Difficilis, querulus, laudator temporis acti

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Ma siamo sicuri che sia una tragedia se calano un po' le iscrizioni ai licei classici? In realtà calano anche gli iscritti agli scientifici, ma inevitabilmente si finisce per discutere dei licei classici, e di paventarne la fine, e con essa il crollo della civiltà italiana tutta. Vedi Giorgio Israel sul Messaggero: "Se muore il liceo classico muore il paese". Può anche darsi. Per ora il classico non muore, ha soltanto registrato un calo di iscrizioni a livello nazionale intorno allo 0,6%. È grave? Lo stiamo perdendo? Vogliamo almeno aspettare giugno, e confrontare con il dato dei promossi? Forse l'anno scorso si era iscritto qualche migliaio di studenti in più che a dicembre aveva già capito di aver sbagliato scuola. O magari è la crisi economica che comincia a picchiare davvero, anche sui progetti familiari a lungo termine: se meno famiglie scelgono il liceo (classico o scientifico), è perché non sono più sicure di potersi permettere di mantenere il figlio all'università. Potrebbe trattarsi insomma di una questione economica, ma in rete e sui giornali continuo a leggere allarmi accorati sulla fine della cultura classica  assassinata dal pensiero unico, dalla barbarie tecnoscientifica del 'sapere applicato', eccetera eccetera eccetera.

Chi scrive questo genere di cose continua a difendere la vecchia idea del liceo classico che 'apre la mente', anche se non offre competenze immediatamente spendibili, anzi proprio per questo: un luogo comune contro-intuitivo che però è strenuamente difeso da esperti che molto spesso nei classici per coincidenza ci lavorano. Nessuno sembra voler ricordare che il liceo classico, oltre a essere quella famosa fucina di intelligenze eclettiche che il mondo ci invidierebbe, è stato sempre uno status symbol: ci andavano i rampolli delle buone famiglie, non necessariamente i più dotati o motivati. Gli stessi poi proseguivano attraverso l'università, approdando a un buon posto di lavoro a cui erano destinati, spesso non per i meriti maturati studiando i classici. Se in qualche realtà - specie in provincia - questo tipo di civiltà stesse tramontando, io non la troverei una cattiva notizia. Sono sicuro che di studenti di materie classiche abbiamo bisogno. Ma non di tantissimi. Anzi, meglio se pochi, ma bravi veramente.

Io non credo che il liceo classico 'apra la mente' più di altri indirizzi di studio (continua sull'Unita.it, H1t#196)

Non capisco in che modo lo studio della grammatica e della letteratura latine o greche riuscirebbero a sviluppare le capacità critiche degli studenti meglio di qualsiasi altra materia. E siccome il mio parere lascia il tempo che trova, scomoderò l’auctoritas del professor Alfonso Traina: “Il latino non è più “logico” di qualunque altra lingua. Tutte le lingue hanno una loro “logica”, cioè un loro sistema: formativo è lo studio contrastivo di sistemi linguistici diversi, della lingua madre, per noi l’italiano, e di una lingua seconda, che può essere il latino come il greco antico o qualunque lingua moderna. È lo studio contrastivo a stimolare la riflessione sui meccanismi del linguaggio, la consapevolezza delle relatività delle categorie grammaticali e delle “visioni del mondo” che vi si esprimono. Anzi, a tale scopo sarebbe forse più utile una lingua geneticamente diversa dall’italiano”(¹).
È vero, molti studenti con la maturità classica ottengono ottimi risultati anche nelle facoltà scientifiche, ma trovo più semplice dedurne che si tratti di alunni brillanti, che avrebbero avuto ottimi risultati in qualsiasi cosa si fossero applicati: il fatto che in Italia li si addestri per cinque anni nella traduzione di testi in lingue morte mi sembra una resistenza culturale, forse uno spreco di risorse e di potenzialità. Non penso che il liceo classico favorisca una qualche forma di eclettismo culturale: mi sembra viceversa un indirizzo di studi molto specifico, da cui in teoria si dovrebbe uscire con competenze già molto raffinate. E ho la sensazione che questo non accada più, perché tutti questi latinisti e grecisti in giro non li vedo – d’accordo, non li vedo perché il mercato del lavoro non ne ha bisogno; ma dopo cinque anni di immersione in un mondo così diverso e affascinante, dovrei almeno sentirli scambiare qualche sentenza in latino ogni tanto, quando scrivono sui blog o sui giornali o quando cercano di colpirti con un detto memorabile in tv. Di solito copiano frasi fatte dai titoli di giornale, Cicerone mai: questo è ben strano. Una volta perlomeno non era così.
Credo che per constatare la crisi irreversibile della cultura classica in Italia – molto prima che il liceo accusasse una flessione di iscrizioni – si possa semplicemente dare un’occhiata alle annate della Gazzetta dello Sport e degli altri quotidiani dello stesso settore. Fino al 1985 nei fondi troveremo latinismi a iosa, se non proprio a vanvera, citazioni omeriche a buon mercato e voli pindarici ogni volta che uno scalatore si aggiudicava la tappa. I cronisti della vecchia scuola il latino lo avevano studiato, qualche volta persino il greco, e in un qualche modo erano riusciti a rivenderlo. La generazione successiva non si è mai permessa di scomodare l’Iliade per parlare delle imprese di un centravanti. Forse erano preoccupati di non arrivare al lettore medio? Ma nel frattempo la base dei lettori si era persino ristretta. Comunque è gente che ha sopratutto bisogno di foto grosse e didascalie molto chiare. Il giornalismo sportivo campa da sempre di frasi fatte e retorica a buon mercato: fino a 25 anni fa li rubacchiava anche dalle pagine dei classici, poi ha smesso. Non ci sono più aitanti e indomiti centromediani metodisti, adesso sono tutti top player. Questo non è il motivo per cui il liceo classico è in crisi: diciamo che è un sintomo suggestivo. Può darsi che al classico il latino e il greco si continuino a studiare bene come in passato. La differenza è che non escono più da porte e finestre, verso la piazza; non investono più i lettori casuali che ancora nel 1968 imparavano a dire “Timeo Danaos et dona ferentes” perché lo avevano letto su un fumetto di Asterix(²). È un processo lungo, e oltre a stracciarsi le vesti, i nostri esperti di scuola e didattica potrebbero riflettere sulle implicazionidi aver tolto la storia antica dalla secondaria inferiore: il tredicenne che oggi deve scegliere tra un liceo o un istituto, il più delle volte non sa chi sia Giulio Cesare; pretendere che si innamori del latino così, di punto in bianco, forse è un po’ ingiusto. http://leonardo.blogspot.com
(¹) Latino perché? Latino per chi?, “Nuova Paideia”, II, 5, 1983, poi in Traina-Perini, Propedeutica al latino universitario, Bologna, 1992. Anche se prosegue così: “Ma proprio perché il latino non è che una fase antica dell’italiano, ci aiuta a renderci conto dello strumento linguistico che usiamo. E al limite, a usarlo meglio”.
(²) Asterix il legionario, Milano 1968.
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