I Bossi e gli allori

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Sono i giorni della passione di Umberto Bossi: storia straziante, che nasce già intrecciata ad aneddoti leggendari. Si racconta per esempio che a far crollare il Capo non sia stata la confessione di questa o quella ruberia, ma la scoperta che il figlio non si stava laureando, come pure aveva solennemente promesso al patriarca. L'episodio sembra scritto da uno sceneggiatore geniale, che la politica italiana non si è mai meritata: se le cose fossero davvero andate così, Renzo Bossi avrebbe deluso Umberto Bossi proprio mostrando di essere degno figlio di suo padre, che i libretti universitari li truccava 40 anni fa, millantando coi famigliari lauree in medicina e inesistenti impieghi all'ospedale.

Bossi era quel personaggio lì, il boccalone pieno di inventiva che nei bar della Valpadana conosciamo bene; in seguito ha fondato una lega che è diventata un movimento che è diventata un partito che ha cambiato la Storia d'Italia e gli ha fruttato anche qualche soldino, ma non ha mai smesso di essere quello lì: uno che non ha bisogno di titoli per fiutare dove va il vento, uno che non lo freghi. E invece l'han fregato i figli, che Bossi in un qualche modo avrebbe voluto diversi da lui: lui ci ha provato a farli studiare, ma niente da fare. È il problema della seconda generazione, anche questo in Valpadana lo conosciamo bene: il padre ignorante ma di cervello fino fonda un'azienda, in questo caso un partito: i figli crescono svogliati, il padre li manda all'università e loro si comprano la laurea: se nostro padre non ne ha avuto bisogno per fare fortuna, perché dobbiamo perdere tempo noi? La crisi dell'imprenditoria italiana si può anche raccontare così: giovani virgulti che non hanno studiato ereditano aziende a conduzione famigliare che erano innovative e concorrenziali vent'anni prima. Non resta che piangere miseria, dare la colpa ai cinesi e abolire l'articolo Diciotto. Nel frattempo si vota Lega, il partito che non ti fa sentire ignorante. Ma forse c'è un equivoco. (Continua e si commenta sull'Unita.it, H1t#121)

Il nord operoso ha un problema con la scuola, e con l’università in particolare. Per molto tempo non ci ha creduto; tuttora in molti distretti industriali la scuola dell’obbligo viene scambiata per un comodo parcheggio sulla via del laboratorio dei genitori, e l’estensione dell’obbligo alla prima superiore per un’odiosa imposizione statale, paragonabile alla leva militare: che senso ha passare un altro inutile anno sui banchi quando chi si mette a lavorare a 16 anni a 20 guadagna già il doppio di un laureato? Chi la pensa così non ha tutti i torti, anche se spesso vota Lega.
Però Bossi non la pensava proprio così. Lui davvero ci teneva che Renzo e Riccardo studiassero. Anche a lui sarebbe piaciuto avere un titolo di studio serio, se è vero come si racconta in giro che organizzò ben tre feste di laurea (senza laurearsi mai). Tutta la sua parabola famigliare e familista mostra una vera ossessione ben poco settentrionale per il ‘pezzo di carta’: lo stesso Belsito, ex buttafuori e poi tesoriere che nelle intercettazioni parla di tre lauree pagate alla “famiglia”, aveva ritenuto necessario procurarsi una maturità privata (in un istituto di Frattamaggiore, provincia di Napoli!) e due lauree tra Londra e Malta. Tutto questo magari non ha nessun senso. Ma potrebbe anche dirci qualcosa sul gruppo dirigente della Lega, che anche se era votata da operai e piccoli imprenditori, non era stata fondata da un operaio, né da un piccolo imprenditore: bensì da un boccalone con un libretto finto e un diploma preso per corrispondenza, sposato in seconde nozze con una maestra elementare di origini siciliane. Uno che quando il Nord tirava davvero, e portava l’intera Italia fuori dalla povertà, stava al bar, suonava la chitarra, e in casa raccontava di avere un posto in ospedale. Di uno così, nordisti laboriosi, vi siete fidati per vent’anni, perché? Forse perché non avete studiato abbastanza. http://leonardo.blogspot.com
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