93. A Beethoven e Sinatra preferisco l'insalata

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, con due brani in cui Battiato entra esce in personaggi inutili]. 

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1981: Bandiera bianca (Battiato/Pio, #6)

Alla fine è notevole questa cosa, no? Che per trent'anni i giornalisti hanno continuato a chiedergli: ma davvero preferisci l'insalata a Beethoven, e lui ogni volta, pazientemente: no, scherzavo. Come se non fosse stato chiaro fin da subito – non è come chiedere oggi ai Kraftwerk superstiti: ma è vero che siete robot? O a Fortis se odia davvero i romani? E magari qualcuno glielo chiede ancora, i giornalisti sono tipi, come dire, prevedibili. 

In parte è persino responsabilità di Battiato, che il dispositivo ironico non lo ha usato sempre in modo coerente – prendi proprio Bandiera bianca. Forse non abbiamo davvero capito cosa intendesse fare con questa canzone che probabilmente all'inizio era uno dei suoi tentativi più radicali di scrivere qualcosa di brutto – più brutto di Up Patriots to Arms, che malgrado l'inflessione disco non gli era riuscita così male, meno brutto di La musica è stanca, che sarà il coronamento finale di questo tipo di sforzo punk: ma comunque brutto. Vedi la testimonianza di Eugenio Finardi: "Ricordo di essere entrato nello studio di Alberto Radius mentre Franco, Titti Denna, Giusto Pio e Filippo Destrieri si esaltavano cercando il suono "più brutto" per la iconica frase di Bandiera bianca..." Alla fine il suono peggiore che questi turnisti riescono a trovare è il riff suonato da Destrieri sull'organo Hammond, che poi Battiato riprende nel cantato, tutto giocato su un'oscillazione di un solo semitono. Variare di appena un semitono, in molti casi, significa steccare, e Battiato l'idea della stecca la suggerisce in tutte le strofe: e se non riesce comunque a produrre qualcosa di veramente dissonante, è perché è più forte di lui. Il riff è anche una parodia, non so quanto consapevole, della Bagatella n. 25 (Für Elise) di Beethoven, insomma della stessa Per Elisa che Battiato aveva appena evocato nel riff con cui Alice aveva espugnato Sanremo. È la stessa oscillazione tra bequadro e bemolle, ma ora ripetuta ossessivamente da uno studente che si rifiuti di imparare il resto, perché appunto, preferisce l'insalata. 

All'"immondizia musicale", dovrebbe corrispondere a livello di testo un'immondizia etica, ma così com'è incapace di stonare apposta, allo stesso modo Battiato non ce la fa ad apparire uno yuppie milanese tutto insalatine, occhiali da sole e menefreghismo. Certo, là fuori ci sono ancora brigatisti che sparano e liquidarli come "stupide galline che si azzuffano per niente" è abbastanza forte: ma troppo spesso sotto gli occhiali intravediamo il cipiglio del moralista incline all'invettiva ("quante squallide figure attraversano il paese..."). Per cui davvero è lecito domandarsi a ogni verso se Battiato stia scherzando o no, se sia nel personaggio o no – almeno era lecito domandarselo diciamo fino a tutto il 1982; vent'anni dopo solo un santo avrebbe trovato ancora una risposta simpatica alla domanda "preferisci l'insalata". Battiato era quel tipo di santo. 


1991: Lode all'inviolato (#70).

Il fatto che Lode all'inviolato sia passata al secondo turno mi consente se non altro di correggere tutte le fregnacce che ho scritto l'altra volta: parlavo di progressione ascendente, dove avevo le orecchie? Lode all'inviolato è una canzone che scende, anzi rotola in perpetuo. Quasi il contrario di Delenda Carthago, anch'essa costruita su quattro accordi ripetuti incessantemente. Ma mentre gli accordi di Delenda ascendono, incalzano, quelli della Lode prima scendono (La-, Sol, Fa), poi forse si rialzano (Sol), ma proprio quest'unica risalita della progressione è occultata all'orecchio dell'ascoltatore dalla scala discendente di note che in quel momento ha la funzione di ricondurlo al primo accordo della ruota. In certe canzoni di FB si ha la sensazione di crescere sempre più in alto anche se si rimane sui propri passi; qui l'esatto contrario, si può scendere all'infinito. Il che forse avvalora l'ardita ipotesi di qualche lettore: e se l'"inviolato" stavolta fosse il diavolo? Dopotutto lo sapeva bene Paganini che egli suona il violino (e nella Lode FB fa ampio uso di archi). Onestamente non penso il Battiato di Caffè de la Paix capace di tanta doppiezza, anche se per quanto mi riguarda non l'avrei disdegnata. È ormai un artista consacrato alla sua idea della verità (un'idea completamente diuturna, luminosa) che non ha difficoltà a parlare di quello in cui crede, rifiutando ogni tipo di ipocrisia e ironia – anche quel minimo sindacale con cui noi poveri mortali ci schermiamo in società. 

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Fuori concorso (canzoni che non hanno partecipato alla gara per questo o quest'altro motivo).

Lo spirito degli abissi (2015)

Lo sapete che tutta la Gara è falsata, sì? Avevo completamente rimosso Lo spirito degli abissi, giuro, non sapevo che esistesse e invece non è neanche un brano così nascosto: sta all'inizio del secondo CD delle Nostre anime – il cofanetto testamentario del 2015 e quindi può essere considerata la penultima uscita inedita di Franco Battiato. È un brano che rivela la stessa lieve sconnessione dell'altro inedito del cofanetto (Le nostre anime) e di qualche brano di Apriti Sesamo, la tendenza a cominciare un discorso e passare ad altro con una noncuranza che non dovrebbe più di tanto sorprenderci – Battiato non è mai stato un campione di consequenzialità – ma intanto la voce si è fatta più faticosa e accresce la sensazione che cominci a essere difficile, per lui, tenere un filo. La prima cosa che salta alle orecchie è il riferimento alla Grande Guerra, nel quasi centenario, descritta in termini junghiani come un episodio di possessione dell'inconscio collettivo ("Lo spirito degli abissi si impadronì del nostro destino"). Anche questo non sorprende affatto chi ricorda passate interviste in cui Battiato aveva evocato simili categorie per descrivere i cambiamenti di Zeitgeist negli anni Settanta e Ottanta. Più singolare è il richiamo alla preghiera ("Mi è ritornata voglia di pregare"), in un senso esplicitamente cristiano: ("seguendo la tenacia dei padri del deserto"): non una meditazione rivolta a sé, come Battiato ha spesso praticato, ma un desiderio di intercessione rivolto agli altri: Battiato vuole pregare "per quelli che hanno perso da tempo la loro via, per chi non riesce a sopportare i dolori dell'esistenza". A intervalli regolari, torna la memoria paradisiaca di un giardino invaso dal sole. È difficile ascoltare senza commuoversi un brano concepito probabilmente per essere l'ultimo. 


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92. L'impero della musica è giunto fino a noi carico di menzogne

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con molto più turpiloquio del solito, anche se Battiato poi nei dischi si autocensurava]. 

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1980: Up Patriots to Arms (Battiato/Pio, #19)

"Sono stato sempre assai poco geloso delle mie creazioni. Anni fa andai ad ascoltare un gruppo punk di Bologna [i Disciplinatha?] in un teatro milanese in Via Larga. Mi si avvicina il leader e fa: “Suoneremo una cover di Up patriots to arms, ti dispiace se cambiamo qualche parola?” “Ma cosa vuoi che me ne freghi?”. Detto fatto. Salgono sul palco e attaccano: “Mandiamole in pensione quelle facce di merda, ci hanno rotto i coglioni”.

Mi sono divertito più in quell’occasione che a cantare migliaia di volte l’originale”.

In linea di massima si nasce incendiari e si muore pompieri, poi ci sono casi particolari, ad es. Battiato ancora a 35 anni cantava "mandiamoli in pensione i direttori artistici, gli addetti alla cultura", a 67 si lasciava nominare assessore alla cultura della regione Sicilia "senza percepire compenso", a 68 si dimetteva dopo aver dichiarato "Queste troie che si trovano in Parlamento farebbero qualsiasi cosa. È una cosa inaccettabile, sarebbe meglio che aprissero un casino" (il problema politico, a quanto pare, non era l'equiparazione tra parlamentari e meretrici, ma il sessismo del termine "troie").

A riascoltarla con attenzione, la versione di Patriots è ancora molto fragile, sembra un demo (eppure la preferirò sempre alle successive, compresa quella di Echoes of Sufi Dances che ogni battiatista ascolta con dolore per via dell'introduzione). Il batterista ogni tanto è in anticipo. Il basso è spigoloso, new wave, con qualche sghiribizzo. Un pianoforte aggiunge una dimensione romantica completamente fuori contesto. Battiato canta in un falsetto molto alto, a conferma del fatto che abbia in mente una canzone disco – non necessariamente You Make Me Feel (Mighty Real) di Sylvester, anche se i ritornelli delle due canzoni sono intercambiabili. Come più tardi con La musica è stanca, Battiato non vuole solo denunciare il malcostume musicale: vuole anche commetterlo. Le pedane sono piene di scemi che si muovono, e Battiato sta iniziando a perfezionare i balletti che porterà in tv perché qualcosa deve pur fare mentre canta e lo inquadrano. Inoltre le panchine sono piene di gente che sta male: è il 1980, la prima dose d'eroina costa meno di un LP. 

 

1998: Stage Door (Battiato/Sgalambro, #174)

"Adesso arriva... [guarda il monitor], ah questa si chiama Stage Door, se qualche fanatico mi segue..." [qualche applauso].

Col tempo probabilmente Stage Door diventerà per i "fanatici" di Battiato quello che per i dylaniti è Blind Willie McTell – il brano prima escluso da un disco per ragioni incomprensibili, e che anche per questo motivo ormai è più famoso del disco stesso. La spiegazione più semplice è che Battiato abbia avuto pudore a incidere subito un brano che parla forse della sua depressione negli anni Settanta (anche se ne parla con accenti molto 'sgalambriani', per cui vale la pena di diffidare da una lettura troppo autobiografica). Di questo pudore però deve essersi pentito molto presto, visto che fece uscire due versioni diverse sia sul singolo di Shock in My Town che su quello del Ballo del potere, due singoli che secondo me non valgono Stage Door messi assieme. Ora, buttare una canzone come bonus di un singolo è peggio che lasciarla in un cassetto, secondo me – se avesse pazientato, sarebbe diventata il brano più forte di Ferro Battuto, e allora perché? Tutte le mie ipotesi su Stage Door partono da un punto fermo: è un brano che Battiato cantava dal vivo volentieri. Ecco perché non ha aspettato: l'ha incisa perché voleva cantarla dal vivo. 

C'è poi la questione dell'autocensura. La versione di Shock in My Town è bollata come "demo" ed è interessante questa cosa, che un demo casalingo di Battiato del 1998 suoni più professionale dell'arrangiamento definitivo di Up Patriots to Arms del 1980. Col tempo Battiato stava diventando veramente raffinato nelle sue produzioni casalinghe. Nel Ballo del potere compare di nuovo il demo, ma anche una versione più lavorata, senza l'inciso molto drammatico e... un po' sboccato ("Perché noi siamo liberi di fare quello che vogliamo, di uccidere, stuprare e rapinare e vomitare critiche insensate, parlare e dire solo sempre inutili cazzate"). Quando finalmente decide di pubblicare il brano in un album ufficiale, Inneres Auge, Battiato taglia di nuovo l'inciso. Da cui l'impressione, difficile da confutare, che FB volesse smussare gli angoli di una canzone un po' più personale ed emotiva del solito. Io però continuo a partire dallo stesso punto fermo: le esecuzioni dal vivo. Stage Door è un brano che funziona molto bene dal vivo, ma quell'inciso è piuttosto difficile, quasi più parlato che cantato, ma comunque richiede fiato, intonazione e sentimento. Durante il tour di Gommalacca, Battiato lo eseguiva (vedi il video qua sopra, con una prestazione veramente notevole): in seguito no, a un certo punto ha smesso. La versione di Inneres Auge non fa che ratificare una semplificazione che era già avvenuta nelle esecuzioni dal vivo. E a proposito, forse dovremmo domandarci perché Stage Door si chiami così. Io un'idea me la sono fatta, ma me la tengo per il prossimo turno (nel caso che passi Stage Door, altrimenti... me la terrò per me ahahahAHAH).

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91. E sulle biciclette verso casa, la vita ci sfiorò

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con una sfida tutta anni Settanta]. 

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1973: Plancton (#142)


A questo punto ho letto Nove, ho letto Zuffanti, Pulcini, Boccadoro, Morgan, un minimo di battiatistica ormai ce l'ho presente. Nessuno parla davvero di Plancton, uno dei momenti più significativi della fase prog. Del resto è un brano di cui non risultano esecuzioni live dal '74 in poi. Plancton non ha goduto di seconde o terze vite, come Areknames o Propriedad Prohibida. Era una musica che aveva un senso in quella fase e muoveva corde che Battiato in seguito si è rifiutato di toccare. Plancton faceva paura, forse è per questo che nessuno ama parlarne. Un po' perché la paura è una fragilità; un po' perché è una delle cose che invecchia più facilmente – è probabile che il film dell'orrore che più vi terrorizza sia successivo al 1973. Per quel che mi riguarda, Plancton, come tutto il Battiato prog, mi ricorda le paure assurde che mi capitava di provare negli anni Settanta davanti a programmi televisivi che non capivo. A volte bastava uno stacco, una voce fuori campo un po' inquietante, qualche immagine a cui non riuscivo a dare un senso, o una sigla – come Propriedad Prohibida. Non credo di aver realmente ascoltato Pollution in quegli anni, ma quando l'ho recuperato vi ho trovato quel tipo di atmosfera, quella paura abissale e senza senso, la materia lattiginosa dei miei incubi infantili. Battiato questo tipo di cose le aveva rinnegate – quando nelle interviste insisteva sulla propria solarità, sul fatto di amare il giorno e non fidarsi della notte (e rinnegava la vita notturna della sua gioventù), credo che si riferisse anche a questo. 

Plancton è costruita per far paura, dopodiché certo, ascoltarla oggi può fare lo stesso effetto che riguardarsi Belfagor: ma il fatto che non funzioni più non significa che al tempo non funzionasse. Facevano paura i suoni del sintetizzatore, che sembrano davvero propagarsi attraverso l'acqua. Fa paura l'arpeggio di chitarra, fanno paura i cori riverberati. Fa paura il testo: le metamorfosi destano sempre in noi un orrore ancestrale, la diffidenza della preda nei confronti del mimetismo che spesso cela il predatore. Fa paura la tarantella finale, durante la quale immaginavo sempre la creatura affiorare e incappare in una tonnara selvaggia, durante una festa di paese. Su Youtube ho trovato il reperto di un'esecuzione live, che ci fa capire quanto suonasse prog il "Battiato Pollution"; al posto della tarantella finale c'è una versione hard rock di Meccanica. C'era d'aver paura, davvero. Anche Battiato deve averne avuta.  


1979: Il re del mondo (Battiato/Pio, #51)


Il re del mondo è una delle canzoni che Battiato ha cercato più spesso di riarrangiare, il che tradisce una certa insoddisfazione. Dopo la versione 'new wave' del Cinghiale Bianco (ma possiamo presumere che ce ne fosse una precedente nel demo che aveva lasciato insoddisfatti i discografici EMI), abbiamo quella elettronica di Mondi lontanissimi, che è poi la The King of the World del disco con cui cercava di esportare il suo repertorio nei Paesi anglosassoni, Echoes of Sufi Dances; e quella sinfonica di Unprotected, di cui allego più volentieri il video perché sullo spotiffo non lo troverete. Quando però nel 2015 pubblica il suo cofanetto 'testamentario', Le nostre anime, non sceglie nessuna delle tre versioni, bensì quella live del 2013 all'Arena di Verona, che è una specie di sintesi della versione Cinghiale e di quella sinfonica. L'elettronica del 1985 è completamente rinnegata. Insomma dobbiamo pensare che alla fine Battiato un arrangiamento soddisfacente lo avesse trovato, almeno dal vivo; quanto a me, non solo continuo a preferire la versione 1979, ma mi domando: come mai nessun autore di canzoni, quando prova a riarrangiarle, ottiene un risultato migliore del precedente? A me non viene in mente un solo caso. Questo è curioso, perché in teoria un autore, crescendo in esperienza, e portandosi con sé la canzone nei tour, dovrebbe essere sempre in grado di migliorarla un po': e invece non succede praticamente mai. Quando proprio ci si mettono di buzzo buono al massimo finiscono per comporre una canzone diversa (Don't Stand So Close to Me '86...) Ma in linea di massima non c'è un riarrangiamento a cui io non preferisca un brano originale. Questo potrebbe dipendere da me, e dal fatto che tendo ad affezionarmi alla prima versione che ascolto (la musica non essendo che un veicolo per le emozioni che per caso o per scelta le affidiamo, una spugna per le nostre memorie e i nostri sentimenti)... ma non è questo il caso, visto che ho ascoltato Il re del mondo dell'85 molto prima di incontrare quella del '79. E allora? 

È come se le canzoni pop avessero una ineludibile qualità effimera: come gli affreschi, possono durare per secoli, ma li devi fare in poche ore perché sennò l'intonaco si asciuga e dopo non c'è più niente da fare. Qualsiasi intervento sembrerà qualcosa di più o qualcosa di meno. Quel che è affascinante, nella versione del '79, è che senza quasi elettronica è già un congegno meccanico, correlativo oggettivo della subordinazione di ogni volontà umana ai disegni del Re del Mondo. Il passaggio dal prog alla new wave sta proprio nella legnosità con cui i turnisti (e che turnisti!) suonano impettiti le loro parti senza sgarrare. È già un congegno, ma se la Re del mondo dell'85 è un congegno di plastica, quella del 1979 è uno di quei meccanismi di legno che a guardarli funzionare ti lasciano ipnotizzato. 

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90. Che gran comodità le segretarie che parlano più lingue

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con la più giovane delle canzoni rimaste in gara]. 

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1980: Frammenti (Battiato/Pio, #94)

Pulcini: "Potremmo forse dire che all'inizio della tua carriera hai fatto dei collage con le musiche, e nell'età della canzone, non avendolo più fatto con le musiche, hai fatto i collage con le parole".

Battiato: "Solo che la differenza tra i due periodi è sostanziale. Nel periodo della canzone ci sono una consapevolezza e una lucidità di gran lunga superiori. Il gioco è molto più padroneggiato e non è sterile come nel periodo che lo precede. E non li definirei collage di testi – ciò che in letteratura e in poesia qualche volta è stato definito non-consequenzialità logica – quanto un fatto sintetico di un pensiero. È piuttosto un mondo in cui ogni frase non proviene da quella precedente, né conduce a quella successiva. Apparentemente sembrano collage, ma in effetti ogni frase è compiuta, e in sé finita: sono le frasi ad essere accostate come un collage".

(Questa è Tecnica mista su tappeto, 1991. Ci avete capito qualcosa? Io sinceramente non tanto. Nello stesso libro, Battiato si vanta di non scrivere mai, nemmeno cartoline: e infatti quasi tutto quello che sappiamo di lui lo deduciamo da interviste dove FB tante volte riesce a dribblare gli argomenti lasciando intervistatore e lettore un po' di stucco: insomma, le frasi sono accostate come un collage ma non è un collage, perché? Cos'è "un fatto sintetico di un pensiero"? L'unica cosa che forse ho capito è che Battiato, se pure riconosce una continuità tra i testi "frammentari" delle canzoni di Patriots e gli esperimenti sonori basati sul montaggio che aveva condotto da Ethika fon ethica a Coffee-Table Musik, considera le sue canzoni pop molto più consapevoli e meno "sterili". Nota che questo giudizio negativo nei confronti della sua produzione sperimentale non si estende all'altro filone di quegli anni, la musica minimale di Za e L'Egitto prima delle sabbie: quella, ancora negli anni Novanta, la considerava la sua produzione più 'alta'). 

Liriche a parte, Frammenti è frammentaria anche dal punto di vista musicale: una canzone lasciata a bella posta senza ritornello, che sembra inseguirlo per tre minuti e non lo trova.


2009: Inneres Auge (Battiato/Sgalambro, #30)

Uno dice: che male c'è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare primari e servitori dello Stato? Si parlava della necessità di contestualizzare, che stranamente si avverte più per le canzoni degli ultimi decenni che per quelle dei precedenti – il che forse non significa nient'altro che non un rincoglionimento mio, si sa che i ricordi recenti sono quelli che si slabbrano prima. Ad esempio: ero convinto che Inneres Auge fosse una voce dal sen fuggita a Battiato ai tempi dello scandalo Ruby, ma non è così, Ruby in quel periodo non era ancora stata fermata dalla polizia per furto e a quanto pare frequentava liberamente l'entourage di Berlusconi. A mia discolpa, devo dire che in quegli anni Berlusconi stava dando veramente del suo meglio per svagare giornalisti ed elettori (e su ditelo che era più divertente trovare in prima pagina le olgettine che siccità carestia e guerra), comunque lo scandalo in questione era il caso D'Addario, quello che è rimasto un po' in ombra, probabilmente perché la protagonista, a differenza di Noemi Letizia e Karima El Mahroug, era decisamente maggiorenne e professionista. Così che appunto, la reazione di molti quell'estate era sintonizzata su: che male c'è? Che il capo del governo avesse una vita sessuale esuberante ormai si sapeva, e ci si interrogava su quanto questo fosse politicamente rilevante. Anche l'argomento, da molti invocato (me compreso) della ricattabilità, lasciava un po' il tempo che trovava: che Berlusconi si intrattenesse con signore maggiorenni, davvero non sembrava più questo grande scoop. Battiato gioca invece la carta dell'economia: "perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?" È un'affermazione che ai concerti strappava invariabilmente l'applauso, non solo perché è abbastanza raro che un cantautore dia del rincoglionito al capo del governo, ma anche in quanto riconduce la corruttibilità al malaffare: la D'Addario non era che una pedina di una questione di appalti che un intermediario voleva sbloccare. Con questo approccio, Battiato si candidava davvero a diventare il cantautore organico del Fatto Quotidiano e più in là del Movimento Cinque Stelle: gli mancò più il tempo che la volontà. A livello musicale, una spia di questa volontà di propaganda è nel ritmo, mai così dritto e volgare: perché evidentemente c'è un tempo per le sonate di Corelli, ma anche un tempo per sporcarsi le mani con la politica e gli scandali. 

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89. Tutte le macchine al potere gli uomini a pane ed acqua

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi per il vostro ludibrio si sfidano l'Ermeneutica e la Danza. Chi prevarrà? Avete qualche dubbio?] 

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1982: Voglio vederti danzare (Battiato/Pio, #3)

– Ok, è ancora il terzo brano più ascoltato su Spotify, ma Voglio vederti danzare  potrebbe nei prossimi anni diventare un ascolto difficile tanto quanto i Watussi di Vianello e per un motivo molto simile: contiene, ben due volte, una parola che oggi è ritenuta stigmatizzante. Da chi? beh per esempio dall’Ordine nazionale dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa. "Questa indicazione prende atto della posizione dei diretti interessati, cioè di molte voci autorevoli di origine Rom, ma anche di associazioni che operano nel campo e di studiosi non Rom. “La parola zingaro è diventata offensiva, per cui essi stessi e i loro amici evitano di pronunciarla. Una volta non lo era…”, scrive Predrag Matvejevic, professore di letterature slave alla Sorbona di Parigi e all’Università La Sapienza di Roma" (la pagina è molto interessante ed esauriente, non la copio tutta ma consiglio di leggerla). 

– Non ho tantissima voglia di controllare, ma direi che VVD sia il brano più rappresentato su Mappiato (un sito che comunque andrebbe aggiornato: manca Tibet...)

– A rileggere Tecnica mista su tappeto l'impressione è che Battiato abbia concepito Voglio vederti danzare come punto di accesso dell'Arca di Noè, un disco che si presentava da subito più difficile della Voce del padrone ma doveva comunque mantenere un minimo di attese: da qui una certa ambivalenza di Battiato nelle interviste, che da una parte deve ostentare un sovrano distacco per l'enorme successo della Voce e dall'altra reagisce immediatamente quando qualcuno parla di flop per l'Arca: non è vero, vendette bene. Certo un po' meno, ma comunque bene. È in fondo la stessa ambivalenza di Voglio vederti, un brano che parla di danza e riti tribali ma decide di fare a meno della batteria. Una scelta apparentemente autolesionista, ma col tempo è lecito domandarsi se non sia stata proprio questa ricorrente tendenza a complicarsi la vita a evitare che il nome di Battiato rimanesse legato a una singola stagione.   


2004: Ermeneutica (Battiato/Sgalambro, #190).

– L'unico brano superstite di Dieci stratagemmi, e in generale uno dei due sopravvissuti di tutti gli anni Zero, è anche uno dei brani meno ascoltati su Spotify (190esimo posto...) e soprattutto uno dei più folli! Ok, gli è capitata la batteria facile, anche rispetto ad altri brani dello stesso disco molto più accessibili. Ma è un'occasione per esprimere un rimpianto: per quanto Battiato abbia osato molto negli ultimi anni della sua carriera, forse avremmo preferito che osasse ancora di più. Se ormai i grandi classici li aveva già scritti, poteva ancora scrivere cose bizzarre come Ermeneutica che avremmo ascoltato comunque più volentieri di certe divagazioni sulle stagioni o memorie amorose non facili da condividere, specie se a metterci le parole era Sgalambro. 

– Ermeneutica, l'ultima volta che ho controllato, significava "interpretazione", poi purtroppo ci si è messo in mezzo Heidegger e adesso in molti circoli significa "devi leggere Heidegger per capire". Io non posso leggerlo Heidagger perché... sono allergico. Giuro. Mi vengono le bolle. Devo mostrarvele? Ho le foto eh. Heidagger e le noccioline. Sgalambro ha appunto la faccia di uno che ha cercato di assumere Heidagger senza fare un rash test. 

Ermeneutica è chiaramente ispirata, se non proprio scatenata, dalla seconda Guerra del Golfo. Battiato alla fine della prima era stato ospite a Baghdad, per lui non era un conflitto astratto e lontano. Scrivo queste cose perché col tempo non è così facile recuperare i contesti, a volte ci si confonde, di guerre ce ne sono state più di una, ad esempio nel suo Franco Battiato (Speriling & Kupfer, 2020) a un certo punto Aldo Nove scrive che Tariq Aziz, braccio destro di Saddam Hussein, sarebbe stato "arrestato e ucciso dalle forze d'invasione americane" poco dopo il concerto del 1993. È scritto a pagina 169 ed è un dettaglio strano – se non altro perché nella nostra sezione del multiverso, Tariq Aziz risulta morto a 79 anni, nel 2015, per un attacco cardiaco, in una cella di Nassiryia. E ora giù la maschera Aldo Nove: dicci da che universo vieni.   

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88. Come ti trovi a Berlino Est?

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi tutto anni Ottanta: del resto più della metà dei brani passati al secondo turno sono di questo decennio]. 

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1988: Fisiognomica (#42)

Tra Mondi lontanissimi Fisiognomica ci sono tre anni che per me valgono venti. Battiato nel 1985 è il mio eroe pronto a partire per una missione extraplanetaria: quando torna nel 1988 è un parente lontano che si ascolta alle feste comandate con simpatia venata d'imbarazzo. Davvero, quando attacca con le sue teorie sulla fisiognomica non sai dove guardare, ti versi da bere, giochi col tovagliolo, ti versi di nuovo da bere. E però forse non sono soltanto io, forse è anche lui che in quegli anni compie una rivoluzione copernicana.
Più che la musica, è cambiata l'attitudine: Battiato ha smesso gli occhiali scuri, ci guarda senza ostilità e soprattutto si lascia guardare senza paura di svelare le sue fragilità. Lui capisce il destino delle persone dai tratti del volto, dice, beh un po' ci crediamo tutti, e allo stesso tempo non avremmo mai il coraggio di ammetterlo in una conversazione, cioè Lombroso davvero non si porta molto in società. La mia ipotesi è che mentre componeva le sue Genesi e i suoi Gilgamesh, Franco Compositore Colto Battiato a un certo punto si sia annoiato, si sia accorto che alla fine scrivere canzoni è un sistema di esprimersi altrettanto degno e molto più diretto. Per cui quando si rimette a scriverle gli è scesa la maschera da provocatore intellettuale: non è più qui per spremerci soldi e snobbarci mentre glieli diamo. È qui perché ha capito che gli piace stare qui: a 42 anni ha deciso che, siccome sa scrivere canzoni, vuole usarle per spiegare chi è (con tutti i rischi che questo comporta) e come si sente, e se qualcuno riderà di lui pazienza. Per cui davvero se vi piace la sincerità, la schiettezza, può darsi che il Battiato tra Fisiognomica Café de la Paix sia il vostro preferito. A me dice poco, ma è più colpa mia che sua (sì, lo preferivo postmoderno quando ci sfotteva col megafono).

1989*: Alexander Platz (Battiato/Cohen/Pio, #23) (*: ma composta nel 1982 per Milva, su un'aria già usata per Valery di Alfredo Cohen, 1977).

"Quando visitai Berlino Est rimasi affascinato dalla mancanza di pubblicità. Non c'era un manifesto in giro! Mi dava un grande senso di pulizia e di serietà. Nello stesso tempo ero impressionato dalla tristezza della gente e dal grigiore sociale. Dovendo scrivere la canzone pilota del disco di Milva, pensai subito a Alexander Platz. Milva, per un certo periodo, è stata un'artista più tedesca che italiana in quanto a popolarità. Era, ed è, veramente molto nota in Germania. La immaginai a Berlino Est: un'italiana che lavorava a Berlino Est e che non riusciva ad accettare l'idea del muro. Desiderava fuggire verso una vita diversa" (Tecnica mista su tappeto, 1992). (Lo riporto perché da qualche parte, non ricordo più dove, ho letto che Battiato non rinnegherebbe con Alexander Platz il tema di Valery di Alfredo Cohen, beh, a quanto pare no).

Alexander Platz credo illustri le luci e le ombre del Battiato paroliere – piccolo inciso: a rileggerle con il metro di oggi, tutte le canzoni dei cantautori Guccini escluso sembrano brevi – ormai pure i Måneskin devono scrivere testi di tre pagine. C'è stato un vero e proprio boom di eloquenza rispetto al quale un Dalla, persino un De Gregori ormai sembrano asciutti epigrafisti. Battiato è ancora più asciutto e lavora soprattutto per suggestioni, epifanie che a rileggerle a freddo ti rendi conto che non è che dicano molto. Ma funzionano. Per esempio: "E di colpo venne il mese di febbraio". Perché di colpo? Cosa rende il febbraio più improvviso del gennaio precedente? E allo stesso tempo ti fa entrare subito in un'atmosfera gelida, con quel passato remoto che ti dà assieme la distanza e la dinamicità (è un tempo verbale momentaneo, descrive azioni che si compiono all'improvviso). A quel punto ti aspetti che debba succedere qualcosa, in quel febbraio improvviso , e invece no, non succederà niente. "La bidella ritornava dalla scuola un po' più presto per aiutarmi". Per qual motivo al mondo una collaboratrice scolastica avrebbe dovuto venir meno ai suoi obblighi per aiutare te, che a proposito, chi sei? Un'insegnante? E allo stesso tempo basta la parola, "bidella", per evocare un particolare grigiore che è quello che serve alla canzone. Una curiosità: il testo della versione di Milva è tutto alla prima persona, Battiato nella sua versione canta alla terza persona solo la seconda strofa: cioè che la bidella potesse rientrare prima per aiutarlo non gli crea difficoltà, ma "mi piaceva spolverare, fare i letti, poi restarmene in disparte come vera principessa prigioniera del suo film che aspetta all'angolo come Marlene", questo no, da questo deve prendere le distanze. 

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87. Città nascoste di lingua persiana

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi col derby dell'esotismo. Chi vincerà tra Kurdistan e Algeria? Strade dell'est o ferrovie berbere? Da dove la fine?] 

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1979: Strade dell'est (Battiato/Pio, #55).


"Nell'Era del cinghiale bianco c'era sempre un misto di elettronico e acustico, in dosi uguali [???]. Queste canzoni sono state poi arrangiate in maniera diversa. Allora c'erano tutte le sonorità di moda negli anni Settanta: la chitarra elettrica, il basso, la batteria, il solito gruppo strumentale pop. Adesso le ho depurate, le ho rese più classiche. Mi sono accorto che alcuni brani sono ritornati a essere come forse erano in origine. Capita: scrivi una cosa, la arrangi; poi togli l'arrangiamento, e questa cosa ritorna com'era inizialmente. Queste canzoni, come Il re del mondo, sono forse più originali adesso, nella loro purezza classica, di come erano allora, un po' agghindate di questi suoni elettronici. Accade anche a Strade dell'est, che è più bella adesso che nella prima versione". Siccome Battiato queste cose le dice nel 1992 (Tecnica mista su tappeto), la Strade dell'est "classica" dovrebbe essere più o meno quella del live Unprotected, e che in effetti somiglia più alla versione demo pre-Radius che a quella incisa nel Cinghiale col power trio Radius-De Piscopo-Farmer. Anche se nel frattempo molta musica è passata sotto i ponti: la sequela interminabile di cinque minuti è diventata una cosa più rapida e snella di tre; il terzinato frenetico è lo stesso di altri brani misticheggianti del periodo (Mesopotamia, Caffè de la Paix). Ma insomma la canzone si è evoluta quasi ignorando la versione rock incisa nel 1979. Che invece credo che sia quella a cui siano affezionati molti ascoltatori di Battiato, per via di quel suono tardo-prog pre-new-wave che oggi è più esotico di un armonium sfiatato. 
Ancora una nota sul nominalismo di Battiato, ovvero la tendenza a interrompere le frasi prima di averle fornite di un predicato che sia. Cosa avrà mai voluto dire con "E Leningrado oggi"? Per qualche anno ho creduto che fosse l'inizio della frase che veniva dopo l'intermezzo strumentale: "di notte ancora ti può capitare di udire il suono di armonium sfiatati". Ma poi parla di curdi che offrono il petto a novene da mille anni, e questo non credo che potesse avvenire a Leningrado.  

1984: I treni di Tozeur (Battiato/Pio, #10)


– Il 1984 non è soltanto l'anno in cui Battiato e Alice portano I treni di Tozeur all'Eurovision; il 1984 è anche l'anno dell'unica vittoria di Albano e Romina a Sanremo con Ci sarà. Come talvolta succede, la vittoria non ricompensa il brano migliore o di maggior successo: a vincere, più che la canzone, è la coppia che da Felicità aveva fatto della canzone sanremese un sottogenere del pop italiano, qualcosa che riconosciamo ancora oggi a colpo sicuro, non solo in Italia. E ora il grande interrogativo:
– posta la definizione labranchiana di trash come "emulazione fallita di un modello alto", possiamo definire Albano e Romina il risultato trash di un'emulazione fallita di Battiato & Alice?
– o assumendo la definizione di midcult come riciclo piccolo-borghese delle tendenze artistiche genuine, non dobbiamo piuttosto definire Battiato & Alice come la versione midcult di Albano e Romina?
Decidete voi, ma nel frattempo nella vostra testa state già pensando a una versione dei Treni di Tozeur con Albano che attacca "E per un istante ritorna la voglia di rimanere a un'altra velocità".

– Era da parecchio che non guardavo il videoclip, non me lo ricordavo così peculiarmente emiliano-romagnolo: ai tempi non ci facevo caso, come il pesce non fa caso all'acqua. Il lato B del singolo è una composizione strumentale di Alice intitolata Le biciclette di Forlì: sembra una parodia, e invece in un certo senso è la stessa cosa; il sogno di una vita a una velocità inferiore. Erano i primi passi di quella sensibilità antimoderna che oggi ispira quei film in cui vanno tutti ad abitare in un casolare, mentre in tv è rappresentata da personaggi come Mauro Corona. A questo punto formulo l'ipotesi che citando la "Via Emilia" in Campane tibetane, Battiato stesse scrivendo con in mente Alice, o magari un altro duetto. 

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86. Un viaggio con la mescalina che finisce male

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[Questo, per chi non osa chiedere, è un altro episodio dell'interminabile Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con una sfida tutta anni '90 che metterà a dura prova gli eventuali discepoli di Gurdjieff: choc emozionali contro Caffè de la Paix, mi sa che è un altro viaggio che finisce male]. 

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1993: Caffè de la Paix (#39)

– Ho dato un'occhiata su wiki, certo che questo Gurdjieff si trattava bene eh?, cioè non è esattamente come invitare qualcuno a pigliarsi un caffè al bar sottocasa. Come minimo è indizio di una tendenza a selezionare i discepoli in base al censo, per dire Gesù Cristo andava al porto a pigliarsi i pescatori, Gurdjieff aveva un target diverso.  

– Il torneo è lungo, l'estate torrida, comincio a sviluppare teorie dal nulla, ad esempio Caffè mi sembra parte di una famiglia di canzoni terzinate di cui farebbe parte, ad esempio, No Time No Space (ma molto più veloce) e in parte Mesopotamia, quest'ultima oscillante tra 3/4 e 4/4. Nella mia testa queste terzine frenetiche le ho sempre associate alla rotazione dei dervisci, ma perché poi? In realtà non ho la minima idea di che musica usino i dervisci; diciamo che il ritmo ternario mi suggerisce una rotazione incessante, ma appunto, la suggerisce a me. 

– Di queste tre Caffè è la più lenta ma è anche la più 'etnica', con la terzina sottolineata da quel suono che sinceramente non ho capito che strumento sia (probabilmente un synth), ma che le conferisce un'identità particolare, insomma Caffè non somiglia a niente se non a una canzone di Battiato, e non a qualsiasi canzone di Battiato, ma a un tipo di canzone tra i tardi '80 e i primi '90 che sta cercando una sua strada completamente personale alla world music. Ricerca assolutamente lodevole, se solo lo avesse portato da qualche parte, e invece temo che il senso di insoddisfazione che l'ascoltatore ricava da Caffè sia stato condiviso anche dall'autore. 


1998: Shock in my town (Battiato/Sgalambro, #26)

"Battiato, invece, quando sente qualcosa che funziona, sa da subito che quella è la cosa migliore che può fare. E che, da lì in poi, sarà solo una parabola discendente. La differenza di fondo tra me e lui è che lui dice: "Bata così". Io invece dico sempre: "Proviamone un'altra". E quel "proviamone un'altra" è puntualmente una cosa fallimentare. A un certo punto bisogna fermarsi. Questa voragine tra me e lui l'ho toccata con mano con Shock in My Town, quando Battiato ha chiesto a me di scrivere la parte di basso. [...] Ecco, quel pezzo è praticamente tutto basso. Io avevo fatto un sacco di riff, che mi sembravano tutti più o meno validi, ma lui ha scelto subito quello che poi sarebbe diventato il giro del pezzo. Se fosse stato per me avrei scelto il giro di basso sbagliato. O più probabilmente, mi sarei impantanato nel limbo delle possibilità, senza riuscire a decidermi". È un passo del Libro di Morgan (Io, l'amore, la musica, gli stronzi e Dio), firmato da Marco Castoldi, Einaudi 2014, e non chiedetemi perché ce l'ho in casa. 

In questo libro c'è tra gli altri un capitolo che si chiama Padri, un plurale abbastanza eufemistico perché il capitolo parla per dieci righe della morte del padre naturale e per altre cinque pagine, esclusivamente, di Franco Battiato. Al quale il buon Morgan a un certo punto chiede letteralmente di essere adottato, e nel capitolo è anche riportata la risposta: "Anni dopo, ho intervistato Battiato per una rivista [...] Mi ero preparato molto bene, avevo tutte le domande in testa. E guarda caso la prima era questa: "Ti sei mai visto come un padre?" [...] Risposta di Battiato: "Non mi sono mai sentito un padre. Sono ancora un figlio". 

È facile ridere di Morgan – nel libro lui stesso descrive il meccanismo mediatico che a un certo punto lo ha trasformato nel personaggio da cui è semplice e liberatorio prendere le distanze. Ma in fondo qui Morgan non fa che dare voce nel modo più spudorato a un desiderio che è stato comune a migliaia di persone: vedere in Battiato un padre saggio e infallibile, perlomeno un po' più saggio e un po' meno fallibile dei padri che ci siamo ritrovati in casa. A questa richiesta, Battiato pacatamente ma fermamente ha risposto: no. Gli errori di percorso, le esitazioni che Morgan non voleva o poteva vedere, noi qua sopra con pazienza le annotiamo, perché degli artisti è bello documentare non solo i completi successi, ma anche la fatica e gli innumerevoli errori che hanno dovuto commettere e risolvere per conseguirli. Prendi Shock in My Town: ha un sacco di cose che lasciano perplessi e la linea di basso, mi dicono, non è davvero un granché, magari Morgan ne aveva una migliore e Battiato non l'ha trovata. 

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85. Against the sea, le grand Hotel Seagull Magique

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[Sapete cos'è questa? È proprio la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due canzoni cui Battiato nel 2015 diede una nuova sistemazione, non necessariamente migliore della precedente]. 

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1981: Summer on a Solitary Beach (Battiato/Pio, #7)

"Anche Summer on a Solitary Beach" mi sembrava bella appena l'avevo scritta (1992).

– In Summer a Battiato riesce finalmente quel trucco che aveva iniziato a provare nel 1968, di rallentare il tempo quando si passa dalla strofa al ritornello. Un'idea affatto originale che Battiato aveva perseguito con testardaggine con... risultati disastrosi per la sua carriera di canzonettista. Col senno del poi, era il primo indizio di una originalità compositiva che sfidava il buon senso (e il buon gusto?) In Summer invece il trucco funziona, forse proprio perché è un trucco: non è che il ritornello sia veramente più lento: è la sospensione del ritmo (come nel Vento caldo dell'estate) a darci questa sensazione. È come se ci fossimo immersi in un un mare che non ci fa più sentire la pulsazione terrestre: ma là fuori c'è ancora, e infatti quando riemergiamo la strofa riparte, e anche questo fa piacere. Il trucco è riuscito così bene che nel secondo ritornello Battiato si compiace di svelarcelo, facendoci sentire la batteria anche durante la strofa. A meno che non sia il Mix del 2015, quello dell'antologia Le vostre anime, in cui Battiato decide di eliminare il ritmo anche nel secondo ritornello, per quanto possibile. Ma taglia anche preziosi secondi della coda, perché Le nostre anime è pur sempre un cofanetto di CD, e nei cofanetti questa cosa accadeva invariabilmente, che si rubassero secondi dalle code – se c'è una cosa che non rimpiango, ecco, sono i cofanetti. 

– Ho controllato sullo Webster, pare che "solitary beach" non sia proprio un errore. Sì, "solitary" di solito è riferito a esseri animati o azioni, non a oggetti o luoghi, ma può anche essere un sinonimo di "desolate" o "unfrequented", e il primo esempio è proprio "a solitary seashore". Anche in italiano, non è molto frequente l'uso di "solitario" riferito a un luogo ma... c'è in Petrarca. E se c'è in Petrarca, la questione è chiusa. Persino quell'against the sea che ho sempre trovato tremendo forse, dico forse, è consentito dall'Oxford Dictionary. 

– "Sono nato in un paese di mare. A quattro anni nuotavo. Vivevamo in spiaggia dal mattino alla sera. Andavamo al mare anche in ottobre. Ora mi basta guardarlo. Anche se non lo frequento, lo devo avere sotto gli occhi. Da Milo lo vedo sempre" (1992). 

1991: Le sacre sinfonie del tempo (#59)

Io su Le sacre sinfonie ho un'ipotesi indimostrabile, che sia una hit mancata. Cioè, diciamo che è una hit che Battiato si ritrova tra i piedi in un momento in cui non vuole scriverne, è nel suo periodo Cammello-nella-grondaia, vuole solo intonare canti dolenti su dolci tappeti orchestrali, ma cosa succede se proprio in una fase del genere ti scappa invece di scrivere una potenziale hit con una melodia accattivante? Che invece di agghindarla con tutti gli ornamenti di una hit, le infili un saio di meditazione e speri che nessuno ne noti le forme comunque appariscenti. Come posso dimostrare questa cosa? I primi quaranta secondi sono un depistaggio completo: un'introduzione lentissima di archi che richiama alla mente l'Oceano di silenzio (e infatti nelle Nostre anime Battiato accosterà i due brani). A quel punto abbiamo già l'animo predisposto alla lagn... alla preghiera, e forse non ci accorgiamo che quando Battiato comincia a cantare, la melodia è davvero un po' più catchy di quanto non dovrebbe essere: archi e tastiere indugiano su una scala molto semplice. E alla fine funziona così bene che nel cofanetto Le nostre anime Battiato non tocca una virgola, ma si preoccupa piuttosto di adunare tutte le preghiere nella prima parte del sesto CD – sentite che scaletta: L'oceano di silenzio, Le sacre sinfonie del tempo, L'ombra della luce, Sui giardini della preesistenza, Lode all'inviolato, Haiku, Stati di gioia. Non cala già la palpebra solo a leggere i titoli? E mi domando se qualcuno è riuscito ad ascoltare davvero quel CD e a svegliarsi per raccontarlo.  

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84. Keep your feelings in memory

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[Potreste chiedervi cos'è questa, ebbene si tratta della Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due canzoni che quando uscirono sembravano fantascienza, ognuna a suo modo, e che Battiato ha continuato a rimaneggiare fino agli ultimi anni]. 

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1974: Propriedad prohibida (#175)

Propriedad prohibida è stata, nel tempo, un brano di musica sperimentale, poi una sigletta televisiva, poi un ballabile techno.  

"Anzitutto cominciamo col dire che siamo tutti compositori, e che è proibita la proprietà acustica nel senso stretto del termine: se io, per esempio, scrivo un pezzo e lo sottopongo al tuo ascolto, dal momento che siamo diversi e molto anche (per interessi, per educazione, per neuroni eccetera eccetera) la mia musica, dentro il tuo io, cambia completamente. A questo punto sei tu il compositore, io ti ho fornito solamente il materiale sonoro, più o meno stimolante, ma le tue elaborazioni (almeno per adesso) sono diverse dalle mie". Questa concezione super-relativistica della musica, per cui siamo tutti compositori e il musicista è solo un tizio che raduna un po' di materiale e te lo mette in favore di orecchie, Battiato la esprime nel libretto allegato al 33 giri di Clic, che però sparirà dalla circolazione molto presto e Battiato non sentirà la necessità né di ristampare né di confermare: anzi quando nel 1992 Pulcini gli chiede conto in Tecnica mista su tappeto di quel brano di Clic che faceva da sigla televisiva, Battiato, che fino a quel momento non ha corretto degli evidenti errori dell'interlocutore su Aries – come se tutti questi vecchi dischi fossero ormai cose di poco conto – taglia la testa molto recisamente al toro: Propriedad era proprio una sigletta, tutto qui ("uno di quei tipici "stacchetti elettronici che abbiamo inventato agli inizi degli anni Settanta e che oggi hanno invaso tutto il mondo"). Non solo rinnega tutta la complessità di un brano che conteneva momenti per niente elettronici, ma introduce un paragone intrigante con "la musica sinfonica utilizzata nei film western. Apparentemente l'uso può sembrare scorretto. Eppure, se funziona, significa che qualcosa in quella musica giustificava quella certa utilizzazione. Non era una musica sinfonica dagli alti ideali, ma una musica violenta, tutta spari e cavalcate". 

Ricapitolando: gli "alti ideali" della musica sperimentale che Battiato tentava di fare nel 1974, non si sono infranti contro la loro irrealizzazione pratica. Tutto il contrario: è proprio quando Battiato ha visto la Rai impadronirsi di Propriedad prohibida e trasformarla così efficacemente in uno stacchetto televisivo, che ha intravisto il lato oscuro delle sue teorie. Un'utopia che si realizza è sempre deludente, e oggi noi ascoltiamo senza battere ciglio musica che negli anni '70 sarebbe sembrata avanguardia pura. È una cosa che lo stesso Battiato nota nel 1997. "Il primo posto in classifica dei Prodigy mi ha lasciato di stucco. Tre minuti di rumori assolutamente identici, senza nessun cambiamento, ossessione pura. Un disco che in Italia nessuna etichetta discografica avrebbe mai accettato di pubblicare. Qualcosa di simile ai miei lavori degli anni Settanta, con in più la ritmica, quel quid che oggi rende digeribile alle masse qualsiasi sperimentazione" (in Battiato. Niente è come sembra, 2017). Così, quando nel 2014 decide di riprendere in mano qualche vecchio pezzo elettronico, Propriedad diventa Proprietà proibita, un brano che dopo avere esibito l'accordo iniziale ormai iconico (come tale aveva fatto capolino anche nel 2008 in La musica muore) svela una ritmica ossessiva che evidentemente serve a rendere "digeribile alle masse" una musica che però 40 anni prima aveva il suo punto di forza proprio nell'ambiguità ritmica: come nota Boccadoro (2022), in Propriedad si realizzava "l'idea di musica a più velocità, teorizzata dal compositore americano Steve Reich, dove è l'ascoltatore a dover stabilire a quale di questi diversi livelli dare la propria attenzione". Per sopravvivere, Propriedad ha dovuto tradire sé stessa, come succede ad altre canzoni e a tante persone, se vivono abbastanza da sopravvivere ai loro ideali. 


1985: No Time No Space (#18)

Seguimmo per istinto le scie delle comete. Scusate, ho finalmente fatto due più due e capito quello che per alcuni di voi sarà stato ovvio dall'inizio, ovvero: la space opera adombrata da Battiato in Via Lattea e No Time No Space non è un progetto abortito. Essa esiste, ed è nientemeno che la prima opera del compositore Franco Battiato: la Genesi. Se l'avessi voluta ascoltare una seconda o terza volta mi sarebbe risultato evidente, diciamo che mi sono lasciato fuorviare dal titolo e mi sono dimenticato che non si tratta di un'opera sulla creazione del mondo, ma di un viaggio "metascientifico e allucinogeno" di quattro arcangeli inviati dagli Dei per salvare il genere umano da una decadenza quasi irreversibile "per ottenere così una nuova comprensione del mondo" (cito da... da Wikipedia). Con loro viaggiano alcuni Illuminati, tra cui un cantore che potrebbe benissimo essere la voce narrante dei due brani spaziali di Mondi lontanissimi. Ecco risolto il mistero, rimane soltanto da riascoltare la Genesi e controllare se in qualche modo somiglia a questi due brani, e forse un giorno lo farò (se NTNS passa il turno lo farò sicuramente). Succede probabilmente in questi casi quello che si verifica di nuovo tre anni dopo con Fisiognomica: mentre è assorbito dalla composizione di un lavoro più organico e complesso, Battiato si lascia sfuggire frammenti che assomigliano più a canzoni, e decide di inciderle a parte. Col tempo forse si rende conto che funzionavano meglio le canzoni che l'opera, perlomeno a un certo punto opere ha smesso di scriverne, mentre No Time No Space l'ha reincisa anche in Inneres Auge potenziando addirittura il groove, togliendo i violini straussiani che facevano così tanto melodramma, ma senza minimamente correggere l'inglese maccheronico, ormai assurto allo status di lingua autonoma, il battiatese. 

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