Martiri della sintassi

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La scuola che non c'è
(e la riforma che nemmeno)

Criticare la riforma del ministro Gelmini non è facile, per me, per due motivi.

Il primo è che non esiste. Tutto quel che esiste, per ora, è una necessità di risparmiare soldi, tanti soldi, per cui si prova a levare un pomeriggio qui, un maestro qua, un bidello lì, un anno là, senza neanche più preoccuparsi di fornire spiegazioni che sappiano vagamente di pedagogia, o di buon senso. Più che una riforma è un pignoramento. Faccio un esempio piccolo, uno fra tanti: dopo aver rispolverato a giugno le tre I, tra cui Internet, a settembre ci ha annunciato la scomparsa di Educazione Tecnica. La notizia non turberà chi come me in tre anni è mai riuscito a completare una sola assonometria cavaliera; resta il fatto che per molte classi l'ora di "Tecnologia" era l'unica occasione di toccare un computer da vicino. E la I di internet? Irreperibile. E i prof di tecnologia? Verranno immessi nella graduatoria dei prof di matematica. Avete capito bene. Passeranno in blocco davanti a laureati in matematica più giovani, col cervello più fresco, molti dei quali avranno un motivo in più per abbandonare la professione. Ma non avevamo i peggiori risultati europei in matematica? Sì, qualcosa del genere. E allora? E allora niente, il punto non è mica migliorare il livello dei nostri studenti; il punto è risparmiare tot-mila cattedre, e tanto peggio se la scuola pubblica si sfascia, tanto è la bad company: chi se lo potrà permettere manderà il figlio dai preti. Tanto più che è probabile che sforbiciando qua e là la Gelmini riesca anche a preservare qualche buono scuola per lorsignori. Amen, dopo tutto hanno vinto.

Il secondo motivo per cui almeno io fatico a criticare la Gelmini è che non ho, a differenza d'altri, un modello di scuola ideale, da contrapporre a questo sfacelo. Anzi, a volte mi capita di fissare lo sfacelo con occhi rapiti, perché anche in mezzo alle rovine c'è sempre da cogliere qualche opportunità. Insomma, sì, la scuola crolla, ma non è che fosse poi granché. Per molti – mi rendo conto – non è così.
Spesso si tratta di persone che a scuola non ci lavorano. Magari ci accompagnano i figli, sgommando via il prima possibile. La scuola che conoscono loro, per farla breve, è la scuola della loro infanzia e adolescenza. E quindi è la scuola più bella del mondo, esattamente come la mia compagna di banco dai capelli lunghi era la ragazza più bella del mondo, e nessuna foto scattata in seguito potrà convincermi del contrario. Di solito è gente che ha fatto il liceo. E guai se glielo tocchi, il liceo. Insomma, quelli che si ritagliano i fondi di Francesco Merlo. Ma voi ci arrivate mai, in fondo a quel che scrive Merlo?

La Gelmini ha proposto di ridurre il quinquennio di liceo a un quadriennio. Perché? C'è dietro una teoria educativa? No, dietro c'è solo Tremonti con la calcolatrice che scuote la testa ("Di più, Mariastella, tagliami di più"). In questo modo però finisce per scandalizzare Francesco Merlo, che dalle colonne di Repubblica di ieri prorompe in un severo monito: "Stia attenta la Gelmini a toccare il meglio dell'Italia e della sua memoria, la nostra eccellenza, il modello nazionale per il quale ancora, ogni tanto, ci distinguiamo nel mondo". Eh? Stiamo parlando della stessa cosa? Il liceo italiano? Il meglio dell'Italia? La nostra distinzione nel mondo?

A Merlo basterebbe dare un'occhiata all'archivio del suo giornale, per trovare qualche statistica che non piazza il diplomato italiano tra i migliori del mondo, anzi. Se abbiamo mai avuto un'eccellenza, in Italia, forse è stato nel campo delle elementari e delle scuole dell'infanzia. Il che ci dovrebbe far pensare: se i nostri figli frequentano scuole elementari tra le migliori del mondo, e otto anni dopo si diplomano con un bagaglio di competenze tra i più scarsi, dov'è l'intoppo? La scuola media avrà la sua parte di responsabilità: ma anche il liceo. Se in questi anni gli ordinamenti del liceo sono stati più volte stravolti, non è stato soltanto per la superbia dei ministri riformatori. La verità è che il liceo gentiliano non è credibile più da un pezzo; che per iscriversi a un classico che ti insegna il Greco per cinque anni e l'inglese per tre bisogna essere masochisti; che se non fossero arrivate le (brutte) riforme ministeriali, ci avrebbero pensato le scuole a rinnovarsi da sole, in autonomia; nella mia piccola città stava succedendo già negli anni Ottanta.

Mi rendo conto che questo sia duro da mandare giù per Merlo, come per Citati e per tutti quei tromboni che parlano di scuola senza averne vista una da decenni. Come reagiresti se ti dicessero che la tua giovinezza è stata una finzione? Che la tua pregiatissima scuola non valeva un granché, e nel mondo nessuno la considera un modello interessante? Impossibile. Se non fosse stata una buona scuola, oggi Citati o Merlo non riuscirebbero a scrivere gli eleganti editoriali che tutto il mondo invidia, autentici capolavori di stile. A dimostrazione di ciò accludo la frase che vince il Trofeo Sintassi Involuta 2008 (albo d'oro: 2002, Umberto Galimberti; 2004, Gianni Letta).

E poi, andiamo!, avvocato Gelmini: l'adulto italiano che ripensa al liceo non si ferma alle manifestazioni, alle occupazioni e al 6 politico, ma si abbandona al ricordo della scoperta dei libri, della capacità di resuscitare i morti, dell'universo pieno di miti e di simboli, di quei professori ai quali i maestri che lei umilia devono per esempio l'ironia e l'arguzia di vedere in lei non il nemico di classe, ma la linguaccia lunga di Santippe che, surrogando il linguaggio intelligente, importuna Socrate e infastidisce la decenza (anche se per la verità si sospetta che Socrate si sia convinto a bere la cicuta proprio per liberarsi dalle angherie di Santippe).

Ci sono errori, qui? Non proprio: però c'è tutto quel barocchismo sintattico che rende i nostri giornalisti e professori i più parolai, e i nostri libri e giornali i meno letti del mondo. Sul serio, cos'hanno fatto di male i lettori italiani, per ritrovarsi davanti periodi sintattici di 550 battute? Davvero dobbiamo tutti pagare perché un prof rincoglionito apprezzava le lunghe frasi contorte con cui il giovane Merlo riusciva ad arrivare in fondo al foglio protocollo? Il tutto per dire cosa, che la Gelmini non è il nemico di classe ma Santippe? Come dire Abbasso Marx, viva la versioncina di greco col filosofo e la moglie antipatica? Massì, non c'è niente come le lunghe ore pomeridiane trascorse a sfogliare dizionari per tradurre storielline: è così che si è formata la classe dirigente che il mondo c'invidia, che ha portato l'Italia ai vertici da cui il resto del mondo sbigottito la osserva. Pensate, se ci sfasciassero il liceo, Merlo potrebbe essere l'ultimo editorialista al mondo a scrivere cose come "Brunetta che sogna l'ipercinesi mercuriale del colore aragosta o del blu elettrico" o "abbiamo imparato ad usare la gobba di Leopardi contro quella di Andreotti" e tutte quelle scemenze che da anni piazza nella seconda metà del fondo, nella speranza che qualcuno arrivi fin lì.
Ma non ci arriva mai nessuno. Neanche il suo vecchio prof, probabilmente: lui leggeva le prime venti righe e passava oltre. Va bene Merlo, sei da otto, lo sappiamo.
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