- pasticcioni dell'umanità,1

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Sta scritto: fortunato il popolo che non ha bisogno di eroi. E scalognato oltre misura il popolo, aggiungo io, che dovendo ricorrere agli eroi non trovi di meglio che Ariel Sharon.

Non vengo a seppellirlo, grazie al cielo. Mi trovo per la verità in un paradosso piuttosto imbarazzante, per il figurante che dovrebbe giocare il ruolo di "blog filopalestinese": se un anno fa mi sentivo sollevato per la fine dell'agonia di Arafat (che sembrava perlomeno sbloccare la situazione), oggi mi trovo a dovere esprimere una sincera preoccupazione per le condizioni di salute del suo eterno nemico. Mi consolo pensando che molti palestinesi devono pensarla come me, perlomeno i più anziani – mi spavento ricordandomi che la Palestina è una nazione giovane. Una non-nazione, pardon.

Il suo ex avversario politico Barak, intervistato ieri sulla Repubblica, sostiene che la Storia ricorderà Sharon per quello che ha fatto negli ultimi due anni. È difficile crederlo, dal momento che le azioni effettivamente compiute da Sharon dal 2004 a oggi (in buona o cattiva fede, per ora non importa) non sono che un tentativo estremo di portare Israele fuori da un inferno che lui stesso ha contribuito a edificare, forse più di ogni altro cittadino israeliano. Queste naturalmente sono opinioni di parte. Quelli che citerò qui di seguito, però, sono fatti. Accaduti realmente, e verificati per quanto possibile. Se qualcuno meglio informato ha da propormi correzioni o integrazioni, lo ringrazio sin d'ora. Ma per favore, non usate i commenti per affermare la vostra contrarietà ai fatti. Neanche io sono d'accordo con i fatti, per quel che serve.

Sono stato molto incerto sul titolo da adoperare. "Crimini di Ariel Sharon" mi suonava un po' falso. Senza dubbio l'uomo ha commesso diversi crimini, riconosciuti anche da Israele; nondimeno bisogna tener conto di azioni odiose che definire "crimini" è esagerato e inesatto; per esempio, radere al suolo un villaggio con 69 civili è un crimine, senz'altro; incitare i coloni ad atti di terrorismo contro i palestinesi è ancora un crimine, forse; ma presentarsi sulla spianata delle Moschee per una passeggiata dopo il fallimento di Camp David non è un crimine, quanto piuttosto… un disastro. Ecco.

I disastri di Ariel Sharon, 1953-2003

1. La strage di Qibya
2. Quel che disse Ben Gurion
3. Il passo di Mitla
4. "Immaginate di voler prendere la collina X…"
5. Eroe di guerra

La strage di Qibya
La guerra di Ariel Sharon contro i civili palestinesi comincia nel 1953. Già comandante di Brigata durante la guerra del 1948, viene richiamato in servizio con il grado di Maggiore e la responsabilità del primo reparto israeliano di forze speciali. Si chiama Unità 101 ed è stata creata per risolvere il problema – ancora attuale – dell'infiltrazione dei palestinesi attraverso i confini.
Il 12/10/1953, in seguito all'eccidio di una madre israeliana e dei suoi figli, il ministro della Difesa Lavon ordina una rappresaglia contro il villaggio di Qibya. L'Unità 101 rade al suolo l'intero villaggio: la moschea, il pozzo, la scuola, 45 abitazioni. Nel corso dell'operazione muoiono 69 civili palestinesi. Gli altri 2700 "decidono" di evacuare Qibya. L'operazione viene condannata dagli USA, e dalla stessa opinione pubblica israeliana; la risoluzione 101 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la censura duramente; in un primo tempo il governo respinge ogni addebito e attribuisce la strage ai coloni esasperati.
Sharon sostiene di aver capito troppo tardi che molti abitanti di Qibya erano rimasti nascosti nelle loro case durante l'operazione. L'ispettore ONU giunto in loco il giorno dopo è di un diverso parere: i fori di pallottola sulle porte e la posizione dei cadaveri (sulle soglie delle case), indicherebbero che alle vittime fu interdetta la fuga.
Secondo Benny Morris, storico israeliano, Sharon ricevette quel giorno ordini per impartire una punizione più esemplare del solito. Non è chiaro da chi, dato che la direttiva dello Stato Maggiore prevedeva una 'semplice' rappresaglia. In seguito all'episodio Israele rinuncia ufficialmente a colpire obiettivi civili. Due anni dopo l'Unità 101 viene sciolta – o meglio, confluisce in una brigata di paracadutisti.
Nella sua autobiografia, Sharon, benché dispiaciuto per la strage, la considera come la prova dell'efficienza raggiunta dall'esercito nel respingere le infiltrazioni. E in effetti in quegli anni ci fu una drastica riduzione degli attentati ai civili israeliani (una media di 150 morti all'anno tra 1951 e 1953).

Quel che disse Ben Gurion
In un'intervista televisiva, Sharon ha raccontato che dopo il raid di Qibya incontrò (per la prima volta) Ben Gurion, che lo sostenne dicendogli: "Non importa quello che il mondo dice di Israele. L'unica cosa che importa è che noi possiamo resistere qui, sulla terra dei nostri antenati. E se non mostriamo agli arabi che c'è un prezzo salato da pagare per chi uccide un ebreo, non sopravvivremo".
È un tipo di logica che conduce alla decimazione – certo, è indimostrabile che Ben Gurion abbia pronunciato veramente queste parole. Ai tempi della lotta per l'indipendenza, il leader laburista aveva manifestato contrarietà per gli atti di terrorismo sui civili. Il discorso invece rispecchia abbastanza fedelmente la futura carriera politica e militare di Sharon. Ecco un altro piccolo grande disastro di Sharon (in buona fede o no): aver messo la legge del taglione e delle rappresaglie in bocca di uno dei padri fondatori di Israele.

Il passo di Mitla
Se riesce difficile credere a uno Sharon "che esegue gli ordini", è perché l'obbedienza non è mai stato il suo forte. Lo dimostra nel 1956, quando la sua brigata di paracadutisti è inviata nel Sinai, nel corso delle operazioni che precedono la crisi del Canale di Suez. Il comandante Sharon ha 28 anni ed è ansioso di mettersi in mostra. Chiede più volte al comando il permesso di entrare nel passo di Mitla, da cui teme possano attaccare gli egiziani: permesso negato. Alla fine riesce ad ottenere di mandare una squadra in perlustrazione: un loro veicolo ha una panne e cade sotto il fuoco nemico. A questo punto Sharon ordina l'attacco e riesce a conquistare il passo di Mitla: una quarantina di effettivi israeliani cadono in una delle più inutili battaglie della storia militare israeliana (il ritiro egiziano era previsto di lì a poco). Sharon è criticato da superiori e sottoposti; il suo vice, Yitzhak Hoffi (futuro generale e capo del Mossad) dichiara ai servizi segreti che Sharon soffre di paranoia e necessita di cure psichiatriche. Il capo di Stato Maggiore, Moshe Dayan, furioso, lo allontana dall'esercito e lo spedisce per un anno in un'accademia militare inglese. È un periodo difficile; la moglie gli muore in un incidente d'auto, forse dopo aver scoperto la relazione di Sharon con la sorella (che poi sposerà). Ma questi sono disastri privati; forse non dovrebbero interessarci.

"Immaginate di voler prendere la collina X…"
Restiamo invece al disastro di Mitla, che è poi l'applicazione di una famosa dottrina strategica di Sharon. Secondo la testimonianza di un paracadutista, Sharon la descriveva così ai suoi sottoposti:
"Immaginate di voler prendere la collina X, ma il governo vi autorizza a prendere solo la collina Y. Voi, naturalmente, prendete la collina Y, poi mandate un reparto in ricognizione alla collina X, per assicurarvi che "sia tutto a posto". Il reparto "cade sotto il fuoco nemico" della collina X, voi notificate al governo che il reparto è in pericolo e chiedete l'autorizzazione per soccorrerlo. E così, finalmente, potete attaccare e prendere pure la collina X".
In realtà a Mitla Sharon sembrò essersi giocato la carriera. Ma "il gioco delle due colline" anticipa già l'atteggiamento del movimento dei coloni: ricognizione, provocazione, richiesta di aiuto, guerra aperta, insediamento; ricognizione, provocazione, richiesta di aiuto, guerra aperta, insediamento. Così, all'infinito.

Eroe di guerra
Riammesso nei ranghi dell'esercito sotto Rabin, Sharon riscatta del tutto la sua immagine con la guerra dei Sei Giorni (1967), durante la quale conduce l'avanzata-lampo più fulminante della Storia d'Israele, sempre nel Sinai. Più controverso il suo ruolo nella guerra dello Yom Kippur (1973): subentrato a un generale sollevato dall'incarico (Sharon si era congedato da poco), riesce avventurosamente ad attraversare il Mar Rosso e stabilire una testa di ponte in Africa; disobbedisce una volta ancora agli ordini, ma salva agli occhi di molti connazionali l'onore di una guerra che per la prima volta Israele ha rischiato di perdere. Una celebre foto lo ritrae accanto a Moshe Dayan che passa in rassegna le truppe nei pressi del Canale di Suez: alla benda nera del grande generale, Sharon può accostare la sua bandana insanguinata. Un simbolico passaggio di consegne: Israele ha un nuovo eroico condottiero. Col senno del poi, è un disastro anche questo. Ma per il momento, è una vittoria. (Continua)
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