In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Questi giorni a Lampedusa. L’isola dell’accoglienza
1/02/2014Global Project
All’aeroporto di Lampedusa, ci hanno dato la più grande che avevano a disposizione ma ancora non basta. Solo ieri, giornata introduttiva dedicata alla presentazione delle tantissime associazioni presenti e al saluto della sindaca, si sono registrate oltre 250 persone. Altre se ne stanno aggiungendo ora, altre ancora arriveranno sugli aerei del pomeriggio per l’incontro conclusivo sulla Carta e partecipare l’assemblea programmatica che si svolgerà domani mattina.
La prima nota da sottolineare quindi, è la grande mobilitazione che si è creata attorno all’appello di Melting Pot, cui va dato il merito di aver saputo interpretare e dare voce al diffuso disagio provocato dal fallimento delle attuali politiche migratorie.
Il secondo punto che vogliamo evidenziare è la straordinaria accoglienza riservataci degli abitanti di Lampedusa inizialmente, diciamocelo pure, quantomeno scettici di fronte all’ennesima “invasione” della loro bella isola. Niente battaglioni di giornalisti al seguito di politici non richiesti, ma decine e decine di “strani” personaggi, attivisti giovani e meno giovani, provenienti da tutta Europa per lo più con un sacco a pelo sulle spalle.
E’ bastato qualche volantinaggio la diffusione della lettera ai residenti e, più di tutto, le chiacchierate che in questi ultimi giorni abbiamo fatto ai tavolini dei bar e delle pasticcerie, per far capire a tutti chi eravamo e cosa volevamo.
“Eravamo pronti a contestarvi perché non ne possiamo più di gente che viene qui a far passerella, promette mari e monti e poi se ne va, abbandonandoci in un mare di problemi - confessa un rappresentante degli imprenditori dl Lampedusa - Ora invece siamo pronti a collaborare alla stesura della Carta e anche a metterci la firma. Siamo i primi a poter dire, proprio perché lo abbiamo constatato sulla nostra pelle, che queste sciagurate politiche migratoria sono sconfitte in partenza, scaricano tutto il problema su pochi posti di confine come la nostra Lampedusa ed inoltra sono costosissime. Non possiamo fare a meno di domandarci ogni giorno, cosa potremmo fare con tutti i milioni di euro che spendono per militarizzare l’isola, non solo nell’accoglienza ma anche per migliorare le condizioni di vita degli abitanti. Lo sa lei che basta qualche settimana di maltempo per lasciarci tutti senza frutta, senza verdura e anche senza gas?”
Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’intervento della sindaca Giusi Nicolini che ha aperto l’assemblea ringraziando i presenti. “Questa piccola isola così piccola e così sola ha saputo affrontare emergenze indescrivibili. Noi, più di tutti, possiamo affermare quando sia ipocrita e falso dire che l’Europa, così grande, non possa accogliere degnamente queste persone costrette a scappare da Paesi in guerra. Lampedusa l’ha fatto e lo farà. L’Europa lo può e lo deve fare”.
Adesso, mentre scrivo, al tavolino delle registrazioni continuano ad arrivare persone. Dentro procede la discussione e gli attivisti di Melting hanno approntato un servizio di traduzione simultaneo in francese e uno in tedesco, mentre sul muro viene proiettato il testo in inglese.
Entro sera bisogna arrivare alla stesura finale della Carta e alla sua ratifica.
Questi giorni a Lampedusa. L’isola delle caserme
30/01/2014Global Project
Oramai nessuno nasce e nessuno muore più a Lampedusa (migranti a parte). Il piccolo poliambulatorio non è neppure dotato di un servizio ostetrico. Per partorire le gestanti raggiungono gli ospedali palermitani. E debbono imbarcarsi perlomeno un mese prima. Gli aerei di collegamento sono dei piccoli bimotori ad elica. Non sono mezzi consigliabili a chi ha paura. Con tutti quegli scossoni che ti regalano emozioni e attaccamento alla vita, se la gravidanza è molto avanti, c’è il rischio di scodellare il pupo tra le mani della hostess.
In bassa stagione poi, i voli sono limitati anche a prescindere dalle condizioni del tempo e dagli scioperi dei controllori dei voli. Sui pochi posti a disposizione, inoltre, i residenti hanno giustamente il diritto di precedenza. Questo è il motivo per cui molti attivisti che hanno tentato di raggiungere l’isola hanno dovuto desistere dai loro propositi e rassegnarsi a partecipare agli incontri seguendo lo streaming su Melting Pot.
Io sono stato tra i primi ad arrivare. Mi ha accolto un mare in burrasca e una cittadina fredda, molto lontana da quegli arcobaleni di colore con cui dipingiamo la Sicilia.
Il centro sta tutto in un’unica strada, via Roma. Lunga, larga, diritta, ben curata, costellata di ristoranti stile Bella Napoli e di negozi “Totò o’mericano” che vendono piastrelle “Una vipera ha morso mia suocera...” Per la maggior parte sono chiusi. “Chi ha i soldi va a svernare a Palermo dove ha la seconda casa e può mandare i figli a scuola - mi ha spiegato la gentile signora che ci ha affittato le camere -. Qui non c’è niente per i bambini. La scuola dell’obbligo non ha aule per tutti e mio figlio è costretto ad andare a lezione al pomeriggio. E dopo l’obbligo, abbiamo solo un liceo scientifico. Fosse almeno un istituto alberghiero”.
Gironzolando per le strade di Lampedusa, salta subito all’occhio che l’intera isola è stata trasformata in una caserma. Le strade perpendicolari a via Roma sono continuamente attraversate da camionette e blindati dei carabinieri. Dappertutto trovi cartelli con scritto “Zona militare. Vietato l’accesso” . Seduti ai tavolini dei bar, rigorosamente riservati agli uomini, ci sono più soldati in libera uscita e poliziotti in borghese che lampedusani. E poi guardi di finanza, polizia di frontiera, capitanerie di porto... mancano solo gli alpini per completare l’elenco dei corpi dello Stato. Sono sceso al porto per fotografare il “cimitero” dei relitti dei barconi cui, qualche giorno fa, qualcuno ha appiccicato il fuoco. Due militari armati mi hanno ordinato subito di allontanarmi. Ho spiegato che ero un giornalista con regolare iscrizione all’Albo. “Proprio per questo” mi hanno risposto.
Ancora più raccapricciante è la bandiera con il “sole padano” che sventola sopra il porto del naufragio, appena sotto la grande statua della madonna protettrice dei marinai dall’aureola che si illumina di notte. Proprio qui, al sud del sud, la Lega Nord è riuscita ad eleggere una rappresentanza in consiglio comunale. Votarli sotto queste cielo meridionale, viene da pensare, deve essere come per un leprotto iscriversi all’Arci Caccia.
Pasteggiano con la paura delle gente. Girano per le strade dell’isola su un’auto di “rappresentanza” con bandierona al vento, lo stemma sul cofano e la scritta “No all’abrogazione della Bossi Fini”. Domani incontreremo la sindaca Giusi Nicolini e ci auguriamo che sappia dipingerci un’altra Lampedusa.
Intanto, ora dopo ora, gli attivisti dei tantissimi movimenti che hanno aderito all’appello di Melting Pot per scrivere assieme la Carta di Lampedusa scendono dagli aerei. Vengono da tutta Italia, dalla Francia, dall’Olanda, da tanti altri Paesi europei e nordafricani. Basta un’occhiata per capire che non sono i soliti turisti. Accanto al tavolino da cui scrivo queste note si siedono un paio di tedeschi e un profugo. Sono di “Lampedusa in Amburg” e sono venuti a proporre un gemellaggio con il quartiere S. Pauli.
Grazie a tutti loro, anche la grigia Via Roma sta cominciando a riempirsi di colori.
Ps - col vento che c'era... la bandiera ha sventolato per poco!
Satellite comunicazione
30/01/2014Il Manifesto
Sono partiti lunedì da Padova per raggiungere Napoli ed imbarcarsi per la Sicilia. Poi in auto da Palermo a Porto Empedocle per prendere un'altra nave fino all'isola.
I nuovi strumenti di comunicazione hanno avuto fin dall'inizio un ruolo fondamentale per la Carta di Lampedusa. Ma le assemblee on-line ed il documento scritto collettivamente attraverso il docuwiki pubblico sono stati solo il preludio. E' intorno alla tre giorni sull'isola che la comunicazione indipendente cercherà di spingersi oltre, con una connessione satellitare messa a disposizione da Sherwood.it.
La diretta delle assemblee potrà essere seguita in streaming su www.meltingpot.org, mentre sabato 1 e domenica 2 febbraio, alle 21.30, andranno in onda due trasmissioni dedicate all'isola di Lampedusa ed ai confini dell'Europa. Due grandi co-produzioni lanciate da Sherwood che raccoglieranno i contributi e le immagini messe a disposizione da ZaLab e moltissimi artisti, seguite dallo visione gratuita di “Mare Chiuso” di Andrea Segre e Stefano Liberti e del film/documentario “I nostri anni migliori” di Matteo Calore e Stefano Collizzolli.
Chi poi vorrà seguire approfondimenti, interviste e commenti potrà farlo attraverso i tanti media indipendenti e non che saranno sull'isola. Globalproject, Dinamopress, Amisnet, Qcode Magazine, Radio Onda D'Urto, Radio Roarr, Left Avvenimenti, Corriere delle Migrazioni, solo per citarne alcuni. Ed ovviamente dalle pagine di questo giornale. Tutti impegnati a dare voce a questa sfida lanciata contro i confini dell'Europa. Insomma, chi non è riuscito a raggiungere l’isola può stare tranquillo. “Stay tuned”, resti connesso e non si perderà una parola.
Cie. La mappa del fallimento
30/01/2014Il Manifesto
Il Cie di Modena è stato definitivamente cancellato, mentre la struttura di Lamezia Terme (Cz) non è operativa perché i locali non risultano idonei alla destinazione d'uso. A questi si aggiunge la recente chiusura temporanea del centro di Gradisca d'Isonzo (Go) e lo svuotamento, nei fatti, del Cie di via Corelli, a Milano, dove i posti disponibili sono ormai ridotti all'osso. Quelli costruiti nel 2011 a Santa Maria Capua Vetere e Palazzo San Gervaso, pur attivi, sono in attesa del completamento dei lavori di adeguamento, mentre per il Cie di Milo si prospetta la chiusura definitiva. Tutti gli altri operano invece con capienza ridotta a seguito dei danneggiamenti prodotti dalle rivolte. La prima scommessa per i movimenti che si ritrovano a Lampedusa si gioca proprio intorno a questa mappa, che rappresenta il fallimento delle politiche europee in materia di immigrazione. Le occasioni non mancheranno già nelle prossime settimane. I fronti caldi saranno Ponte Galeria e via Mattei a Bologna, dove si riaprirà la partita per la chiusura del primo e per la dismissione definitiva del secondo. E poi ancora al Mega Cara di Mineo, simbolo di un sistema di accoglienza disastroso e speculativo che, su tutto il territorio nazionale, dopo i nuovi arrivi dalla Siria e dal Corno d'Africa, rischia di gonfiare nuovamente le tasche di speculatori ed affaristi sulla pelle dei migranti.
A Lampedusa per cambiare l'Europa
30/01/2014Il Manifesto
Tra i promotori della Carta di Lampedusa c'è Melting Pot. Incontriamo Nicola Grigion che da qualche giorno è sull'isola. “Questa è una grande occasione per ripartire insieme – ci dice. La Carta nasce dopo una tragedia, ma è frutto di un decennio di battaglie antirazziste, un patrimonio costruito dalle lotte dei migranti e da chi si è opposto all'uso del diritto come uno strumento da imporre con arbitrio. E può diventare un vero e proprio patto costituente, un orizzonte comune dentro cui muoversi in molti e diversi.” I temi scottanti ci sono tutti. La bozza di documento che verrà discussa non lascia spazio ad ambiguità e combina spinte utopiche ad una giusta dose di concretezza. Non è però una proposta di legge. Apre dei campi di tensione che nei prossimi mesi saranno al centro dell'agenda dei movimenti e probabilmente anche della politica. Ci sono le elezioni europee e per forza di cose tutti dovranno fare i conti con la questione migrazioni. “Il periodo elettorale rischia di regalarci una sequenza di annunci e retoriche – continua Grigion. “Ma può essere anche una grande occasione per i movimenti di aprire varchi. Le forze che governano l'Unione non possono cedere su questi temi. Al massimo cercano di trovare nuovi modi per rilegittimarne la gestione dei confini. Perché per l'Europa, così come l'abbiamo conosciuta finora, i confini sono un punto cardine. Ma noi non possiamo più accettare uno spazio europeo in cui esiste una gerarchia della cittadinanza, perché in questa vicenda vengono meno i diritti di tutti”.
L'appuntamento sull'isola raccoglie un ampio spaccato del variegato arcipelago dei movimenti e dell'antirazzismo. Una composizione meticcia, fatta di piccole e grandi associazioni, di centri sociali ed altre realtà auto-organizzate, di movimenti per la casa e sindacati, di Ong e centri culturali, di media indipendenti e collettivi studenteschi. Ci sono i rifugiati che da mesi sono accampati in piazza ad Amburgo ed i parenti delle vittime dei naufragi del 2011, c'è il mondo laico e quello cattolico, ci sono docenti e giuristi. Sono tanti, diversi, ma anche in questi giorni in cui la politica italiana discute l'ipotesi di cancellazione del reato di clandestinità, non sembrano aver voglia di accontentarsi delle briciole. Vogliono andare fino in fondo. Come Pamela Marelli, dell’Associazione Diritti per Tutti. In questi anni, a Brescia, è stata al fianco dei migranti che hanno lottato contro la sanatoria truffa e per il diritto alla casa. Trova che l'evento sia un fatto inedito. “Ricordo che, dopo la strage, tutti i politici giuravano che la Bossi Fini sarebbe affondata assieme a quel barcone. Ed invece siamo ancora qui ad aspettare qualcosa di concreto. Ora tocca a noi dare un segnale forte. Un segnale dal basso e allargato. “Finalmente, Lampedusa non sarà più solo l’isola delle emergenze ma un vero e proprio trampolino per una nuova Europa”. Anche il processo che ha portato alla costruzione dell'incontro ha avuto risvolti innovativi. Nulla a che vedere con la democrazia della rete tanto cara al M5S. Le assemblee si sono svolte on-line grazie ad un sistema di web-conference messo a disposizione da Global Project. E da oltre settanta città italiane centinaia di persone, in carne ed ossa, hanno partecipato a discussioni accese per preparare l'evento. La stessa bozza della Carta è stata redatta da un'infinità di mani attraverso una piattaforma di scrittura condivisa. La tre giorni si aprirà venerdì pomeriggio con Giusi Nicolini che insieme agli studenti, alle associazioni ed agli abitanti dell'isola, racconterà la vita quotidiana di un luogo dimenticato da tutti, dove in pochi giorni può nascere una struttura miliare ma non c'è modo di sistemare la scuola o di costruire un vero ospedale. Sabato invece l'intera giornata sarà dedicata alla stesura definitiva della Carta, mentre per domenica mattina è prevista l'assemblea plenaria in cui si discuterà una possibile agenda comune per i mesi futuri. Ed è proprio la ricerca di un orizzonte unitario ad essere il vero punto centrale della Carta di Lampedusa. Perché se la tragedia del 3 ottobre ha reso evidente il fallimento e la violenza delle politiche in materia di immigrazione, ha anche imposto un nuovo inizio ai movimenti che contro quelle politiche si sono battuti. “Da vecchio comboniano - dice Alberto Biondo dei Laici Missionari di Palermo - lasciatemi dire che trovo questo progetto sacro. Se la politica si permette di fare le porcherie che fa, e prendere in giro i cittadini, è perché siamo disgregati. Uniti invece facciamo paura”. Ed anche Edda Pando di Arci Todo Cambia e Prendiamo la Parola è sulla stessa lunghezza d'onda. “Dobbiamo uscire da questo eterno essere minoranza e costruire un pensiero che diventi maggioranza. Il problema è quello di trovare delle convergenze. Il che non significa giocare al ribasso. Ma sono vent’anni che non vinciamo niente e, anche al di là delle tragedie che si susseguono, le condizioni dei migranti peggiorano di giorno in giorno”. Ma come accoglierà la gente dell’isola l’invasione di questa moltitudine di persone che non ha timore di dire che vuole cambiare l'Europa? “Nel 2006 arrivammo a Lampedusa in 600 e gli isolani non volevano farci sbarcare – racconta Alfonso Di Stefano della Rete antirazzista catanese - “dopo dieci giorni di lavoro e confronto si unirono a noi nel corteo contro il CIE. Capirono che i loro diritti e quelli dei migranti non sono contrapposti, anzi”. Tra i temi caldi c'è quello della militarizzazione dei territori che, a Lampedusa come nel resto della Sicilia, è all'ordine del giorno. “Credo sia importante dire questo: accogliamo i migranti ed espelliamo le basi” - aggiunge l'attivista di Catania.
Ognuno con il suo punto di vista, ognuno con la sua ambizione, tutti con un' incredibile voglia di rimettersi in gioco in quello che si candida ad essere un nuovo possibile spazio pubblico per la sinistra. Ma se qualcuno pensa a questo documento come una tra le tante dichiarazioni dei diritti scritte nel secolo scorso e poi rimaste sulla carta, si sbaglia di grosso. La sfida più importante è proprio quella che si giocherà nei prossimi mesi, quando la Carta di Lampedusa dovrà misurarsi con la sua possibilità di essere realizzata. “Nessuno ci regalerà nulla – conclude Grigion. La Carta di Lampedusa non è una sintesi, ma un motore. Il nostro futuro è fatto di battaglie concrete contro i confini, quelli che uccidono, come a Lampedusa, ma anche quelli che costringono tutti noi a vivere in un' Europa fatti di ricatti, austerity ed esclusione. Si apre un terreno di ricerca vero e collettivo. Tutti dicono di volere un'altra Europa ma non ci sono scorciatoie. Per costruirla dobbiamo essere in tanti e noi iniziamo a farlo da Lampedusa.
Condannato attivista. Aveva pulito una discarica in un parco naturale “patrimoniio dell’umanità”
18/01/2014EcoMagazine
Eppure, nonnostante la sentenza della cassazione che dà ragione agli ambientalisti, l’area non è ancora stata bonificata: la spazzatura rimane abbandonato lungo le aree del cantiere in balia degli agenti atmosferici col rischio che il materiale possa disperdersi nell’ambiente.
L’iniziativa degli attivisti aveva proprio lo scopo di sollecitare le autorità ad accelerare la procedura di ripristino dei luoghi. Teniano anche presente che esiste il rischio che dalla commissione ambiente del Senato arrivi qualche Legge in deroga” (escamotage per la quale il nostro Paese è tristemete famoso in tutta Europa) che modifichi la legge quadro sulle Aree Protette, mercificandole e consentendo, se non addiruttura incentivando, la realizzazione di centrali idroelettriche. E ci va bene che il nucleare lo abbiamo respinto con un referendum altrimenti…
Fatto sta l’operazione di bonifica non è piaciuta alla magistratura che, notizia recente, ha provveduto ad incriminare un attivista.
Immediata la solidarietà del comitato Bene Comune di Belluno che ha ribadito la corresponsabilità collettiva. Come dire: se ne incrimitate uno, dovete incriminarci tutti.
“Paradossalmente, - leggiamo in una nota diffusa dal comitato - i primi a pagare rispetto a questa vicenda non sono coloro che hanno contribuito, con violenza, a deturpare irrimediabilmente una parte di quella valle unica al mondo, ma coloro che hanno e stanno lottando per difenderla. Ma continueremo questa battaglia contro gli speculatori dell’acqua e tutte le sue forme di privatizzazione con sempre maggiore determinazione, consapevoli delle nostre ragioni e forti di un ampio consenso che accompagna il nostro percorso”.
L’Europa intanto non sta a guardare. La Commissione Europea, a seguito del ricorso degli ambientalisti che hanno denunciato l’iper-sfruttamento idroelettrico delle valli bellunesi, ha ufficialmente richiesto chiarimenti alle autorità italiane sui loro iter procedurali quantomeno “originali”.
Porto Tolle, vittoria degli ambientalisti. I periti del tribunale chiedono all’Enel 3,6 miliardi di euro di risarcimento
15/01/2014EcoMagazine
La perizia è stata richiesta dal Tribunale di Rovigo che ha messo a processo il colosso energetico con l’accusa di disastro ambientale. L’enorme importo risarcitorio che non ha precedenti in Italia e che, per la prima volta si attiene al principio “chi inquina, paga”, è stato calcolato quantificando in 2,6 miliardi per la mortalità in eccesso e nel rimanente miliardo i danni ecologico per mancata ambientalizzazione. Le emissioni di anidride solforosa rilasciate dalla centrale di Porto Tolle, che da sola copriva un decimo di tutte le emissioni italiane, sono state ritenute una causa scatenate di danni all’apparato respiratorio e di malattie anche mortali dei residenti nelle vicinanze, in particolare dei bambini. Per quanto riguarda la mancata ambientalizzazione, l’Enel è accusata di non aver mai provveduto a modernizzare i vetusti impianti di combustione a olio per ricondurre le emissioni entro i limiti stabiliti dalle normative anti inquinamento, sforando le prescrizioni contente nel decreto ministeriale del 12 luglio del ’90 grazie a deroghe e scappatoie.
La sentenza di questo processo che è stato chiamato dalla stampa “Enel bis” è prevista per il prossimo marzo. Secondo il legale di tante associazioni ambientaliste che si sono costituite parte civile, Matteo Ceruti, il caso potrebbe creare un importante precedente per tanti altri procedimenti ambientali pendenti nel territorio italiano che riguardano riconversioni e ambientalizzazione mai avvenuti, così come per il risarcimento delle vittime dei disastri ecologici.
“Chi inquina, paga” insomma, non sarà più solo una utopia.
E la sconfitta per l’Enel non arriva solo dal tribunale. Il Ministero ha confermato che le osservazioni depositate dagli ambientalisti in merito alla incompatibilità del progetto di conversione a carbone con le norme comunitarie che tutelano il Delta del Po, sono state ritenute valide. Sui siti della rete Natura 2000 come è appunto il Delta del Po non ci sono alternative all'ipotesi di “minor impatto” ambientale per quanto viene là realizzato. E “minor impatto”, nel caso di una centrale, significa solo metano. Non certo, l’ossimoro preferito dei dirigenti Enel: “carbone pulito”!
“Se l’Enel vorrà riaprire a carbone la centrale di Porto Tolle - ha dichiarato Eddi Boschetti, presidente provinciale del Wwf di Rovigo - dovrà ripartire da zero, presentando un progetto completamente diverso da quello che prevedeva l’uso del carbone”. Come dire che per i prossimi vent’anni possiamo stare tranquilli: la centrale di Porto Tolle non inquinerà più né il parco del Delta, né la nostra salute. “A conti fatti, potremmo anche ringraziare l’Enel - continua l’ambientalista - che non ascoltò mai i nostri moniti. Se ci avesse dato retta avremmo da anni a che fare con una centrale a turbogas che di impatti ne avrebbe comportati comunque più di una centrale spenta definitivamente”.
Un grazie sincero invece a quanti - associazioni, movimenti e cittadini - si sono mobilitati, rischiando anche denunce e ritorsioni, per difendere il Delta. Non fosse stato per loro, ora avremmo nel bel mezzo di un parco naturale, un mostruoso impianto che brucia carbone.
“Resta sullo sfondo - conclude Boschetti - la triste constatazione che senza la lotta serrata di associazioni e comitati a livello tecnico e legale, le norme vigenti non avrebbero avuto nessun altro difensore. Comune, Provincia, Regione, persino vari ministri di colore politico diverso in tutti questi anni non si sono mai avventurati oltre la dichiarazione populista, guardandosi bene dall'entrare nel merito delle elementari violazioni di legge che erano evidenti fin dall'inizio”.
Come diceva Che Guevara, quello che non facciamo da noi, nessuno lo farà per noi.
Rilanciare il “30 novembre. Comitati da tutto il Veneto in assemblea a Padova
12/01/2014EcoMagazine, Eddyburg
L’incontro dei comitati - il primo dopo la manifestazione di fine novembre - si è svolto sabato pomeriggio, nella sede patavina dei Beati Costruttori di Pace. Più di un centinaio i presenti, in rappresentanza del variegato arcipelago ambientalista e movimentista del Veneto. La prima parte dei lavori è stata dedicata ad una valutazione a freddo dell’iniziativa del 30. Valutazione considerata per lo più positiva da tutti. Superata la fase delle polemiche sulla gestione del corteo, è apparso chiaro che il percorso che si vuole intraprendere dovrà essere sì condiviso nei fini, ma rispettare le specificità di ogni singola associazione, i suoi tempi, il suo linguaggio e il suo stare in piazza. Piuttosto il, continuiamo a chiamarlo così , “movimento del 30 novembre” dovrà mostrarsi il più possibile inclusivo, allargando i temi ambientali a quelli del lavoro, considerando che alla fin fine, diritti e ambiente sono due facce della stessa medaglia che un certo tipo di “sviluppo” vorrebbe macinare per ricavare reddito. O meglio. quella famosa “rendita” che, come ha osservato l’architetta Luisa Calimani, portavoce di Città Amica, sta alla base di questo capitalismo predatorio che ha inventato parole come “austerity” e concetti come “crisi”.
E, a proposito di concetti, tanto per ribadirne uno che troppo spesso cercano di farci dimenticare - intendo “la lotta paga” - riportiamo una osservazione di Beppe Caccia. “La manifestazione del 30 ha avuto il merito di riportare al centro del dibattito politico temi che erano nella nostra piattaforma di lotta. Pensiamo solo al problema dei pedaggi autostradali di cui ora si fa un gran discorrere. Sono convinto che sia anche merito delle nostre mobilitazioni se ora due miti che ci erano stati inculcati come quello che il project financing non ci costa nulla e che le autostrade risolvono il nodo della viabilità, hanno mostrato tutta la loro inconsistenza”.
Archiviato quindi il bilancio positivo dell’iniziativa di novembre, resta da decidere quali strumenti utilizzare per buttare ancora una volta il cuore al di là della barricata. Per Oscar Mencini, che ha auspicato uno “svecchiamento” del sindacato sui temi ambientali, non è mai troppo tardi, ha sottolineato la necessità di “diffondere saperi e conoscenze, incrociando saperi sociali con conoscenze scientifiche” allo scopo di allargare la base critica. “E’ importante includere ma anche evitare di radicalizzare lo scontro” ha sostenuto. Una strada interessante, pur se non pare abbia suscitato grandi applausi in sala, è stata quella per così dire “istituzionale” avanzata dall’urbanista Carlo Giacomini che ha proposto ad usare ancora l’arma del referendum regionale e della proposta di legge di iniziativa popolare su tutti i temi sui quali si battono i comitati, dalle cave agli inceneritori, dalla tutela delle acque a quella de paesaggio. Se è vero che tutti quelli che erano in sala possono chiamarsi a buon diritto “figli” della grande battaglia referendaria per l’acqua pubblica, è anche vero che questa strada giuridica a livello regionale potrebbe rivelarsi tecnicamente impervia, costosa e difficile da percorrere. Per ottenere inoltre risultati quantomeno incerti. (Chi scrive ricorda ancora un paio di legge di iniziativa popolare personalmente depositate 4 o 5 anni fa di cui e che sono ancora ad ammuffire in qualche armadio di palazzo Ferro Fine, sempre che l’acqua alta non se li sia ancora mangiati).
Ma il vero punto dolente di tutta la discussione di sabato è stato il rapporto tra movimenti e partiti che è come parlare di thè col latte: c’è chi non riesce a berlo senza e chi si sente venire la pelle d’oca al solo pensiero di mescolarli. Detto subito che nessuno in sala è schizzato di matto al punto di proporre di costituire un altro partito di sinistra e neppure una sorta di “comitato dei comitati”, il problema di come affrontare le prossime amministrative c’è ed è inutile nascondercelo. Cristiano Gasparetto di Ambiente Venezia, ha messo in guardia l’assemblea dal “continuare a votare gli stessi sindaci e assessori che ci hanno preso in giro e che sono causa del disastro” proponendo di costituirsi in “una lista di partecipazione”. Proposta che non ha sollevato grandi entusiasmi in sala. Gli ha risposto Mattia Donadel di Opzione Zero, ricordandogli che “oramai le decisioni non vengono più prese nei luoghi istituzionali” e che “la questione qui non è sostituire un assessore ma un intero sistema di sfruttamento dei ben comuni”.
Chiudiamo restando sul concreto con la proposta operativa avanzata da Beppe Caccia che sarà, immaginiamo, uno degli argomenti che verranno affrontati nelle prossime assemblee. In sostanza, Caccia ha proposto di organizzare una “due o tre giorni” di lotta e di informazione, che ogni comitato dovrebbe gestire nel proprio territorio con le modalità e i linguaggi che più gli sono consueti: dai gazebi al volantinaggio, dai blocchi ai sit in. Rispettando quindi specificità e sensibilità di ogni associazione. Lo scopo è quello di informare la cittadinanza nelle zone “calde” con l’accortezza di legare sempre e comunque la questione locale ad un più ampio discorso globale. Perché, se c’è una cosa che la manifestazione del 30 novembre ha insegnato a tutti è che la sindrome di Ninby è perdente e si può vincere solo se cominciamo a pensare più in grande dei nostri avversari.
La Europa de abajo busca reescribir los derechos de los migrantes
23/12/2013desinformemonos
Al enorme luto, el Estado italiano respondió con la vergüenza de demandar los 155 sobrevivientes, entre los cuales hay 41 menores, acusándolos de haber entrado ilegalmente en Italia, de acuerdo con las actuales leyes de inmigración. Además, no se realizó ni una sola investigación sobre los eventuales retrasos en la ayuda a los náufragos.
Aquel 3 de octubre 2013, frente a la playa de Lampedusa encontraron la muerte en el mar hombres, mujeres y niños. Se trata de migrantes en fuga que sólo buscaban un futuro, pero que encontraron una frontera. Es la frontera de guerra de una Europa militarizada que, aún después de esta tragedia, sigue invirtiendo miles de millones de euros en políticas de exclusión forzada en Lampedusa, en Melilla, con el muro de Evros y los patrullajes de la agencia Frontex; hasta invadir la soberanía de Estados terceros, exteriorizando hasta el corazón del desierto libio sus dispositivos de control.
Las fronteras sirven para dividir y nunca “pesan” sólo a una parte. También quien nació en la que puede parecer la parte “correcta” es diariamente humillado por una política cada vez más lejana de aquella idea de democracia directa y participativa que está en la base de nuestra Constitución. La marginación de grupos cada día más amplios de nuevos pobres, así como la mercantilización de los derechos laborales y de ciudadanía golpean a los migrantes en fuga, así como a quien trae en su bolsillo un pasaporte europeo en plena vigencia.
Esta no es la Europa que queremos. Este no es el futuro que soñamos. Por eso surgió la convocatoria lanzada por Melting Pot para realizar, como se lee en su sitio web, “un pacto constituyente entre muchos y diversos, un camino colectivo, un espacio común en el que cada uno tendrá la responsabilidad de preservar, cada quien con sus prácticas y sus modos, una ocasión para empezar a entender colectivamente cómo construir una geografía del cambio que vaya más allá de los confines impuestos por Europa, para transformar este manifiesto en realidad”.
Centenares son las asociaciones, italianas pero también de países de Europa y norte de África, que ya se adhirieron a la iniciativa. La cita será en Lampedusa, y se extenderá del viernes 31 de enero del 2014 al domingo 2 de febrero. El objetivo es escribir la Carta de Lampedusa y “contraponer a este estado de cosas un otro derecho, escrito desde abajo. Un derecho a la vida que ponga en el primer lugar a las personas, su dignidad, sus deseos y sus esperanzas, un derecho que ni una institución hoy logra garantizar, un derecho que hay que defender y conquistar, un derecho de todos y para todos”.
Asociaciones, movimientos y ciudadanos – la lista de quienes se adhirieron es verdaderamente muy larga como para reproducirse – están trabajando en esta iniciativa incluso desde el día después de la tragedia. Para que el proyecto se mueva en los carriles de la democracia y la participación, se usará una plataforma wiki que permite que todos puedan participar en la redacción de los documentos finales. Además, ya se realizaron varios encuentros, muchos de ellos en por conferencias web.
No hay ninguna pretensión, subrayan los organizadores, de imponer a Europa un rápido cambio de dirección sobre política migratoria. La cita de Lampedusa hay que entenderla como una ocasión de “volcar los lenguajes y los institutos impuestos por las políticas del confín” y poner las bases de un “manifiesto colectivo, un nuevo derecho que nace desde abajo”.
Un punto de salida, pues. Un trampolín para volver a escribir la geografía de Europa. Y con ella, el mapa de nuestros derechos, que son derechos de todos.
A Lampedusa per riscrivere la geografia dei diritti
17/12/2013Frontiere News
Le frontiere servono a dividere e non “pesano” mai solo da una parte. Anche chi è nato dalla parte “giusta” del confine viene giornalmente umiliato da una politica oramai sempre più lontana da quell’idea di democrazia diretta e partecipata che stava alla base della nostra Costituzione. L’esclusione di categorie sempre più ampie di nuovi poveri, la mercificazione dei diritti del lavoro e della cittadinanza colpiscono i migranti in fuga come colpiscono chi in tasca ha un passaporto europeo in piena regola.
Non è questa l’Europa che vogliamo. Non è questo il futuro che sogniamo.
Ed è qui che nasce l’appello lanciato da Melting Pot a realizzare insieme, come leggiamo nel sito meltingpot.org, “un patto costituente tra molti e diversi, un processo collettivo, uno spazio comune che sarà responsabilità di ognuno preservare, ciascuno con le sue pratiche e le sue modalità, un’occasione per iniziare a capire collettivamente come costruire una geografia del cambiamento che vada oltre i confini imposti dall’Europa per trasformare questo manifesto in realtà”.
Sono centinaia le associazioni, italiane ma anche del resto d’Europa e dal nord Africa, che hanno già aderito all’iniziativa. Ci troveremo tutti insieme a Lampedusa da venerdì 31 gennaio a domenica 2 febbraio per scrivere quella che è stata chiamata la Carta di Lampedusa e “contrapporre a questo stato di cose un altro diritto, scritto dal basso. Un diritto alla vita che metta al primo posto le persone, la loro dignità, i loro desideri e le loro speranze, un diritto che nessuna istituzione oggi riesce a garantire, un diritto da difendere e conquistare, un diritto di tutti e per tutti”.
A questa iniziativa, associazioni, movimenti, cittadini - la lista di chi ha aderito è davvero troppo lunga per essere riportata ed inoltre è in continuo aggiornamento, ma la potete trovare facilmente nel sito di Melting Pot come nelle pagine di tutte le realtà che si sono mobilitando - stanno già lavorando sin dal giorno dopo la tragedia. Per mantenere il progetto nei binari della democrazia e della partecipazione, è stata usata una piattaforma wiki che permette a tutti di contribuire alla stesura dei documenti finali. Inoltre, sono già stati svolti svariati incontri, molti dei quali in web conference. Segnaliamo solo il prossimo appuntamento che si svolgerà materialmente a Palermo, mercoledì 18 a Diaria Didattica, via Venezia, alle ore 19.
Anche il programma della “tre giorni” di Lampedusa è in fase di definizione. Per ulteriori informazioni vi invito a raggiungerci sulla pagina Facebook “La Carta di Lampedusa”.
Nessuna pretesa, sottolineano gli organizzatori, di imporre all’Europa un repentino cambiamento di rotta sulla politica migratoria,. L’appuntamento di Lampedusa deve essere inteso come un’occasione di “ribaltare i linguaggi e gli istituti imposti dalle politiche del confine” e gettare le basi di un “manifesto collettivo, un nuovo diritto che nasce dal basso”.
Un punto di partenza, dunque. Un trampolino per riscrivere insieme la “geografia” dell’Europa. E con essa la mappa dei nostri diritti che sono i diritti di tutti.