Ma dove avevo messo l'alba, ah... ecco.
21-09-2008, 20:01leggere, VeltroniPermalink
Tutti tranne me. Sì, perché io l'ho letto, La scoperta dell'alba. Comprato in edizione Rizzoli Oro a 6€. Letto in un cesso a Rotterdam, un anno fa, proprio nella speranza di trovare qualche spunto per un pezzo su Veltroni. A questo ti riduce, un blog.
Qui ci sono i miei appunti per una recensione, abbozzata due anni fa e mai terminata, perché fino a qualche mese non aveva molto senso pubblicare cattiverie gratuite su WV; e poi evidentemente avevo roba migliore da farvi leggere. E adesso? Adesso no.
Giovanni Astengo di mestiere legge le biografie delle persone normali, quelle che non hanno ancora aperto un blog e pubblicano i libri a loro spese. C’è un archivio a Roma dove li conservano (deve essere un pozzo enorme, che arriva fino al centro della terra), e lui li legge nel suo ufficio, con la musica classica in sottofondo. Anche a lui piacerebbe avere una storia da scrivere, e alla fine del libro ci riuscirà.
Intorno a lui il mondo dà segni di cedimento strutturale (terremoti e carestie alla tv), la moglie è in Europa per affari, il figlio primogenito è in California, disperato per essersi portato con sé la sorella, afflitta da sindrome di Down, che ha sviluppato un affetto morboso per lui, ma tutto questo è secondario, perché Giovanni Astengo sta finalmente per avere una storia, di quelle che si leggono sui libri.
Giovanni Astengo di mestiere legge le biografie delle persone normali, quelle che non hanno ancora aperto un blog e pubblicano i libri a loro spese. C’è un archivio a Roma dove li conservano (deve essere un pozzo enorme, che arriva fino al centro della terra), e lui li legge nel suo ufficio, con la musica classica in sottofondo. Anche a lui piacerebbe avere una storia da scrivere, e alla fine del libro ci riuscirà.
Intorno a lui il mondo dà segni di cedimento strutturale (terremoti e carestie alla tv), la moglie è in Europa per affari, il figlio primogenito è in California, disperato per essersi portato con sé la sorella, afflitta da sindrome di Down, che ha sviluppato un affetto morboso per lui, ma tutto questo è secondario, perché Giovanni Astengo sta finalmente per avere una storia, di quelle che si leggono sui libri.
Giovanni ha 40 anni, ed è orfano da quando ne aveva 9. Suo padre, già sessantottino in carriera, poi giovane barone della facoltà di architettura, sparì nel 1977, proprio la mattina che doveva portare il piccolo Giovanni allo stadio; e se non è un trauma questo. Ma forse il mistero di quella sparizione può finalmente essere risolto, perché nella vecchia casa al mare Giovanni ha trovato un vecchio telefono nero grazie al quale è in grado di comunicare con… sé stesso nel 1977, quand’era bambino! Giovanni, si capisce, avrebbe una gran voglia di parlare di figurine e di carosello, di John Lennon che è ancora vivo, ma si contiene, perché per prima cosa vuole capire cosa è successo al padre. Fingendosi lo zio di sé stesso, riesce a convincere il bambino che era a fare qualche indagine nei cassetti del padre appena scomparso. Quello che scoprirà, lo guarirà per sempre dalla morbosa attrazione per il suo passato. Meno male, perché nel frattempo c’è stato un altro tornado, il figlio californiano sta quasi per strozzare la sorella, e la moglie è sempre in giro.
Quello che volevo fare a Rotterdam era intrinsecamente stupido. Se avessi voluto farmi un’idea sul politico Veltroni, non avrei avuto che da scegliere un volume: ne ha scritti sei. Invece volevo affidarmi all’unico romanzo che ha scritto, vale a dire a quell’unico testo in cui senz’altro non dice la verità, ma racconta una storia. Mi fido più di un bugiardo, perché il bugiardo è costretto a inventare, e dove troverà il materiale per le sue invenzioni, se non nella sua… anima? O nel suo inconscio, sì, è uguale. Ero convinto che Veltroni si fosse scoperto di più nel suo romanzo che in tutte le sue interviste e relazioni; e poi speravo che da narratore fosse meno noioso. Ecco, non è proprio così. La scoperta dell’alba è un libro breve e deprimente. Ci ho messo un poco a capire perché il protagonista non riuscisse a ispirarmi neanche un briciolo di umana simpatia, finché verso la fine ho avuto un’illuminazione: non ride mai, non ha il minimo senso dell’umorismo. La cosa mi ha un po’ atterrito, perché ho cominciato a pensare se avevo mai visto o sentito Veltroni fare una battuta divertente, e mi sono accorto di no.
Poi però ho pensato: cos’è il senso dell’umorismo, se non un meccanismo di difesa? Io l’ho sviluppato quando i miei compagni di classe hanno cominciato a crescere mentre io restavo in fondo alla fila. Ma Veltroni è cresciuto regolarmente, diventando ogni anno sempre più alto e più potente: capoclasse, segretario di sezione, segretario di partito, sindaco, che bisogno ha di fare le battutine? Corollario: i romanzi lasciateli fare ai perdenti, che hanno un sacco di humour.
Quando lo humour non ce l’hai (o non vuoi usarlo), il rischio è sempre quello di scivolarci sopra involontariamente. E in effetti ogni tanto La scoperta dell’alba strappa un sorriso suo malgrado. Alcuni esempi: verso la fine Giovanni va a incontrare un’ex terrorista, assassina pentita, che fa la bibliotecaria. È convinto che c’entri qualcosa con la scomparsa del padre, e le tiene il seguente discorso:
“Lei con quelle pallottole non ha spezzato una sola vita. Ne ha spezzate molte. Il suo proiettile ha superato il corpo di quel pover’uomo, è uscito da lui, ha superato angoli di strade, attraversato piazze, salito scale, sfondato porte [sfondato? Non bastava forarle?] ed è arrivato alle gambe di una donna e di una bambina. Poi è proseguito ancora. Ha fatto ancora chilometri, indisturbato, è entrato nella mia casa e ha spezzato altre gambe, quelle di mia madre e le mie”.Sì, va be’, la pallottola intelligente. Le manca solo di impattarsi con un sasso e rimbalzare nella testa di un manifestante. Certo, ho capito, è una metafora dell'eterogenesi dei fini, in quella pallottola ficcanaso c'è senz'altro il ritratto di tutta una generazione che ha smarrito la sua direzione rettilinea ecc. ecc., ma io riuscivo solo a pensare alle pallottole messicane di Roger Rabbit col sombrero e i mustacchioni, olè olè, gringo.
“Che fai, ti fermi ancora?” mi disse un collega che stava andando via dal piano deserto.[A questo punto parte la musichetta di Mission: Impossible, e il collega si leva la maschera: è Renato Brunetta! Fermo, Giovanni Astengo, ti ho sgamato: in luogo di lavorare in modo produttivo passi le ore a sviluppare gusti musicali radicalsciccosi. Licenziato in tronco! Va' a scoprir l'alba a ca' tua, va']
“Sì, un po'”. Nel computer avevo messo la mia musica preferita, le romanze più famose reinterpretate al pianoforte da Danilo Rea e la nona delle Enigma Variationis di Elgar, il brano che più di ogni altro mi stringeva il cuore.
[Cose che proprio non mi piacciono]:
1. Il Forrest-Gumpismo. Dicesi Forrest-Gumpismo la tendenza a rivisitare il passato recente in una collana di momenti topici, infilando a forza i personaggi in tutti gli avvenimenti storici rilevanti (vedi il fondamentale contributo di Manu). In Italia ci sguazzano un po’ i vari autori di noir, ma l’oggetto forrest-gumpista in assoluto è La meglio gioventù di Giordana, dove se due ex coniugi si danno un appuntamento durante gli anni Ottanta, dev'essere per forza la sera di Italia-Germania al Santiago Bernabeu con le comparse che ascoltano la telecronaca di Martellini alla radio, cioè, hai capito spettatore scemo? Siamo negli anni Ottanta! Rossi! Tardelli! Altobelli! Gli autori forest-gumpisti di solito raccontano sempre la stessa storia: eravamo giovani e pieni di speranze, a Firenze ruppe l’Arno, poi occupammo l’università, poi i più bravi si laurearono e si misero a lavorare nella stessa università, mentre i più nervosi si infilarono nella lotta armata, che fu brutta brutta brutta. La scoperta dell’alba è una delle cose più forrest-gumpiste che ho letto: sembra che la storia d'Italia si sia dipanata esclusivamente nell'isolato dove vive il protagonista. Il papà di Giovanni conquista la cattedra proprio nel ’68 (sei mesi dopo non sarebbe stato abbastanza simbolico) e si disillude definitivamente nel ’77, mentre gli autonomi
2. Dal Calvinismo al Baricchismo. Le piccole epifanie del quotidiano. I grandi exploit degli eroi dello sport, celebri e sconosciuti. Le persone che c’hanno delle storie da raccontare. L’autore è convinto di rifarsi a Calvino, ma gli riesce tutto così terribilmente Baricco. Forse il baricchismo è il destino degli emuli di Calvino. Forse a furia di far leggere Calvino a scuola abbiamo trasformato Calvino in un mito adolescenziale, meno nocivo di Kurt Cobain, ma non è detto... il figlio di Astengo è un maniaco del tardo Calvino, quello combinatorio che presso i critici è caduto un po' in disgrazia, ma lui ne va matto. Se non è indaffarato a gestire la sorella down che i genitori ignorano, potete essere sicuri che è in camera di suo padre a disturbare il suo flusso di coscienza raccontando la struttura del Castello dei destini incrociati o, in alternativa, le grandi imprese di sconosiuti cestisti NBA. A un certo punto gli scappa detto che Michael Jordan e Marcovaldo “sono un po' la stessa persona”. Eh? in che senso? Va bene, sei un ragazzino, anch'io magari alla tua età amavo Mohammed Ali e Guido Gozzano, ma mica li pasticciavo assieme.
[Cose che (un po') mi sono piaciute]:
1. La trama sembra un episodio di Twilight Zone (in italiano: Ai confini della realtà). Quei brevi racconti con un'idea fantastica, veri esercizi intellettuali, ma sempre con l'umanità in primo piano. Di autori italiani capaci di scrivere un episodio di Twilight Zone non ce ne sono poi così tanti.
2. Di buono c’è la scoperta finale: il passato non è tutto rose e madeleine, il passato è una truffa, una finzione, una cosa schifosa. Giovanni distrugge il telefono magico e torna alla vita. Il problema è che il libro si ferma proprio lì: è un libro che dice “guarda in avanti”, ma per un centinaio di paginette ha guardato quasi soltanto all’indietro. Oddio, però con un argomento del genere si potrebbero anche stroncare Les liaisons dangereuses, Le anime morte, la Bibbia, ecc.
Ma insomma, il finale ha qualcosa. Piantiamola col culto del passato, piantiamola di frignare perché il papà non ci ha accompagnato alla partita, rompiamo i vecchi giocattoli e preoccupiamoci del mondo che va in rovina. Sono d'accordo. È il libro che consiglierei a Veltroni.
[Cose che (un po') mi sono piaciute]:
1. La trama sembra un episodio di Twilight Zone (in italiano: Ai confini della realtà). Quei brevi racconti con un'idea fantastica, veri esercizi intellettuali, ma sempre con l'umanità in primo piano. Di autori italiani capaci di scrivere un episodio di Twilight Zone non ce ne sono poi così tanti.
2. Di buono c’è la scoperta finale: il passato non è tutto rose e madeleine, il passato è una truffa, una finzione, una cosa schifosa. Giovanni distrugge il telefono magico e torna alla vita. Il problema è che il libro si ferma proprio lì: è un libro che dice “guarda in avanti”, ma per un centinaio di paginette ha guardato quasi soltanto all’indietro. Oddio, però con un argomento del genere si potrebbero anche stroncare Les liaisons dangereuses, Le anime morte, la Bibbia, ecc.
Ma insomma, il finale ha qualcosa. Piantiamola col culto del passato, piantiamola di frignare perché il papà non ci ha accompagnato alla partita, rompiamo i vecchi giocattoli e preoccupiamoci del mondo che va in rovina. Sono d'accordo. È il libro che consiglierei a Veltroni.
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