In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Vita da busker (scritto per far riaprire Venezia agli artisti di strada)

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A Ferrara, qualcuno deve aver pensato che a dirlo all’inglese suonava tutta un’altra musica. Ironia a parte, e col santo senno del poi, il Busker Festival che ogni anno si svolge nella città emiliana si è rivelato davvero una idea vincente che ha fatto da apripista a tante manifestazioni simili. La formula, d’altra parte, era già stata ampiamente collaudata in altri Paesi europei, dall’Inghilterra alla Spagna, passando per Francia ed Alemagna. Basta battere la parola “busker” sull’oracolo dei nostri - Google - che appaiono decine di siti che raccontano di feste organizzate a Milano, Bologna, Modena... per citare solo qualche capoluogo di provincia. Ma i Busker Festival sono oramai un appuntamento fisso anche nelle più celebrate mete turistiche sia di mare che di montagna.
Certo, magari dire “artista di strada” non pare la stessa cosa che scrivere “busker”, anche se il concetto alla fin fine è quello. Il problema, come spiegano i portavoce della Fnas (come? che cosa è la Fnas? Ma la Federazione Nazionale Artisti di Strada, che altro?) è che troppo spesso nel Belpaese l’artista di strada, o il busker se preferite, viene confuso con il mendicante. Cosa che assolutamente non è. L’arte di strada ha alle spalle una tradizione che viene nientepopodimeno che dai cantori erranti dell’antica Grecia come quel tizio che i posteri hanno chiamato Omero, passando per i bardi celtici e i trovatori medioevali, come quel bel tipo che se “fosse foco” farebbe cose alquanto discutibili.



Adesso però non fatevi l’idea che bisogna declamare epiche odissee o “mozzare capi a tondo” per fare i basker al giorno d’oggi. Gli attuali artisti di strada si sono specializzati in cose molto più terra terra anche se non per questo prive di fantasia. L’unico limite alla loro arte. C’è chi disegna sul pavimento, chi fa musica con strumenti tradizionali o con qualsiasi altra cosa che tu non penseresti mai che si possa suonare, chi compie acrobazie sopra un filo e chi tira fuori scintillanti alberi di natale da un cappello a cilindro. Conigli sarebbe troppo banale.
“Nel nostro mondo c’è di tutto e di più - mi racconta R.P., uno che, tanto per non restare terra terra, lievita vestito da bonzo attorno ad un bastone -. Pochi lo fanno per lavoro o per soldi. La motivazione più frequente è sempre quella del divertimento. Ci piace stupire la gente”. Nei festival importanti, come quello di Ferrara o nella Notte Verde recentemente svoltasi a Venezia, si arriva per invito. Il Comune non spende niente, se non nell’organizzazione e nella promozione dell’evento. Le esibizioni nei Comuni più piccoli che intendono promuoversi a livello turistico invece, il busker riceve una diaria concordata in anticipo. “Noi comunque preferiamo sempre i grandi festival o le piazze più importanti per esibirci - continua R.P. - Venezia ad esempio si è rivelata una città entusiasmante. Teniamo anche presente che le calli e i campi di questa città sono palcoscenici naturali. Oltre al calore degli spettatori è stato significativo l’interesse dimostratoci dai gestori dei bar e dei ristoranti. Abbiamo ricevuto molte proposte per tornare ad andare in scena davanti ai loro locali. Molti si sono offerti di pagarci le spese e di darci pure un contributo. Peccato che, a Venezia, non si possa fare”.
Già. Perché a Venezia gli artisti di strada non possono esibirsi? Qui bisogna tornare indietro nel tempo di una quindicina di anni, sino al ’98 quando il Comune varava un primo regolamento degli artisti di strada. Ma era un regolamento che non regolamentava niente, scritto ben prima dell’organizzazione dei grandi Busker Festival come quelli di Ferrara e Bologna. Un regolamento anticipatore per certi versi ma che nei fatti apriva indiscriminatamente le porte della città a tutti coloro che ben poco avevano a che fare con l’arte di strada. Le esibizioni condotte senza criteri, senza regole e senza limiti di orario e di luogo, causarono molte proteste da parte dei residenti che condussero all’abolizione del sopraccitato regolamento e, nei fatti, alla chiusura della città anche ai veri basker.
Adesso anche per Venezia è arrivato il momento di voltare pagina. Questa estate partirà una sperimentazione che, ci auguriamo, porterà alla stesura di un nuovo e più efficace regolamento. Quali saranno le novità? Innanzitutto la partecipazione attiva della Fnas, la già citata Federazione Nazionale Artisti di Strada, che si occuperà di selezionare i busker che faranno domanda per esibirsi nelle nostre calli e nei nostri campielli, provvedendo che lo spettacolo sia adatto alla zona e non disturbi i residenti. Ci sarà una turnazione settimanale degli artisti per far variare lo spettacolo offerto. Le aree e gli orari inoltre, stabiliti su specifiche tabelle indicate dal Comune, saranno fissi per evitare abusivismi. Non un permesso per esibirti dove vuoi quindi, ma un permesso per quel giorno, da quell’ora a quell’ora, in un determinato posto e per un genere di spettacolo già stabilito e conforme al luogo.
Il ritorno dei basker nella laguna dei dogi contribuirà a riportare un po’ verve nella fin troppo statica vita sociale delle calli veneziane? Questo lo vedremo meglio dopo la sperimentazione, quando sarà il momento dei bilanci. Adesso prepariamoci a sognare con gli artisti di strada. Un mondo dove può succedere di tutto. Anche di trovarci Sting che suona col volto nascosto da un cappello a larghe falde. Quando lo fece al Busker Festival di Edimburgo guadagnò 40 sterline. Chissà che a Venezia tiri qualche soldino di più! Oppure potremmo scoprire che quel musicista che suona con l’acustica Glory Days è proprio il Boss. Bruce Springsteen non è nuovo a questi mascheramenti anche se, al contrario del suo collega inglese, lui non mette mai il cappello per terra. Dice che guadagna già abbastanza con i dischi. Restando al panorama musicale italiano, non dimentichiamoci di Claudio Baglioni e di Edoardo Bennato che non sono nuovi a simili performance di strada. Nel caso di Bennato, va detto che il cantautore del Burattino senza fili non si era neppure camuffato. Lui non era vestito da basker, rispose ad un giornalista curioso. Lui era un basker. Non soldi ma spintonate, insulti e denunce fu quanto ottenne invece lo sventurato Biagio Antoniacci quando provò a suonare camuffato da ambulante nella metropolitana di Milano. Invece del pubblico plaudente arrivarono dei carabinieri assai poco inclini alle grazie di Euterpe, che senza farvi andare a cercare su Wikipedia vi dico subito che è la musa della musica. Speriamo che a Venezia questo non succeda. Anche per il povero Antoniacci. E anche grazie al nuovo regolamento.

Quegli ignobili respingimenti ai porti di cui nessuno parla

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C’è chi, come Alì, è arrivato già morto. Asfissiato in fondo alla stiva, dentro il cassone del tir dove si era nascosto. Chi, come il piccolo Zaher, è stato travolto dalle ruote di un camion in manovra mentre cercava di fuggire dalla polizia portuale. Tutti gli altri vengono rimandati indietro, come pacchi postali con l’indirizzo sbagliato. Anzi peggio. Perché un pacco postale gode della garanzia di consegna in buono stato e della rintracciabilità via internet. I profughi no.
Li sbattono a forza nelle stesse stive in cui si erano nascosti per raggiungere l’Italia senza dar loro la possibilità di contattare prima un legale o un operatore sociale. Li riconsegnano senza pietà agli stessi aguzzini cui avevano cercato di fuggire, senza concedere loro il diritto - riconosciuto dalla legge Italiana oltre che dalla normativa europea - di formalizzare la pratica per la richiesta di asilo. Vengono rimandati, senza se e senza ma, verso quella Grecia dalla quale hanno tentato di scappare e dove li attendono violenze, botte, prigionia, umiliazioni, sofferenze e torture. E non sono le “solite” associazioni umanitarie a dirlo ma la stessa Corte di Strasburgo che, con una sentenza del gennaio 2011, ha condannato la Grecia per “trattamenti inumane e degradanti” nei confronti dei profughi in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani. Perché in Grecia, di fatto, lo status di rifugiato non esiste e i migranti in fuga da Paesi in guerra come l’Afghanistan, il Pakistan, l’Eritrea - guerre in cui l’Italia e l’Europa non possono certo affermare di avere la coscienza a posto - non hanno nessuna speranza di venire accolti.


Ecco quanto accade, tra l’indifferenza generale, in tutti i porti adriatici dove fanno scalo i traghetti greci. Venezia soprattutto, ma anche Brindisi, Ancona, Bari. E nelle cronache dei giornali hanno pure il coraggio di chiamarli “rimpatri”. “Ancora clandestini al porto. Subito rimpatriati in Grecia” ci è toccato di leggere sul Gazzettino. Come se fosse la Grecia la loro patria! Hanno il coraggio di definirli “clandestini” anche se la Carta di Roma chiede ai giornalisti di usare i termini corretti ed evitare sensazionalismi per quanto concerne le notizie su richiedenti asilo e rifugiati. L’etica professionale evidentemente non serve per fare carriera.
Il caso di Alì, arrivato morto asfissiato, assieme a due compagni anch’essi afghani sopravvissuti per puro miracolo, è solo una delle ultime tragedie al porto di Venezia. Una frontiera dove il diritto non esiste ed è tutto demandato agli umori e alla discrezionalità della polizia di dogana. Quasi mai, quando questi profughi vengono scoperti nelle stive, viene data loro l’opportunità di contattare gli operatori competenti per formalizzare la richiesta di asilo. Anche l’assistenza sanitaria, dopo quella tremenda traversata in fondo alle stive, è ridotta al minimo e limitatamente al tempo necessario per reimbarcarli. E stiamo parlando di uomini ma anche di donne e di bambini (sia Zaher che Alì erano entrambi minorenni) in fuga da guerre e fame, arrivati in Italia dopo un’odissea di privazioni che ben raramente dura meno di due anni.
Queste sono le persone cui neghiamo il fondamentale diritto all’asilo. Ed è difficile anche conoscere con esattezza quanti sono i profughi che rimandiamo ogni anno in Grecia perché tutto viene svolto in una clima di sospensione dei diritti. Niente viene mai formalizzato o contabilizzato. Chi non ha documenti, non ha neppure diritti. Una volta bisognava essere ebrei.
Secondo una stima dell’osservatorio veneziano contro le discriminazioni razziali, nato da un Protocolo di intesa tra l’Unar e il Comune di Venezia, ottenuta incrociando dati della Prefettura e del Cir, nel periodo che va dal gennaio al dicembre del 2010 più di 600 richiedenti asilo sono stati respinti e consegnati al personale di bordo delle navi
greche senza aver prima incontrato né mediatori né interpreti. Vale la pena di sottolineare che la polizia di frontiera, come ben spiega una direttiva europea recepita dal nostro ordinamento, non ha alcuna competenza nello stabilire la fondatezza o meno di una richiesta d’asilo e che, in ogni caso, rimandare chiunque verso un paese dove può subire trattamenti inumani e degradanti viola il principio di non refoulement.Una pratica di respingimento collettivo quindi, non solo illecita ma anche illegale e per la quale, nel caso di quanto accaduto con i profughi dalla Libia, l’Italia è già stata condannata dalla Corte europea per il diritti dell’uomo.
Un simile ricorso portato avanti da 35 migranti respinti al porto di Venezia, circa metà dei quali minorenni, grazie all’assistenza legale di alcune associazioni locali costituitesi nella Rete Tuttiidirittiumanipertutti, è tutt’ora pendente presso la stessa Corte e si attende la sentenza a breve.
Da sottolineare come la stessa amministrazione comunale di Venezia sia di fatto estromessa dalla possibilità di intervenire in un porto militarizzato ed inteso come “zona franca”, dove i diritti sono assolutamente secondari rispetto ai criteri, del tutto ipotetici, imposti dalla “politica della sicurezza”. Neppure agli operatori sociali messi a disposizione dal Comune viene consentito di avvicinare sempre i profughi sbarcati e, in pratica, gli viene impedito di svolgere il loro compito di assistenza e di tutela dei diritti umani. E non scrivo “diritti dei migranti” perché i diritti sono di tutti e quando sono negati lo sono per tutti.
A tale proposito, l’assessore veneziano alla pace, l’ambientalista Gianfranco Bettin, ha commentato in occasione di un incontro con la stampa organizzato dall’Osservatorio Unar: “La situazione che oggi viene denunciata è l’esito di una politica svolta quasi senza eccezione di continuità in Italia da circa un ventennio, basata sull’ossessione di limitare l’immigrazione e di respingere sempre e comunque. Nel caso di quanto accade nel nostro porto, siamo di fronte alla versione più odiosa di questa pratica, perché se respingere persone che sfuggono dalla povertà e dal bisogno sociale è comunque una grave violazione, respingere persone che fuggono da luoghi in cui è messa a repentaglio la loro vita è un crimine contro l’umanità ancora più odioso. Respingere i richiedenti asilo non significa solo negare i più elementari diritti umani ma anche perseguire una politica velleitaria, irrazionale e alla fin fine anche controproducente. Senza una gestione trasparente dei percorsi di queste persone che comunque non hanno scelta e sono costrette dalla guerra e dalla povertà a venire qui, non si fa altro che lasciare campo libero a quelle organizzazioni criminali alle cui violenze assistiamo tutti i giorni”. Eppure, il fallimento della politica che pretendeva di trasformare l’Europa in una fortezza è sotto gli occhi di tutti coloro che sappiano leggere un po’ più a fondo quanto è successo e sta succedendo nel mondo arabo con le rivolte di primavera, e anche a casa nostra con i deludenti (e vergognosi) risultati di quella barricata contro le migrazioni che si vantava di essere Bossi Fini. Ma i nostri porti e in particolare il porto di una città storicamente aperta a tutte le culture come Venezia, non possono rassegnarsi ad un degradante ruolo di frontiere senza legge. Non è questa la loro storia. Non è questa la loro tradizione. Devono tornare ad essere quello che sono sempre stati: porte aperte verso altri mondi e altre culture. Non cittadelle fortificate dove i diritti fondamentali dell’uomo sono sottoposti alla discrezionalità della politica del momento.

La Regione Veneto riduce i canoni di estrazione delle acque minerali

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Uno schiaffo alla democrazia e un insulto per tutti i cittadini che il 12 e il 13 giugno sono andati a votare. Altro non è il maxi emendamento approvato ieri dalla maggioranza Lega Pdl che governa la Regione Veneto. Di fronte ad un referendum che ha sancito che l’acqua è un bene comune e che, in quanto tale, non può essere una fonte di guadagno e di speculazione né per il pubblico né – tantomeno – per il privato, il Consiglio Regionale del Veneto ha imboccato una strada che va in senso nettamente contrario dimezzando di fatto il canone di concessione alle aziende imbottigliatrici. Il maxi emendamento alla Legge Finanziaria 2012 approvato dal Consiglio proroga sino al 2015 le riduzioni del pagamento dei diritti di prelievo delle acque minerali, previste dalla Legge n. 22 del 2009.


Ricordiamo che il canone di estrazione è fissato dalla legge n. 40 del 1989  dal titolo “Disciplina della ricerca, coltivazione e utilizzo delle acque minerali e termali”. L’articolo 5, sostituito dall’articolo 6 della Legge Finanziaria Regionale 2007, fissava un canone di concessione per volume imbottigliato pari a 3 euro al metro cubo. Grazie all’emendamento passato ieri, il Consiglio ha prorogato sino al 2015 la contestata riduzione concessa per gli anni dal 2010 al 2012, stabilita a 1,5 euro per metro cubo di acqua se imbottigliata in contenitori di plastica e a un euro, sempre a metro cubo, nel caso sia imbottigliata in vetro. La differenza tra vetro e plastica, a sentire i legislatori, sarebbe un “incentivo” all’uso di materiali biodegradabili…
In poche parole, le aziende imbottigliatrici potranno continuare ad intascare milioni di euro di profitti sull’acqua pubblica, versando alle casse regionali (pubbliche!) una miseria di canone. Non c’è che dire: un bel regalo di pasqua, questo che la Regione ha fatto ai suoi amici produttori di acqua minerale!
Ma quanto ci costerà questo regalo? Facciamo due conti della serva. Il Servizio Tutela Acque della Regione Veneto, in risposta ad un questionario inviato da Legambiente ed AltrEconomia nell’autunno 2011, ha fornito queste cifre: le aziende concessionarie prelevano 2 milioni 504 mila 330 metri cubi all’anno (dato riferito al 2010). Di questi 2 milioni 378 mila e 299 sono imbottigliati in plastica e i soltanto i rimanenti 126 mila e 31 in vetro (alla faccia dell’incentivo). Il che significa una entrata di 3 milioni 693 mila 479 euro e – pure – 50 centesimi con il canone, per così dire “ agevolato”. Se fosse applicato il canone “intero” fissato dalla legge 40, al contrario, l’introito ammonterebbe a 7 milioni 512 mila e 990 euro. Una semplice sottrazione ci dice che il famoso “regalo” alle aziende imbottigliatrici ammonta alla bellezza di oltre 3 milioni e 800 mila euro l’anno. Facciamo grazie degli spicci. Per tre anni, che tale è la durata dell’agevolazione, fanno quasi 11 milioni e mezzo di euro.
Ora la domanda è: davvero le nostre falde, il nostro sistema idrico non ha bisogno di 11 milioni e mezzo di euro da investire in progetti di ristrutturazione, bonifica e di sostenibilità ambientale?
Paradossalmente, proprio la vittoria referendaria ha creato un vuoto legislativo in cui nessuno di coloro che oggi sono al Governo vuole mettere le mani, e ha aperto praterie normative all’avanzata degli speculatori. La Conferenza delle Regioni, sei anni or sono, aveva dato indicazioni per una revisione dei canoni consigliando di dividerli in tre tipologie: da 1 a 2,5 euro per metro cubo di acqua imbottigliata; da 0,5 a 2 euro per metro cubo o frazione di acqua utilizzata o emunta; almeno 30 euro per ettaro di superficie concessa. Soltanto 13 Regioni hanno rivisto la normativa e ben 9 di queste hanno utilizzato queste indicazioni solo per giocare al ribasso. Il referendum ha scombinato le carte sul tavolo. Le indicazioni politiche che sono uscite dalle urne sono chiare: l’acqua è un bene comune e non una fonte di profitto per i privati. Ma sul piano normativo queste indicazioni non sono ancora state tradotte in legge. E, senza legge, è consentito anche barare. Tocca ai movimenti referendari, protagonisti di una stagione straordinaria, pretendere che le intenzioni del referendum siano rispettate. Oggi come ieri, si scrive acqua e si legge democrazia.

Catena antirazzista a palazzo Ducale

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Una lunga catena umana ha abbracciato questa mattina palazzo Ducale. Una lunga catena antirazzista composta da studenti delle scuole superiori, cittadini migranti e cittadini indigeni. Al centro, in un improvvisato palcoscenico costruito sopra un catasto di tavole per l’acqua, il poeta ed attore Giancarlo Ratti, celebre voce della trasmissione del Ruggito del Coniglio, alternava poesie e battute, invitando i passanti - turisti, scolaresche, veneziani, comitive di giapponesi e gondolieri - ad unirsi alla catena umana. C’è riuscito con tutti, tranne che con i gondolieri. Ma è stata comunque una bella mattinata primaverile di festa, allietata dalle percussioni di un gruppo di migranti africani costituitosi per l’occasione. Più che le parole, parlano le fotografie che alleghiamo alla pagina.


La catena umana contro il razzismo è solo uno dei tanti appuntamenti che l’Osservatorio contro le Discriminazioni e l’assessorato alla Pace del Comune di Venezia, hanno organizzato nell’ambito dell’ottava edizione della Settimana Antirazzista che si sta svolgendo in contemporanea in tante piazze d’Italia.
Ricordiamo, tra le numerose iniziative, la mostra “Io Tu Lui Lei” alla fondazione Bevilacqua La Masa, Dorsoduro 2865, ingresso libero tutti i giorni dalle 10,30 alle 17,30. Domenica 25 ci attende la marcia non competitiva Corri in via Piave. Tre chilometri e 200 metri pronti per quelli che hanno i polmoni per farseli. Giovedì 29, alle ore 20, Cena senza confini al Rivolta, via Fratelli Bandiera, con gli studenti della scuola Liberalaparola. Sabato 31 marzo e domenica 1 aprile, a partire dalle ore 15,30, si svolgerà nei campi sportivi di via Bissuola, il torneo Un calcio al razzismo.
Particolarmente significativa sarà l’appuntamento in programma sabato 24, alle ore 10, a Santa Maria delle Grazie, Mestre, l’incontro Parole che discriminano, in cui il gruppo stampa dell’Osservatorio contro le discriminazioni presenterà i risultati del monitoraggio sui giornali locali e sull’uso di parole quanto meno improprie come “clandestino”, “nomade” . Parole che alzano muri, che non descrivono la realtà dei fatti e che, alla fin fine, sono solo indice di cattivo giornalismo. All’incontro, parteciperanno il presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Veneto, Gianluca Amadori, il direttore del Corriere del Veneto, Alessandro Russello, il giornalista del Gazzettino Maurizio Dianese.

Acqua pubblica: Venezia obbedisce

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Vinto il referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua, adesso bisogna rispettare la volontà dei cittadini e cancellare dalle bollette la percentuale del 7% che la norma abrogata indicava con la voce “remunerazione del capitale”. Un passo indispensabile per completare quel processo avviato dalla campagna Acqua Bene Comune, ribadire che sull’acqua non si può speculare e avviare finalmente quella gestione pubblica, trasparente e partecipata del servizio idrico cittadino che è stato il vero obiettivo del referendum.
Eppure, otto mesi dopo l’apertura delle urne e la schiacciante vittoria dei Sì, tutti i gestori dei servizi idrici italiani, non ultimo l’Aato veneziano, hanno scelto di ignorare l’esito del referendum, trincerandosi dietro una politica volta a rifiutare ogni cambiamento e ogni confronto. Una politica che umilia non soltanto quei 27 milioni e passa di cittadini che il 12 e il 13 giugno si sono recati ai seggi, ma che mortifica la stessa parola “democrazia”.



Per questo a livello nazionale è stata lanciata una campagna definita di Obbedienza Civile. Una campagna che quest’oggi, venerdì 16 marzo, è arrivata anche in laguna con un presidio organizzato dai movimenti per l’acqua proprio davanti alla sede di Veritas, la multiutility che gestisce il ciclo integrato dell’acqua di Venezia, a due passi da piazzale Roma.
“Il percorso che abbiamo cominciato come movimenti per l’acqua pubblica - ha spiegato Francesco Penzo, portavoce del comitato Abc, acqua bene comune - non si è concluso con il referendum. Uno dei due quesiti abrogati era quello riguardante la gestione dell’acqua che per noi è incompatibile con la produzione di profitti, tanto meno se questi profitti vanno in mano ai privati. Eppure, questo principio affermato dal referendum in Italia non è ancora stato applicato. Noi chiediamo che il nostro voto sia rispettato e che dalle nostre bollette venga tolta la voce di remunerazione del capitale investito fissata per il 7 per cento. Oggi siamo di fronte ad una illegittimità. Perché se il referendum ha abrogato una norma, questa deve essere abrogata senza se e senza ma”.

“27 milioni di voti hanno sancito il principio che sull’acqua non si possono ricavare profitti- ha ribadito Tommaso Cacciari della casa dei beni comuni Laboratorio Morion -. Abbiamo organizzato questo presidio per dire a tutti che vogliamo obbedire al referendum e che siamo pronti a farlo anche autoriducendoci la bolletta. Se l’esito referendario non lo vogliono rispettare dall’alto, lo rispetteremo noi dal basso. Presto organizzeremo punti informativi per spiegare ai cittadini, anche dal punto di vista tecnico, come autoridursi la bolletta e rispettare l’esito democratico del referendum”.

Gigi Lazzaro, presidente di Legambiente, invita i cittadini ad aderire alla campagna di obbedienza civile e autoriduzione “perlomeno sino a che le aziende non prenderanno degli impegni concreti e spiegheranno ai cittadini dove finisce questa percentuale che, come ha stabilito il referendum, non può andare a creare profitto privato”.

Da sottolineare, la presenza al presidio dello stesso amministratore delegato di Veritas, Andrea Razzini, e del consigliere Alberto Ferro, venuti ad incontrare gli attivisti, sposandone, per buona parte, le ragioni, e spiegando che, “anche per Veritas, l’esito del referendum va rispettato. Le nostre tariffe sono probabilmente le meno costose d’Italia proprio perché noi siamo e ci consideriamo una azienda pubblica che non trae profitti dall’acqua che gestisce. Noi non abbiamo paura dell’esito di un referendum che abbiamo sostenuto sin dall’inizio. Devo osservare però che trovo troppo semplicistico risolvere tutto con una autoriduzione del 7 per cento della bolletta. Comunque... se questa è una strategia di lotta... fatti vostri. Più importante, a nostro avviso, sarebbe rivisitare la costruzione del metodo tariffario alla luce dei risultati del referendum, E va detto che è quanto meno singolare che nessun legislatore lo abbia fatto a tanti mesi di distanza”. “Un’ultima osservazione - conclude Razzini, dopo aver dato agli attivisti dei movimenti ampia disponibilità ad un confronto -; nel cuore di chi ha votato, il referendum avrebbe scritto la parola fine al processo di privatizzazione. Ma questo non è vero purtroppo. Siccome dopo il referendum nessuno si è occupato di riscrivere la legislazione che regge il settore idrico italiano, non è vero che le gestioni non siano più privatizzabili. Al contrario, quando scadono le concessioni, la legislazione che entra in vigore sarà quella comunitaria, che per l’acqua è ancora più liberale di quella sull’immondizia. Inoltre, siccome il sistema della banche è quello che è, dopo il referendum, proprio in virtù di questa oscurità normativa, questi non fanno più credito alle aziende pubbliche come la nostra, mettendoci in una situazione piuttosto problematica. E quindi pensateci bene prima di ridurvi la bolletta”. E’ il caso di dire che le banche hanno chiuso i rubinetti anche a quelli dell’acqua e li hanno lasciati in bolletta!

“Sappiamo bene che quello che va fatto è di intervenire a livello di legislazione nazionale e di gestione degli Aato, più che su aziende come Veritas -ha concluso il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia - . La campagna di obbedienza è stata pensata proprio per rendere visibili questi problemi. I referendum hanno dimostrato che tra i cittadini c’è una grande domanda di partecipazione, specialmente su un tema di interesse comune come l’acqua. Questo, gli amministratori non lo possono risolvere solo facendo bene i propri compiti ma aprendosi ad una gestione partecipata anche su temi che sono dannatamente complicati come la costruzione di un sistema tariffario. Siamo di fronte ad un problema politico che è quello di come evitare che, incuranti dell’esito referendario, i processi di privatizzazione vedano avanti, ma siamo anche di fronte ad una entusiasmante sfida che è quella di sviluppare modelli di gestione integrati e originali, ragionando sulle specifiche problematiche territoriali. Modelli che devono essere pubblici, partecipati e soprattutto trasparenti. Come l’acqua, appunto”.

L’eco rivoluzione della luce

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A Venezia arriva la rivoluzione della luce. Anzi, l’eco rivoluzione della luce perché, come ha ricordato l’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin, “queste innovazioni permetteranno al nostro Comune di rientrare con largo anticipo nei parametri imposti dal Protocollo di Kyoto”. Sarà davvero un cambiamento radicale per la Città dei Dogi e la sua laguna, paragonabile soltanto a quel lontano inverno del 1922 quando l’allora amministrazione decise di sostituire il gas con l’elettricità per illuminare la città. Le vecchie e inquinanti lampade ai vapori di mercurio dei lampioni che illuminano calli, canali e fondamente, oltre a strade e piazze della vasta città di terraferma tra Mestre e Marghera (e lo stesso sistema di illuminazione del grande parco di san Giuliano), infatti, stanno per avviarsi all’attesa pensione per essere sostituite dalle nuove e performanti lampadine a led. Ricordiamo che la tecnologia a led consente un risparmio energetico valutabile tra il 50 e l’80% rispetto al mercurio.


I costi di manutenzione di questi impianti inoltre, anche mettere in conto la maggior durate delle nuove lampadine, sono valutati nell’ordine di un decimo rispetto agli impianti attualmente in uso. Il tutto senza che ne risulti minimamente compromessa la qualità dell’illuminazione. Anzi, luce bianca e fredda tipica dei led ha la proprietà di garantire un’illuminazione efficace e sicura per gli utenti della strada e la sua capacità di emettere un fascio luminoso concentrato consente di limitare al minimo tutti i fenomeni di inquinamento luminoso. Torneremo in altre parole, a riveder le stelle senza rischio di precipitare in un buio canale.
E questa è solo una delle tante eco rivoluzioni che presto ci faranno vedere Venezia sotto una luce completamente nuove. Il panorama completo delle luminose innovazioni è stato presentato questa mattina nella cornice del municipio di Mestre dagli assessori Gianfranco Bettin per l’Ambiente e Alessandro Maggioni per i Lavori Pubblici. Presenti anche i vertici delle società che si sono aggiudicate il nuovo appalto dalle durata di 9 anni per la gestione e il rinnovo della pubblica amministrazione: Citelum sa, Gemmo spa e consorzio Cooperative Costruzioni. I termini della gara d’appalto, hanno spiegato i due amministratori, contenevano espressamente la richiesta di migliorare entro il primo anno di gestione (che sarà per l’appunto questo 2012) l’intero sistema di illuminazione pubblica nell’ottica di migliorare il servizio, risparmiare energia e mettere in sicurezza aree ai margini. Tutti criteri rispettati dalle ditte vincitrici. “Per Venezia, questa rivoluzione dell’illuminazione rappresenta un salto di sistema radicale - ha commentato l’assessore all’Ambiente (e ambientalista) Gianfranco Bettin -. L’amministrazione in questi ultimi anni ha già operato dei passi in avanti nel settore del risparmio energetico ma con questo appalto facciamo un vero e proprio salto nel futuro, passando da una situazione che per molti versi era di arretratezza ad una di eccellenza, allineandoci su questo tema alle più avanzate città europee”. I dati parlano da soli: i led consentiranno un risparmio di 6 milioni e mezzo di kilowatt ora l’anno, che si traducono in 4 milioni e mezzo di chili di Co2 in meno nell’atmosfera per un totale di risparmio di mille e 200 tonnellate equivalenti di petrolio. Il tutto, come abbiamo detto, senza cedere nulla sul fronte della qualità dell’illuminazione ma conquistando terreno su quello del contrasto all’inquinamento luminoso e del risparmio energetico. Va tenuto presente inoltre che una parte sempre maggiore dell’energia che sarà adoperata verrà da fonti non inquinanti e rinnovabili. Un esempio sono le tradizionali “bricole” che in laguna segnano il corso dei canali navigabili e che presto non solo saranno illuminate dai led ma che saranno alimentate ciascuna da un piccolo impianto fotovoltaico. Una speciale cellula inoltre, sempre alimentata dalla luce del sole, segnalerà gli eventuali “fuori asse” dei pali - il momento in cui la “bricola” sta per cadere consumata dell’eterno andare delle maree - permettendo la sua pronta sostituzione e prevenendo ogni rischio ai naviganti.
Insomma, una vera e propria rivoluzione verde quella che sta per illuminare Venezia e la sua Terraferma.
Ma questi nuovi lampioni con i led non saranno troppo tecnologici per una Venezia che viene tutt’ora indicata nelle guide come la città più romantica del mondo? In altre parole, gli innamorati potranno ancora godere dei chiari di luna lagunari? “Nessun dubbio al riguardo - conclude Bettin -. Anzi, l’illuminazione a led si presta ancora di più per sottolineare i chiaroscuri tipici dei nostri canali e per aiutarci a riconquistare quelle dimensioni, come quella del buio, che stiamo rischiando di dimenticare”.

Il parco della laguna sbarca a Burano

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Solo fino a qualche anno, azzardarsi a ventilare di un “parco della laguna”, in quest’isola dalle case colorate, significava scatenare una rissa in stile far west. I buranelli, si sa, è gente che va per le spicce e che non te le manda a dire per interposta persona. Un po’ come parlare di un certo gatto al quale, vai a capire il perché, hanno innalzato un monumento dall’altra parte della laguna di Venezia. Uno di quegli argomenti insomma, di cui puoi parlare a casa tua ma non a casa loro, se tieni ai denti e al quieto vivere. Altri assessori, altri parchi, in quest’isola dipinta come un arcobaleno non sono nemmeno riusciti a sbarcare. Gianfranco Bettin invece ce l’ha fatta. Non soltanto è riuscito a parlare del parco a due passi da piazza Galluppi, ma si è preso pure i suoi applausi finali, dopo aver sostenuto un lungo dibattito dentro una ex chiesa delle Cappuccine strapiena di gente. Un dibattito, e non poteva essere altrimenti, acceso e... colorato proprio come le case di Burano.


Un incontro, questo svoltosi nel pomeriggio di giovedì primo marzo, cui l’assessore all’Ambiente del Comune di Venezia arriva dopo un lungo e, immaginiamo, faticoso lavoro di cucitura con le tante realtà che, direttamente o indirettamente, avranno a che fare col futuro parco. “Il percorso per la costruzione del parco della laguna nord - dirà all’assemblea l’ambientalista - non può che essere un percorso partecipato. Non vogliamo lasciare ai margini nessuno se non coloro che vedono la laguna solo come un oggetto di speculazione”.
Un lavoro, dicevamo, lungo e paziente che alla fine è sbocciato come un fiore in questo anticipo di primavera. Infatti,, E’ stata la stessa cooperativa San Marco che riunisce i pescatori di Burano - e già questa sarebbe una notizia da prima pagina - ad invitare Bettin ad un dibattito in isola per avere chiarimenti sulle varie ipotesi che ruotano attorno al parco.
“Sino a ieri, l’idea di un parco non ci è mai piaciuta troppo - ha ammesso il presidente della cooperativa, Luigi Vidal -. Temevamo pesanti ripercussioni e ulteriori vincoli sulla nostra attività lavorativa. Adesso cominciamo a vedere le cose in maniera differente grazie alle ampie rassicurazioni che l’assessore Bettin ci ha dato. E’ sotto gli occhi di tutti che la nostra isola vive un periodo di crisi. Lo spopolamento, innanzitutto. Quando ero un ragazzino, qui vivevano 6 mila e 500 persone. Oggi siamo in meno di 3 mila. Anche la pesca è in crisi, pur se continuiamo a mantenere un fatturato di 5 milioni di euro all’anno. In questo contesto, se il parco potrà essere non un ostacolo ma un vantaggio... allora ben venga”.
“Il problema sta tutto su quale parco vogliamo costruire - ha argomentato Bettin -. Il 2 novembre 2010, con il Piano Regolatore Generale, La Regione Veneto ha approvato solo il perimetro del parco ma i contenuti dobbiamo deciderli assieme. Dentro il termine ‘parco’ oggi ci sono solo attese, speranze e anche paure. E’ evidente che il parco della laguna nord non può essere un parco tradizionale come, ad esempio, quello realizzato in un’area selvaggia e scarsamente abitata come le Dolomiti. Qui il parco deve essere uno strumento adatto a valorizzare quello che già c’è e che corre il rischio di scomparire. Non mi riferisco solo al paesaggio o all’ecosistema ma anche alla cultura, alle tradizioni della gente che da secoli ha vissuto la in questo ambiente e che qui vuole continuare a vivere. Ho sempre pensato al parco come un sistema capace di fornire opportunità e non nuovi problemi. Oggi la laguna vive una situazione paradossale: di vincoli e di strumenti di tutela ce ne sono a bizzeffe, vuoi di matrice comunitaria o vuoi regionale o statale. Strumenti di tutela che, alla fin fine, sono spesso raggirati e che, non soltanto finiscono per non tutelare nulla, ma che non offrono nessuna reale opportunità. Il parco serve proprio a sbloccare questa situazione. Non mi interessa costituire un nuovo marchio per portare lance colme di turisti e ricreare anche qui quel meccanismo perverso che ha snaturato tanti quartieri di Venezia. Il parco deve essere uno strumento di crescita e di difesa della gente che qui abita e che è parte integrante della sua laguna”.
Se i cacciatori o i pescatori, spiega l’assessore, temono per le loro attività, si mettano il cuore in pace. Nel futuro parco della laguna nord, caccia e pesca saranno regolati, domani come oggi, dagli appositi piani, faunistici e di gestione delle risorse alieutiche che, nel bene o nel male, la Regione Veneto vara ogni anno.
“La laguna nord è l’unica laguna ancora rimasta quasi intatta - continua Gianfranco Bettin -. Il canale dei petroli e altre grandi opere hanno oramai trasformato le barene a sud di Venezia in un braccio di mare aperto. Tutelare e sostenere quest’area nel suo complesso, intendo non solo preservarne la flora o la fauna, ma anche le antiche comunità che vivono al suo interno, è un’operazione che non può più essere rimandata”. “Il parco deve darci l’opportunità di consentirci interventi eccezionali in un contesto che è eccezionale ma che negli ultimi cinquant'anni, di eccezionale ha avuto solo una serie di leggi di tutela ambientale non sempre rispettate - sostiene l’assessore -. Dobbiamo utilizzare uno strumento di fortissimo impatto per spostare in questo territorio risorse che ci consentano di rigenerare la laguna e la civiltà lagunare. Ecco perché affermo che i primi custodi e i primi gestori del futuro parco dovrà essere la gente che dentro il parco ci vive e che, proprio grazie a questo nuovo strumento, potrà veicolare bisogni e ragioni, e farle valere anche nei confronti di una autorità regionale o statale non sempre disponibile ad ascoltare la loro voce”.
Il parco della laguna nord, concludendo, non sarà un museo ma uno strumento per difendere quello straordinario ed unico patrimonio di ambienti, di arte, di cultura, di conoscenze, di storie, di vita che è la laguna di Venezia. Quel che ne rimane.

Un Pat(to) con la città

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Parafrasando Leibnitz, potremmo scrivere che quello che si va a votare lunedì prossimo in consiglio comunale "è il migliore dei Pat possibili". Il che non significa che, in linea teorica perlomeno, non si poteva fare di meglio ma che tra tutti i Pat che poteva produrre l'attuale maggioranza che governa la città, questo, ripulito dal maxi emendamento che ha visto tra i suoi promotori i consiglieri della lista In Comune, Camilla Seibezzi e Beppe Caccia, è senza dubbio il migliore. Un Pat quindi che "andremo a votare convinti - ha commentato Caccia - pure se sappiamo bene che molti nodi rimangono irrisolti e che molte scelte fondamentali sono state demandate alla stesura dei piani di intervento. A questo proposito, invitiamo tutte le associazioni e gli ambientalisti che ci hanno sostenuto sino ad oggi con proposte, consigli e critiche, a non abbassare la guardia. Sull'assetto definitivo del Quadrante la battaglia è ancora aperta e dovremmo mobilitarci ancora per difendere il nostro territorio".


Ieri mattina, mercoledì 25 gennaio, nella sala consigliare di Ca' Farsetti, Camilla Seibezzi e Beppe Caccia hanno incontrato la stampa locale per fare il punto sul Piano di Assetto Territoriale la cui votazione è slittata a lunedì prossimo proprio per dare la possibilità alla maggioranza di varare il cosiddetto "maxi emendamento" (in allegato in fondo alla pagina) che recepisce molte delle osservazioni critiche avanzate dalla lista ambientalista. Proprio la lista e l'associazione In Comune hanno avuto una parte da protagonisti nella stesura di questo maxi emendamento finale, risultato di sei mesi di attento lavoro sia in fase istituzionale, con i due consiglieri eletti e l'assessore all'Ambiente Gianfranco Bettin, che in fase di incontri pubblici e di confronto, non di rado anche violentemente polemico, con cittadini e associazioni.
"Quello che ne è risultato alla fine - ha dichiarato Caccia - è uno strumento di transizione tra la città novecentesca che non c'è più e la città del duemila che non c'è ancora. Certo, nel documento non è ancora tratteggiata con chiarezza quella città che noi ambientalisti vorremmo, una città sostenibile ed orientata verso la green economy, ma il Pat rimane comunque uno strumento che ci aiuterà a governare questo passaggio riportando, e questo è il filo condutture delle scelte prese dal maxi emendamento di giunta, il governo del territorio all'interno del consiglio comunale democraticamente eletto, sottraendolo ai diktat di commissari esterni". Il riferimento, neanche tanto velato, è all'autorità aeroportuale.
"L'emendamento - continua Caccia - recepisce le nostre proposte sull'alta velocità dicendo che questa non deve essere intesa come una nuova e devastante infrastruttura fisica ma come una serie di scelte gestionali volte a migliorare il servizio partendo in primis dall'auspicato sistema ferroviario metropolitano regionale su cui la Regione è in ritardo da vent'anni anni. Sulla Tav l'emendamento ribatte che esiste una valutazione di impatto ambientale negativa e che questa rimane la posizione del Comune di Venezia. Siamo convinti che si possono spostare tante merci e tante persone tra Venezia e Trieste usando le linee esistenti. Senza bisogno di altre infrastrutture ma potenziando l'esistente. La tanto discussa quanto inutile stazione di Tessera è cancellata dalla mappa. E con la stazione, il maxi emendamento cancella anche il tracciato di gronda, ribadendo la necessità che l'aeroporto sia raggiungibile velocemente da Mestre grazie al sistema ferroviario metropolitano regionale. Sulla cosiddetta Terza Pista, il Pat afferma che il Marco Polo non ha un carico di viaggiatori tale da giustificare un investimento che comporterebbe per di più un surplus di inquinamento su un'area delicata che ha già raggiunto la soglia limite". Cosa dice il Pat a proposito di Tessera City?
"Il maxi emendamento è il funerale di Tessera City. Un pregio di questo Pat è la stretta definizione funzionale dello sviluppo del territorio e di aver superato la genericità di definizione del Quadrante che lasciava aperta la strada al rischio concreto di una colata di cemento. Oggi dall'emendamento esce una cosa ben diversa: una città dello sport legata a funzionalità sportive e al tempo libero con secondarie funzioni commerciali e ricettive ma solo se legate alle prime. Con questo emendamento, insomma, la giunta compie una scelta ben precisa affermando che quell'area non sarà edificata per 105 ettari per costruire una improbabile e speculativa Tessera City ma per una città dello sport la cui superficie occupabile è di 52,5 ettari. Non di più". Un altro punto focale, spiegano i due consiglieri, è il passaggio sulla proprietà delle aree. Affermare che la città dello sport deve essere fatta su aree prevalentemente comunali, significa riconsegnare il governo del territorio al Comune e sottrarlo ai ricatti e alle speculazioni. "Rimangono ancora delle perplessità - non si nasconde Caccia -. Se è vero che abbiamo messo una argine ad ipotesi di carattere speculativo, è anche vero che le quantità edificabili ci paiono ancora eccessive e, come dicevo all'inizio, la localizzazione delle aree è ancora tutta da decidere. La bretella, a nostro parere, dovrebbe essere il limite estremo dell'urbanizzazione. E su questo punto si prepariamo ad affrontare una dura battaglia. Ma l'importante è che Tessera City, il gemello mostruoso di veneto City, sia scomparsa dai nostri incubi così come il tracciato in gronda della Tav".
"Il Pat, come risulta dopo la ripulitura operata dal maxi emendamento - ha spiegato Camilla Seibezzi - presenta dei punti di forza che sono il frutto di un attento ascolto della città e delle associazioni. Non mi riferisco solo al problema delle Grandi Navi sulle quali il Comune, per quanto limitato nelle sue competenze, ha predisposto uno studio per valutarne l'impatto ambientale. Il Pat apre un discorso sullo sviluppo sostenibile e riporta il discorso sui flussi turistici definendo standard di servizi distinti tra i residenti e i turisti. Ritengo anche molto importante il capitolo che apre i bandi pubblici al terzo settore, mi riferisco alle cooperative edilizie no profit. Un modo per garantire trasparenza e aprire ad una residenzialità estesa. In poche parole, questo Pat sul quale avevamo nutrito tante preoccupazioni, alla fine, grazie al lavoro nostro, dei colleghi di maggioranza e, soprattutto, delle associazioni cittadine, si è trasformato in uno strumento capace di dare un governo alla città orientato anche verso la sostenibilità e la green economy. Un primo passo di una lunga strada che ora dobbiamo percorrere sino in fondo".

Giù le mani dalla città

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Ambientalisti, attivisti dei movimenti, sindacalisti. Tutti insieme per un Pat che sia uno strumento capace di difendere e di costruire la città che vogliamo. Un Pat che sia uno scudo e non una porta aperta per le devastanti speculazioni legate alla Tav, all’ampliamento dell’aeroporto e a Tessera City. Srotolando due enormi striscioni con al scritta “Marchi, giù e mani dalla città”, questa mattina, venerdì 13 gennaio, una trentina di giovani ha simbolicamente occupato per un paio di ore circa la sala partenze dell’aeroporto Marci Polo. L’iniziativa che si è svolta pacificamente e senza causare intoppi ai passeggeri in procinto di imbarcarsi, è stata organizzata non soltanto da varie associazioni dell’ambientalismo lagunare come Legambiente, Vas e assemblea contro il Rischio chimico, o da centri sociali come il Rivolta o il laboratorio Morion, ma anche dalla Filt Cgil.


Tra gli manifestanti, anche il segretario provinciale Umberto Tronchin.Significativo che un sindacato che si occupata di tutelare i lavoratori dei trasporti, si trovi a condividere in toto, sul tema del piano di Assetto territoriale che sta per andare in discussione in consiglio comunale, le posizioni degli ambientalisti e dei movimenti sociali. Un segno forte di come una certa politica di “sviluppo” indiscriminato a spese del territorio, dei beni comuni e della stessa democrazia sia oramai arrivata ad un punto di rottura e si sia rivelata socialmente e ambientalmente insostenibile. Tra i partecipanti all’iniziativa al Marco Polo anche il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia. “Vorremmo che qualcuno ci spiegasse che senso ha portare una stazione della Tav a Tessera - ha dichiarato l’ambientalista -. Per degradare a stazioni periferiche Mestre e Venezia? E per quale motivo un passeggero che sbarca al Marco Polo, presumibilmente per visitare Venezia e la sua laguna considerando che è questo lo scopo della gran parte dei viaggiatori che transita per questa sala, dovrebbe poi prendere il treno e non il bus o il motoscafo? Per andare dove? La verità è che il signor Enrico Marchi, presidente della Save, sa bene che nei prossimi vent’anni non si farà proprio niente di tutto ciò che lui propone. Non si farà la famosa terza pista dell’aeroporto, non si farà la Tav, né altre grandi opere tanto inutili quanto assurde. Tutta questo fantasticare serve solo a giustificare una lunga serie di infrastrutture speculative, di centri commerciali, di grandi alberghi legati a Tessera City che sono il vero pericolo per il nostro territorio”. Un disegno che Caccia non esita a definire megalomane. Un disegno che non ha nulla a che cedere con i problemi di mobilità dello scalo veneziano e che non si rapporta con la crisi che stiamo attraversando. Crisi peraltro legata proprio a questo idea di “sviluppo” economico. Un disegno che risucchierebbe centinaia di milioni di euro di risorse pubbliche a solo vantaggio di interessi finanziari privati per lasciare al pubblico solo una colata di cemento sopra quel che rimane delle ultime aree verdi della gronda lagunare. Una cementificazione che, tra le altre cose, aumenterebbe il rischio di allagamenti nell’entroterra veneziano. “Non dimentichiamoci però - conclude il consigliere della lista In Comune che ha annunciato una serie di emendamenti al Pat di prossima discussione - che non di sola difesa del territorio stiamo parlando. Qui è in gioco la nostra democrazia. Marchi incarna i poteri forti degli industriali e della Regione Veneto. Poteri con i quali ha bypassato il Consiglio Comunale di Venezia. Le infrastrutture che ha pomposamente presentato nel suo studio di fattibilità per il nodo intermodale di Tessera non sono mai state discusse in nessuna sede istituzionale. Nessuno le ha mai votate e nessuno ha mai potuto discuterle. Nessuno tantomeno le ha mai approvate. Questa non è democrazia. La gestione del territorio deve essere riportata nelle mani di chi lo abita e dei suoi diretti rappresentanti. Soprattutto va strappato dagli artigli di commissari speciali o di presidenti di carrozzoni che nessuno ha mai eletto e che fanno solo gli interessi degli speculatori”.

Manganellate e 59 denunce

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Dopo le botte, le denunce. Il dirigente della Digos di Venezia Diego Parente, ha consegnato venerdì scorso alla procura una corposa documentazione sui tafferugli scoppiati in piazzale della Stazione a Venezia, sabato 17 settembre, quando uno massiccio spiegamento antisommossa di celerini e carabinieri ha sbarrato il passo al corteo promosso da associazioni, movimenti, forze politiche e sindacali che intendevano manifestare pacificamente per una Venezia Bene Comune e palcoscenico per i rituali pseudo celtici dei lumbard.Nelle indagini conseguenti ai fatti, la Questura la seguito la stessa linea dura ed intransigente tenuta in occasione della manifestazione: ben 59 le persone denunciate per, ha raccontato Parente, “violenze a pubblico ufficiale, lesioni personali, travisamento e altri reati minori”.

Aggiungendo: “Ci sono dati oggettivi di un’aggressione preordinata”. Quindici giorni di studio dei filmati – molti dei quali sono visibili su You Tube, casomai qualcuno dei lettori volesse farsi una idea personale su “chi ha picchiato chi” e di come anche i consiglieri regionali che avanzavano con le mani in alto siano stati brutalmente manganellati – non sono comunque stati sufficienti alla Digos per riuscire ad individuare gli agenti responsabili della brutale aggressione a Beppe Caccia. Durante la seconda carica, anche in questo caso i filmati sono reperibili su You Tube, il consigliere comunale della lista In Comune è stato deliberatamente e ripetutamente colpito al capo dai manganelli sino a provocare un trauma cranico commotivo e il ricovero d’urgenza.

Un pestaggio sul quale anche il consiglio comunale di Venezia è prontamente intervenuto, votando a maggioranza un documento di esplicita condanna delle scelte compiute dal ministro Maroni e del Prefetto di vietare un pacifico corteo programmato da oltre un mese. Un atteggiamento, si legge, “non coerente con i principi costituzionali e con il diritto a manifestare le proprie idee”.
“Sabato 17 settembre – ha commentato Beppe Caccia - la città è stata di fatto commissariata e le sue istituzioni democratiche scavalcate. Senza insistere sulla ricostruzione di quanto accaduto davanti al ponte degli Scalzi e che è verificabile da chiunque possa collegarsi ad internet, il punto è come si è arrivati a vietare una manifestazione, quella a difesa di Venezia Bene Comune contro l'annuale parata leghista, che non a caso era stata convocata per il giorno prima e non per il giorno stesso, proprio per evitare contrapposizioni fisiche con il raduno padano di domenica e il cui percorso era stato notificato in Questura addirittura il 3 agosto scorso”.
Ancora più esplicito il documento con il quale le associazioni promotrici della manifestazione hanno commentato il giro di vite della questura. “Si tratta, evidentemente, del tentativo di rispondere alle critiche, giunte da ogni parte, per la gestione dell’ordine pubblico” si legge. “Le accuse di violenza a carico di alcuni tra i manifestanti cercano di nascondere una verità che è sotto gli occhi di tutti: il 17 settembre fino all’ultimo, con un incontro in prefettura alle 11 del mattino, i promotori hanno proposto soluzioni e percorsi anche diversi pur di garantire il pacifico svolgimento del corteo comunicato alla questura ai primi di agosto, ma si sono scontrati con una decisione, evidentemente già presa a livello politico e gravissima, che aveva l’obiettivo di impedire il diritto di manifestare, svilire la democrazia, ferire e umiliare la città di Venezia. La Questura impedendo il diritto di manifestare si è prestata ad un attacco senza precedenti all’esercizio dei diritti costituzionali nel nostro territorio per ragioni esclusivamente politiche e direttive che provengono dal ministro dell’Interno Maroni, preoccupato solo di tamponare la crisi di consenso e di immagine del suo governo e del suo partito”.
Conclude Dolores Viero della rete Tuttiidirittiumanipertutti: “Semplicemente non si volevano cortei di protesta in città il giorno prima dell’adunata leghista. Ma le denunce, come i manganelli, non riusciranno a farci stare zitti e rivendichiamo oggi come ieri il nostro diritto a manifestare. Ci assumeremo collettivamente l’onere della difesa di tutte le persone denunciate, certi che saranno tutte prosciolte dalle accuse e ci impegniamo a denunciare con ancora maggior forza le gravi responsabilità politiche per quanto accaduto lo scorso 17 settembre”.
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