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Toglieteci tutto, fateci andare in giro nudi, ma lasciateci la libertà di educare (Luigi Giussani)


Vogliamo Don Giussani nudo.

“Buongiorno”.
“Buongiorno a lei, desidera?”
“Vorrei della scuola per mia figlia”.
“La vuole pubblica o privata?”
“Ecco… io non me ne intendo molto, sa? Mi spiegherebbe…”
“…la differenza? Son qui per questo. Dunque: la scuola pubblica è aperta a tutti. Gli insegnanti sono selezionati mediante concorsi di Stato o corsi specializzati. Le spese scolastiche (libri, mensa, trasporti) sono calmierati…”
“Uh, questo mi piace”.
“…Perciò la scuola pubblica tende a ridurre le distanze tra classi sociali e gruppi razziali: per sua natura è interclassista e multiculturale. Ricchi, poveri, bianchi e neri, tutti compagni di banco”.
“Ma funziona?”
“Dipende dalla società. In una società aperta, civile, con una robusta classe media, la scuola pubblica funziona a pieno regime. Per contro, se la classe media si svuota, se prevalgono spinte all’isolamento e i quartieri vengono recintati, inevitabilmente la scuola pubblica degenera in un ghetto”.
“Mmm, questo non mi piace tanto. E l’altra cos’è?”
“L’altra è una scuola di classe. Ci va chi può permetterselo. Insegnanti e dirigenti sono selezionati sul mercato del lavoro. Lo studente di una scuola privata è come un investimento: deve fruttare per forza. Conviene ai dirigenti, conviene agli insegnanti, conviene ai genitori”.
“Ma allora diventa una fabbrica di voti?”
“Dipende. Ci sono le scuole eccellenti e le scuole per finta: il mercato offre prodotti diversificati. Se sua figlia è indolente, può parcheggiarla in un votificio. Ma se sua figlia vuole sgobbare e diventare qualcuno, le consiglio una scuola privata di qualità”.
“Questo sì che è parlare! Ecco, voglio una scuola di quelle lì”.
“Bene. Fanno venti milioni”.
“Prego?”
“Forse non mi sono spiegato bene. La scuola privata costa molto di più di quella pubblica”.
“Ma io venti milioni non ce li ho!”
“Allora non se la può permettere, mi dispiace. È la legge del mercato”.
“Ma io ho diritto di scegliere!”
“Lei ha il diritto di scegliere una scuola pubblica. Ne abbiamo di ottime, sa?”
“Ma io voglio quella privata! Io ho il diritto di mandare mia figlia alla scuola privata!”
“Non è questione di diritti, è questione di soldi. Se non ha venti milioni non ce la può mandare”.
“E lo Stato, scusi?”
“Come?”
“E lo Stato dov’è? Lo Stato mi deve aiutare!”
“Lo Stato dovrebbe aiutarla a mandare sua figlia in una scuola privata?”
“Sì”.
“Senta, mi spieghi una cosa. Lei è un liberista o un assistenzialista?”
“Mah, liberista, direi”.
“Ed è sicuro di poterselo permettere?”
“Come sarebbe a dire? Essere un liberista è un mio diritto”.
“Tutelato dallo Stato, magari”.
“Precisamente”.
“Cioè, lei pensa che lo Stato debba garantirle il diritto di essere liberista”.
“Sì, perché?”
“Non se la prenda, ma temo che lei abbia le idee un po’ confuse”.
“Davvero?”
“Sì, credo che le manchino alcune nozioni fondamentali. Mi tolga una curiosità…”
“Dica”.
“…che scuola ha fatto, lei?”
“Io? Le suore, perché?”



***

Chi ha inventato i buoni scuola dovrebbe tornare a scuola. Semplicemente. Non si tratta di dover scegliere tra pubblico e privato; si tratta di non riuscire a capire la differenza. Ancora un poco e ci sarà chi chiede i buoni-benzina per andare al lavoro in macchina piuttosto che in autobus. Oppure, già, i buoni UPS per fare a meno del servizio postale.

Naturalmente, c’è anche chi fa il furbo. Ultimamente si sente spesso il nobile adagio attribuito a Don Giussani: “Toglieteci tutto, fateci andare in giro nudi, ma lasciateci la libertà di educare”. Vecchia volpe, ma per chi ci ha preso? Ci rendiamo conto benissimo che l’unico modo di spogliare l’insigne prelato e i suoi amici, l’unico modo di restituire loro l’evangelica povertà (caldamente consigliata per la prova di ammissione al Regno dei Cieli) è privarli della loro principale fonte di reddito: la scuola cattolica assistita dallo Stato laico. Che di privato, ormai, ha solo il nome. Forse sarebbe ora di darle il nome che le spetta: Scuola Parastatale.
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