pensierini su Dio

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0. (Retorica)

0,1. Due settimane fa ho scritto un pezzo che alla luce della recentissima polemica sugli slogan della Uaar (“Dio non c'è”, con tutte le varianti) riassumeva il mio punto di vista sul concetto di Dio e di religione. Come se fosse possibile farlo in trecento parole e in mezz'ora.

0,11. Le reazioni scatenate dal pezzo mi hanno stupito: va bene che eravamo tutti nervosi per Gaza, ma una forumizzazione del genere non me la ricordavo da anni. Rileggendomi, ho capito che parte della responsabilità era mia, e del tono sbarazzino in cui pretendo di spiegare l'universo in pochi minuti. Soprattutto ho notato che il pezzo era costruito in modo da infastidire sia chi credeva in Dio che non ci credeva. Un capolavoro di spocchia, insomma.

0,111. Con questo non intendo chiedere scusa. Vedrete che riuscirò spocchioso anche stavolta.

0,112. Eppure i ragionamenti che seguono, anche se assumono (per amor di chiarezza) la forma di un trattato, si avvicinano alla filosofia tanto quanto il ritratto che vostro figlio vi ha fatto a tre anni coi pennarelli carioca si accosta alla Monna Lisa. Sono pensierini su Dio, niente di più, niente di meno.

0,2. Detto questo, su cento e più commentatori non mi pare di aver letto un solo credente arrabbiato. Ho definito la religione uno stupefacente, un palliativo, un precipitato della miseria, e nessuno se l'è presa. Gli atei invece si sono infiammati. Questo è piuttosto curioso: non dovrebbe essere il contrario? Non dovrebbero essere gli atei sereni e razionalisti, e i credenti entusiasti e zelanti?

0,21. Me la sono spiegata così: al giorno d'oggi i credenti sono abituati a vivere la loro fede in un clima di scetticismo generale. Un tale che su un blog ritira fuori la storia ottocentesca dell'oppio dei popoli non li impensierisce più di tanto: sorridono e cliccano via.

0,22. Per contro gli atei (perlomeno gli atei che se la sono presa con me) dimostrano di non essere altrettanto abituati al contraddittorio. Quasi avessero sempre pensato che la proposizione “Dio non c'è” fosse autoevidente; insomma è ovvio che Dio non c'è, no? Appena qualcuno gli fa notare che no, non è affatto evidente, s'innervosiscono: soprattutto quando vedono rivolte contro di loro le armi della ragione e della logica, che essi credevano di loro esclusiva proprietà – anche se poi alla fine non le avevano mai usate, limitandosi ad accomodarsi sullo scetticismo della loro famiglia-ideologia-milieu culturale senza metterne mai in dubbio la consistenza.

0,221. (In generale, dubita sempre di chi sostiene “Ho capito subito che Dio non esisteva”, e in particolare di quelli che lo hanno capito alle elementari. Significa che non hanno mai messo in discussione le conclusioni che hanno raggiunto alle elementari. La loro interrogazione su Dio si è fermata al mattino in cui hanno capito che la suora raccontava una storiella. E quelli che in Dio ci credono, o che ne discutono e ne ammettono la possibilità? Dovrebbero essere tutti più deficienti di loro a nove anni – e poi lo spocchioso sarei io).


1. Antropologia

1,1. Prima di affermare che sia possibile fare a meno di Dio, considerate per quanti millenni non ci siamo riusciti. Erano tutti stupidi fino a qualche secolo fa?
1,2. Per favore, non trasformate la religione in un complotto ordito da malvagi Uomini Neri per scongiurare il pericolo che ci godessimo la vita. La vita è poi così godibile? Si nasce nel dolore, si annaffia di sangue e sudore la terra, ci si ammala e si muore. Questo molto prima che gli Uomini Neri escogitassero qualsiasi diabolico piano.
1,3. Prima delle religioni esistevano già riti magici. Prima dei riti, probabilmente esistevano dei tabù. Prima dei tabù? Non so, ma sospetto che esistesse una paura fottuta. Paura dei morti, paura della malattia, paura degli istinti poco controllabili (violenza, sessualità). I tabù intervengono proprio in questi campi: rimediano alla paura dei morti attraverso la pratica della sepoltura, proibiscono l'incesto, stabiliscono cosa è commestibile e cosa è impuro, ecc.
1,4. Le religioni arrivano un po' più tardi, come tentativi di rielaborazione narrativa o addirittura razionale dei tabù.
1,5. Le religioni non sono per sempre, come le specie animali. Ogni tanto cambia il clima e la razza che sembrava invincibile si estingue o si evolve. Allo stesso modo anche ciò che sembrava verosimile sul piano narrativo smette improvvisamente di esserlo; ciò che sembrava razionale (ragionevole) non lo è più: la gente smette di credere. A quel punto o spunta qualche nuovo riformatore in grado di ri-narrare o ri-razionalizzare tutto quanto, oppure la religione viene progressivamente soppiantata da qualcos'altro (che non è necessariamente migliore; ma è più adatto al clima del momento).
1,6. Ma i tabù? Quelli restano. Anche se avete deciso di fare a meno di Dio, non credo che siate disposti a discutere sull'incesto o l'opportunità di trasformare i cimiteri in lotti edificabili. Perché quelli sono tabù tuttora validi, e se andassimo a scoprirli ci accorgeremmo che sotto c'è ancora la fottuta paura sperimentata dai nostri antenati. E' ancora lì, e la ragione può coprirla, ma non rimuoverla.
1,7. Se mi dite che riuscite a vivere benissimo senza Dio, io vi credo. Se sostenete di non aver paura della morte, o dei morti, non vi credo più.
1,8. E' ingiusto accusare la religione (una religione o più religioni) di aver reso complicato o ansiogeno il rapporto tra l'uomo e la morte, o tra l'uomo e la sessualità. Questa idea per cui basterebbe togliere dalla faccia della terra i preti per trasformarci in allegri bonobo scoperecci e immemori del notro destino mortale. Noi non siamo bonobo, siamo sapiens: a un certo punto siamo scesi dagli alberi e abbiamo iniziato a seppellire i nostri padri morti per evitare che ci visitassero nei sogni. La religione non è il Male: la religione è stata una cura. Una delle tante. Ditemi che non è più la cura più adatta, ditemi che molto spesso complica il male invece di guarirlo; ditemi che provoca dipendenza e assuefazione; ditemi tutto questo e vi dirò ragione; ma non ditemi che senza la cura non esisterebbe più il Male.
1,9. Pensateci due volte, prima di partire lancia in resta contro i monoteismi millenari. Voi pensate che l'alternativa sia un ateismo stoico, lo so. Ma io credo che i monoteismi, ritirandosi, lasceranno un sacco di spazio all'Oroscopo, che è la vera mala pianta. Quei paganesimi light che non impegnano, quelle superstizioni che si arrampicano anche tra le celle dei cervelli più seri e quadrati. Gli idoli. Io credo che Mosè e Maometto (due persone non simpatiche) distruggendoli ci abbiano fatto un dono incalcolabile.
1,99. Tutto il discorso fin qui vale che Dio esista o no.


2. Linguistica

2,01. Ma insomma, alla fine Dio c'è o no? Non si sa.

2,1. In realtà dipende da cosa si intende con “Dio”. E quindi accantoniamo scienza teologia e filosofia: Dio è prima di tutto un problema linguistico. Un falso problema, in effetti.

2,2. Infatti, cosa intendiamo con “Dio”? Quello della Bibbia? Riduttivo Quello di tutti i libri sacri del mondo? Restano fuori ancora molti pagani e teisti.

2,3. Mettiamoci d'accordo alla svelta. Definisco Dio come “Intelligenza onnipotente”. Le sue caratteristiche per la verità dovrebbero essere molte altre (onnipresente, creatore, ecc.), ma direi che le due che ho scelto le sintetizzano: quando pensiamo a Dio pensiamo a un'entità che può tutto se lo vuole, e quindi è dotata di potenza e volontà, e quindi coscienza.

2,4. Quindi la domanda “Dio c'è” andrebbe intesa come: “Esiste nell'universo un'intelligenza onnipotente?”

2,5. Beh, è una domanda retorica. Contiene in sé la sua risposta, che è: “come diavolo faccio a saperlo?” Se è onnipotente può tutto, e quindi potrebbe senz'altro nascondersi alle mie facoltà logiche, alle mie osservazioni scientifiche, alle mie speculazioni filosofiche. A meno che io non sia in grado di capire Tutto – ma in quel caso Dio comunque c'è, sono io.

2,6. Non è necessario nemmeno che voglia nascondersi – potrebbe semplicemente essere troppo complesso per me. Anzi, il concetto di onnipotenza sottointende che se c'è, egli è certamente troppo complesso per me. Insomma, il solo fatto che io lo consideri onnipotente, implica che io non possa comprenderlo. Figuratevi se posso dimostrare che c'è. O che non c'è. Dio non è dimostrabile, per definizione.

2,7. Da qui una delle mie preferite definizioni di Dio: “Colui che potrebbe fare tutto, compreso esistere” (ma ce n'è una migliore al 3,1). Ripeto, non è un problema scientifico, ma linguistico: la parola “Dio” implica la parola “onnipotenza”, e l'onnipotenza è non dimostrabile per definizione. Quando accetto di usare le parole “Dio” e “onnipotenza”, accetto di maneggiare concetti la cui esistenza non è dimostrabile: la frase “Dio non c'è” non è meno insensata di “le incolori idee verdi dormono furiosamente”.


3. Etica

3,1. Dio per me è soprattutto un principio di umiltà. Non so se ci sia o no. Ma so che sono troppo piccolo per poterlo sapere. Che ne sanno gli acari che vivono sotto la mia tastiera di quel che sto scrivendo? Ma io sono ben più piccolo di un acaro di fronte all'universo. Ad affermare verità come “Dio non c'è” ci faccio la figura del cosmonauta sovietico della barzelletta: ok, di universo ne abbiamo visto un po' più di Gagarin, ma non molto di più.

3,11. Peraltro, ogni volta che cerchiamo di spiegare qualche fenomeno dell'universo, che altro facciamo se non rintracciare un ordine razionale, ovvero comprensibile ai nostri cervellini da insetti? Ma questo implica una discreta fede nella possibilità che l'universo sia razionalizzabile. Una macchina intelligente. Non solo, ma di un'intelligenza non troppo diversa dalla nostra, anche se su una scala infinitamente più complessa. Insomma, chi studia l'universo sta cercando un'intelligenza, là fuori. Non volete chiamarla “Dio”? Trovate un altro nome, ma il concetto non è molto dissimile.

3,12. Qui c'è un paradosso divertente. Se scrivo “Dio non c'è, perché non lo abbiamo trovato”, intendo: “Non esiste un'intelligenza onnipotente in grado di nascondersi a me”, che implica “non esiste nell'universo un Ente di cui io non possa provare l'esistenza”: ma allora Dio esiste eccome, sono io. E se compro uno spazio su un autobus per negare la mia esistenza, sono pure un po' diabolico.

3,13. Forse il 3,12 è solo un trabocchetto linguistico, non lo so, ma in ogni caso chi afferma “Dio non c'è” mi pare straordinariamente immodesto. Come hai fatto a capirlo? Io non ho nessun potere di confutarti, sia chiaro, non sono che un acaro; ma tu chi sei? Cos'hai visto? Cos'hai capito? Tu non puoi realmente aver dimostrato che Dio non esiste, dai. Aggiungi almeno un “forse”.

3,14159. Potrà sembrarvi un dettaglio, quel “forse”: e invece è fondamentale. Cancellandolo, avete fatto torto al mio vero Dio, che è il Dubbio. Avete anche negato, per amore di slogan, il vero fondamento di tutta la nostra cultura scientifica e razionale: il Dubbio.

3,3. Questo per me è discriminante. Se siete seguaci del Dubbio, siete miei compagni. Se lo negate, siete dei credenti come tanti. Non più convincenti di tanti altri. Sicuramente meno simpatici, perché gli altri almeno hanno storie da raccontare, mentre voi avete semplicemente trasformato uno scetticismo popolare in ideologia, pasticciando con la logica e il linguaggio, senza passare dal Dubbio, che è l'unica cosa importante.


4. Politica

4,1. Detto questo, io sono per la libertà di culto e non intendo negarvi nessuna prerogativa che è già stata concessa agli altri. Lotterò per il vostro diritto al proselitismo, anche mediante specifici mantra stampati su muri o autobus. Se qualche vescovo si arrabbia perché organizzate una conferenza di Odifreddi o Dawkins in piazza del Duomo, io sarò con voi, pronto a prostrarmi davanti a Dawkins: non perché io creda in quel che dice, ma per difendere il diritto di chicchessia di prostrarsi di fronte a chiunque.

4,11. Mi piacerebbe che voi mostraste altrettanto rispetto per i seguaci delle altre religioni. Mi piacerebbe che capiste che il vostro diritto di scrivere una verità di fede su un autobus è lo stesso che altri esercitano inginocchiandosi in un luogo pubblico, ma forse è chieder troppo ai neofiti di un culto nuovo. Lo so, i primi anni è così: “Noi abbiamo capito tutto e voi non avete capito niente”. Dopo un po' passa.

4,12. Non credo tuttavia che la vostra opera di proselitismo cambierà la società in un senso più laico. Anzi, il fatto che molti laici come voi sentano il bisogno di acquattarsi in una nuova chiesa dimostra che la società sta perdendo progressivamente dosi importanti di laicismo. Ho provato a sintetizzare il mio pensiero in due maldestri disegnini. Perdonate la fretta.

Se non si è capito, io vorrei che la maggior parte di noi cercasse di vivere nella Laicità, che non è una Chiesa fra tante, ma un ambiente che le rispetta ma le sovrasta in nome dell'uguaglianza tra le persone (Fig. 1). La comparsa di un'ulteriore Chiesa (Fig. 2) rischierebbe di assottigliare questo ambiente fino alla soglia critica dopo la quale nessuno pretenderà più servizi laici e tutti cominceranno a iscrivere i figli alla scuola della religione di riferimento. In certe nazioni è già così. Esagero? Sì, perché fingo che “gli atei forti” possano davvero entrare in competizione con Cristo e Maometto. La strategia di abbandonare l'edificio pencolante della Laicità per andare a infilarsi in un vaso di coccio mi sembra suicida, anche tenuto conto della robustezza millenaria dei vasi di ferro che vi stanno intorno. Questi Dei che non esistono e macinano proseliti da migliaia di anni mi sembra che li stiate prendendo un po' troppo sottogamba. No, per dire che si sono mangiati gente ben più scafata di voi, attenti.

4,2. Ok, il mio non era un gran pezzo: sbrigativo e petulante. Però il modo in cui molti atei se la sono presa è davvero interessante. Io non ho fatto altro che ripescare un vecchio cavallo di battaglia dell'hegelismo di sinistra: religione oppio dei popoli. E ve la prendete? Se siete davvero atei dovreste già averne sentito vagamente parlare, no? C'è chi mi ha scritto: 'Hai offeso la memoria dei miei genitori comunisti'... ehi, se erano comunisti il mio discorso dovrebbe suonar loro famigliare. Insomma, un ateo che non è passato almeno da Feuerbach, da cosa è passato? Siete sicuri che Dio non c'è e non avete neanche mai dato un'occhiata ai fondamentali?

4,3. Si parlava di Dawkins e sono andato a dare un'occhiata. Il suo libro è interessante e anche divertente. Ma in effetti non cita mai né Feuerbach né Marx. E si sta parlando di critica della religione - non è un po' come parlare di gravità senza Newton? Si parla di cosmologia e genetica, di evoluzionismo e di genetica, di antropologia e di genetica, e poi ancora un altro po' di genetica, ma tutto il dibattito sette-ottocentesco sull'ateismo non c'è. Le menti migliori di due secoli hanno discusso il problema, ma Dawkins non dà l'aria di curarsene molto: si vede che non s'intendevano di genetica. Per lui l'Ottocento è Darwin, sostanzialmente.

4,31. A questo punto ho avuto la sensazione di guardare un mondo nuovo dalla soglia del vecchio. Per me Dio è ancora un problema ottocentesco, sociologico, economico addirittura. Dawkins questi problemi non se li pone. Che l'economia possa influenzare la mia ideologia e le mie credenze è cosa che non lo riguarda, lui sta cercando il gene del sentimento religioso (non è proprio così, sto semplificando brutalmente). E rieccoci alla vecchia querelle ambiente-genetica: chi vincerà? Eddie Murphy o Dan Aykroyd? Io ammetto di non essere più l'ambientista feroce di una volta, ma anche i genetisti dopo le cantonate del genoma secondo me dovrebbero calare un po' le arie.

4,32. Ma c'è un altro motivo per cui l'interpretazione genetista del sentimento religioso mi ripugna. Dawkins ha un lato oscuro, non so se l'avete visto: prima spiega perché è “quasi certo che Dio non esiste" (comunque è già un po' più onesto dell'autobus); poi sostiene che senza Dio si sta meglio (discutibile, discusso); quindi che l'istinto a credere in un Dio è genetico... il passo successivo? Per me ce n'è uno solo: selezioniamo i geni finché non eliminiamo il sentimento religioso, così i nostri figli staranno tutti meglio. Lo so che Dawkins non arriva a tanto, ma il sentiero che percorre va in quella direzione.

4,33. Anche se né Dawkins né i dawkinsiani arriveranno mai a quel traguardo, non mi piace il loro modo d'impostare il problema. Preferisco il vecchio sentiero ottocentesco. Preferisco considerare la religione una sovrastruttura economica, non genetica. Non perché rifiuto che possa essere anche genetica: ma perché il gene è il mio tabù, non voglio averci a che fare.

4,34. In effetti anche se qualcuno riuscisse a mostrarmi che l'Uomo è 99,9% Gene e 0,01% Ambiente, io continuerei a tifare Ambiente (come Dostostoevskij che tra Cristo e Verità avrebbe scelto Cristo), perché per quanto il gene possa essere determinante, non mi piace che ci si vada attorno. Le poche energie che abbiamo per migliorare il mondo devono servirci a cambiare l'economia, non a pasticciare i geni.
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