31. Ti dico che nulla mi inquieta, ma tu mi dai sui nervi
16-06-2022, 07:48Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con un brano sull'agnello di Dio, un brano sull'amore che finirà, un brano su Auschwitz e un brano sulla morte, insomma è una tipica giornata della Gara delle canzoni di Franco Battiato].
1978: Agnus (#236)
Agnus Dei qui tollis peccata mundi, miserere dona eis requiem. E sempre sia lodato il funzionario Rai che bocciò la colonna sonora prodotta da Battiato per il film tv Brunelleschi: ci pensate, se l'avesse accettato forse FB si sarebbe accontentato di aver inciso Agnus e non avrebbe avuto voglia, pochi mesi dopo, di trasformarla in Stranizza d'amuri. A cui somiglia, bisogna avvertire, come un bruco alla farfalla: Agnus è un brano ancora orgogliosamente dissonante, in cui Battiato si avvale della voce di Camisasca come in seguito dei campionamenti di cantori mongoli o tibetani, cioè in sostanza di qualcosa che la musica dodecatonica occidentale non riesce a non registrare come stonato. La tensione tra il lamento dell'agnello di Camisasca e l'intervento del soprano Alide Maria Salvetta è anche una lotta tra dissonanza e musicalità, il suono del Battiato anni '80 che si dibatte per venire al mondo – in certi momenti i violini per un attimo accantonano gli arpeggi e sembrano già pronti a diventare un accompagnamento ritmico. Forse non c'è stato un parto musicale più lento e complicato di questo, ma ormai ci siamo.
1999: Te lo leggo negli occhi (Endrigo/Bardotti, #21).
Finirà? Me l'hai detto tu. Ma non sei sincera. Metto qui un appunto che non saprei dove appoggiare, ovvero: Battiato ha avuto tutto il tempo della vita per omaggiare Gaber di una cover, ma non l'ha fatto. Ha coverizzato i Rolling Stones e Beethoven, Alan Sorrenti e Adamo, ma Gaber no. È abbastanza curioso che Battiato non abbia mai voluto riprendere altre canzoni dell'unico cantautore italiano che poteva rivaleggiare con lui per rifiuto della modernità e ampiezza della cavità nasale (e col quale collaborò parecchio). Lui alla domanda avrebbe risposto che naso a parte avevano vocalità diverse, ma questo non gli ha impedito di rifare De André... vabbe'. La cosa più vicina a un tributo a Gaber è forse appunto questa Te lo leggo negli occhi che Sergio Endrigo ha composto per il cantante Dino nel 1964 e che Gaber continuava a suonare nei bis fino agli anni '90, e aveva inciso nel 1967 in una versione che ancora più dell'originale gridava "Morricone!" Come si capisce quando una versione grida "Morricone!"? È soggettivo, ma spesso il contrabbasso fa una specie di schiocco che vi rimanda negli anni Sessanta anche se non ci siete mai stati, e qualche strumento da qualche parte fa la stessa serie di note per tutta la canzone – spesso sono tre, ma in Te lo leggo negli occhi sono addirittura due, il che fa a pugni con il ritmo terzinato ma è appunto questo fare a pugni che grida "Morricone!" (Il quale Morricone in realtà dirigeva l'orchestra di Dino nel 1964; ignoro se abbia anche sovrainteso all'incisione di Gaber, ma a quel punto forse morriconizzare le canzoni era diventata una pratica condivisa). Battiato di tutto questo morriconismo non sa che farsene: nel primo volume di Fleurs vuole andare all'essenza delle canzoni, sopprimere tutte le interferenze dettate dalle mode, dai periodi. Questo in effetti rende la sua Te lo leggo negli occhi la più educata, la meno tesa, e non escludo che nel futuro qualche musicologo avrà difficoltà a capire che Battiato è arrivato vent'anni dopo Gaber. Ci resta più attenzione per ascoltare il testo di Bardotti e scoprire quello che nel 1967 passava inosservato, ovvero che la voce cantante è quella di un manipolatore: vuoi dirmi di no, ma è solo paura, in realtà hai bisogno di me, te lo leggo negli occhi. Un Brel, forse anche un Tenco, sarebbero riusciti a far sentire l'ambiguità della situazione e ad autoridicolizzarsi; Gaber nel 1967 nemmeno ci prova (forse era troppo presto?), e se non ci prova Gaber, figurati Battiato.
2008: Il carmelo di Echt (Camisasca, #149)
Dentro la clausura qualcuno che passava, selezionava gli angeli. A differenza dell'altro prestito da Camisasca (La musica muore), qui Battiato non cambia una sola parola, anzi sembra preoccupato di dare una versione il più corrispondente possibile a quella che l'amico aveva inciso in un album del 1991 ormai introvabile. Sarò cinico se lascio scritto che invece era proprio qui, invece, nella canzone dedicata a Edith Stein che valeva la pena di correggere qualcosa? Soprattutto quel distico così naif "E sopra un camion o una motocicletta che sia / ti portarono ad Auschwitz", che è proprio un esempio di quello che non si deve fare in poesia: perdersi dietro dettagli inutili facendo anche notare che sono inutili. Forse pesa su di me un'assuefazione, vent'anni di giornate della memoria e tutto il relativo merchandising, che dalla Vita è bella in poi può effettivamente indurre se non un senso di rigetto, ma almeno un germe di sospetto ogni volta che qualcuno si mette a cantare "Auschwitz!", come se bastasse questo per fare letteratura della memoria. Giova quindi sempre ricordare che Il carmelo di Echt è una canzone che viene prima di tutto questo, che Camisasca la incise quando era appena uscito da un monastero ed Edith Stein non era ancora stata canonizzata, e ci mise tutta la sua devozione e sì, la sua ingenuità: e che a Battiato quasi vent'anni dopo quell'ingenuità interessava ancora, era un fiore che gli premeva conservare.
2012: La polvere del branco (#108)
Ho voglia di appartarmi e di seguire la mia sorte, perché morire è come un sogno. Apriti sesamo è un disco sulla morte: anche quando sembra cambiare argomento va sempre a parare lì, ormai è un chiodo fisso e come dargli torto. Battiato ne parla con franchezza, senza artifici retorici e io ho appunto questo problema, che il Battiato più franco e scevro da artifici retorici è quello che mi risulta più indigesto. La canzone descrive con molta chiarezza lo stato d'animo dell'animale ferito che cerca un posto lontano per morire in pace e solitudine (forse anche per evitare pratiche di eutanasia troppo precipitose e brutali). Però è bello almeno quando dice: Ci crediamo liberi, ma siamo prigionieri, di case invadenti che ci abitano e ci rendono impotenti.
30. Come piombo pesa il cielo questa notte
15-06-2022, 08:03Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, oggi con tre brani finali di tre album diversi, e un altro che dà il titolo a un album]
1988: L'oceano di silenzio (#53)
Cosa avrei visto del mondo senza questa luce che illumina i miei pensieri neri? L'oceano di silenzio chiude Fisiognomica con una preghiera. Battiato non aveva mai scritto una canzone così contemplativa ed è possibile che non ci sia più riuscito in seguito. Di fronte al Silenzio, Battiato usa poche parole molto semplici, o al limite le prende in prestito dalle Statue d'acqua di Fleur Jaeggy... ma stavolta tradotte in tedesco, forse per rinforzare una sensazione di Lied. In effetti ho dovuto controllare perché pensavo che l'aria del soprano fosse un prestito da qualche compositore, invece no, è di Battiato. Mica male però questo Battiato. L'oceano di silenzio è anche il momento in cui capisce che gli è possibile raggiungere certi livelli di intensità anche con la forma canzone, e spalanca la porta alla fase più mistica della sua produzione.
1991: Come un cammello in una grondaia (#76)
2001: Il potere del canto (#204)
2004: La porta dello spavento supremo (Battiato, Sgalambro, Wieck, #181)
Quello che c'è, ciò che verrà, ciò che siamo stati e comunque andrà, tutto si dissolverà. A questo punto i battiatomani più incalliti hanno già sentito Sgalambro cantare in Fun Club (e nel bonus di Campi magnetici), ma sentirlo intonare l'ultima canzone dei Dieci stratagemmi regala comunque un momento di sorpresa. È una canzone sul dissolversi ed è coerentemente fatta di poche cose, quasi inconsistenti, come gli ultimi ricordi di un terminale. Finalmente – anche grazie a Fleur Jaeggy, che presta le parole con lo pseudonimo di Carlotta Wieck – Battiato ci confessa quello che personalmente sospettavo, ovvero: la morte gli fa paura, altroché. Sarà uno "spavento supremo", anche per lui. Tutto quel meditare, tutto quel ragionarci – una delle sue ultime produzioni è stato un documentario sulla morte con interviste a monaci tibetani – tutto questo negare il concetto, "noi non siamo mai nati e non siamo mai morti", ecc., tutto questo non lo affrancava dallo spavento supremo. Questo un poco mi consola. Non saprei esattamente perché, ma mi consola.
29. Pieni gli alberghi a Tunisi
14-06-2022, 07:35Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con una canzone che è impossibile prendere sul serio, una canzone che fu la prima che i discografici presero sul serio, un'altra in cui Battiato non si prendeva sul serio, e una cover di Bridge Over Troubled Water, sul serio]
1968: Fumo di una sigaretta (Battiato/Logiri, #245)
1979: L'era del cinghiale bianco (#12)
In un percorso artistico così ricco di svolte improvvise, L'era del cinghiale bianco resta la pietra miliare più rilevante. C'è un prima e c'è un dopo. Questo potrebbe indurci perfino a sopravvalutarla, perché se è vero che Battiato non aveva mai cantato una canzone del genere, è anche vero che quello che farà da lì in poi non sarà necessariamente un prosieguo dell'Era, che viceversa resta un episodio abbastanza isolato, anche nel disco a cui dà il nome. Mentre l'idea di costruire una canzone su un fraseggio di violino (all'inizio era un esercizio che Giusto Pio aveva impartito al suo allievo Franco Battiato) non era affatto così peregrina: il 1979 era il periodo di massima popolarità di Angelo Branduardi (nello stesso anno esce Cogli la prima mela), mentre il violino di Lucio Fabbri si imprimeva indelebilmente nei classici di De André incisi dal vivo con la PFM. Aggiungi che da due anni le radio non cessavano di suonare Samarcanda e capisci che uscire con un fraseggio di violino pop, nel 1979, era una mossa perfino sfacciata. Questo non significa che l'Era non sia un'ottima canzone, che dal vivo Battiato non ha mai smesso di eseguire – ma l'affetto che proviamo non deve impedirci di vederne i difetti, ad esempio: poteva durare tranquillamente un minuto in meno. Quel che conquista a distanza di anni è la naturalezza con cui la chitarra di Radius dialoga col violino, la scioltezza del cambio di tempo – possiamo chiamarla new wave italiana, ma ci sono ancora tanti debiti col progressive. E soprattutto l'improvvisa eclissi del ritmo, quando comincia la strofa e FB riesce a evocare, con pochi versi, tutto un mondo equivoco e suggestivo.
2008: Bridge Over Troubled Water (Paul Simon, #140)
Sail on silver girl. Giunto al terzo volume dei suoi Fleurs, Battiato semplicemente canta quello che gli va di cantare, e se non vi piace pazienza. L'età sta allentando il pudore: basti pensare che se nel secondo volume non c'era una sola canzone in lingua inglese, ora ce ne sono tre, di cui almeno due mostri sacri. L'inglese di Battiato nel frattempo è un po' migliorato, ma non abbastanza da far passare liscia questa Bridge Over Troubled Water. Battiato vi si accosta con rispetto, ma è chiaro che non ha una particolare idea di come arrangiarla – del resto come si può migliorare la dinamica dell'arrangiamento originale, col canto che sembra cominciare sottovoce e gli strumenti che si aggiungono uno alla volta, e quel rullante riverberato che esplode? Battiato vuole solo cantarla, perché è una canzone che gli piace cantare. Forse si sente in debito: in fin dei conti, quando ha deciso di scrivere una canzone che sbancasse, gli è venuto qualcosa di concettualmente molto simile: ci sarò quando avrai bisogno, quando tutti gli amici mancheranno avrò cura di te.
28. Nei villaggi assolati e nei bassifondi dell'immensità
13-06-2022, 07:37Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi di poche parole: tre canzoni su quattro sono più o meno strumentali, e la quarta non l'ha scritta Battiato].
1974: I cancelli della memoria (#165)
Quando uscì, Clic era il disco più difficile di Battiato: e se in seguito avrebbe fatto cose ancora meno ascoltabili, rimane oggi un oggetto abbastanza impenetrabile. I cancelli è il brano iniziale, una lunga introduzione a No U Turn: Battiato si prende tutto il tempo che gli serve per creare un'atmosfera inquietante. Le nostalgie e gli incanti di Sulle corde di Aries sono completamente accantonati: se c'è davvero una memoria al di là dei cancelli, è possibile che faccia paura. Un breve accenno di pianoforte a una romanza di Bela Bartok viene interrotto dal sorgere del ritmo forsennato di un sequencer che ci fa sospettare che FB stia mixando una serie di piste che non hanno quasi niente in comune, alzando e abbassando i volumi con una logica che ci sfugge. C'è una chitarra e un pianoforte che si concedono brevi fraseggi, e a un certo punto arrivano colpi di tom tom in controtempo che fanno il rumore di grosse gocce d'acqua sul parabrezza. Il sequencer cala, poi anche le gocce si diradano, resta ancora qualche accordo di organo. Non avrebbe sfigurato in un film dell'orrore italiano del periodo.
1979: Luna indiana (#92)
Tre minuti incantevoli dall'Era del cinghiale bianco che di indiano hanno assai poco (il toponimo è un evidente depistaggio) e invece potrebbero essere infilati tra gli spartiti di un compositore romantico di sonate per il chiaro di luna. L'unico vago richiamo alla contemporaneità è la tastiera elettronica di Danilo Lorenzini, che dialoga col pianoforte di Michele Fedrigotti: per il resto Luna indiana è un cedimento alla melodia veramente inatteso da parte del musicista sperimentale Franco Battiato. Forse è la prima volta che FB incide una musica semplicemente perché è piacevole all'ascolto. Anche i suoi vocalizzi in un orientalese fasullo non riescono a turbare l'incanto, né a rilevare segni di ironia.
1988: Nomadi (Camisasca, #37)
Lungo il transito dell'apparente dualità. Quando Alice incise Nomadi, nel 1986, Juri Camisasca era già da quasi dieci anni in un monastero benedettino. L'anno successivo avrebbe ottenuto il permesso di uscirne temporaneamente per partecipare all'esecuzione della Genesi di Battiato, che lo voleva come voce narrante. Sempre nel 1987 Battiato sceglie di interpretare il brano per il suo primo album in lingua spagnola, che prenderà proprio il titolo di Nómadas. Il brano avrà un buon successo e segnerà l'inizio di una fortunata carriera ispanofona, per cui non è così strano che Battiato decida di inciderla anche in italiano su Fisiognomica. La sua Nómadas ricalcava nel ritornello il fraseggio vocale di Alice, per un pubblico spagnolo che non conoscendo Alice non avrebbe potuto fare il paragone: nella versione italiana Battiato lo accenna appena a mezza voce, lo dà per scontato. Rispetto alla versione spagnola i violini sembrano più alti degli interventi elettronici, non solo per differenziarsi dall'arrangiamento 'anni '80' di Alice ma per uniformare Nomadi al suono di Fisiognomica. E in più rispetto a Nómadas c'è l'assolo di chitarra del New Troll Ricky Belloni, che col suono di Fisiognomica davvero non ha molto a che vedere e in generale resta abbastanza sconcertante: una strizzata d'occhio ai trascorsi rock di Camisasca? Quest'ultimo nel 1988 lasciò il saio definitivamente.
2000: In Trance (#220)
I primi sette minuti di Campi magnetici mettono subito in chiaro che questo non è il solito Battiato. Archi sintetizzati, drum machine, cori etnici campionati, Sgalambro che recita sssibilando, gira tutto molto bene. E allo stesso tempo bisogna ammettere che questo suono così futurista non era affatto eccezionale per l'anno 2000: era l'elettronica 'intelligente' europea che si poteva sentire nei programmi radio di nicchia e nei club (dalle mie parti persino nei circoli Arci), e che divideva gli ascoltatori: da una parte chi la riteneva il suono nuovo dei tardi '90 e poi del Duemila; dall'altra chi non la trovava nemmeno così intelligente, voglio dire: tastiere, drum machine, voci campionate, non è che ci voglia un genio, metti un bambino davanti a un Macintosh con un software decente e qualcosa ti tira fuori, certo al primo tentativo non verrà fuori un Kruder & Dorfmeister, ma al terzo magari un Future Sound of London, chi lo sa. Non abbiamo mai fatto la prova. In compenso a un certo punto qualcuno ha fornito a un cinquantenne Franco Battiato un software decente, e il risultato desta ancora ammirazione. Questo forse dimostra la poliedricità, l'apertura mentale di FB. Oppure la relativa semplicità con cui si poteva produrre questa roba.
27. 'Ccu tuttu ca fora se mori
12-06-2022, 07:47Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con il brano che capisco di meno e quello che capisco di più]
1973: Il silenzio del rumore / 31 dicembre 1999 - ore 9 (#156)
Capire dove comincino e dove finiscano i brani di Pollution è un'impresa in cui credo abbia fallito lo stesso Battiato. Quando li ristampa per Ricordi, nella raccolta Feedback, taglia e cuce con molta disinvoltura. Anche su Spotify avevano cominciato a dividerli e poi a un certo punto hanno inserito una traccia di mezz'ora con tutto il disco, come dire: sbrogliatevi voi. Comunque Pollution inizia con un valzer di Strauss (Storielle del bosco viennese) che sembra registrato in un ristorante, tra rumori di piatti e posate, e FB che declama, con fare svagato "Il silenzio del rumore / Delle valvole a pressione / I cilindri del calore / Serbatoi di produzione / Anche il tuo spazio è su misura / Non hai forza per tentare / Di cambiare il tuo avvenire / Per paura di scoprire / Libertà che non vuoi avere / Ti sei mai chiesto / Quale funzione hai?". Poi parte un'intro per basso e synth che sembra suggerire un disco molto più duro del precedente (una violenza ancora piuttosto inaudita per il mercato discografico italiano), e infine un'esplosione che sarebbe già il secondo solco del disco, 31 dicembre 1999 - ore 9. Come dire: a che ora è la fine del mondo.
1975: Orient effects (#229)
Per quel che mi riguarda il brano più indecifrabile di Battiato, anche se la storia è spassosa. Deciso a suonare l'organo del duomo di Monreale, per vincere la diffidenza di un parroco, Battiato si fa presentare da Juri Camisasca e Gianfranco D'Adda come un musicista americano (di origini siciliane). Ottiene così il permesso di suonare e registrarsi, e ne approfitta per tre ore. Fantastico. Chissà che baccano è riuscito a fare in quelle tre ore. Non credo che la registrazione renda l'idea, voglio dire, gli organi suonano forte. Siamo in un periodo in cui Battiato si è stancato del suo modo di fare musica elettronica: nei concerti del periodo sconvolge le attese del pubblico (e parliamo di un pubblico che veniva per ascoltare il Battiato di Clic) improvvisando accordi dissonanti per ore. A Londra siccome è il primo a suonare in un festival (prima dei Tangerine Dream) lo scambiano per il tecnico del suono, dopo un po' lo cacciano a fischi. Orient effects non dev'essere molto lontano dal tipo di musica che sta facendo ma bisogna dire che se io lo trovo estremamente soporifero, altri battiatologi ci sentono tantissime cose. "In questi frammenti i ricordi si susseguono: torna il Franco bambino che si esercitava sull'organo della chiesa del paese, lo stupore, per la scoperta della musica, le domeniche in famiglia, i campi da calcio, le ripetizioni nel cortile, la voglia di restare e il desiderio di fuggire dalla terra natia. Tutto quello che Franco ha finora vissuto converge in questi dieci minuti..." Così Fabio Zuffanti (Franco Battiato, Arcana 2020). Io ci sento solo un po' di baccano. Mi dispiace.
1979: Stranizza d'amuri (#28)
Man manu ca passo li jonna sta frevi mi trasi int'all'ossa. D'accordo, ho fatto questa cosa scema di selezionare 256 canzoni di Franco Battiato e metterle l'una contro l'altra, ma se dipendesse da me, chi vincerebbe? Stranamente non ho dubbi.
Non li ho dall'anno scorso, quando ho scoperto che Battiato non c'era più e non sapevo come sentirmi. Allora ho preso tutti gli album che ho trovato su Spotify, dal più antico, e li ho ascoltati uno per uno senza interruzione. Molte cose le avevo dimenticate, altre mai ascoltate. Alcune belle sorprese, altre non mi hanno convinto nemmeno stavolta. Certo, quando dopo ore di sperimentalismi è cominciata L'era del cinghiale bianco, l'atmosfera è cambiata di colpo. E quando venti minuti dopo i mosconi ciabbulaunu, Tullio De Piscopo ha attaccato il vibrafono e mi sono messo a piangere. Non era previsto e non è spiegabile. Giorni dopo ho ricordato un vecchio quaderno di canzoni che portavo con me nella custodia della chitarra, canzoni che ero convinto che la gente avrebbe voluto sentire in corriera o attorno a un fuoco, e mi ricordo che ci avevo trascritto Stranizza d'amuri, basandomi unicamente sul mio orecchio e senza speranza di capirne il senso, con un simbolo diacritico inventato per l'occasione per dar conto della 't' palatale tipica della parlata siciliana. Non so quante volte sia realmente successo che io abbia suonato Stranizza in pubblico – sicuramente nessuno me la chiedeva, anche dopo averla sentita. Ma riesco ancora a suonare la linea di basso in 7/4. Stranizza è una canzone su due innamorati in tempo di guerra in cui forse Battiato intendeva far risuonare certe corde nostalgiche, ma come nei momenti migliori del Cinghiale bianco il salto di qualità è arrivato nello studio Radius con Julius Farmer al basso e De Piscopo alle percussioni (appena freschi di Faust'O) che ti inventano lì per lì senza strafare una new wave italiana: e allo stesso tempo è anche un brano profondamente battiatesco, già nell'aria ai tempi di Juke-box, costruito su un'allucinazione uditiva semplice ma di sicuro effetto che evoca un'ascesa infinita: un accordo ("Man manu ca passunu i jonna", un intervallo di quinta e quindi abbiamo la sensazione di salire ("sta frevi mi trasi 'nda ll'ossa"), un tono ancora più su ("'ccu tuttu ca fora c'è 'a guerra, mi sentu") e di nuovo un intervallo di quinta: ma a questo punto anche se siamo tornati all'accordo iniziale abbiamo la sensazione di aver salito una scala intera, e possiamo ricominciare da capo. L'allucinazione è favorita dall'ondulare degli archi, e dalle scale ascendenti tracciate dal basso. Il testo in dialetto si consente quel sentimentalismo che in italiano Battiato non poteva ancora permettersi. Probabilmente Battiato ha scritto canzoni migliori – sarebbe triste che nei 35 anni successivi di carriera non ci fosse riuscito. Ma Stranizza d'amuri è il mio campione.
1998: Auto da fé (Battiato/Sgalambro, #101)
A volte faccio un esame di coscienza, ripenso ai miei innamoramenti e mi rendo conto che dietro a tanti slanci c'era soprattutto un grande appetito sessuale che forse andrebbe soddisfatto senza coinvolgimenti sentimentali. Ecco. Questa cosa in sgalambrese suona: "Faccio un auto da fé dei miei innamoramenti / Voglio praticare il sesso senza sentimenti". Suona meglio? Beh, perlomeno è più svelto. Alla fine l'importante è comunicare. Sempre. Lo sgalambrese è un linguaggio che indulge al preziosismo verbale, ma se riesce a esprimere un concetto o una sensazione in breve tempo e con precisione, perché no? Altre volte a infastidire non è tanto il lessico forbito, quanto la sproporzione tra la presunta originalità delle parole e la banalità del concetto che vuole coprire, cioè qui Sgalambro sta dicendo a una tizia "non sei tu, sono io", ma passa attraverso locuzioni come "È sceso il buio nelle nostre coscienze e ha reso apocrifa la nostra relazione". Tutto questo lasciava perplessi anche ai tempi dell'Ombrello e la macchina a cucire, ma adesso c'è anche il problema che Battiato è in una delle sue fasi rock, anzi nella fase più rock in assoluto, in Gommalacca vuole le chitarre distorte e ritmiche come vanno in quel periodo (se ne occupano i Blu Vertigo) e questo crea un corto circuito che Battiato nemmeno prevede – come infilare il povero Sgalambro in una giacca di pelle e montarlo su una motocicletta – perché davvero se c'è un mondo che gli sfugge completamente è quello del machismo: questo lo rendeva un uomo migliore di quasi tutti noi ma forse gli impediva di capire che cantare "Voglio praticare il sesso senza sentimenti" su una base rock a cinquant'anni passati rischiava seriamente di suonare ridicolo.
26. Noi, provinciali dell'Orsa Minore
11-06-2022, 07:44Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con un sassofonista matto, violini zaratustriani nello spazio, Raimondo Vianello, Sandra Mondaini, Charles Aznavour, Dino Buzzati].
Stai ascoltando Sulle corde di Aries, il terzo difficile disco dell'artista avanguardista Franco Battiato che ultimamente ha cambiato immagine, rifiutando le mises fantascientifiche e provocatorie e cercando una musica diversa, meno dissonante e provocatoria e più evocativa. Proprio quando stavi pensando, beh, fantastica questa Sequenze e frequenze, ecco se devo trovarci un difetto, bisogna dire che non finisce davvero mai... ecco che finisce. Ma poi ricomincia, praticamente con gli stessi accordi, all'inizio del lato B. E proprio quando stai pensando: certo che questa musica ha qualcosa di particolare, è come se si fosse riconciliata con qualsiasi suono dell'universo, è come se fosse impossibile suonarci sopra qualcosa e stonare, davvero c'è qualche strumento che sta sparando note a caso da dieci minuti, in particolare su certe tastiere potrebbe esserci passato un gatto eppure tutto funziona, tutto si accorda, tutto è melodia... ecco, proprio quando stai cominciando a pensare a questo entra il sax e spacca tutto. Lo suona il sassofonista Gianni Bedori ma non è difficile capire perché nel disco si sia nascosto dietro lo pseudonimo di "Johnny Sax": all'inizio puoi ancora considerarlo un assolo jazz... certo, molto free jazz... veramente molto free... no vabbe' Johnny stai soffiando come un matto e pesti tasti a caso. È l'unico tratto realmente avanguardista di un disco che in linea di massima ha rinunciato a sconvolgere i suoi ascoltatori. Dopo aver composto Sequenze e frequenze, FB si è concesso anche il lusso di distruggerla.
1985: Via Lattea (#60)
Tum, cià, tu-tum, sh-cià. A risentirla, Via Lattea, è veramente un viaggio. La promessa di un viaggio. Già ai tempi la cornice fantascientifica di Mondi lontanissimi risultava un po' pretestuosa (nella mia memoria non riesco a separare questo disco di Battiato con Saturno in copertina dal primo best seller di Isaac Asimov, L'orlo della Fondazione, che uscì in Italia su Urania proprio in quell'estate). Battiato in fondo non faceva che utilizzare lo stesso espediente di David Bowie più di dieci anni prima: evocare spazio e stelle per parlare dei nostri mondi interiori. Ma Bowie stava sfruttando l'ondata delle missioni lunari e di Odissea nello Spazio; Battiato poteva al limite contare sui lettori di Asimov (che in quegli anni erano comunque una discreta legione) e sul pubblico della serie storica di Star Trek, che le emittenti private italiane stavano programmando con vent'anni di ritardo. Era un immaginario già anticato, che non avrebbe resistito ancora molti anni ai nuovi franchise d'oltreoceano, agli zombie e agli elfi. Era comunque un immaginario condiviso al punto che certi luoghi comuni erano persino scontati, ovvero forse Battiato orchestrando Via Lattea non si rendeva nemmeno conto di parodizzare Also Sprach Zarathustra: il fatto è che vent'anni dopo il film di Kubrick lo spazio ci ispirava ancora quel tipo di sviolinate all'unisono. Quel che sorprende ancora oggi di Via Lattea è il mix per niente banale di orchestrazione zarathustriana e suoni elettronici – questi ultimi dosati con molta attenzione, dopo la full immersion di Orizzonti perduti. Era un suono originale, con tanti contrasti dinamici che sono l'esatto contrario di quello che di solito ci aspettiamo dalla 'musica da meditazione', forse un po' magniloquente ma non è invecchiato male.
1999: Ed io tra di voi (testo italiano di Bardotti e Calabrese, musica di Charles Aznavour, #69)
È stata una magnifica serata. Sì, sì, una magnifica serata! No, Battiato questo finale non lo canta. E io qua sopra ho messo la sua versione, ma la tentazione di sostituirla con lo sketch di Vianello e Mondaini era fortissima – quello sketch è un capolavoro, è una farsa ma elegantissima, è fatto solo di sguardi e smorfie, fa ridere ma ci fa anche ascoltare una bella canzone. Piuttosto varrebbe la pena di domandarsi: perché una cosa che in Francia era talmente tipica da essere stereo-tipica, il lamento del maschio deluso, il triangolo amoroso visto dal vertice più patetico, in Italia quasi non esiste?, e anche se Aznavour cerca generosamente di importarla facendosi tradurre il testo in italiano, deve dimentare immediatamente una farsa? Moi dans mon coin, l'originale si chiama così, è anche un esempio di canzone teatrale come la intendono i francesi: una tragedia in tre minuti. Brel era il maestro di queste cose, ma anche Aznavour in questo caso ottiene un risultato incredibile con uno sforzo minimo (quando diceva "lui" voltava la testa a sinistra, quando diceva "tu" la voltava a destra, infine diceva "et moi" e abbassava appena appena lo sguardo sul proprio sfacelo interiore). Forse in Italia siamo troppo melodrammatici per apprezzare queste cose: anche ammettendo che da qualche parte esiste un uomo migliore, mica possiamo abbassare la testa eh no, dobbiamo urlare e pazziare, adesso siediti su quella seggiola ecc. ecc. Oppure, appunto, la buttiamo in farsa (scusami tanto se vuoi / signore chiedo scusa anche a lei). A Battiato la farsa non interessa e forse per questo motivo decide di recidere da questo fleur il finale parlato – che era il climax del numero di Aznavour, l'amarissima strizzata d'occhio con cui si congedava dai due amanti e dagli ascoltatori. Battiato non la sente nelle sue corde, la teatralità è una dimensione che non gli interessa. E dire che ha lavorato tanto con Gaber, eppure, mah, no, no, è comunque una magnifica versione di Moi dans mon coin. Sì, sì, una magnifica versione!
2004: Fortezza Bastiani (Battiato/Sgalambro, #197)
"Ho camminato girando a vuoto senza nessuna direzione. Mi tiene immobile nei limiti l'ossessione dell'io!" A volte una canzone senza volere descrive sé stessa. A volte anche Battiato girava a vuoto, e proprio intorno a sé stesso: per essere un negatore dell'Io, non è che abbia parlato di molto altro per tanti dischi e tanti anni. Fortezza Bastiani a un certo punto avrebbe dovuto dare il titolo all'album (che poi si chiamerà Dieci stratagemmi: nel caso sarebbe stato il secondo consecutivo dopo Ferro Battuto a condividere con l'artista le iniziali: FB. La fortezza del titolo, malgrado la suggestione buzzatiana, è Franco Battiato medesimo, che si vorrebbe inespugnabile ma poi si accorge di essersi rinchiuso con sé stesso. Tutto lo smarrimento metafisico del capolavoro di Buzzati – la vita come veglia in attesa di un senso, anche solo di un segnale – a Battiato (e Sgalambro) sfugge: non è di questo che volevano parlare.
25. In silenzio soffro i danni del tempo
10-06-2022, 07:31Battiato, la Gara, musicaPermalink1969: Occhi d'or (testo di Paolo Farnetti; musica di Federico Mompellio e Giorgio Logiri, #252)
Laggiù, tra deserti d'or, ho lasciato il cuor. La canzone più folle del Battiato anni '60 – l'unica che lascia presagire le follie dei decenni successivi. Per contro, nulla di quanto aveva fatto fino a quel momento poteva preparare l'incauto ascoltatore a Occhi d'or, infida già dal titolo – chi sospetterebbe mai voltando il 45 giri di una canzoncina orecchiabile come Bella ragazza di incappare sul lato B in una deriva psichedelica del genere, un kolossal in technicolor? È incredibile pensare che Battiato non ne abbia scritto né testo né musica – ma per metterci la faccia e la voce ci voleva comunque un certo coraggio. A questo punto della sua traiettoria, FB è un cantante di medio successo (unicamente grazie al singolo È l'amore) ma soprattutto un onesto artigiano della canzonetta: le scrive, riesce a piazzarle anche all'estero (Bella ragazza avrà una traduzione in inglese, in francese e fiammingo), collabora con Gaber, Maurizio Arcieri, Daniela Ghibli. È il momento in cui forse puoi cominciare ad allargarti un po', a mostrare quello che saresti in grado di fare se non fossi incatenato al formato dei tre minuti. Questo tipo di sperimentazioni erano ammesse soltanto sui lati B, e in Occhi d'or Battiato e il compare Logiri sembrano voler condensare in un solo lato B decine di esperimenti. C'è una varietà di strumenti mai sentita prima (un gong?), un orientalismo che è ancora posticcio ma col senno di poi sappiamo quanto sia anticipatore; il coraggio già progressive di cambiare completamente ritmo a due minuti dall'inizio; e poi, due minuti dopo, cambiare tutto di nuovo con una coda che è copiata di pacca da Hey Jude. Che viaggio.
1988: E ti vengo a cercare (#5)
"A Battia', te vole er Papa" (il funzionario EMI).
E ti vengo a cercare è il brano che ha messo d'accordo Giovanni Lindo Ferretti e Karol Wojtyla (che poi avrebbero scoperto tante altre affinità). Non so se mi sono spiegato: è il brano di Battiato che fu scelto dal rappresentante di un movimento oscurantista che cercava affannosamente un rilancio, una credibilità pop: e inoltre piaceva anche a Wojtyla, che convocò Battiato e orchestra per un concerto in Sala Nervi. Ben 12 anni prima del Giubileo, di Dylan e di Bocelli, Battiato forse fu il primo cantante a suonare per il Santo Padre e a trarne un'incredibile impressione ("le mie parole della canzone dedicata a Dio acquistarono una dimensione nuova, inaspettata... Fu come uno squarcio del cielo").
La fondamentale tripartizione descritta da Alberto Arbasino nella traiettoria degli italiani contemporanei illustri (brillante promessa / solito stronzo / venerato maestro) andrebbe applicata con molta parsimonia: anche nel caso di Battiato, che pure sembra così esemplare. Battiato era stato una promessa davvero brillante, almeno coi suoi primi dischi alla Ricordi: poi si era eclissato in un universo sonoro completamente alieno e ne era riemerso intorno al 1980, come un Solito Stronzo determinato a spremere le tasche di tutti i consumatori di dischi. Portava occhiali scuri, cantava di magici orienti e fini del mondo e non c'era da credere a una parola. Questo secondo periodo si trascina almeno fino al 1985, quando Battiato mette in giro la voce che vuole concentrarsi sulla musica colta. Come un eremita che rinuncia a sé. Non è vero, non riesce a concentrarsi, la sua Genesi la scrive ma un rapimento mistico e sensuale lo riporta a comporre canzonette e ad arrangiarle come si conviene perché si sentano in radio. A un certo punto decide di accettarsi per quello che è, un autore di canzonette seppur di prestigio, ed è la mutazione finale: sin dal primo ascolto di Fisiognomica, è chiaro a tutti che Battiato ha buttato via gli occhiali scuri e ci guarda negli occhi, ci parla col suo cuore, delle cose che gli premono: è diventato un Maestro, e la venerazione può cominciare. È andata così? Meglio diffidare. In fondo erano ancora gli anni Ottanta. Si può smettere di essere stronzi in così poco tempo? E se Ti vengo a cercare fosse invece il capolavoro di uno straordinario paraculo, un tizio che senza neanche credere in Gesù Cristo riesce a imbucarsi con un pezzo pop in Sala Nervi? E in un disco dei CSI? E in Palombella rossa?
Lui stesso in seguito ha ammesso che si trattava di una canzone "volutamente ambigua", dove la tensione religiosa è descritta con parole che possono adattarsi anche a un amore più profano. Del resto "per chi ama sono divini anche una donna e un uomo, a seconda dei casi". Questo magari avrebbe funzionato con molti acquirenti: ma per conquistare un Wojtyla ci voleva qualcosa di più, e quel qualcosa è la citazione finale dalla Passione secondo Giovanni di Bach – sono passati appena tre anni da quando Battiato profanava Mozart e Beethoven a scopo divertimento: se adesso cita 'seriamente' Bach, dobbiamo crederci? Non è la profanazione definitiva, ben più sottile e subdola: usare Bach per travestirsi da prete? Persino il videoclip ribadiva il concetto, fermando la camera proprio davanti all'ingresso di una chiesa: E ti vengo a cercare nel 1988 poteva benissimo essere presa per la storia di una conversione al cristianesimo che col senno del poi non c'è mai stata, Battiato probabilmente l'aveva scritta pensando al solito Gurdjieff o qualche altro maestro sufi o vattelapesca, ma voleva venderla ai cattolici, ed è riuscito a infinocchiarne il capo, altro che Venerato Maestro, questo è ancora lo Stronzo, e Ti vengo a cercare è il suo capolavoro. Anche perché non è riuscito a piazzarla solo in Vaticano, ma perfino nel film di Nanni Moretti, ovvero nella coscienza di tutto il ceto-medio-boomer-riflessivo-di-sinistra che negli anni a venire gli avrebbe comprato più dischi dei cattolici. Anche se per farlo serviva una strategia completamente diversa: ebbene FB la scoprì in quell'occasione, forse fortuitamente, alludendo a non meglio precisati "parassiti senza dignità" che lo spingevano solo "a essere migliore con più volontà", il manifesto dell'antiberlusconismo quando Berlusconi era ancora un simpatico proprietario di canali tv. Sullo scorcio del decennio che l'aveva incoronato profeta postmoderno, Battiato fiuta l'aria e molto prima di chiunque altro capisce che davvero stavolta non è più tempo di scherzare, la gente non vuole più ironie ma preghiere, vuole essere migliore, vuole maestri: e lui è già pronto. Con una canzone sola mette d'accordo Moretti, Ferretti e Wojtyla, davvero tutti, chi mancava? (io, per esempio, ma è un dettaglio).
2004: Le aquile non volano a stormi (testo di Manlio Sgalambro, musica di Yashima Kinimori, #133)
Salta su un cavallo alato prima che l'incostanza offuschi lo splendore. L'ascoltatore che avesse appena giudicato Le aquile non volano a stormi come una delle canzoni più orecchiabili di Dieci stratagemmi potrebbe rimanere deluso scoprendo che qui Battiato si è limitato a cantare il testo di Sgalambro su un brano di un duo giapponese di world music, gli Yoshida Kyōdai (吉田兄弟, conosciuti in occidente come Yoshida Brothers). Ma è proprio ascoltando il brano originale che risalta l'abilità di Battiato nel manipolarlo – son tutti bravi a remixare pezzi techno e persino rock, ma qui ha veramente preso un brano da BuddaBar, lo ha campionato, ci ha messo la drum machine e persino la chitarra elettrica, insomma lo ha stravolto e allo stesso tempo è riuscito a portarne alla luce l'ossatura sacra sotto tutta la patina new age. E se non è stato Battiato, bravo Pinaxa, bravi tutti. Il match lo vincerà E ti vengo a cercare, ma io oggi il mio voto lo do alle Aquile non votano a stormi, perché mi sento un po' aquila anch'io evidentemente. Certo, mi dispiace un po' per la pazza Occhi d'or, e forse persino per...
2008: Et maintenant (musica di Gilbert Bécaud, testo di Pierre Delanoë, #124)
24. E intanto la mia vita fugge in diagonale
09-06-2022, 07:10Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è La Gara, oggi con un brano che ha vinto il premio Stockhausen, un brano che è andato a Saint Vincent Estate '85, un brano scartato da Gommalacca che è diventato la pietra d'angolo di altri due dischi, e un brano in cui canta Jim Kerr, ma voi magari nemmeno sapete chi è Jim Kerr, voi vi siete scordati di lui, miscredenti].
1978: L'Egitto prima delle sabbie (#212)
Ed eccoci qua. Ho esitato a lungo prima di mettermi a scrivere ordinatamente di Battiato, perché? Perché per decenni interi ha fatto musica che non mi interessava? Niente che Spotify non possa curare in una settimana. Perché c'è già tanta gente che ne ha parlato? Tesoro, io ho scritto un libro pure sui Beatles. Perché ho in uggia i maestri di vita e la nostalgia per qualsiasi passato idealizzato o reale? Questo era un buon motivo per diffidare di Battiato, non per smettere di ascoltarlo. Perché ha passato anni a studiare pensatori di cui non so veramente nulla? Vabbe' c'è Wikipedia. No.
Quello che mi spaventava davvero non era Gurdijeff, non era Sgalambro. Era l'Egitto. Quello prima delle sabbie. Quello che Battiato ha sempre considerato il suo capolavoro, e per me, con tutti gli sforzi, è... una scala ripetuta per un quarto d'ora. Che cosa faccio? Fingo di aver capito il sottile gioco di pedali e riverberi? O la leggo come la solita provocazione – come se dopo aver esordito nel 1972 con un feto avvolto in una carta da forno Battiato nel 1978 avesse ancora tutta questa voglia e necessità di provocarmi? No, di fronte all'Egitto devo arrendermi. O al limite accettare che non è 'musica' come la intendo io. L'Egitto è parte di un esperimento che Battiato fa sul proprio corpo – in un periodo di relativo isolamento dalla scena musicale e dalla società in generale – le risonanze dovrebbero indurre un rilassamento muscolare ecc. ecc. ecc. io non mi fido nemmeno degli osteopati con i diplomi incorniciati figurati se do retta a un autodidatta che poi alla fine queste cose le sperimentava da pochi anni. L'Egitto, spiega Battiato, "riempie la stanza di purezza" – mi fa venire in mente una ragazza che conoscevo che non faceva in tempo a prendere un treno che suo marito pagava i maghi perché le purificassero la casa, non la vedo da tanti anni ma spero che lo abbia lasciato. Oppure senti questa: le cassette pulisci-testine, magari le avete usate anche voi, sembravano musicassette come le altre (proprio come L'Egitto da fuori sembra un disco come tanti altri, ha pure una bella copertina disegnata dal pianista, Antonio Ballista), ma se le inserivi nel deck non facevano nessun rumore: servivano soltanto a purificare la testina, ecco forse la pretesa di capire L'Egitto è simile a quella di capire la musicalità di una cassetta pulisci-testina, cioè è un'idea stupida, non è musica da ascoltare, sono frequenze da far risuonare a scopi purificatori. Va bene. Per me il vero pregio dell'Egitto è che Battiato non è andato oltre – il sospetto è che si fosse stancato pure lui.
1985: Risveglio di primavera (#45)
I'm a stranger in the night! Una delle esibizioni più folli di FB è senz'altro quella in playback a Saint Vincent Estate 1985. Travestito da garibaldino, Battiato canta Risveglio di primavera accompagnato dal duo che sta cercando di lanciare, gli A'sciara (uno fa le piroette con una chitarra, l'altro suona l'arpa celtica! Ci mette proprio il cuore malgrado evidentemente non ci sia nessun'arpa celtica nel brano, questo era normale negli Ottanta). A questo punto della sua traiettoria, Battiato è un maestro della canzone pop postmoderna: in quanto tale potrebbe essere tentato a ripetere qualche formula già collaudata, anche solo per vedere se continua a funzionare. Sul piano testuale Risveglio riprende l'idea di Radio Varsavia: inquadrare subito un preciso riferimento storico e geografico (in questo caso l'epopea garibaldina, vista con l'occhio mezzo chiuso di un isolano sospettoso dei "movimenti prevedibili delle truppe in finte battaglie") per poi scantonare raccontando tutt'altro, ad esempio a un certo punto stiamo vedendo i bacini delle ragazze ballare il flamenco, relativamente tranquille perché la locanda è chiusa agli spagnoli e quindi nessuno verrà a fare il purista. Sul piano musicale Risveglio è una Cuccurucucù rallentata, più ballabile, e un riff di tastiera non lontanissimo dalle cose che si potevano ascoltare in radio nell'estate del 1985. Una volta ho letto da qualche parte che i dischi più datati della storia della musica sono tutti del 1985. Doveva essere una recensione di Empire Burlesque, non riesco più a trovarla. Ci sono vari motivi – il trionfo della batteria riverberata anni Ottanta, delle tastiere Roland – e poi in effetti un certo elettropop era alla fine della sua spinta propulsiva. Lo stesso Battiato, se insisteva su certe formule, è anche perché con la testa era già altrove – magari sugli spartiti della Genesi. Anche Risveglio si ritrova affibbiato un accompagnamento orchestrale perfino ridondante. Non è che Battiato non si diverta ancora a fare queste cose (nel video restaurato potete vederlo ghignare sottecchi) ma ormai ha una gran voglia di svegliarsi.
1998: L'incantesimo (testo di Sgalambro, #84)
L'incantesimo di perdute esistenze che non saranno mai le speranze di presenze intorno a noi. Perché Sgalambro non è un gran poeta? Se ne potrebbe parlare a lungo ma insomma qui infila tre desinenze in -nze in tre versi, tanto varrebbe spezzare le unghie su una lavagna. Perché Battiato è uno straordinario interprete? Perché potreste ascoltare L'incantesimo una dozzina di volte – io oggi l'ho quasi fatto – senza farci nemmeno caso. Davvero, per notare la cacofonia ho dovuto leggere il testo sulla pagina. Battiato aveva il potere di trasformare in salmo qualsiasi scioglilingua.
Una regola del torneo è che ogni canzone partecipa solo una volta anche se ne esistono diverse versioni. Di solito non è difficile capire quale sia la versione principale, ma L'incantesimo è l'eccezione: compare per la prima volta in un demo accluso nel singolo del Ballo del potere, ovvero a quel punto si trattava di uno scarto di Gommalacca, di cui condivide una certa teologia negativa ("amo quello che non è"). Nella demo ci sono solo un paio di tastiere, la drum machine e la voce di Battiato – eppure la canzone è già completa: le tastiere diventeranno archi (sintetizzati?) nella versione live di Last Summer Dance (2005), ma senza aggiungere molto incanto all'incantesimo. Anche la versione di Inneres auge (2009) contiene variazioni minimali (si sente più la chitarra). Alla fine L'incantesimo risulta più ascoltata della maggior parte dei brani del disco da cui fu esclusa, e forse se lo merita.
2001: Running against the grain (testo di Sgalambro? #173)
Certo che se in quello stesso 1985 in cui ascoltavo la cassettina di Mondi lontanissimi qualcuno mi avesse detto: hai presente Jim Kerr? Quello che fa "Hey hey hey hey" all'inizio di quella che tu ultimamente consideri la più bella canzone di tutti i tempi? Lo sai che un giorno canterà un pezzo di Battiato, con Battiato? Io come avrei reagito? Forse avrei detto: wow. Ma si diceva "wow" nel 1985? E forse comunque non l'avrei detto, forse avrei presagito la delusione. Franco Battiato e Jim Kerr nella stessa canzone, sul serio, e poi cosa? Pavarotti e gli U2? Samantha Fox e Sabrina Salerno? I Doors ma col cantante dei Cult? Quindici anni dopo, sia Battiato che Jim Kerr si sono ritirati in Sicilia e probabilmente il secondo vende meno dischi del primo: in compenso è proprietario di un albergo a Taormina. È un periodo in cui se vivi in Sicilia e fai il cantante un featuring con Battiato ti tocca, anche perché probabilmente la gente mormora, com'è che vivi qui e non hai ancora fatto un featuring con Franco? Che c'è, non vi stimate? Battiato ne approfitta per produrre un brano introduttivo al nuovo disco molto più chitarroso del solito – forse ritiene che dopo l'exploit elettronico di Gommalacca sia ora di tornare su sonorità più rock e può darsi che nel 2001 non fosse un ragionamento sbagliato. Nei testi FB continua a rivendicare (con o senza Sgalambro) la sua orgogliosa natura di navigatore controcorrente, eppure Ferro Battuto dà l'impressione di un disco che per trovare un suono contemporaneo le prova tutte.
23. Potendo poi rinascere, cambierei molte cose
08-06-2022, 07:30Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, oggi con un requiem pasquale, un Lied su un animale, il suono primordiale, e intanto la musica muore].
1979: Pasqua etiope (#109)
Kyrie Leison, Christe Leison (non suona quasi Hare Krishna?) In cinquant'anni di carriera, Battiato ha toccato piuttosto raramente l'argomento cristianesimo, e l'ha fatto quasi esclusivamente attraverso il linguaggio musicale (arrivando a comporre una Messa arcaica). Le preghiere che gli capita di citare (qui il Requiem) sono sempre quelle dei riti pre-Concilio Vaticano II: in particolare un anno prima di Pasqua etiope aveva composto un Agnus per la colonna sonora del film di Brunelleschi che una volta rifiutata divenne Juke-Box. Pasqua etiope riprende in parte le atmosfere di quel disco strano: scale pianistiche a profusione, un senso di liturgia un po' improvvisata lì per lì da suonatori ispirati ma estemporanei. Ma mentre i brani di Juke-Box sono un'imperterrita sfida all'orecchio, Pasqua etiope scivola che è un piacere, cullando l'ascoltatore in uno stato di grazia che Battiato non si concedeva più dai tempi di Sequenze e Frequenze. Anche il titolo aggiunge qualcosa di mellifluo e pittoresco – è abbastanza improbabile che i sacerdoti copti etiopi preghino in latino, ma tutto sembra ambientato in un villaggio postmoderno (postatomico?) dove le liturgie dovranno essere ricostruite partendo da frammenti, detriti, suggestioni.
1985: L'animale (#20)
Fingere, tu riesci a fingere quando ti trovi accanto a me. Mi dai sempre ragione, e avrei voglia di dirti che è meglio che sto solo. A metà degli anni Ottanta Battiato è in piena mutazione: si è stancato di fare la popstar, vorrebbe diventare il compositore colto che da dieci anni sospetta di essere, e invece sta per scoprirsi cantautore – con un certo iniziale disappunto. Capita così che il suo disco più raccogliticcio, quasi una raccolta di canzoni sparse qua e là durante quegli anni frenetici, termini con un capolavoro imprevisto. Scritta forse per Giuni Russo (che la inciderà appena trent'anni più tardi), parzialmente sconfessata dal suo autore che ha sempre negato una lettura autobiografica ("è una canzone presa in prestito dall'esperienza di altre persone"), L'animale a ben vedere mette a fuoco lo stesso dilemma di Tra sesso e castità ma con una semplicità più perentoria, un lessico castigato e basilare – anche nella seconda strofa, quando tira in ballo i quattro elementi, non dice nulla che i profani non possano capire al volo: "dentro di me segni di fuoco, e l'acqua che li spegne". L'arrangiamento 'da camera' lo rende il primo vero Lied battiatesco, oltre che probabilmente il meglio riuscito. È un brano irresistibile anche perché, malgrado la lucidità della voce cantante e tutta la compassatezza orchestrale che lo circonda, alla fine quello che sembra avere l'ultima parola è proprio l'Animale. E l'Animale che mi porto dentro vuole te.
2000: Suoni primordiali (#237)
Suoni primordiali è il lento smorzarsi di Campi magnetici, il balletto composto da Battiato per il Maggio fiorentino. Suoni primordiali consta in dieci minuti di note che si attraggono e distraggono, finendo per smorzarsi come una galassia che collassa nell'infinità del nulla. Non ha nessuna speranza di passare il turno e ci si potrebbe domandare anche che ci fa in un torneo di "canzoni" di Franco Battiato: cosa rimane qui, della forma canzone? Lo stesso si potrebbe dire anche per i brani del periodo 1976-1978: che senso ha includerli? Non perché non siano interessanti da ascoltare, ma perché sono persino più lontani dall'idea di canzone di altri componimenti che sono stati esclusi: le opere (Genesi, Gilgamesh, Telesio), la Messa arcaica, le colonne sonore, e a proposito: perché Benedetto Cellini no e Juke Box sì? Per una volta ho una risposta semplice: ho incluso tutti i brani che nel sito ufficiale di Franco Battiato compaiono alla voce "discografia leggera". Cosa poi ci sia di leggero nell'Egitto prima delle sabbie o in Za non saprei dirlo. Quanto a Campi magnetici, è pur vero che certi brani potresti selezionarli in un contesto di chill out e nessuno protesterebbe – anzi magari verrebbero a chiederti da che playlist IDM l'hai tirata fuori. Ma non è il caso di Suoni primordiali, il suono di un dissolvimento prima del finale a sorpresa con la guest star che nessuno osava immaginare: Manlio Sgalambro in carne e ossa che canta La Mer di Trenet (ecco quello in gara non l'ho messa, almeno l'avesse cantata Battiato) (no, non dà fastidio, fa quasi tenerezza, ma in gara non l'ho messa lo stesso).
2008: La musica muore (Camisasca, #148)
Sono anni che non cambia niente: tutto è chiuso in un sacco a pelo. La musica muore è un fleur atipico, uno dei rari casi in cui Battiato decide di manipolare sensibilmente il testo della canzone che reinterpreta – certo, con la complicità dell'autore e vecchio amico Juri Camisasca che interviene a metà brano. La musica muore era un epico singolo del 1975 che sembrava dare voce a un senso di delusione per il ristagno della cultura giovanile e musicale in quegli anni – può sembrarci strano oggi, ripensando a che dischi fantastici continuavano a uscire, ma era analoga alla sensazione provata da Battiato durante il suo primo viaggio a New York: musica troppo forte e già sentita, pubblico assente, instupidito da sostanze. Ma Camisasca sembrava volerne fare anche una questione privata: la fine della musica era anche la fine della sua musica, tanto che la seconda strofa descriveva una crisi dell'ispirazione "Le mie note cercano una madre che le copra con un bianco velo. Scivolando sopra la mia fronte se ne stanno andando senza far rumore. La musica muore!" A Battiato questa crisi non interessa (così come non interessa l'andamento motownesco dell'originale, con gli archi usati nel modo più soul possibile): cancella strofa e ritornello, sostituendoli con un collage di citazioni che non hanno più l'immediatezza icastica di Cuccurucucù. Sembrano piuttosto le diapositive sbiadite di un boomer che si lamenta che la musica non è più quella di una volta, e il fatto che abbia ragione non lo rende meno fastidioso, anche perché insomma, nonno: "Degli Stones amavo Satisfaction e dei Doors Come on, baby, light my fire. Ascoltavo Penny Lane per ore ed ore..." che gusti originali, eh? L'arrangiamento è etereo e insolitamente didascalico: quando cantano "concerti" si sente un assolo di chitarra, quando l'acqua ritorna "nel sacco a pelo" risentiamo per un istante l'inconfondibile synth di Propiedad prohibida, come un'istantanea da Parco Lambro: quando dicono "stop", la musica si ferma. È comunque uno dei momenti più ispirati di Fleurs 2, con un ipnotico finale a base di sassofoni, ma che lascia l'amaro in bocca: dopo aver passato trent'anni a provare tutte le strade musicali possibili, Battiato cede a un attimo di disperazione e confessa che sì, forse qualcosa è davvero finito verso il 1972.
22. Guerriglia nella jungla, ma sotto un tetto di paglia amore mio
07-06-2022, 07:38Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, oggi con una canzone sulla fine del mondo, una canzone sull'esistenza di Dio, una canzone sul perduto amore, una canzone su quanto sia tutto vanità]
1982: Clamori (#52)
Il mondo è piccolo, il mondo è grande, e avrei bisogno di tonnellate di idrogeno. Quante volte di fronte a un verso ci siamo detti: puro Battiato. E quante volte ci sbagliavamo, ad esempio in questo caso l'autore è Henri Thomasson maestro gurdjeffiano di Battiato, sotto il bello pseudonimo di Tommaso Tramonti, più che appropriato dal momento che è di tramonto della civiltà che intende parlare. Nell'Arca di Noè è il paroliere di Clamori è l'Esodo, due 'puri Battiato'. Questo in parte potrebbe essere dovuto agli interventi condotti da FB sul testo originale (che nel caso delle Aquile rappresentano come abbiamo visto una completa riscrittura, per cui l'attribuzione a Fleur Jaeggy è più una dedica che uno scarico di responsabilità), in parte al fatto che lo 'stile Battiato' si presta molto bene a essere imitato (e parodizzato): ma in questo caso anche al fatto che Thomasson e Battiato parlano davvero la stessa lingua, che non è esattamente la nostra. Come l'Esodo, anche Clamori è un'apocalisse, ma il mood è molto diverso: niente più scene di massa, ma una languida devastazione capillare, che ci coinvolge tutti e parte dall'infinitamente piccolo. Siamo infestati di ragnatele, siamo infangati di cifre. I "computers" sono minuscoli, le mosche sono giganti e "sputano dati, dando il totale sui disoccupati". La fine sarà lunga e languida, come il marcire del frutto sull'albero. Clamori prosegue sul ritmo ipnotico e rallentato di Radio Varsavia, sfruttando molto astutamente la dinamica tra il ritmo in sottofondo e strumenti che compaiano e scompaiono all'improvviso, come lampi di luce o clamori, appunto, nel mondo moribondo. L'arca di Noè, che disco incredibile.
1995: L'esistenza di Dio (testo di Manlio Sgalambro, #205)
Ecco no guardate: un po' più sotto, qui vedrete esattamente com'è fatto Dio. Verso la fine, L'ombrello e la macchina da cucire comincia a mostrare una certa stanchezza: Battiato finisce le musiche e comincia a prenderle in prestito (qui dalla colonna sonora di Latcho Drom) ma non è completamente colpa sua. Lui aveva sempre inciso dischi compatti e molto brevi: mezz'ora e poco più. Questo non era ritenuto affatto un difetto, fino alla fine degli anni Ottanta, quando il supporto principale diventa il CD che i discografici decidono di apprezzare dell'80%. All'inizio sembrava una scelta dissennata, ma col senno del poi probabilmente sapevano che i supporti digitali avevano gli anni contati e stavano spremendo la vacca finché grassa. Ma Battiato in tutto questo? Battiato di tutto questo poteva anche non essersene accorto – nei primi '90 dà la sensazione di vivere sostanzialmente in un bel mondo di fatti suoi. Ha un suo prodotto, ha un pubblico che lo segue in qualsiasi svolta improvvisa, e continua a incidere dischi di mezz'ora. L'esigenza di rimpolpare un po' il contenuto per far sì che non sembri un furto all'acquirente si fa strada, se si fa strada, solo nel 1995 appunto con L'ombrello, che poi sarà l'ultimo disco in studio per la EMI. Nei dischi successivi Battiato comincerà a usare gli ultimi minuti dei CD per concedersi esperimenti e divagazioni che a volte diventano la cosa più interessante del prodotto. Nell'Ombrello invece prevale una sensazione di allungamento di brodo – prima Battiato declama su base tzigana una poesia di Sgalambro sulla vanità dei teologi che a rileggerla non è nemmeno così male, ma cantandola Battiato non riesce a segnalarne l'ironia. Restano ancora quattro minuti e FB sceglie di riempirli con un brano del Trattato dell'empietà di Sgalambro – salvo che per farlo risuonare più Filosofo li fa recitare a Helena Janeczek in tedesco, la lingua che più spesso nella produzione battiatesca segnala la Pretesa Culturale. No, sul serio, se uno non è fluente in tedesco perché dovrebbe fermarsi ad ascoltare una giaculatoria incomprensibile? La vera esperienza intellettuale è che in qualsiasi momento puoi decidere che tutto questo è insopportabilmente inutile, premere stop e mandare FB e Sgalambro a quel paese.
2002: Perduto amore (De Lorenzo, Adamo, #77)
A questo punto sono a un terzo del primo turno, di Fleurs ne ho già ascoltati una dozzina, me ne restano venti, che faccio? Mi gioco Proust?
Mi gioco Proust. "Un certo ritornello insopportabile, che ogni orecchio ben nato e ben educato rifiuta all'istante di ascoltare, ha accolto in sé il tesoro di migliaia di anime, conserva il segreto di migliaia di vite, di cui fu la viva l'ispirazione, la consolazione sempre pronta, sempre aperta sul leggio del pianoforte, la grazia sognante e l'ideale. Certi arpeggi, una certa "ripresa" han fatto risuonare nell'anima di più di un innamorato o di un sognatore le armonie del paradiso o la voce stessa dell'amata..." Sì, certo, e non c'è bisogno di sottolineare quanto dev'essere stata importante questa canzone nemmeno così insopportabile di Adamo per Battiato, che appena è riuscito a fare un film autobiografico l'ha chiamato proprio Perdutoamor. È triste perciò constatare come la sua Perduto amore sia uno dei fleurs meno riusciti – quello che più esibisce i limiti del procedimento. Dopo essersi salvato per un disco intero dall'effetto karaoke, all'inizio del secondo Battiato ci casca in pieno: cos'è andato storto? È un problema del materiale di partenza? In effetti Perduto amore era una ballata piuttosto convenzionale, già un po' datata quando uscì (era il 1963, ma come a tutti gli italiani all'estero, al belga Salvatore Adamo il mercato chiedeva di interpretare un determinato stereotipo). Colpisce il fatto che Battiato, che nel primo disco ha saputo spogliare qualsiasi canzone della retorica inutile (arrivando a de-barocchizzare le canzoni di De Andrè), qui si lasci tentare dall'opzione opposta e trasformi un banale arpeggio di chitarra in una partitura per archi, appoggiati su una ritmica contemporanea e piuttosto convenzionale – base di karaoke, appunto.
2007: Io chi sono? (testo di Manlio Sgalambro, #180)
E siamo qui, ancora vivi, di nuovo qui, da tempo immemorabile. Qui non si impara niente: sempre gli stessi errori, inevitabilmente gli stessi orrori. Parlando d'altro, a voi piace il Qohelet? L'Ecclesiaste, intendo? A me sì, lo considero un capolavoro della letteratura mondiale, e una cosa che mi piace particolarmente del Qohelet è che è breve: dieci paginette di Bibbia. Dal momento che tutto è vanità, perché sprecarne di più? Chiunque l'abbia scritto, ci ha condensato tutto quello che aveva imparato in una vita di esperienze. Battiato per contro aveva questo problema, che ogni due o tre anni un disco doveva pur farlo e quindi le sue meditazioni sulla vacuità del tutto oltre un certo limite possono risultarci ripetitive, proprio perché alla fine se siamo qui e non impariamo niente è fatale che dopo un po' ci parliamo addosso a vuoto (con o senza Sgalambro). Questa sensazione di ridondanza è probabilmente un errore di prospettiva: magari anche il Qohelet all'inizio era una valigia di dodici papiri (mi piace pensare che sia il sequel del Cantico dei Cantici, la ragazza nigra sed formosa nel frattempo ha allattato dodici figli, tre son morti bambini, altri sei in guerra, due non gli rivolgono la parola, tutto è vanità), magari tra mille anni di Franco Battiato non resisteranno che cinque o sei canzoni e se una fosse Io chi sono, non risulterebbe estremamente profonda? Spero che nel caso resista la versione del Vuoto, ancora un po' elettronica, e non quella più disadorna incisa per la raccolta Le nostre anime (2015).