sofismi su Israele, 6-8
11-01-2009, 18:25ebraismo, Israele-Palestina, sofismiPermalink
Ecco, per una volta credo che la famosa casalinga sia vittima di un pregiudizio. La immagino davanti a un tg qualsiasi mentre scuote la testa, piange per le vittime e biasima i bombardatori. Non riesco a immaginarmela mentre mi fa un'equazione Kissinger o rilascia patenti di antisemitismo. Questi sofismi non sono pane per i suoi denti. Sono invenzioni intellettuali, concepite e collaudate da intellettuali per convincere altre persone che su internet o sui giornali cercano di farsi un'idea approfondita. È per questo che mi fanno paura. Non pretendo che la casalinga di Voghera debba farsi un'idea anche solo vaga di tutto quello che è successo dal '48 a oggi; ma perché giornalisti e ministri devono raccontarmi balle? E devono essere per forza balle così inverosimili?
6. Sofisma del matrimonio gay
Questo è di conio recente, ma ha già riscosso un certo successo. Come fai a mettere sullo stesso piano un movimento oscurantista come Hamas e un Paese laico come Israele, dicono, un Paese dove i gay si possono sposare?
Non so cosa ne pensino i gay, ma io trovo un po' fastidioso l'uso del “matrimonio gay” come cartina di tornasole della laicità di una nazione. Peraltro, non è nemmeno vero che i gay si possano sposare legalmente: la giurisdizione israeliana riconosce semplicemente la validità di matrimoni gay contratti in altri Paesi. Ma chi ha a cuore l'etichetta laica di Israele dovrebbe lasciare perdere l'argomento “matrimonio” in generale: sposarsi in Israele è una faccenda complicata. Il matrimonio civile non esiste: i matrimoni religiosi si possono contrarre soltanto tra membri della stessa comunità religiosa, secondo il sistema dei Millet ereditato dalla legislazione ottomana, che a quei tempi era veramente all'avanguardia in fatto di pluralismo religioso, ma oggi segna un po' il passo dei tempi – soprattutto a confronto con quelle democrazie laiche e occidentali alle quali si paragona spesso Israele.
Quindi: i cristiani si possono sposare coi cristiani, i musulmani coi musulmani, i drusi coi drusi, gli ebrei con gli ebrei – ma anche così è troppo facile, in realtà non tutti gli ebrei israeliani hanno diritto di contrarre matrimonio con ebrei ortodossi o di discendenza sacerdotale (i kohen). Anche i figli illegittimi sono sottoposti ad alcune limitazioni. Su tutto questo ha giurisdizione il Gran Rabbinato, che a partire dal 1947 ha negoziato con il primo governo di Ben Gurion un accordo tra Stato e religione affine ai nostri concordati. Con la differenza (non mi pare da poco) che in Italia ci si può sposare anche al di fuori della Chiesa, e con qualcuno che in una chiesa non ci è entrato nemmeno per battezzarsi. Siete ancora sicuri che Israele sia un Paese così laico?
È vero che la situazione è bilanciata dalla prontezza coi cui Israele riconosce i matrimoni civili contratti all'estero: tanto che nel 2000 si è calcolato che uno sposo/a israeliano su dieci ha sconfinato per celebrare il suo matrimonio (Cipro è la tappa preferita). Tra questi, anche quelli contratti tra persone dello stesso sesso. Quanto questo renda Israele un Paese laico, decidetelo voi.
Naturalmente non penso che nessun gay, messo di fronte all'alternativa se vivere a Tel Aviv o Gaza, nutrirebbe molti dubbi (come se i gay di Gaza avessero davvero questa scelta; e come se la loro priorità in questo momento fosse il matrimonio, e non il pane e le medicine); e tuttavia non credo che la tolleranza sia un valore assoluto piovuto dal cielo, che gli israeliani hanno e i palestinesi no; ritengo che dipenda fortemente da una serie di parametri tra i quali, fondamentali, la cultura e il benessere. Dove c'è benessere e cultura di solito i gay se la passano molto meglio. Ma la cultura e il benessere di Tel Aviv e in generale di Israele sono in parte basati sullo sfruttamento delle risorse di Gaza e della Cisgiordania. Troppo comodo accusare i palestinesi di oscurantismo a pancia piena.
E comunque nemmeno il benessere israeliano si può dare per scontato. Il Paese si dibatte in una crisieconomica decennale, la corruzione è endemica, e la militarizzazione del conflitto è anche una risposta a queste tensioni. Israele non è il Paese laico che molti credono, ma non è nemmeno una teocrazia di fanatici. Eppure chi ha visto almeno una volta i coloni di Hebron o gli ortodossi di Mea Sharim sa che l'integralismo ebraico esiste, è già una forza elettorale con cui i governi devono fare i conti, e ha margini di crescita.
7. Sofisma benaltrista, o dell'"indignazione selettiva"
Prima o poi arriva quello che ti chiede: perché parli solo di Israele? Dov'eri quando uccidevano i cristiani nel Darfour? I Tutsi in Ruanda? I palestinesi, però in Giordania? Com'è che salti fuori sempre e solo quando si tratta di Israele? Pacifista a senso unico! Indignato selettivo! Ecc.
Questo è un sofisma solo in parte. È vero che il conflitto israelo-palestinese ha una copertura diversa dagli altri. È vero che ha sempre coinvolto noi italiani più che altri. Ci sono ragioni storiche e culturali perché questo avviene (una vicinanza particolare con la cultura araba, un senso di colpa nei confronti della nostra comunità ebraica, ecc.); ciò non toglie chi si ricorda delle guerre soltanto quando le fa Israele possa risultare fastidioso. Resta tuttavia un argomento ad personam: anche se parlassi solo di Israele, non merito di essere giudicato per quello che dico in quel momento? Di quanti conflitti devo aver parlato prima di avere il diritto di parlare di quello di Israele? O il senso è che devo stare zitto e lasciar parlare i professionisti? In pratica non si deve parlare di Israele su un blog, a meno che non sia un blog di politica estera.
(Ora rispondo per me:) Questo non è un blog di politica estera. È un sito un po' generalista con qualche interesse un po' più specifico: il movimento dei movimenti (quando si muoveva), la scuola italiana, il pd, i fatti miei. Di solito cerco di scrivere cose originali, e difficilmente potrei concepirne di originali su Darfour e Tibet. Raramente mi metto a scrivere di guerre e di stragi. Ma in tutta coscienza, se dopodomani gli uzbeki cominciassero a bombardare i kazaki a tappeto, e su internet e su blog e quotidiani io trovassi una lunga serie di complimenti ai saggi uzbeki che hanno fatto bene a bombardare i kazaki che li minacciavano nella loro stessa esistenza... probabilmente m'interesserei alla storia, la studierei, cercherei di capire perché il mio giudizio sulla vicenda mi sembra tanto diverso da quello degli altri, e alla fine ne scriverei. Ovvero: non è Israele il punto qui. Se volete sapere cosa succede in Israele leggete Haaretz, leggete il Guardian. Il punto qui è come gli italiani parlano di Israele. Ne parlano in un modo stranissimo, che m'incuriosisce e un po' mi spaventa, quando semplicemente non mi fa arrabbiare. Di questo sto parlando: della guerra no, non ho molto da dire, così come non avevo molto da dire sul Darfour.
8. Sofisma dei bambini morti
Questo è proprio passato di moda, per un motivo semplice.
È vero che la situazione è bilanciata dalla prontezza coi cui Israele riconosce i matrimoni civili contratti all'estero: tanto che nel 2000 si è calcolato che uno sposo/a israeliano su dieci ha sconfinato per celebrare il suo matrimonio (Cipro è la tappa preferita). Tra questi, anche quelli contratti tra persone dello stesso sesso. Quanto questo renda Israele un Paese laico, decidetelo voi.
Naturalmente non penso che nessun gay, messo di fronte all'alternativa se vivere a Tel Aviv o Gaza, nutrirebbe molti dubbi (come se i gay di Gaza avessero davvero questa scelta; e come se la loro priorità in questo momento fosse il matrimonio, e non il pane e le medicine); e tuttavia non credo che la tolleranza sia un valore assoluto piovuto dal cielo, che gli israeliani hanno e i palestinesi no; ritengo che dipenda fortemente da una serie di parametri tra i quali, fondamentali, la cultura e il benessere. Dove c'è benessere e cultura di solito i gay se la passano molto meglio. Ma la cultura e il benessere di Tel Aviv e in generale di Israele sono in parte basati sullo sfruttamento delle risorse di Gaza e della Cisgiordania. Troppo comodo accusare i palestinesi di oscurantismo a pancia piena.
E comunque nemmeno il benessere israeliano si può dare per scontato. Il Paese si dibatte in una crisi
7. Sofisma benaltrista, o dell'"indignazione selettiva"
Prima o poi arriva quello che ti chiede: perché parli solo di Israele? Dov'eri quando uccidevano i cristiani nel Darfour? I Tutsi in Ruanda? I palestinesi, però in Giordania? Com'è che salti fuori sempre e solo quando si tratta di Israele? Pacifista a senso unico! Indignato selettivo! Ecc.
Questo è un sofisma solo in parte. È vero che il conflitto israelo-palestinese ha una copertura diversa dagli altri. È vero che ha sempre coinvolto noi italiani più che altri. Ci sono ragioni storiche e culturali perché questo avviene (una vicinanza particolare con la cultura araba, un senso di colpa nei confronti della nostra comunità ebraica, ecc.); ciò non toglie chi si ricorda delle guerre soltanto quando le fa Israele possa risultare fastidioso. Resta tuttavia un argomento ad personam: anche se parlassi solo di Israele, non merito di essere giudicato per quello che dico in quel momento? Di quanti conflitti devo aver parlato prima di avere il diritto di parlare di quello di Israele? O il senso è che devo stare zitto e lasciar parlare i professionisti? In pratica non si deve parlare di Israele su un blog, a meno che non sia un blog di politica estera.
(Ora rispondo per me:) Questo non è un blog di politica estera. È un sito un po' generalista con qualche interesse un po' più specifico: il movimento dei movimenti (quando si muoveva), la scuola italiana, il pd, i fatti miei. Di solito cerco di scrivere cose originali, e difficilmente potrei concepirne di originali su Darfour e Tibet. Raramente mi metto a scrivere di guerre e di stragi. Ma in tutta coscienza, se dopodomani gli uzbeki cominciassero a bombardare i kazaki a tappeto, e su internet e su blog e quotidiani io trovassi una lunga serie di complimenti ai saggi uzbeki che hanno fatto bene a bombardare i kazaki che li minacciavano nella loro stessa esistenza... probabilmente m'interesserei alla storia, la studierei, cercherei di capire perché il mio giudizio sulla vicenda mi sembra tanto diverso da quello degli altri, e alla fine ne scriverei. Ovvero: non è Israele il punto qui. Se volete sapere cosa succede in Israele leggete Haaretz, leggete il Guardian. Il punto qui è come gli italiani parlano di Israele. Ne parlano in un modo stranissimo, che m'incuriosisce e un po' mi spaventa, quando semplicemente non mi fa arrabbiare. Di questo sto parlando: della guerra no, non ho molto da dire, così come non avevo molto da dire sul Darfour.
8. Sofisma dei bambini morti
Questo è proprio passato di moda, per un motivo semplice.
Si tratta di una forma particolare della mozione degli affetti in virtù della quale quando tu stai cercando di spiegare le ragioni di un conflitto, qualcuno ti replica postando la foto dell'ultima vittima delle autobombe – meglio in tenera età, e fotografata a cadavere non ancora ricomposto – con una didascalia che di solito dice: guarda cosa fanno i porci che tu difendi! Guarda! Guarda! E li difendi ancora? Allora Guarda ancora un po'! Guarda! Guarda! E forse un giorno capirai.
Io in realtà non ho mai capito perché la foto dovesse essere più convincente della semplice notizia: insomma, se sento alla radio che un autobomba ha straziato due bambine, dovrei essere abbastanza adulto da capire la gravità della cosa senza bisogno di un'immagine, no? Se dopo una notizia del genere non mi converto immediatamente alla Guerra al Terrore e continuo a concepire il conflitto israelo-palestinese come un fenomeno complesso, cosa potrà fare di più una foto sgranata?
Questa strana tendenza toccò il suo apice quando Al Zarqawi fece inquadrare il povero Nick Berg mentre lo decapitava, producendo il primo vero snuff video che ebbe un discreto successo in tv. Ebbene, in quell'occasione molti stimati opinionisti si comportarono come quel tuo amico delle medie che ti teneva la testa mentre ti faceva vedere Non aprite quella porta in vhs: Guarda! Devi guardare! Sennò non capisci! Sennò non sei uomo. Ricordo Antonio Polito:
Insomma, finché i pacifisti e gli antiamericani non avessero visto lo snuff, non avrebbero capito. Inutile ragionare. Bisogna guardare. Tutto, fino in fondo. Se non guardi sei una checc... no, volevo dire, se non guardi non puoi capire il problema del mondo.
Era il 2004: sulla tv in chiaro andavano forte i realities e le teste mozzate. In seguito entrambi i generi hanno perso molto smalto, e oggi è difficile trovare un morticino utilizzato a mo' di argomento. Forse anche perché i morticini di questi giorni sono tutti palestinesi, e quindi non sono convincenti: l'argomento funziona solo con le vittime israeliane e occidentali.
Detto questo, qualche foto di morticino qua e là l'ho vista – per esempio su beppegrillo.it. Io non le mostro: hanno senz'altro un valore documentario, ma non le considero un argomento. Mi piace pensare di avere a che fare con interlocutori che riescono a provare pietà per una persona senza bisogno di vederla martoriata in digitale.
Io in realtà non ho mai capito perché la foto dovesse essere più convincente della semplice notizia: insomma, se sento alla radio che un autobomba ha straziato due bambine, dovrei essere abbastanza adulto da capire la gravità della cosa senza bisogno di un'immagine, no? Se dopo una notizia del genere non mi converto immediatamente alla Guerra al Terrore e continuo a concepire il conflitto israelo-palestinese come un fenomeno complesso, cosa potrà fare di più una foto sgranata?
Questa strana tendenza toccò il suo apice quando Al Zarqawi fece inquadrare il povero Nick Berg mentre lo decapitava, producendo il primo vero snuff video che ebbe un discreto successo in tv. Ebbene, in quell'occasione molti stimati opinionisti si comportarono come quel tuo amico delle medie che ti teneva la testa mentre ti faceva vedere Non aprite quella porta in vhs: Guarda! Devi guardare! Sennò non capisci! Sennò non sei uomo. Ricordo Antonio Polito:
Consigliamo a tutti di guardare il video della decapitazione dell'ostaggio americano, che circola su Internet. Bisogna guardare in faccia l'orrore, anche se non è degno dell'umanità degli occhi che lo guardano. Quella testa mozzata a fatica, con tutto il lavorio fisico che comporta, e il tempo che ci vuole, e l'abisso in cui sprofonda un po' alla volta, nella più odiosa delle torture, la vittima, è in fin dei conti la ragione per cui l'Occidente è in guerra con il terrorismo islamico.
[...]Pacifisti e antiamericani guardino quel video, poi decidano qual è il problema del mondo.
Insomma, finché i pacifisti e gli antiamericani non avessero visto lo snuff, non avrebbero capito. Inutile ragionare. Bisogna guardare. Tutto, fino in fondo. Se non guardi sei una checc... no, volevo dire, se non guardi non puoi capire il problema del mondo.
Era il 2004: sulla tv in chiaro andavano forte i realities e le teste mozzate. In seguito entrambi i generi hanno perso molto smalto, e oggi è difficile trovare un morticino utilizzato a mo' di argomento. Forse anche perché i morticini di questi giorni sono tutti palestinesi, e quindi non sono convincenti: l'argomento funziona solo con le vittime israeliane e occidentali.
Detto questo, qualche foto di morticino qua e là l'ho vista – per esempio su beppegrillo.it. Io non le mostro: hanno senz'altro un valore documentario, ma non le considero un argomento. Mi piace pensare di avere a che fare con interlocutori che riescono a provare pietà per una persona senza bisogno di vederla martoriata in digitale.
(Ne avrei ancora parecchi, ma se preferite la pianto qui)
Comments (107)