Il frate cancellato

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14 marzo: Beato Filippo Longo (XIII sec.), presidente delle suore clarisse


A Filippo Longo capitò di essere il settimo seguace di Francesco d'Assisi, quando era ancora una banda di mistici scalzi e potenzialmente sovversivi; poi di fare carriera prendendo ordini da un papa, e dirigendo un ordine femminile; e poi all'improvviso fu cancellato, come se non fosse mai esistito: al punto che è quasi per caso che conosciamo il suo nome oltre a un soprannome ("Longo") che gli deriverebbe dalla sua statura. Non sappiamo da dove venisse (comunque un posto qualsiasi, un borgo ai piedi del Subasio o di Rieti o del contado di Perugia, o di Teramo: nessuna città importante reclama Filippo Longo). 

Secondo Tommaso da Celano, primo biografo di Francesco, Filippo pur non avendo fatto studi particolari era un oratore particolarmente capace ("il Signore [gli] aveva toccato e purificato le labbra con il carbone ardente, così che parlava di Dio con mirabile dolcezza"). Forse è il motivo per cui Francesco lo portava con sé quando si reca a San Damiano a incontrare Chiara: affinché nessuno osasse sollevare il benché minimo sospetto su questi incontri, gli serviva un testimone convincente che potesse riferire i contenuti delle discussioni tra i due santi e garantirne l'ortodossia. 

In seguito Francesco parte per la Terrasanta e quando torna scopre che la predilezione di Filippo per Chiara e le sue consorelle si è trasformata in un vero e proprio incarico amministrativo: Filippo è diventato "primo Confessore, Visitatore, Correttore, e Presidente" delle suore che ancora non si chiamano clarisse ma monache di San Damiano. A conferirgli una tale autorità non poteva che essere stato il cardinale Ugolino dei Conti di Segni, il grande sponsor di Francesco e Chiara presso la curia di Roma. 

Francesco, che probabilmente senza Ugolino avrebbe rischiato più di un processo per eresia, questo tentativo neanche troppo velato di trasformare il suo movimento di poveri in un ordine gerarchico manovrato dalla curia non lo digeriva così bene. Lo si capisce da piccoli episodi come questo, riportato da Tommaso da Celano nella sua seconda biografia: appena scopre che Filippo ha fatto carriera come capo delle clarisse, lo destituisce immediatamente dichiarando: "I miei frati proprio per questo sono chiamati Minori, perché non presumano di diventare maggiori". Può darsi che semplicemente Francesco ritenesse Chiara e le sue sodali in grado di governarsi da sole. Filippo abbozza, ma Francesco è già malato e muore nel giro di qualche anno (1226); pochi mesi dopo Ugolino diventa papa Gregorio IX e rimette Filippo al suo posto di confessore e presidente delle clarisse. 

Sono gli anni in cui i francescani si dividono tra un'ala più oltranzista che vuole ritornare all'esempio del fondatore, e una maggioranza 'conventuale' ormai organizzata come un ordine religioso. Filippo dà la sensazione di essere uno dei tanti operatori di questa normalizzazione, ma come spesso accade c'è sempre qualcuno più normalizzatore di te che a un certo punto ti fa le scarpe e non è nemmeno escluso che a un certo punto Filippo sia caduto in disgrazia. Il suo nome viene citato tra i testimoni oculari consultati dai tre frati che nel 1246 stilano la "lettera di Greccio", un documento che accompagna una raccolta di testimonianze inedite su Francesco, finora ignorate dalle biografie. Questi tentativi di raffigurare un Francesco diverso da quello ufficiale vengono completamente fermati nel 1263, quando al Capitolo Generale di Pisa l'ordine francescano stabilisce di distruggere tutte le biografie del santo e sostituirle con l'unica omologata, la Legenda Maior compilata per l'occasione da Bonaventura di Bagnoregio, ministro generale dell'ordine. 

Bonaventura di Filippo Longo non fa menzione. Come se non fosse mai esistito: e se l'opera di cancellazione prevista dai francescani fosse stata completa, oggi non sapremmo nulla di lui. E in ogni caso non ne sappiamo molto. Secondo lo storico seicentesco Ludovico Jacobilli, specializzato in santi di Umbria e dintorni, i superiori lo avrebbero trasferito in Alvernia, dalle parti di Clermont-Ferrand, dove avrebbe continuato a stupire gli ascoltatori con le sue doti oratorie davvero innate, se anche il passaggio da Italia a Francia non le aveva appannate. Lo stesso Jacobilli ammette che altri cronisti lo danno per morto molto più vicino ad Assisi, ovvero a Perugia: e sepolto in uno dei convento di suore che dirigeva; il che forse era ammissibile prima di un'ulteriore normalizzazione degli ordini maschili e femminili: ma già ai tempi di Jacobilli risultava troppo difficile da accettare.

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