Sient'a me: nun ce sta nient'a fa'

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La tenuta dei cespugli

Io non credo ai sondaggi e non credo a Crespi, ma siccome non so da cosa partire farò finta di credere a un sondaggio di Crespi.
Dove peraltro mancano Ferrara e Mastella (e viene assegnato ai socialisti un incredibile 1,8, quando tutti sanno che Boselli viaggia sottozero).
Malgrado tutto ciò, il sondaggio qualche cosa la dice. Non mi riferisco tanto al fatto che Veltroni+Bertinotti+Radicali batterebbero Berlusconi, anche perché è un semplice effetto ottico: se Veltroni e Bertinotti andassero alle elezioni insieme attirerebbero meno voti, e comunque in quel caso Berlusconi, Destra di Storace e i vari Casini e Tabaccini si ricompatterebbero immediatamente. In questo senso, davvero, la picconata di Veltroni al centrosinistra ha prodotto crepe in tutto il sistema. Tutto molto bello, anche se queste nuove sigle danno un po' l'impressione di una famiglia di cinquantenni che decide di ristrutturare l'appartemento: non potendo più cambiare moglie, marito o suocera, almeno si spostano i mobili. Le facce sono più o meno le stesse, benché ripartite in ambienti diversi. Ma la metafora regge fin qui, perché mentre la tendenza in architettura da vent'anni è quella di unificare gli spazi, sventrando i muri divisori, nel condominio politico italiano è tutto un alzare di muretti, alcuni abbastanza patetici: due bagni su un piano hanno anche un senso, ma cosa ce ne facciamo esattamente di due partitini di centrodestra cattolici (ai quali va aggiunto il partitino degli atei devoti, concepito probabilmente durante un errore nel dosaggio dei farmaci)?

La cosa paradossale è che questa frammentazione arriva dopo aver insistito, per anni, sulla grande voglia di bipolarismo degli italiani. Montando sul predellino Berlusconi è arrivato alle stesse conclusioni dei dirigenti del PD: non solo gli italiani erano pazzi per il bipolarismo, ma non vedevano l'ora di passare a roba anche più forte, il bipartitismo all'americana. Era necessario dunque umiliare i cespugli (Casini, Diliberto) oppure mangiarseli (Fini, Di Pietro). Quest'analisi, secondo me, è fragile perché fondata su un postulato che nessuno si è preso la briga di dimostrare. Il postulato, sul quale poggiano le traballanti fondamenta della terza repubblica, si può formulare coi versi di un grande interprete dello spirito italiano, Alberto Sordi, quando dice: “Mazza che forti 'sti americani aho!”. Poi però, come tutti ricordano, si mangia gli spaghetti.

In altre parole: i giornalisti possono sdilinquirsi finché vogliono paragonando la corsa elettorale americana con la nostrana. In realtà i paragoni non reggono, e in particolare quello tra Obama e Veltroni non rende nemmeno onore a quest'ultimo, che è assai meno messianico e un po' più concreto. La vera differenza sta altrove: negli USA la campagna elettorale dura un anno, nel quale i candidati spendono cifre astronomiche per attirare un elettorato che è per buona parte incerto, e che fino all'ultimo giorno non sa nemmeno se andrà a votare o no. Questo enorme ventre molle in Italia non esiste. Esistono gli incerti, ma non sono tanti come in America, non si lasciano entusiasmare da campagne al 90% “emozionali” come quelle americane (e comunque in due mesi non ci sarebbe il tempo per inventarsele), e infine, anche quando decidono di votare, non si polarizzano automaticamente sui due partiti principali, come avviene negli USA. In Italia c'è una specie di granulosità del sistema partitico, che ha ragioni storiche e geografiche (la terra dei localismi, dei campanili, i guelfi, i ghibellini, ecc. ecc.). Se aggiungi che il sistema elettorale non prevede grossi sbarramenti, il risultato è più o meno quello del sondaggio di Crespi: un incredibile casino. Perché se nemmeno Berlusconi riuscirà ad avere una maggioranza al Senato, cosa succederà? Le larghe intese? Difficile: più probabilmente un accordo post-elettorale a destra con Storace, o al centro con Casini: e se vi sembra improbabile che Berlusconi e Casini facciano la pace dopo le scintille di questi giorni, ripassatevi le scenate isteriche di Fini due mesi fa, quando aveva chiuso per sempre con B.

Non solo, ma la stessa cosa potrebbe succedere a sinistra: dopo due mesi all'insegna dell'“andiamo soli”, PD e Arcobaleno potrebbero il 15 aprile fare due conti e concludere “governiamo insieme!”. È improbabile, ma non impossibile. Insomma, la gran novità di queste elezioni è che le coalizioni si faranno dopo il voto, e non prima. Così ogni candidato potrà fare una campagna più forte, e raschiare più voti dal bacino (comunque esiguo) degli incerti. Da questo punto di vista il programma di Veltroni è veramente entusiasmante: come fai a non votarlo? Basta fingere di non sapere che il PD non avrà mai abbastanza voti per realizzarlo da solo, e che al massimo dovrà annacquarlo con quelli degli altri partiti che si alleeranno con lui. L'enorme accrocco del programma dell'Unione di due anni fa era più onesto, ma assai meno convincente. In fondo un po' di voglia d'America, di grandi speranze, di volti sorridenti che scrutano l'orizzonte, c'è.

Ma c'è anche l'italianissimo forchettone. Non si spiegherebbe altrimenti la proliferazione degli ultimi mesi. Non basta mettere insieme Fini e Berlusconi per catturare l'elettorato di Forza Italia e AN: c'è una percentuale non irrisoria che non si rassegna al bipartitismo, e voterà a destra lo stesso, con o senza Fini (e qui si potrebbe aprire una brevissima discussione sull'inutilità del personaggio Fini). Allo stesso modo c'è una quantità di italiani che non vuole votare Berlusconi, ma il centro: lo sa Tabacci, lo sa Casini, lo sa Mastella. Forse un giorno gli italiani si stancheranno di infrattarsi nei cespugli elettorali, che garantiscono una maggiore identificazione regionale o clientelare, ma quel giorno non sarà domani. Almeno un italiano su cinque continuerà a votare per loro, rendendoli indispensabili a qualsiasi coalizione di governo. Il risultato insomma sarà un ritorno alla cosiddetta Prima Repubblica: il bi-, tri- o quadripartito si costruirà dopo le elezioni. È una prospettiva poco esaltante ma è persino preferibile all'unica concreta alternativa: Berlusconi che vince tutto da solo, tagliando alle ali Casini e Storace. Allora sì che saremmo veramente passati all'America: soltanto un'America populista, senza potenza militare e petrolio da buttare via. Più o meno la Colombia, insomma.
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