lo Stato macchia

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Voi da quand'è che non date un occhio alla vostra carta d'identità? Io l'ho riaperta ieri, perché tra un po' mi scade, e mi sono accorto per l'ennesima volta di questo fatto strano: manca l'impronta.

In realtà i fatti sono due, non si sa bene quale più strano: sulla mia carta d'identità (probabilmente anche sulla vostra) c'è lo spazio per “l'impronta del dito indice sinistro”). C'è sempre stata, quella casella, sin da quando ero ragazzino. Ma la mia impronta no. Nessuno me l'ha mai chiesta – ci mancherebbe altro! Però lo spazio c'è. È un bel mistero, se ci pensate.

Ora mi chiedo, e chiedo a voi: esiste davvero una norma di legge che prevede che il documento di identità sia contrassegnato con la mia impronta? E se esiste, perché è universalmente disatteso? Sono quelle piccole stranezze italiane – come i limiti dei 50 lungo i boulevard suburbani che nessuno riesce a rispettare, nemmeno tua mamma che non sa trovare l'acceleratore, e quindi tu cresci con l'idea che l'intero codice della strada sia un cumulo di norme fuori dal mondo e inapplicabili (in Francia mettono i 70 e così i bambini imparano il rispetto). Allo stesso modo: devo aver paura di una Repvbblica italiana che mi chiede l'impronta? Ma me la chiede solo per finta, dai. Però magari domani vado in anagrafe e mi chiedono di timbrare col dito, perché la legge dice così anche se per anni si erano tutti distratti. Sarebbe, tra l'altro, un messaggio di uguaglianza: lo Stato non scheda solo gli zingari e gli extracomunitari, ma c'incasella tutti. E poi, già che c'è, potrebbe riconoscere a tutti il diritto di lavoro, di studio e di voto... a quel punto, se il prezzo da pagare fosse imbrattarsi un dito, forse premerei. Ma so che molti di voi non lo farebbero mai, anche se non mi è ben chiaro il perché. A voi è chiaro?

Il fatto è che l'impronta è una specie di tabù. Si associa immediatamente al crimine, ed è intrinsecamente sporca: quest'immagine dell'energumeno che prende il ditino della povera zingarella è davvero una specie di cartolina del Quarto Reich. Anche se a mente fredda devi ammettere che sporcare un dito non è la cosa più brutta che puoi fare a un bambino: per esempio, puoi farlo crescere come un piccolo apolide in balia della famiglia o del clan. Puoi evitare di contaggiarlo, ogni volta che provvedi alla distribuzione di scuole, case, lavoro. Puoi non invitarlo a votare per la repubblica in cui è nato e cresciuto. Puoi lasciarlo in un sottobosco culturale dove si diventa mamme a 15 anni e anziane a 35. Se fai tutte queste cose sei uno Stato Distratto, ma se poi una mattina ti presenti coi tamponi e l'inchiostro, diventi uno Stato Poliziesco, e Famiglia Cristiana s'indigna.

Potrei andare avanti ancora per molte righe a descrivere un mio istintivo fastidio per le impronte che non riesce a tradursi in una proposta alternativa, ma non serve a niente. In realtà questo non è il pezzo di oggi. Il pezzo di oggi era un racconto in cui un gruppo di ragazzini che vivono in una polinesia mediterranea del futuro devono oltrepassare l'ultima prova per diventare uomini, e la prova è tenere per pochi istanti i palmi delle mani in un calderone di acido, onde sfigurare le impronte – e il Sommo Sacerdote spiega che la cerimonia si fa in onore di Mosè, che durante il diluvio guidò il popolo di Dio lontano dalle grinfie del Re-Bobo che pretendeva le impronte di tutti i bambini, ma non sono riuscito a scriverlo perché mi è venuto il mal di testa, forse è il temporale.
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