La mia esperienza col Reiki

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E proviamo anche noi!

Per cercare di capire di più di questa disciplina, non appena mi si è presentata l’occasione mi sono iscritto ad uno dei corsi reiki di primo livello che periodicamente si svolgono vicino alla mia città, Venezia, organizzato da una delle associazioni più attive nel territorio: la Riziki. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, Riziki non è un termine giapponese, ma africano. «Una parola in Kiswahili, ‘la lingua della costa’ - si legge nel loro sito - che mette in comunicazione vari gruppi etnici dell’Africa dell’est: una sorta di Esperanto africano». Scopo dell’associazione, sempre dal loro sito internet, è di promuovere «un equilibrio, dal punto di vista personale, sociale ed ambientale». Per questa ragione, Riziki, oltre che ad organizzare corsi in Italia, opera per la diffusione del reiki soprattutto nei Paesi del Sud del mondo, proposto come metodo di guarigione alternativo ad un sistema sanitario che, il più delle volte, semplicemente non c’è.
L’incontro si svolge a Marghera, in una grande sala di un appartamento, col pavimento ricoperto da comodi tappeti. Si parte il sabato pomeriggio con l’incontro introduttivo. Domenica, si va avanti tutta la giornata sino all’«attivazione dei canali» che farà di me un reikista. Per telefono ero stato informato che non serviva portare niente di particolare se non qualche abito comodo, come una normale tuta da ginnastica, e un paio di calze pulite per accomodarsi scalzi sui tappeti.
Conoscevo di vista l’istruttrice che avrebbe tenuto il corso. L’avevo incrociata in un gruppo di lavoro sull’emarginazione sociale che frequentavo. Non conoscevo, invece, nessuno degli allievi, 15 in tutto. Due uomini, me compreso, per il resto donne. Età media sui trenta, trentacinque anni. L’impressione che ho avuto delle mie compagne di corso, suffragata dalle chiacchierate che abbiamo scambiato durante gli intervalli delle lezioni, è che possedessero tutte una buona scolarizzazione. Alcune di loro erano laureate in materie umanistiche e insegnanti di scuola superiore.
La stessa istruttrice non era davvero il tipo della maga da tarocchi che puoi vedere su qualche televisione locale. è una ragazza sempre gentile e sorridente, attivamente impegnata nel sociale e che lavora, oltre che come insegnante reiki, in progetti di cooperazione internazionale. La mia personalissima opinione è che al reiki creda davvero e che veda la sua diffusione come un proprio dovere nei confronti dell’umanità. Racconta di essere «stata folgorata sulla via del reiki» dopo aver partecipato ad un corso che alcuni amici le avevano regalato. Era entrata scettica «proprio come te ora», mi spiega, ma ne era uscita completamente cambiata. «Mi ci è voluto un po’ per farmene una ragione. Ero io la prima ad essere incredula ma sentivo che avevo un potere enorme nelle mani».

Lezioni di psicologia

Tre del pomeriggio. È febbraio e in laguna è scesa pure la neve. Si comincia. L’istruttrice ci fa sedere in cerchio su cuscini e tappeti, e si pone nel mezzo. L’ambiente è davvero confortevole. Fa molto caldo e dalle finestre si vedono i fiocchi di neve scendere lenti. La nostra guida comincia col chiederci come mai ci siamo iscritti al suo corso. Io me la cavo dicendo «vorrei capirne di più», che non è neppure una bugia. Il resto delle partecipanti invece dichiara di aver già conosciuto, e apprezzato, il reiki.
Alcune di loro, vengo a scoprire, sono state pazienti della nostra istruttrice e avrebbero tratto beneficio dalle sue cure. Altre hanno avuto sorelle o amiche che hanno già seguito questo corso. L’unico a definirsi apertamente «scettico» è l’altro uomo. Di professione, mi spiegherà più avanti, fa l’informatico ed è sposato da poco con una delle altre, entusiaste, allieve. (Più avanti, quando avrò l’occasione di trovarmi da solo con lui, gli domanderò sottovoce «Ma tu come sei finito qua?». «Cosa vuoi... mia moglie mi ha detto: ‘l’altra domenica ti ho portato a Milano a vedere la partita? E stavolta tu...’»)
La mia ammissione di incredulità viene accolta con un largo sorriso dalla nostra istruttrice che, senza mezzi termini, loda qualsiasi atteggiamento scettico. Specifica che gli allievi che preferisce sono proprio questi e che, alla fine del corso, saranno i fatti, più che i suoi discorsi, a farci capire cosa è il reiki. Esattamente come è successo a lei e a tantissimi altri. Detto questo, la nostra guida cambia decisamente atteggiamento e, con toni molto preoccupati, ci mette in guardia sui rischi che la liberazione delle energie negative conseguenti all’apertura dei nostri canali potrebbe farci maturare. In particolare, ci invita a fare attenzione ai «cattivi pensieri» contro i quali dobbiamo farci forza e reagire positivamente. Ognuno, spiega, ha delle barriere mentali alzate dall’energia negativa che potrebbero impedirgli addirittura di riconoscere il reiki anche quando ce lo sentiremo scorrere tra le mani.
Il seguito è in crescendo e sembra avere l’obiettivo di generare inquietudine in chi ascolta: un corso reiki di primo livello, spiega l’istruttrice, serve a liberarci dalle negatività che ostruiscono le nostre vie, impedendo all’energia intelligente - il reiki, per l’appunto - di guarirci nel fisico e nel corpo. Saremo preda di sensazioni strane e ci capiterà quindi di agire in maniera strana: voglia di dormire, pianto, risa sfrenate, occhi arrossati, sensazioni di caldo o di freddo, sudorazione eccessiva, frequente stimolo urinario e potrà anche succederci «di trovare sangue nelle pipì». Potrà capitarci tutto questo come... niente di tutto questo! «Non si può mai dire cosa capita quando il nostro corpo libera le sue energie negative» avverte. «Ma tutto questo non deve preoccuparci» aggiunge usando stavolta un tono incoraggiante. «Son cose perfettamente normali. Io ne ho viste tante oramai».
Mi ero ripromesso di fare da spettatore muto. Prendere nota di tutto ma non intervenire. Ero riuscito a stare zitto davanti alle «energie negative», Galileo mi perdoni. Ma non sul sangue nelle urine.

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Le chiedo di spiegare meglio questa storia. Sarà anche normale come dice lei, ma io consiglierei una visita medica se succedesse a qualcuno. No, ribatte l’istruttrice. Fa parte del processo di pulizia del corpo ed è una semplice reazione dei nostri canali energetici al primo scorrere del reiki. Capita spesso e se succede, insiste, non diamoci peso.
Per fortuna, in tutto il corso nessuno urinerà sangue, anche se al momento di andare a far pipì tutti controlleranno con preoccupazione. La stessa insegnante, quando qualcuno torna dal bagno, non dimentica mai di chiedere se è andato tutto bene. Inoltre, non si verificherà nessuna delle situazioni sulle quali ci aveva messo in guardia la nostra istruttrice. Nessuno riderà come un matto e nessuno piangerà come un vitello. Nessuno si addormenterà e nessuno si metterà a ballare la rumba.
Succede invece che ben presto sentiamo tutti caldo. L’istruttrice spiega che è un effetto del reiki ma accoglie il mio suggerimento di abbassare il riscaldamento. Guardo sul termostato. Trenta gradi sono troppi anche per una giornata di neve.
Ma tutto questo porre attenzione alle nostre sensazioni un effetto lo ottiene. Qualsiasi cosa, anche un banale stimolo urinario o il desiderio di un bicchiere d’acqua, viene interpretato come un effetto della pulizia energetica.
«Questa mattina sono andata al bagno due volte» ci informa tutta contenta una ragazza che già sente le energie negative scivolare via dal suo corpo. Quando una signora un po’ più anziana, accucciata in prossimità della porta aperta, parla di una «corrente fredda» che la attraversa, debbo trattenere le risate. Ma per la nostra guida è il reiki che si fa sentire.

Il reiki fa 42

Conclusi gli avvertimenti, la nostra istruttrice comincia a spiegarci cosa sia l’energia cosmica e come questa serva a riequilibrare l’organismo e a guarire tutte le malattie fisiche e psichiche, allineando i chakra e donandoci un benessere completo.
Ogni cinque minuti però si interrompe e ci invita a concentrarci in profondità sul nostro corpo per chiedere poi, ad ognuno di noi, quali sensazioni ci provochi la vicinanza del reiki che si sprigiona dalle sue mani. Quando tocca a me, rispondo che non sento nulla di particolare. Lei insiste gentilmente. Non è detto che sia un qualcosa di fisico, mi incoraggia, «può essere anche solo un pensiero positivo o una preoccupazione, una intuizione illuminante o un dubbio che ti assilla, una risposta ad una qualsiasi domanda sull’universo...» Non riesco a trattenermi. «Ah, questa la so! 42» rispondo prontamente. La nostra istruttrice, che non ha letto Douglas Adams, mi guarda perplessa sgranando gli occhi, mormora che il reiki sa meglio di tutti noi quale strada percorrere per pulire i nostri spiriti e che sia 42 o 41 poco importa. Quindi non perde altro tempo su risposte che non capisce e passa ad interrogare un altro allievo, meno sarcastico di me.
Lo confesso, mi sento un po’ l’asino della classe. Le mie colleghe sono assai più loquaci. Una denuncia un leggero mal di testa. Un’altra si sente «stranamente allegra». Un’altra ancora capta «una sorta di aura energetica che aleggia attorno». La nostra maestra sorride e ha una buona parola per tutti. Parla dell’effetto Kirlian che, secondo lei, avrebbe scientificamente dimostrato l’esistenza del reiki, intervalla spiegazioni con fatterelli divertenti, tutti capitati ad amici di amici, che testimoniano l’efficacia di questa disciplina e la felicità che dona a chi la pratica.

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L’energia benefica che ti ammazza

Il reiki, continua la nostra insegnante, non fallisce mai neppure quando non risolve il problema per cui è stato praticato, perché è un'energia intelligente e sa meglio di te cosa fare per il tuo riequilibrio. Attenzione però a non adoperarla in maniera sciocca.
«Mia sorella - racconta - era andata dal dentista che le ha praticato l’anestesia locale. Per guarire prima, si è praticata il reiki ma in questo modo l’anestesia è sparita immediatamente e le è rimasto il dolore». Un altro esempio. Una sua amica si era lussata una spalla e il reiki che lei le praticava non faceva effetto. Come è possibile? Forse che il reiki non funziona?

Certo che no!

L’energia incanalata dalle sue mani è andata a compensare uno squilibrio più pericoloso. Alla sua amica si stava formando un’ulcera allo stomaco e il reiki ne ha arrestato lo sviluppo. Il terapeuta, avverte la nostra guida, non ha nessun merito in ciò che ottiene col suo lavoro. È solo un tramite dell’energia positiva che permea l’universo. Per questo, il reiki fa bene tanto a chi lo riceve quanto a chi lo dà. E questo è il motivo per il quale, ultimata la terapia, il paziente non deve ringraziare il terapista ma è il terapista stesso che deve ringraziare il reiki. Come? «Bisogna prendere un minuto per noi. Concentrarsi su quanto fatto, fare un atto di umiltà e ringraziare il reiki». Mi viene in mente lo studioso Introvigne che ha classificato il reiki tra le «quasi religioni».
Tra i vari racconti con i quali la nostra insegnante ci trasmette lo spirito del reiki ce n’è uno che ho trovato agghiacciante. Durante un viaggio in Africa per portare il reiki ai bimbi poveri degli slum, le è capitato di praticare la terapia ad un ragazzino incidentato ma ancora vivo. Mentre lo girava per praticargli la terapia da ambo i lati del corpo, il ragazzo è morto. «All’inizio ci sono rimasta male - spiega - ma poi ho capito che la morte era il solo mezzo che il reiki aveva per riequilibrarlo».

Negatività varia

Tra le mie compagne di corso non sembra emergere alcun dubbio circa le affermazioni dell’istruttrice, sono piuttosto preoccupate di decifrare i segnali del reiki che scorre dentro di loro.
Se provo ad obiettare che qualcosa non mi torna e che conservo qualche dubbio, mi viene risposto dall’istruttrice che non devo preoccuparmi: è la mia energia negativa a fare resistenza ed a parlare per me. La nostra guida non risponde mai alle critiche direttamente. Continua a sorridere e accetta qualsiasi commento con il tono di chi sa che le cose vanno così perché i canali stanno espellendo le nostre negatività. Alterna brevi letture zen ai racconti sul reiki, ci invita alla concentrazione tenendo le mani raccolte sul petto e mettendo da parte i cattivi pensieri.
Insistentemente, ogni cinque minuti, continua a chiederci come ci sentiamo. In particolare è interessata alle sensazioni che provengono dalle mani. Ci chiede di tenere le mani giunte, come per pregare, per cinque minuti e poi ci interroga se le sentiamo più calde o più fredde. Tutte rispondono che avvertono una «strana» sensazione di calore. Obietto che è normale sentire le mani calde se ce le stringiamo per cinque minuti. Mi viene risposto che è il reiki ad essere normale. Solo che prima non sapevamo che questo calore era dovuto allo scorrere del reiki.
Stiamo per giungere alla fine della prima serata e tre allieve affermano convinte e con toni di meraviglia di sentire già il reiki fluire dalle loro mani. Cosa impossibile anche dal punto di vista della logica del reiki, considerato che, senza l’attivazione che verrà effettuata solo domenica, noi non possiamo incanalare un bel niente. Lo faccio presente all’istruttrice che, sempre con una cortesia disarmante, mi spiega che «sono comunque effetti del reiki» e mi elargisce in sovrappiù un profondo consiglio: «cerca più le risposte che le domande. Nel reiki come nella vita».

Col canale attivato, il reiki è assicurato

E siamo a domenica. È il momento della sospirata cerimonia di attivazione dei canali. Su cosa siano esattamente questi canali, l’istruttrice non riesce a darmi una definizione esatta.
L’energia dell’universo, spiega, per scorrere attraverso il reikista e arrivare al paziente, deve incanalarsi lungo delle «strade del nostro corpo» corpo che necessitano però di essere «ripulite» per lasciarla scorrere. Lei fa l’esempio dell’acqua che scorre nelle tubature verso i rubinetti. Ma perché l'acqua esca, i tubi devono prima essere puliti. Una volta attivati questi canali, al reikista altro non rimane che aprire questo rubinetto, con la tecnica di tenersi per almeno due minuti le mani sul petto, e poi poggiarle sul paziente nei punti del corpo più ricettivi che sono i chakra. Cinque minuti per punto, badando bene di tenere le mani unite come per la preghiera mentre si passa da un punto all’altro per non «staccare» il reiki. Altrimenti tocca rimettere le mani sul petto per altri due minuti d’orologio.
Per questo, le terapie reiki si svolgono con il sottofondo di musiche zen con inserito un campanellino che segna i cinque minuti.
Sul perché questi nostri canali siano intasati invece, l’istruttrice mi spiega di non saperlo per certo.
«Gli uomini primitivi avevano i canali liberi - mi spiega - ma la grigia civiltà moderna, gravida di stress e di inquinamenti, li ha otturati. Comunque questo non ha nessuna importanza. Concentrati sulle risposte e non sulle domande. Dopo la cerimonia detta dell’Attivazione i tuoi canali saranno liberati per sempre e pronti a far scorrere l’energia».
Mi viene da domandare come avrebbe fatto il primo maestro ad attivarseli da solo questi canali ma lascio perdere. Chiedo solo: «Funziona anche se uno non ci crede?» «Assolutamente sì! Ma vedrai che quando sentirai scorrere il reiki in te non potrai più negarlo».

Libro o mano?

Uno alla volta, l’istruttrice ci fa accomodare in una stanza separata. Io sono uno degli ultimi ad essere chiamato e ne approfitto per proporre qualche semplice test ai miei colleghi allievi già attivati. Chiedo loro se sono davvero sicuri di sentire scorrere questa energia dalle mani. Mi rispondono con tanto di occhiate sorprese: «Certo che sì». «Ma la sentite solo se passa da voi ad un essere vivente, giusto?» «Ovviamente» mi assicurano. Mica si può fare il reiki ad una sedia! «E allora non avrete problemi - chiedo - ad allungare le mani sul tavolo e a dirmi, con gli occhi chiusi e senza sbirciare, se sotto io ci metto questo libro o la mia mano. Giusto?»

Si sottopongono al test con entusiasmo e in effetti tengono gli occhi chiusi e non provano a guardare. Alla prima prova danno la risposta giusta (mano). Alla seconda e alla terza no (tengo sempre la mano ma faccio il rumore di fruscio di fogli, e loro dicono «libro»). La quarta volta dicono «mano» ed invece non ho messo niente, né la mano né il libro. Quando riaprono gli occhi non c’è neppure il tempo di dir loro come è andata, è venuto il mio turno di farmi attivare i canali.

L’ultimo colpo

L’istruttrice mi fa accomodare nello stanzino. Mi avverte con tono grave che il dono che mi sta per fare mi cambierà per sempre e non mi sarà più possibile tornare indietro. Le dico che voglio andare avanti, ma le confesso che ero già stato attivato cinque anni fa, ma che avevo scelto comunque di seguire il corso di primo livello per ripassare le varie posizioni terapeutiche. È una cosa che succede spesso (lo aveva detto lei all’inizio delle lezioni. Li chiamano «corsi di richiamo»), ma nel mio caso non è vero. L’istruttrice allora mi sorride ancora e mi racconta con aria complice che... lo aveva già intuito! «Un maestro di reiki queste cose le sente. È impossibile per noi non individuare alla prima imposizione chi è già stato attivato e ha i canali puliti. È la base su cui si fonda il reiki». Si offre comunque di sottopormi ugualmente alla cerimonia perché la cosa non presenta controindicazioni.
Mi fa sedere su una sedia con i piedi nudi appoggiati sul pavimento e mi ordina di tenere gli occhi chiusi. Quindi mi gira intorno per dieci minuti mormorando qualcosa che non riesco a comprendere, ponendomi le mani sulla testa e sulle spalle. Infine soffia forte sul mio viso e sul mio collo. Eccomi attivato pure io! «Ma lo sai che sei un assorbitore di energia come pochi al mondo?» mi dice alla fine. E non credo che fosse un complimento.

Fidarsi mai, sperimentare sempre

Conclusa la teoria, attivati gli allievi, cominciano le prove pratiche. Su indicazione dell’istruttrice ci mettiamo a coppie per scambiarci il reiki a vicenda. A me capita la più alta del gruppo. Debbo tenerle le mani cinque centimetri sopra la testa e restare fermo immobile per dieci minuti intanto che scorre il flusso energetico. Non trascorre metà tempo che sono tutto indolenzito. L’istruttrice mi domanda se sento scorrere il reiki. Le rispondo che provo uno strano formicolio alle giunture. «Bene! È il reiki! Hai visto che è arrivato anche per te?» mi dice tutta contenta. Concludiamo, ora che siamo tutti attivati, con una vera seduta terapeutica reciproca.
A turno, uno di noi fa il paziente e si sdraia, mentre l’altro fa il terapeuta: poggia le mani sopra il petto per almeno due minuti in modo da accendere l’energia, e poi le passa su tutto il corpo del paziente, soffermandosi cinque minuti o più sui punti chakra. Quando arriva il mio turno da operatore decido che è il momento giusto per un’altra verifica. Con la prima allieva-paziente provo la tecnica in maniera corretta, con la seconda «dimentico» di accendere le mani. Eppure entrambe le ragazze che ricevono il mio reiki affermano di sentire l’energia scorrere vigorosa. Al terzo tentativo, mi spingo più in là. Invito la mia paziente a chiudere gli occhi per concentrarsi meglio e le domando che sensazioni prova. Che tenga le mani a dieci centimetri dal suo corpo o che me le metta in tasca, lei sente sempre l’energia che scorre potente. Poi tocca a me fare da paziente. Inutile dirvi che non provo nessun effetto particolare. Eppure sono capitato proprio sotto le esperte mani dell’istruttrice, che alla fine della seduta mi informa preoccupata che il mio corpo presenta alcuni pericolosi scompensi energetici. Che io sappia sono sano come un pesce, ma mi invento lì per lì dei non meglio definiti problemi di fegato. «Ah... ecco perché il mio reiki tendeva a scorrere proprio in quella direzione!» mi dice.
Parentesi postuma. Da quando sono stato attivato, ho avuto un paio di influenze, vari mal di gola, qualche problema alle articolazioni, ma nessuna patologia epatica.

Cani e gatti

Al momento dei saluti, la nostra istruttrice ci legge l’ultima storia zen, e poi ci raccomanda di non abbandonare mai il reiki, ma di continuare a praticarlo generosamente su quanti ne hanno bisogno e anche su noi stessi perché dal reiki viene pace, benessere, salute e anche felicità.
A ciascuno di noi l’istruttrice regala un ultimo consiglio. «Anche se a prima vista non si direbbe, tu sei una persona profondamente timida» dice a me. «Se hai paura ad avvicinare le persone per fargli il reiki, perché non fai pratica con i cani e con i gatti? Gli animali sentono subito se qualcuno possiede il dono pur se reagiscono in maniera diversa. I cani sono più obbedienti e disponibili e se lo lasciano fare sempre dai loro padroni. I gatti sono più indipendenti. Si lasciano fare il reiki solo se ne hanno bisogno. Allora ti fanno pure le fusa». Ci mancava solo la lezione di psicologia canina e felina in chiave reiki per concludere in bellezza.
Che posso dire ancora? Qualche giorno dopo, mentre guardavo il gattone Attila Flagello di Casa che si sgranocchiava i suoi croccantini al pollo mi è venuta l’insana idea di praticargli il reiki. E rispettando tutte le regole, pure! Mani incrociate sul petto per due minuti cronometrati, concentrazione sulla sensazione di calore e vai con l’energia!
Beh... sul braccio ho ancora i segni del graffione di otto centimetri che mi ha tirato quella peste fatta gatto. Che dite? Ho fatto bene a disinfettarmi la ferita o bastava che mi auto praticassi il reiki?

Pubblicato su Query n. 26