Coi tuoi problemi di avviamento, 2

Permalink
Neanche la nostalgia è più quella di una volta

In fondo cosa vedi di una macchina, dopo tante chiacchiere e reclame, la prima volta che la incontri per strada? Il sedere.
Il sedere della nuova 500 – l’ho visto – non è un granché. E questo è curioso. Voglio dire: cosa ci voleva a disegnare una 500 carina?
Io non sono un designer e probabilmente neanche tu che leggi lo sei, ma di sederi di macchine ne abbiamo visti parecchi e tutto sommato le regole per costruire un remake di successo di una polverosa utilitaria del passato le conosciamo. Li fissarono in un reparto design californiano della Volkswagen J Mays e Freeman Thomas, più o meno 10 anni fa: nessuna pretesa filologica (tecnicamente parlando il New Beetle non aveva nessuna parentela col maggiolone); del vecchio modello si prendono le curve che hanno ancora un vago senso estetico o razionale, si annullano le altre, si semplifica e si ingrandisce. Dopo il maggiolone è arrivata la Mini, di cui la 500 è un’emulazione quasi imbarazzante.
E dunque: dato il modello di partenza, date le regole del gioco, era quasi impossibile disegnare una macchina bruttina, eppure al Lingotto ce l’hanno fatta. Com’è stato possibile?
Eppure vista dal vivo la piccoletta non ha granchè di eccitante: è un trabiccolo mediamente ben disegnato, con molta plasticaccia dentro, con un muso da vecchia 500 e un retro da nuova Mini.
(The Design Council)

In un certo senso questa macchina è arrivata tardi. Con le sue linee curve, la vecchia 500 era il modello ideale per un remake di successo alla fine degli anni Novanta, quando furoreggiavano le carrozzerie tondeggianti e bombate. È curioso che la catastrofica inaugurazione torinese, dovendo introdurre il presente, abbia usato accanto agli ormai ecumenici ballerini hiphop, la musica di quel periodo: Prodigy, Underworld, Lauryn Hill, tutta gente che alle mie orecchie ormai devastate da Polaroid suona più datata dei Beatles, ma è anche vero che nel frattempo ho cambiato tre indirizzi e persino qualche fidanzata (senza parlare dei mestieri); a qualcun altro sembrerà invece l’altroieri.
Comunque oggi le macchine non le fanno più così, lo avrete notato. Non è che la linea curva sia andata in pensione; diciamo che i designer se ne sono stancati anche se non hanno ancora trovato qualche idea altrettanto buona; così ora mettono qualche spigolo più vivo, qualche linea retta, qualche accenno di pinna, qualche fanale appuntito, nulla di veramente rivoluzionario. La verità è che siamo in una fase di transizione, e la 500 la sconta tutta. È tonda senza il coraggio di esserlo veramente. Dev’esser dura citare gli anni Cinquanta ma allo stesso tempo non sembrare roba anni Novanta. C’è una brutta crepa tra le cose già degne di nostalgia e quella che nessuno ha ancora rivalutato, quelle vecchie e basta, e la 500 non voleva cascarci dentro. Il risultato è deludente.
In pratica in FIAT hanno fatto così: hanno preso una Panda, modificato la carrozzeria per farla assomigliare ad una versione peggiorata della 500 originale, “ritoccato” il prezzo del 30% e investito un miliardo di euro in pubblicità per far credere al vulgo profano trattarsi di automezzo “cool” e degno di essere posseduto dalla gente che piace. (Sviluppina)

Allo stesso tempo però è un risultato che consola. L’Italia industriale, lo sappiamo, si trova al bivio: o china la testa al made in China e si rassegna a una rapida decadenza, o si riconverte tutta quanta all’unica cosa che in teoria sa fare bene (o che cinesi e indiani non sanno ancora fare meglio): la qualità artigianale, l’eccellenza, l’alta moda, eccetera. Però trasformare un’intera nazione nel famoso Polo del Lusso non è un’operazione indolore. Per strada c’è ancora tanta gente bruttina, che non ha soldi per vestire elegante, oppure non ne ha voglia. Se lo stivale deve diventare un centro commerciale trendy, più Lafayette che Oviesse, anche noialtri che siamo perlopiù inservienti, o inservienti di inservienti, dovremo darci un contegno: curare il trucco e l’acconciatura; e anche la macchina, mi raccomando, carina. Già.
Il problema (ma è davvero un problema?) è che la Fiat, storicamente, strutturalmente, tradizionalmente, le macchine non riesce a farle carine. Sono nate scatolette in lamierino, e Lapo o non Lapo continuano a sembrare scatolette in lamierino. E meno male! Sul serio, è persino consolante pensare che nell’Italia del lusso e dell’extralusso, Alfa Lancia Macerati Ferrari Lamborghini, c’è ancora un ufficio design che non riesce, per quanto s’impegni, a disegnare una bella macchina. Il problema è che te la fanno ugualmente pagare come un’opera d’arte: ecco, questo non è giusto.

La Fiat è arrivata tardi anche all’appuntamento con la nostalgia – la Fiat arriva sempre tardi. Mentre a metà '90 i californiani ridisegnavano il maggiolone, a Torino cercavano di vendere come “Nuova Cinquecento” l’ennesima scatoletta in lamierino, un po’ più tondeggiante del solito. Quella del jingle di Gino Paoli, qualcuno si ricorda? No? Ecco. Quando Lapo diceva la Fiat deve tornare a essere figa, non stava parlando di nessun periodo storico in particolare: si stava semplicemente inventando un passato che non c’è mai stato. La Fiat non è mai stata figa, non si è mai posto il problema. La sua vocazione alla bruttezza non era una tabe ereditaria, ma una precisa scelta di marketing: dopo aver dato una macchina (simpatica, certo non 'figa') agli italiani poveri ma belli del boom, si era guardata intorno, e nel mercato mondiale dell’automobile aveva scelto di vender macchine soprattutto nei mercati emergenti: il Sudamerica e l’Europa dell’Est. Era come se dopo il boom italiano la Fiat volesse cavalcare un boom mondiale che non c’è mai stato. Col senno del poi aveva torto, ma ancora negli anni Ottanta sembrava un ottimo calcolo: avere una buona posizione in un mercato emergente significa costruirsi opportunità enormi.

Se queste opportunità non si sono mai veramente realizzate, non è colpa della Fiat. Il mondo ha girato in un certo modo. Negli anni Ottanta abbiamo scoperto che gran parte dei Paesi in via di Sviluppo non si stavano sviluppando affatto, che non avrebbero mai avuto i mezzi per procurarsi nemmeno le 126, né le strade per farle girare. Con la caduta del Muro anche il mercato dell’est è diventato più competitivo. La Fiat si è dovuta rassegnare a rincorrere le altre case automobilistiche europee nella lotta per conquistare il sempre più esigente automobilista globale.

Questo automobilista è un po’ antipatico, si sa. È nato in una società del consumo adulta, satura, ha già visto di tutto. Vuole la novità, ma allo stesso tempo ne ha paura. Gli piace la nostalgia, e pazienza se è nostalgia per cose che non ha mai vissuto; tanto è cresciuto davanti alla tv e nemmeno se ne accorge. Vuole l’utilitaria perché tiene poco posto, però vuole anche la prestazione sportiva. Vuole tutto e paga bene, quindi ben venga la Cinquecento. È tutto un po’ discutibile, e ampiamente discusso: che senso ha fare concorrenza in un settore già inflazionato da macchine oggettivamente più “fighe”, Mini in testa? Dovremmo comprare per amor di patria una macchina prodotta in Polonia? Ma come, l’idraulico polacco ci fa paura e l’assemblatore polacco di scocche lo dobbiamo apprezzare a prescindere? Perché invece di sedurre i fighetti la Fiat non rimane fedele alla sua tradizione, e non sforna macchine solide per i nuovi proletari, che sono tanti, anche se non parlano bene bene l’italiano? Non è una sconfitta che i magrebini continuino a preferire le Peugeot, o si mettano a comprare le Logan? Davvero nell’Italia del lusso non c’è spazio per una casa automobilistica, una sola, che faccia ancora auto per i poveri ma belli e non per i paesani rifatti? Di pretenziose scatolette in lamierino non bastavano le Y scolpite da Gabbana?
Quello che mi pare deludente è lo spot svenevole-epico con le scene di “Nuovo cinema Paradiso” montate assieme alle immagini in bianco e nero di personaggi e momenti della storia italiana. L'idea, confezionata con tutta la retorica estetica del caso, è drammaticamente datata (Wittgenstein)

Tutto questo annegherà, è già annegato, in una campagna pubblicitaria senza scrupoli, che pompa l’irrazionale ai massimi livelli e tra Madre Teresa, Falcone e Borsellino trasforma un’utilitaria in una protagonista del Novecento. Un secolo già ampiamente finito, ma chi se ne frega. Ne venderanno un botto. E le strade d’Italia sfoggeranno l’ennesima scatoletta in lamierino, con qualche pretesa in più.
Voglio augurarmi che sia una fase. Se la fiat è il destino dell’Italia, spero che abbia la sagoma vagamente squadrata della Panda a metano. Bruttina, forse, ma ha un carattere, una dignità, un senso, che la 500 non ha. E persino il sedere è più simpatico.
Comments (27)