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Casual

Per me tutto questo è comunicazione, essenzialmente. Ma ho notato che per altri non è così.
Per molti è piuttosto una questione di identità.
Non trovo nulla di male nel cercare di costruirsi un'identità. Io stesso a volte ho giocato con l'identità. Devo dire che non sono bravissimo. Ho in mente quasi un solo personaggio – il perdente. Non sono neanche sicuro che sia un personaggio, forse sono davvero io. Per un anno ho provato a inventarne un altro – lo stesso perdente, con vent'anni in più. Non era il massimo.
In ogni caso non ci credo molto, a questa cosa della costruzione di un'identità. A volte mi sfugge proprio.

Ha qualcosa a che vedere col comprare solo scarpe comode. Ammesso di averne una, non ho mai pensato di doverla esibire, l'identità. Passi molti anni a credere che i vestiti servano a coprirti – poi scopri che per la maggioranza della gente è esattamente il contrario. è la cosa più sciocca del mondo e ti sono serviti vent'anni a capirla.

Per esempio, all'inizio non riuscivo a comprendere perché molti sentissero la necessità di infilare in cima al blog liste sui libri che stavano leggendo o sui dischi che stavano ascoltando. Per prima cosa non mi sembrava umanamente possibile ascoltare tutti quei dischi in simultanea con i libri – io a volte devo staccare la radio per leggere, beati voi – ma soprattutto, queste liste mi apparivano create allo scopo di attirarsi una spadellata di chissenefrega. Perché mi sfuggiva tutto l'aspetto di costruzione di un'identità.

Io non ho una gran voglia di costruirmi un'identità, men che meno in pubblico. Farvi sapere la musica che ascolto? ma sono il primo a vergognarmene. Mi sembra doveroso coltivare un sintomatico mistero. I miei cosiddetti studenti mi vedono arrivare a scuola col lettore e credono che le cuffie eroghino Mozart, io magari sto ascoltando Saturday Night Fever. Capite che conviene ad entrambi, il mistero.
(Poi arriva il bamboccione, che del mistero ha paura, e deve sapere chi sei, cheffai, chevvuoi, e dammi il cognome, non ti rispondo se non mi dici il cognome. E non si rende neanche conto di suonare mafiosetto, perché è il primo ad aver paura: e se sto insultando il cognome sbagliato? Ma no, rilassati: stai insultando un cognome qualunque).

E anche la grafica, per me è essenzialmente comunicazione. Pasticciare col codice è una gran fatica, ma la farei, se pensassi di poter migliorare le cose. Invece per me vanno bene così. So di avere contro una stragrande maggioranza di esperti di web: gli stessi che probabilmente cinque anni fa pensavano che le animazioni in flash sarebbero state il futuro della Rete. Ma come, ti fai un sito personale e non ci ficchi del Flash? Solo testo? Con qualche gif? Neanche animata? Ma sei nel medioevo!

Molti pensano che tutto debba essere colorato e luccicante. Dopo un po', riconoscono che può anche essere un po' meno colorato e per nulla luccicante. La cosa più difficile è fargli capire che non deve essere bello. Non deve farsi guardare. Deve farsi leggere. Non è esattamente la stessa cosa.

Dico questo perché Riccardo Bagnato mi ha dedicato una rubrica, su Vita di questa settimana, pag. 45, e a parte i complimenti di ordinanza (che mi fanno tantissimo piacere, etc.), ha scritto che "Certo, bisogna ammettere che la grafica e l'impostazione degli elementi in pagina sono a dir poco casuali". Ebbene no, Ric, non lo ammetto.

Secondo me il sito dev'essere essenziale: pochi colori, due al massimo. Il testo dev'essere in primo piano.
Nero su bianco: bianco, perché le immagini risaltano meglio; nero, perché su bianco è più nitido.
Il font è verdana, il più leggibile (C'è chi usa font graziati: secondo me usare le grazie su un testo a video è come attaccare un'automobile ai buoi). I testi automatici (quelli che compaiono ogni giorno) sono in courier. I commenti in elvetica, per far capire che non c'entrano nulla con il post. Forse tre font sono troppi. Ma non sono messi lì a caso.
Lo so che il testo sembra troppo stretto. Potrei spaziarlo di più. Ma i post sembrerebbero ancora più lunghi. Secondo me è meglio così.

L'altro colore cambia a seconda della stagione e dell'umore. L'anno scorso era grigio, adatto agli argomenti. Adesso è tornato nero: ho notato che la combinazione bianco-nero non è adoperatissima. Ci dev'essere senz'altro qualche manuale di webdesign che la sconsiglia. Ma secondo me rimane in testa di chi passa di qui per caso. (Nella retina, almeno).

L'archivio è a tendine, così spaventa di meno. Insomma, non c'è niente di casuale. Ah, sì, forse la testata. Volevo provare con qualcosa di 'fatto a mano' – il risultato è un po' "bianchetto sul diario", ma mi ci sto affezionando. Insomma, è quasi tutto sottratto al caso: tutto voluto e anonimo. Se vi sembra involuto, allora forse non è nemmeno così anonimo – non so se riesco a spiegarmi. Insomma, forse è brutto quanto me. È quel tipo di cattivo gusto che si difende mettendo in crisi la nozione stessa di gusto: perché dovrei essere bello? Chi lo ha deciso? Perché dovrei sottomettermi a un imperialismo del buon gusto? Queste e altre chiacchiere da secchione bruttino. Ma quest'anno ci sono i commenti: se avete consigli a buon mercato, sarà un piacere cassarveli.
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