'immagine che avevano di te. Si fa molto prima a restare dentro, come Enrico IV. Anche se è una festa in maschera, almeno è la tua festa in maschera. C'è gente che ti segue, che ti ammira, e magari anche loro non ci credono più da un pezzo, ma fa differenza? La coscienza è l'ultimo dei nostri problemi, una vocina che si può mettere a tacere in mille modi: sonniferi, alcool, ideologie.
In questi giorni mi sono capitate davanti alcune bugie interessanti – alcune grandi e alcune minuscole, e vorrei prendere un po' di spazio qui per parlarne. E di Montanelli, ahimè sì, quando finalmente tutti si sono calmati io ci vorrei tornare un po' sopra, spero con punti di vista che non avete ancora letto in giro (lo so che è difficile). Però non subito, prima un altro caso (continua...)