Sotto la bandiera dei Sem Terra

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Viaggiare vuol dire incontrare gente come padre Gianca della Comuna di Jadira
Sono arrivato nella Comuna di Jandira il giorno meno adatto a fare interviste. Nel pomeriggio allo stadio di São Paulo, si sarebbe giocato l’infuocato derby tra il Corinthias e il Flamenco, ed il quartiere era un tripudio di bandiere bianco e nere che si mescolavano a quelle rosse dei Sem Terra. “La Comuna di Jandira schiera una della torcidas (tifoserie) più chiassose dell’Arena e forse di tutto il Brasile. Si stanno tutti preparando per scendere in città a vedere la partita”. Mi aveva spiegato il mio accompagnatore, un sindacalista del Trabalhar Sem Patrão, sorta di “sindacato disoccupati” in salsa paulista.

Jandira è una città con più di centomila abitanti che, pure se ha una sua autonomia amministrativa, fa parte di quella immensa area urbanizzata che è la mesoregione metropolitana di São Paulo. Jandira è una della zone residenziali della città paulista. Niente grattacieli o attrazioni turistiche. Nemmeno industrie o uffici governativi. Per andare a lavorare, la gente prende la metropolitana e raggiunge São Paulo. Jandira sorge dalla parte “sbagliata” della mesoregione paulista: quella che dà verso le colline e non verso la spiaggia. Ed è proprio in cima ad una di queste colline che troviamo la Comuna. Una città nella città. Per entrare bussiamo ad un grosso portone di ferro. Dietro troviamo un paio di uomini armati che prima ancora di chiedermi chi sono e cosa ci faccio là si lamentano con il mio accompagnatore che non potranno andare a vedere l’amatissimo Corinthias perché è il loro turno di guardia. Non fanno comunque difficoltà a farmi entrare e mi affidano ad Erika che, sottolineano ridacchiando, è l’unica di tutta la Comuna che tifa per il San Paolo e del derby col Flamenco non gliene importa niente.

Erika è una signora bionda che fa parte del comitato di gestione. Mi offre un caffè e mi racconta volentieri la storia della Comuna di Jandira e che comincia nel 2005, quando il Governo di São Paulo sfratta 250 famiglie contadine dalle loro terre per un progetto ferroviario riconoscendo loro la miseria di 1200 reais di indennizzo (manco 400 euro a famiglia). “Ci siamo trovati tutti improvvisamente senza casa e senza campi - racconta Erika - Eravamo in miseria e abbandonato da tutti. Così, ci siamo rivolti ad un prete, don Gianchi, che ci ha consigliato di mettere i soldi dell’indennizzo in comune e cercare tutti assieme una terra da occupare chiedendo il sostegno dei Sem Terra. Sotto le bandiere del Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra siamo venuti qui, scegliendo un terreno che apparteneva ad un noto criminale, abbiamo piantato le tende e scritto una lettera al Governo dicendo che se volevano sgomberarci, avrebbero dovuto usare la forza”.
Questa di Jandira è stata una svolta importante per i Sem Terra che sino ad ora aveva no organizzato occupazioni solo di aree rurali e mai urbane. “Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cominciato a costruire in mutirão”. Termine che indica un lavoro svolto in comune e volto al bene di tutta la comunità. “Tutti aiutavano a costruire la casa di tutti, secondo un disegno condiviso da tutti. Le nostre case sono uguali nelle dimensioni, 75 metri quadri in due piani, più un terrazzino, ma ognuna è diverse nella pianta, a seconda delle sue esigenze familiari. Lavoravamo soprattutto la domenica e il sabato. Tutti insieme. All’inizio non sapevamo neppure come si facesse la malta. Ora siamo tutte e tutti muratori provetti!”
Il problema più grosso sono stati i collegamenti alle rete fognaria, gli impianti idrici ed elettrici che sono costati anni di durissime lotte con l’amministrazione comunale. “Sono spariti anche un bel po’ di soldi che eravamo riusciti a farci stanziare dal presidente Lula. L’amministrazione comunale dice che ha dato i soldi alla ditta per i lavori, la ditta giura che non ha ricevuto niente… e intanto gli impianti ce li siamo dovuti fare da soli. L’altro giorno è venuto un tecnico comunale che voleva verificare se era tutto a norma. L’abbiamo fatto correre via!”

C’è anche una chiesa nella Comuna. Uno scantinato con panche recuperate da una stazione. L’altare è un tavolo di plastica. Ma dietro c’è un coloratissimo murales che ritrae bambini che giocano nei campi di grano. Padre Gianchi stava officiando messa davanti a tre signore anziane. Attendo la fine della funzione per incontrarlo e scopro che in realtà si chiama Giancarlo ed è nato a Padova. Fa il prete, ha militato nella teologia della Liberazione e organizza occupazioni per i Sem Terra. “L’altra settimana stavo su un altro campo occupato - mi spiega in un misto tra italiano, brasiliano e veneto - Poi sono arrivati 500 poliziotti con manganelli, lacrimogeni e pure un elicottero. Ci hanno mandato via a botte, senza curarsi di dove avrebbero dormito i bambini quella sera. Ma qui a Jandira ci è andata meglio e siamo ancora qua”.
Al momento dei saluti mi abbraccia: “Grazie per essere venuto. Racconta a tutti quello che hai visto e ricordati che, se avrai problemi in Italia, torna a Jandira che tiriamo su una baracca anche per te”.

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