Il ritorno dell'uomo di neve (nazista!)

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Frozen - il regno di ghiaccio (Chris Buck, Jennifer Lee, 2013).

1943. Walt Disney sta vincendo la guerra, quella mondiale. Il suo documentario con inserti animati, Victory Through Air Power, ha convinto Roosvelt che la conquista dello spazio aereo è una necessità strategica; nel frattempo Paperino vinceva l'Oscar spernacchiando Hitler in Der's Fuehrer's Face. Anche se molti disegnatori sono impegnati a disegnare cartelloni di propaganda, Disney continua a pensare ai lungometraggi - magari se si spettezzasse la storia in più episodi, come in Saludos Amigos, si riuscirebbe a lavorare con team diversi, a riciclare un po' di materiale... Proprio in quel momento il produttore Samuel Goldwyn (sì, uno dei tre che aveva fornito il nome alla Metro-Goldwyn-Mayer, roar) gli si fa incontro con un'offerta irrifiutabile: un musical su Hans Christian Andersen. Idea perfetta: si potrebbero alternare spezzoni biografici filmati dal vero con attori in carne e ossa, e cartoon di animazione in stile Silly Symphonies, di cui almeno uno, Il brutto anatroccolo, è già pronto (ed è un capolavoro). Disney è entusiasta, eppure dopo qualche mese l'idea si arena. Perché?



1944. Adolf Hitler sta perdendo la guerra, quella dei cartoni animati. Dev'essere particolarmente difficile per lui ammettere la superiorità sul campo degli americani, quei mediocri combattenti (di questo il fuehrer è persuaso, tant'è che sulle Ardenne ordinerà di concentrare gli attacchi sulle truppe inglesi). D'altro canto è sempre l'uomo che si è squadrato i baffetti per somigliare più a Charlie Chaplin: il cinema americano ha un certo ascendente su di lui, e l'americano che più lo incanta è Walt Disney. E però al fondatore del Terzo Reich non è concesso di sciogliersi davanti a Fantasia: anche nel momento di massima commozione, non può non constatare l'enorme scarto tecnologico che separa le produzioni californiane da quelle dell'UFA nazionalizzata. Certo, l'Agfacolor ormai funziona, e costa meno del Technicolor - ma dove sono i capolavori? I musical? I lungometraggi animati? Sarà anche per la necessità di sostenere una guerra mondiale su tre fronti diversi, nel mentre che si massacrano milioni di civili, fatto sta che l'animazione tedesca è dieci anni in ritardo sui competitors d'oltreoceano: ci si arrangia con dei brevi film musicali o di propaganda.  Il meglio riuscito, Der Schneemann, è la storiella buffa e poetica di un pupazzo di neve che in una fredda notte prende vita e si nasconde in un frigorifero per vedere l'Estate, il trionfo dei colori - per poi squagliarsi nei prati con nietzscheano amor fati, mentre un coniglio rosicchia meditabondo la carota che fu il suo naso...



Nel frattempo in California Disney si sta concentrando sui Tre Caballeros, un film a episodi per il mercato latinoamericano in cui Paperino ballerà con Carmen Miranda: il progetto kolossal su Andersen è stato ormai abbandonato - alla fine Goldwyn lo produrrà da solo negli anni Cinquanta, coi balletti al posto dei cartoon. Forse la guerra era ancora lontana dall'essere vinta, dopotutto; forse i disegnatori in congedo erano ancora pochi. Forse. Oppure possiamo credere, come racconta la fiaba, che a bloccare il film fu proprio la Regina delle Nevi. La più gelida delle novelle di Andersen: gli sceneggiatori della Disney non riuscirono a venirne a capo. Nulla a che spartire con quella di Biancaneve, vanesia e trasformista, straordinariamente fotogenica. La Regina di Ghiaccio è fredda e impassibile; sequestra solo i bambini che intimamente la desiderano, e non li mangia; li custodisce intatti in un freezer a forma di castello. A rileggerla non sembra così impossibile da animare, la Regina: lo stesso Andersen, ormai consapevole della sua statura di mitologo, l'aveva concepita come "fiaba di fiabe", un vero e proprio lungometraggio di carta strutturato a episodi.

La Regina sovietica in effetti ha già qualcosa di meganoide
nell'espressione.
Nel 1957 ci riusciranno i sovietici, che a Berlino non avevano raccattato soltanto qualche ingegnere balistico utile per la corsa allo spazio, ma anche il brevetto dell'Agfacolor - subito ribattezzato Sovcolor. Snezhnaya koroleva, la Regina delle Nevi di Lev Atamanov, non è all'avanguardia come gli Sputnik, ma ha un merito immenso: è il film che convinse Hayao Miyazaki che i lungometraggi animati erano fattibili anche in Giappone. Finché il punto di riferimento era l'inarrivabile Disney, non c'era nulla a cui aggrapparsi: invece i russi, con le loro ingenuità, davano speranza. È un vecchio discorso. Grazie a Laika abbiamo avuto le stazioni orbitanti, grazie alla Regina Snezhnaya abbiamo avuto gli anime, e io un giorno su Cartoonito ho visto anche Hello Kitty nei panni di Gerda contro la Regina delle Nevi, ve lo giuro, non ne trovo traccia su internet, eppure esiste (a proposito, sfatiamo la leggenda che Hello Kitty non abbia la bocca: ce l'ha, ma l'apre solo se necessario: un modello per tutti i bambini). Quindi insomma la Regina delle Nevi si può fare. Non ha nulla di tecnicamente insormontabile o contenutisticamente scabroso. Però alla Disney non ci sono mai riusciti.


Elsa deve imparare a maneggiare il suo favoloso potere, dopodiché diventerà una fredda designer di ambienti asettici; Anna invece è solo solare e un po' pazza.
Eppure non hanno smesso di provarci. Soprattutto da quando un'altra principessa di Andersen, quella squamata, ha rimesso in piedi il carrozzone dopo i passi falsi di fine anni Ottanta. Alla Disney ci pensano da allora, ma com'è come non è, non sono mai riusciti a disneyzzare la fiaba del ghiaccio nel cuore. Ma perché? Cosa c'è di irriducibilmente non disneyano nella regina di ghiaccio? Non lo so. So per certo che quella storia mi dà un freddo tremendo. Le fiabe di Andersen non sono come tutte le altre fiabe. Se nella letteratura c'è un prima e un dopo Omero, nella fiaba c'è un prima e un dopo Andersen; gli antropologi dovrebbero rifletterci. Prima di lui c'è ancora la preistoria dei sentimenti: streghe che mangiano bambini e bambini che ammazzano streghe senza un retropensiero. Poi in pieno Biedermeier arriva questo scribacchino, e all'improvviso le fiabe parlano di noi: di come siamo invidiosi, gelosi, arrabbiati, di come ci sentiamo soli, di come ci aggiriamo nudi per la città facendo finta di niente mentre i bambini ridono. Quello che ci descrive Andersen non è più l'australopiteco davanti al fuoco; è l'homo burgensis che riattizza il caminetto attento a non sporcarsi di cenere la camicia. Da che tempo e tempo ci sono state regine malvagie, ma quella di Andersen è qualcosa di nuovo e forse insostenibile: è la depressione che ci aliena dai nostri amici di infanzia, il rovescio del sogno dell'eterna giovinezza: essere bambini per sempre significa non amare mai. Ma forse ai bambini è meglio raccontare storie più leggere.

Olaf. Gli piacciono gli abbracci. BAMBINI NON
FIDATEVI È UN NAZISTA TRAVESTITO!!1!
Il progetto Regina delle notti è passato da un cassetto disneyano all'altro per tutti gli anni Novanta. Ogni tanto un altro sceneggiatore alzava le mani: non è possibile farci un film. A un certo punto stavano per passare il progetto alla Pixar. Poi se lo sono ripresi. Poi dalla Pixar si sono presi anche John Lasseter, che negli ultimi anni ha pixarizzato la Disney. Non è soltanto una questione di computer-grafica, come chi ha visto Ralph Spaccatutto ben sa. È una questione di coraggio: la Pixar poteva permetterselo, la Disney doveva pensare ai bambini. Finché a un certo punto la Pixar ha iniziato a voltarsi indietro, dedicando prequel e sequel non sempre esaltanti ai suoi vecchi personaggi; mentre la Disney con Rapunzel e Ralph faceva passi enormi in un terreno insicuro. Ralph era uno dei film più belli dell'anno scorso, ma non so se lo farei vedere a un bambino. Frozen, in confronto, sembra molto più rassicurante - e in effetti lo è. Se non conosci la travagliatissima storia produttiva che ci sta dietro, e che comincia sul fronte della Seconda Guerra Mondiale, puoi scambiarlo per l'ennesimo film dove le principesse Disney si emancipano facendo molte faccette buffe e cantando mielosità che probabilmente in originale suonano meglio. Gli scenari sono meravigliosi, l'animazione è da brivido, dov'è il trucco? Che la Regina delle notti non c'è più. A un certo punto l'hanno fatta fuori, per sostituirla con una classica super-teenager che deve imparare a maneggiare i propri poteri. Non proprio una Winx, no, ma una Witch, diciamo. Insomma, sì, il film è indubbiamente molto bello, ma un maschietto non credo che ce lo porterei. L'adulto invece dovrebbe apprezzare particolarmente Olaf l'omino di neve, che nel suo numero musicale sogna di vedere l'estate. Quel pupazzo, anche lui così generoso di faccette buffe, è un omaggio al capolavoro dell'animazione nazista, lo Schneemann di Hans Fischerkoesen che moriva squagliandosi d'estasi in un prato fiorito. Questo è essere adulti: cedere all'amore e accettare la morte. Nel '44 non doveva essere difficile pensarci. Ma alla Disney non ci stanno, alla Disney vorrebbero tenersi i primi amorazzi delle ragazzine e il sogno d'infanzia perpetuo dei bambini: a costo di fornire il pupazzo di neve di una nuvoletta personale. La vera Regina delle Nevi non si sarebbe mai comportata così. Lei ti incontra un mattino mentre ancora giochi in cortile: ti riconosce tra mille; ti porta in un luogo lontano dove anche gli squilli di telefono degli amici ti suonano falsi: e là, solo là puoi essere un bambino per sempre.

Frozen è dappertutto e ci resterà per parecchio. In 2d lo trovate al Cine 4 di Alba (20:00); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (15:00, 17:30, 20:10, 22:35); all'Italia di Saluzzo (20:00, 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20, 22:30); in 3d al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (15:10, 17:40, 20:20); al Multisala Impero di Bra (20:20, 22:30). Buon Natale a tutta Cuneo e provincia.
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