In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Il giorno dell’assalto
16/09/2013EcoMagazine, Global Project
Non è neppure un caso che tutto ciò avvenga proprio mentre la Tv - quando ci dà un attimo di tregua dalle tormentose vicende di Silvio - ci assilla con i filmati del recupero della Costa Concordia. Il tutto presentato con la massima spettacolarità, senza ricordare che con catafalchi del genere in giro per i mari gli incidenti sono sempre in agguato. Una vera e propria pubblicità gratuita per le crociere su queste specie di villaggi turistici galleggianti.
Ma l’assalto delle 12 Grandi Navi va letto anche come un rilancio della posta in gioco proprio nel momento in cui si discute di alternative e di laguna a “numero chiuso”. E’ in questa ottica che le multinazionali delle crociere stanno mettendo le mani avanti. Domani potranno dire: “Dodici son troppe? Bontà nostra, siamo disposti a scendere a sei”. Un po’ come si contratta nei mercati orientali, partendo dal doppio per arrivare a metà.
Ed è proprio per questo che sabato prossimo, alle 14,30 alle Zattere dobbiamo esserci tutti. Per far capire alle multinazionali che hanno passato il segno e per ricordare agli amministratori della città ad al Governo che l’unico “numero chiuso” che ci piace è lo zero. E che l’unica alternativa che accettiamo è che questi mostri marini, col loro carico di inquinamento e di brutture, girino al largo dalla nostra laguna.
Ztl Wake Up. Treviso in assemblea all’ex Telecom
15/09/2013Global Project
Ma per l’altra Treviso, quella che si vergognava pure per chi non aveva vergogna, sono stati anche vent’anni di resistenze, di iniziative e di battaglie spesso perdute ma che hanno visto sempre gli attivisti dello Ztl rialzarsi immediatamente in piedi per aprire nuovi fronti e alzare nuove barricate. La storia infinita del loro spazio sociale occupato, sgomberato, rioccupato, risgomberato e ancora rioccupato, non so più quante volte, lo sta a dimostrare.
In nomen omen, qualcuno potrebbe ironizzare, visto che Ztl sta proprio per Zona Temporaneamente Liberato. Ma come un boomerang, lo Ztl torna sempre indietro.
Sette giorni fa, come abbiamo scritto su Global, le ragazze ed i ragazzi di Treviso sono tornati per la terza volta all’ex Telecom, restituendo alla città, con l’ultimo grano di un rosario di occupazioni, un’area sociale. Uno spazio, questo dell’ex Telecom, abbandonato ad un colpevole degrado e sui cui veri interessi che ci sono sotto vi rimandiamo all’interessante reportage - un pulito esempio di giornalismo d’inchiesta - che gli attivisti trevigiani hanno pubblicato sempre su questo nostro sito. Subito, lo hanno utilizzato per organizzare iniziative culturali e politiche, mercatini contro la crisi, e il Gram Festival. Al sindaco Manildo che ha chiesto loro di avanzare qualche proposta per uno spazio, loro hanno risposto di venire qui che gliela fanno toccare con mano la loro proposta.
Questo pomeriggio nel capannone centrale dello spazio recuperato a due passi dalla stazione ferroviaria, si è svolta una affollata assemblea per discutere sul futuro dello spazio. Perlomeno duecento i partecipanti all’incontro. Tutti seduti su quelle panchine che i giovani di Ztl chiedevano anche di firmare. Perché a Treviso anche una panchina può essere pericolosa per l’ordine costituito. Come diceva lo Sceriffo, ci si potrebbe sedere sopra addirittura un migrante senza le orecchie da leprotto.
Strana città questa. Una città che dopo essersi svegliata da un incubo deve combattere anche per alzarsi in piedi. Perché una cosa è sicura. Fino a che a Treviso non ci sarà uno spazio sociale autogestito non potrà dire di essersi scrollata di dosso l’ingombrante eredità di troppi sindaci sceriffi.
Una tangenziale per la Giudecca
14/09/2013EcoMagazine
A luglio, quando è stata avanzata per la prima volta, l’idea di realizzare una tangenziale d’acqua per Grandi Navi proprio a ridosso della Giudecca sembrava uno scherzo. Ed invece, la proposta avanzata dal deputato di Scelta Civica Enrico Zanetti sta prendendo corpo e sarà uno dei quattro progetti alternativi al passaggio in Bacino in discussione.
In altre parole, la tangenziale è l’ennesima Grande Opera a spese di quel che rimane della nostra disastrata laguna per risolvere un problema causato da un’altra Grande Opera (che altro non sono le Grandi Navi). E’ così marcia l’economia.
Il dossier già consegnato al ministro per le Infrastrutture e i Trasporti a fine luglio e ripresentata in questi giorni a Ca’ Farsetti, prevede lo scavo di un ennesimo mega canale tutto intorno all’isola popolare della Giudecca per dar modo alle navi da crociera di approdare in Marittima senza fare la barba alle zone nobili della città. Il tutto, senza gravi disagi per i crocieristi che comunque si godrebbero la vista di piazza San Marco ad una “distanza di sicurezza” di circa 300 metri.
Una tangenziale, per usare le parole dello stesso Zanetti, lunga 2 chilometri, profonda dieci e larga 150 metri. Lo scavo di due milioni di metri cubi di fanghi dal costerebbe 60 milioni di euro. Milione più milione meno. E comunque erano solo 11 a luglio. “I costi sono indicativi perché il progetto è ancora in fase di studio” ha dichiarato il deputato, precisando che ritiene la tangenziale una “proposta di buon senso e ampiamente condivisa, oltre che più vantaggiosa anche per il minor impatto ambientale”.
Va sottolineato che l’dea non è neppure originale. Già nei primi anni del ‘900 era stata avanzata l’idea di scavare dietro la Giudecca. ma erano tempi in cui la parola “ecologia” doveva ancora essere inventata e la laguna non era nelle condizioni in cui si trova ora. Alla fine prevalse il buonsenso e non se ne fece nulla. Oggi non ci scommettiamo niente.
Neanche a dirlo, la “tangenziale” con tanto di impianto luminoso e bricole in stile “Old Venice” ha immediatamente ottenuto il plauso entusiastico degli “sviluppisti” locali e di tutti coloro che continuano a ritenere che il problema dei rifiuti si risolva con più inceneritori, quello dell’energia con più centrali e quello della crisi aumentando i consumi. Confindustria, Alilaguna, esponenti politici dell’Udc e degli ancora vivi socialisti hanno in più occasioni definito il progetto “interessante” e “ambientalmente sostenibile”. Fabio Sacco, presidente di Alilaguna, nel corso di un convegno organizzato dal gruppo Psi in Comune, ha addirittura rilanciato - già che si deve scavare, scaviamo! - proponendo un altro mega canale tra Tessera e le Fondamente Nuove per alleggerire il traffico di taxi diretti all’aeroporto.
Intanto in città spopolano le barzellette sulla tangenziale d’acqua e la gente si domanda se il progetto prevede anche un “boatgrill” al posto dell’autogrill. Io, non ci scherzerei troppo. Capacissimi di averlo previsto sul serio.
L’Area 51 esiste (i dischi volanti no)
10/09/2013Cicap
E fino a che si rimane nel campo della fantasia... come dire... tutto è lecito e divertente. Lo dice uno che di Martin Mystere ha tutta la collezione, speciali compresi, che fa bella mostra in libreria proprio sopra i libri del CICAP!
Il fatto è che alla favola della base segreta che nascondeva all’umanità resti di astronavi provenienti da altri pianeti – e in alcuni casi anche i loro occupanti - tante persone ci credevano sul serio! Basta battere “Area 51” su Google per venire impestati di siti che, senza alcuna evidenza, si sprecano in congetture che nulla hanno a che fare con la scienza o il vero giornalismo d’inchiesta. Ad onor del vero, bisogna ammettere che nessuno negava che in quella regione appartenente all’Air Force statunitense, ci fosse una base militare, più o meno, segreta. Una caserma con annesso aeroporto chiamata anche da chi ci lavorava, non senza una buone dose di sarcasmo, “Paradise Ranch”. L’Area 51 (il nome le viene dalla toponomastica dello Stato semplicemente perché è situata tra l’Area 50 e l’Area 52) infatti, è tutt’ora zona “off limits” per il traffico aereo civile ed è continuamente presidiata da guardie armate appartenenti all'agenzia di sicurezza Wackenhut. Queste pattugliano la zona sopra mimetiche Jeep Cherokee e hanno il loro bel daffare ad allontanare le comitive di ufologi che cercano di avvicinarsi a Paradise Ranch in gran segreto. A conti fatti, un cordone di sicurezza come si trova, nè più nè meno in tutte le basi militari a Stelle & Striscie ma che in quel tratto di deserto, dove le dicerie si mescolano alla fantascienza, alimenta strampalate tesi di chissà quale mysterioso mystero.
Come Loch Ness insegna, l’han capito per primi i commercianti di Rachel, la cittadina più vicina a Paradise Ranch, che hanno messo su un museo e un discreto merchandising destinato alle centinaia di appassionati di UFO e di complotti che visitano la zona armati di binocoli e di macchina fotografica, con la speranza di immortalare contatti ravvicinati di chissà che tipo. Non manca neppure a Rachel il tour operator del mistero che organizza visite sino alle piste d’atterraggio degli UFO. Lo stesso Stato del Nevada non ha perso l’occasione di pompare sull’effetto turistico chiamando la statale 375, che corre nei pressi dell'Area 51, con il simpatico nome di "The Extraterrestrial Highway".
Da parte sua, il Governo degli Stati Uniti sin dal 14 luglio 2003 ha ammesso l'esistenza di una unità operativa nella zona, senza però fornire informazioni sui suoi scopi, col risultato di alimentare il complottismo sulla reale esistenza di veicoli extraterrestri all’interno della base.
Ma cosa c’è davvero all’interno dei capannoni di Paradise Ranch? Lo ha rivelato giovedì 15 Agosto il National Security Archive dell’Università George Washington che ha pubblicato una corposa documentazione di oltre 400 pagine che smonta tutte le teorie cospirazioniste su atterraggi di UFO o portali per altre dimensioni. Negli Stati Uniti infatti esiste una legge denominata Freedom of Information Act, emanata nel 1966 ma entrata effettivamente in vigore dopo una serie di emendamenti applicativi nel 2009, che vincola le amministrazioni pubbliche, governo federale compreso, a consentire a chiunque l’accesso alle loro “regole, opinioni, documenti e procedure”. Il sopracitato report denominato "Central Intelligence Agency and Overhead Reconnaissance: The U-2 and Oxcart Programs" racconta una storia ben diversa. Quella di una base dell’areonautica militare che sin dal ‘55 ha ospitato il progetto di un aereo spia chiamato U-2 (la band irlandese non c’entra niente) costruito dalla Lockheed Martin che aveva lo scopo di sorvolare ad altissima quota l’allora URSS, per fotografarne i dettagli del territorio e la disposizione delle basi militari. Si capisce quindi come mai l’Area 51 fosse tenuta segreta dai militari e al riparo da occhi indiscreti. In seguito, Paradise Ranch divenne la base di altre operazioni legate alla Guerra Fredda come lo sviluppo e la sperimentazione di velivoli come il noto SR-71 Blackbird, che alimentarono la leggenda di frequenti visite da parte di astronavi extraterrestri. Val la pena di sottolineare, come osserva Paolo Attivissimo nel suo blog, che “i militari trovarono molto utile sfruttare la spiegazione ufologica come copertura per questi voli: meglio lasciar credere a visitatori alieni che far sapere ai paesi nemici le caratteristiche tecnologiche dei velivoli più avanzati”.
Ma adesso che la verità storica è venuta a galla, che ne sarà dell’alone di mistero che circonda Paradise Ranch? Non c’è rischio: nessun cospirazionista che si rispetti si è mai fatto convincere da un documento ufficiale governativo. Anzi, il fatto stesso che qualcuno si dia tanta pena a fornire una spiegazione convincente, significa che qualcosa da nascondere c’è.
Nessun timore di fallimento per gli scaltri commercianti di souvenir di Rachel. Loch Ness, dicevamo, ci ha insegnato tante cose.
La laguna dei pesci morti
25/07/2013EcoMagazine
Cosa fosse questo qualcosa, i veneziani lo hanno scoperto la mattina dopo i Fuochi. I canali della città lagunare, in particolare quelli del sestiere di Cannaregio, erano attraversati da una lenta ed irreale processione di pesci morti. Centinaia, migliaia di “go”, “sievoli”, “passarini”, “paganelli”, persino granchi... tutti con la pancia all’aria e in avanzato stato di putrefazione. La lenta corrente di “dozana” li radunava a branchi e li trascinava a ridosso delle rive, tra le barche e le bricole d’ormeggio.
Uno spettacolo davvero angosciante che, unito alla puzza che ristagnava nell’afa estiva, ha sconvolto tanto i veneziani quanto i turisti. Bisogna anche aggiungere che né i “cocai” ne le “pantegane”, animali che nella catena alimentare coprono il premiato ruolo di spazzini dei canali, si azzardavano a nutrirsi di quelle cose morte che ciondolavano tra le onde. Un fatto questo che ha preoccupato non poco i residenti, alimentando il sospetto che la causa della moria fosse da ricondurre ad un inquinamento industriale.
Sin dalle prime segnalazioni, l’assessorato all’Ambiente di Venezia si è prontamente attivato per trovare una spiegazione e nello stesso tempo rimuovere i resti della moria di pesce. Nonostante il personale di Veritas fosse ridotto all’osso per le pulizie del dopo Redentore, le barche del centro servizi hanno raccolto nella sola giornata di lunedì, oltre 50 quintali di pesce. Una quantità davvero enorme che avrebbe potuto coprire 10 volte il mercato di Rialto. Parallelamente alla pulizia dei canali, l’assessore Gianfranco Bettin si è rivolto ai laboratori dell’Arpav e dell’Ulss, che sono gli enti proposti ai controlli sanitari in laguna. “Sino ad ora, i risultati delle analisi - ha commentato Bettin - non hanno trovato nulla che possa far pensare a una causa artificiale. In questi giorni ne ho sentite di tutti i colori: dallo sversamento di una nave cisterna all’apertura delle chiuse dei canali di scolo a porto Marghera. Ma nessuna di queste spiegazioni è confermata dai tecnici che tuttavia installeranno nuove centraline in laguna per monitorare ancora meglio la qualità delle acque. Anche la Procura ha aperto una inchiesta che ritengo opportuna e importante. Se qualcuno ha inquinato dovrà pagare, anche se, ripeto, sino ad oggi non ci sono prove che la moria sia riconducibile ad uno specifico avvelenamento. Piuttosto, dobbiamo considerare che la nostra laguna è sotto stress per ragioni globali e per fattori locali, dal global warming alle grandi opere. Quando è successo in questi giorni è solo un segnale in più della sua sofferenza ed un invito a difenderla con più vigore”.
Il comunicato diffuso dall’Arpav riconduce le cause della moria di pesce ad un fenomeno biologico chiamato afasia dovuto all’impoverimento di ossigeno delle acqua, in particolare nelle zone basse di barena, causato dal “proliferare di alghe in fioritura tardiva dei generi lva, Gracilariopsis, Gracilaria ed Agardhiella”, come si legge nel comunicato Arpav. Tale eccezionale proliferazione sarebbe dovuta, sempre secondo l’agenzia regionale ambiente, alle particolari condizioni climatiche che si sono verificate in questi ultimi giorni: caldo asfissiante, assenza di vento e conseguente scarso ricambio di acqua. In parole povere, le alghe poste in condizioni ottimali per le loro proliferazione, avrebbero rubato l’ossigeno ai pesci che sarebbero morti soffocati. La moria è avvenuta nelle acque basse della laguna nord (anche perché la laguna sud oramai non esiste più, trasformata come è stata in un braccio di mare aperto), i resti dei pesci sarebbero venuti a galla successivamente - e quindi schifati dai gabbiani, abituati a cibarsi di pesce vivo - e trasportati lungo i canali della città dalle correnti. Un fenomeno, secondo l’Arpav, perfettamente naturale.
Vero è anche che 50 quintali di pesce putrefatto che se ne va a spasso per i canali come una gondola ha ben poco di “normale” anche per Venezia. La spiegazione fornita dall’Arpav non ha convinto tanti residenti, alcuni dei quali hanno infilato un pesce morto in una borsa di plastica per portarlo in qualche laboratorio privato. Che è come dire: “di quelli dell’Arpav non mi fido per niente”. Pur se comprendiamo la preoccupazione ed elogiamo il senso civico di questi concittadini. Non possiamo fare a meno di rilevare che una siffatta analisi non ha niente di scientifico per i semplice motivo che non rispetta i protocolli sulla raccolta del campione. In altre parole, anche se il pesce fosse stato avvelenato non è in questo modo che ce ne potremmo accorgere. Tanto varrebbe fargli fare i tarocchi da una maga.
Purtroppo i guai della laguna sono più profondi che un “semplice” sversamento abusivo di prodotti inquinanti e risalgono ad una mala politica di cementificazione e di sfruttamento, non di rado riconducibile ad interessi mafiosi e criminali, di cui la moria di pesce non è che un campanello di allarme che sta a noi saper cogliere per invertire la rotta. “Preoccupa lo stato generale della laguna la cui situazione deve tornare al centro dell’attenzione delle istituzioni e della stessa opinione pubblica - conclude in una nota l’assessore Gianfranco Bettin -. C’è un’evidente sproporzione tra il peso economico e l’impatto ambientale delle grandi opere attualmente in esecuzione e gli interventi di tutela diffusa, compresi gli interventi compensativi di quelle opere, dagli importi infinitamente minori, dai tempi più lunghi, pochissimo o per nulla noti, pensati ed eseguiti senza vero coinvolgimento della città e delle sue rappresentanze. Serve una nuova, costante cura dell’ecosistema, un potenziamento della sua capacità di rigenerazione e la messa al bando di ogni nuova offesa ad esso recata”.
Vedere tutto ma ricordare sbagliato. L’(in)attendibilità della testimonianza oculare
17/07/2013Cicap
Secondo i due scienziati, la memoria può essere contaminata semplicemente aggiungendo nuove e diverse informazioni sul fatto. Due sono i punti chiave. Il primo è la tempistica: per alterare il ricordo è indispensabile agire entro una finestra di circa sei ore, dopo le quali questo viene stabilizzato. Secondo punto: l’attinenza. La nuova informazione deve essere in qualche modo legata alla prima. Per spiegarci meglio, vediamo un esempio riportato dai due ricercatori. Ad alcune persone è stato chiesto di visionare un filmato in cui un terrorista cercava di dirottare un aereo minacciando lo steward con l’ago di una siringa. Successivamente ai testimoni sono stati formulate alcune domande relative all’episodio per verificare l’attendibilità dei loro ricordi. Ad un gruppo di loro, entro le ore successive, è stato fatto ascoltare un file audio in cui lo speaker dava notizia di un fatto simile relativo ad una operazione antidroga nel quale però il terrorista aveva usato una pistola elettrica al posto dell’ago.
Gli studi di Chan e LaPaglia hanno messo in evidenza come questo gruppo di persone, a differenza delle altre, avesse maggiori difficoltà a ricordare l’arma usata dal dirottatore nel primo episodio. Cosa significa questo? Sembrerebbe che la nostra mente abbia bisogno di un intervallo di almeno sei ore per assorbire un ricordo e che entro tale intervallo potrebbe essere manipolata. Questo avverrebbe comunque solo se i due fatti che creano interferenza mnemonica sono in qualche modo simili e compatibili. Per continuare con l’esempio proposto, se ai nostri testimoni fosse stato descritto in seconda battuta un assalto di pirati dei Caraibi, nessuno si sarebbe sognato di affermare che il dirottatore aereo impugnava una sciabola!
Oltre a gettare una nuova ombra di dubbio sul valore delle testimonianze oculari, vogliamo sottolineare come il lavoro di Chan e LaPaglia offra una possibile spiegazione agli errori degli studenti sotto esame. Se durante la lezione un compagno, sia pure involontariamente o per chiarire un suo dubbio, fornisce una informazione scorretta, per gli altri studenti sarà assai più difficile ricordare la soluzione corretta al momento dell’interrogazione.
Purtroppo, dubitiamo fortemente che in una simile eventualità, citare al vostro docente il lavoro di Chan e La Paglia potrà farvi ottenere una immeritata sufficienza!
Grandi opere e malaffare a Venezia: arrestato Giovanni Mazzacurati, il padre del Mose
15/07/2013EcoMagazine, Global Project
Una uscita di scena quantomeno poco elegante questa di Giovanni Mazzacurati, ingegnere padovano ottantenne, conosciuto per essere il “padre” del Mose. Due settimane prima del suo arresto da parte delle Fiamme Gialle, avvenuto nella prima mattinata di oggi, si era dimesso dalla presidenza dl consorzio adducendo qualche problemino di salute. Con lui sono stati colpiti da provvedimenti cautelari altre 14 persone tra cui il consigliere del Consorzio Pio Savioli, il dipendente Federico Sutto e vari rappresentanti legali e amministratori delle società di costruzione che facevano riferimento a Venezia Nuova. Tutti imputati per una serie di reati tra cui turbativa d’asta e falsa fatturazione.
L’operazione denominata “Profeta”, che ha portato a decapitare un’altra testa dell’idra che gestisce le grandi opere della nostra Regione, non avrebbe, secondo quanto dichiarato dal procuratore Luigi Delpino, nulla a che vedere con l’arresto nel febbraio scorso per false fatturazioni di Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani SpA. Azienda che è il principale azionista del Consorzio Venezia Nuova.
Secondo gli inquirenti, Giovanni Mazzacurati dirottava ad imprese “amiche” grazie ad appalti predeterminati, le vagonate di denaro pubblico destinate al Mose, frazionando i lavori in modo da accontentare anche le aziende minori grazie ai contributi provenienti dalle pubbliche amministrazioni. Tutti soldi dei cittadini che arricchivano pochi speculatori senza scrupoli.
Va da sé che, con questo sistema gonfiato che faceva riferimento in prima persona a Mazzacurati, i lavori venivano a costare allo Stato fino a tre o quattro volte tanto.
Così come per Baita, anche per l’ex presidente del Consorzio, l’ipotesi di reato è quella della costituzione di ingenti fondi neri. La Finanza ha accertato, per ora, un giro di fatture gonfiate di 6 milioni di euro solo per quanto riguarda i sassi utilizzati per le dighe a mare il cui costo veniva fatto lievitare dall’azienda chioggiotta che aveva l’appalto tramite una compravendita fittizia con una società di comodo con sede legale in Austria.
Il sospetto comunque è che quanto appurato dalla magistratura sia soltanto la punta del classico iceberg di un sistema di tangenti e di appalti fittizi che ha devastato la laguna, per non dire il Veneto, con il solo scopo di dirottare denaro pubblico nelle mani di faccendieri privati.
Fatto sta che tra le varie imputazioni al vaglio dei finanzieri c’è anche la creazione di "fondi neri in quantità industriale", come è stata efficacemente descritto in conferenza stampa. Lo stesso Giovanni Mazzacurati è stato dipinto senza pietà come un “padre padrone” senza scrupoli che gestiva denaro pubblico con criteri non certo finalizzati al bene comune e che decideva quali aziende favorire, quali no e cosa chiedere in cambio di un appalto.
Le domande cui rimane da rispondere agli inquirenti a questo punto sono: dove sono finiti i proventi derivanti dalle false fatturazioni e soprattutto come e per cosa sono stati utilizzati questi soldi.
La domanda invece alla quale l’operazione “Profeta” ha già risposto è quella che gli ambientalisti si erano posti sin dall’83, anno in cui venne istituito il Consorzio Venezia Nuova, bypassando le amministrazioni locali e commissariando di fatto una problematica delicata come la salvaguardia della Laguna di Venezia ad un pool di aziende private per forza di cose più inclini al guadagno personale che all’ambientalismo. E cioè: considerando che il Mose non serve certo a salvare Venezia dall’acqua alta, perché lo vogliono assolutamente realizzare?
“L’arresto di Mazzacurati - ha commentato Beppe Caccia, consigliere della Lista ‘in comune’ - ha dimostrato ancora una volta che le grandi opere infrastrutturali, realizzate attraverso procedure straordinarie e sottratte ad ogni controllo dei cittadini, sono il cuore del malaffare e della costruzione di veri e propri sistemi di potere finalizzati all'accaparramento di enormi risorse pubbliche da parte di pochi”.
Il Mose, ha spiegato Caccia, deciso e sostenuto trasversalmente da governi nazionali di ogni colore, nonostante e contro il parere dei cittadini e del Comune di Venezia, ne è un esempio lampante.
“Il denaro pubblico - spiega il consigliere - è stato gestito, grazie al perverso meccanismo della concessione unica da parte dello Stato, senza alcuna trasparenza e fuori da ogni verifica, delle opere per la salvaguardia di Venezia, da un consorzio di imprese private, i cui metodi sono oggi sotto gli occhi di tutti”.
Nell’augurarsi che le indagini gettino piena luce su come sono stati impiegati e a chi sono stati dirottati i fondi neri accumulati all'estero dal Consorzio Venezia Nuova e dai suoi soci, Beppe Caccia invita il parlamento a calendarizzare al più presto l'esame dei disegni di legge di riforma della Legislazione speciale per Venezia “restituendo trasparenza a questa delicata materia e piena sovranità alla comunità locale sul suo territorio.”
Venecia rechaza la navegación de hoteles turísticos flotantes
17/06/2013desinformemonos
Es un escándalo ambiental, social y artístico. Es un escándalo a nombre del lobby de los cruceros europeos, los cuales dictan leyes a los gobiernos y sus administraciones.
Justo por eso, en el encuentro realizado del viernes 7 al domingo 9 de junio en Venecia, se reconoció que los grandes barcos entran a título pleno en las grandes obras porque comercializan y destruyen un bien común-la laguna y la ciudad misma- con tal de acumular grandes beneficios en manos de pocas empresas privadas.
Igual que con las grandes obras, la ciudad y sus habitantes no sólo no obtendrán ninguna ventaja, sino que son puestos en la condición de tener que pagar impuestos económicos y ambientales por el daño causado. Varios estudios de docentes y economistas de Ca’ Foscari han demostrado abundantemente que Venecia no obtiene ningún beneficio económico con la presencia de estos “hoteles en el mar”. El turismo que propician-y les aseguro que Venecia no necesita más promoción turística, incluso en tiempos de crisis- es un turismo de “pisa y corre” que en medio día agota el “todo incluido”. Estos barco-hotel ofrecen la posibilidad de comprar en las tiendas las góndolas de plástico y otros recuerdos.
Más allá del aspecto económico no podemos dejar los riesgos inherentes al paso de estas enormes estructuras de hierro en un canal tan estrecho como el de la Giudecca. Es conveniente recordar lo que sucedió en Giglio en enero de 2012, cuando un crucero chocó con una isla y se hundió, causando la muerte de 32 personas. O en mayo de 2013, cuando un portacontenedores chocó accidentalmente contra un muelle del puerto de Génova, derribando la torre de control y matando a por lo menos tres personas. ¿Y si un accidente así sucediera frente a la basílica de San Marcos? Con estas premisas es fácil intuir cómo los tres días de encuentro organizados por el comité ciudadano “No a los grandes barcos” se caracterizó por una amplia participación. A este evento se adhirieron el archipiélago entero de asociaciones que trabaja en la Ciudad de los dogos. El corazón del evento fue la isla de Sacca Fisola, extrema hija de la Giudecca a la cual se conecta por un puente, donde los jóvenes del taller Morion han instalado un campamento internacional.
Se debe subrayar que el destino de Venecia preocupa más en el extranjero que en nuestra propia casa. Muestra de ello es la presencia de numerosos portavoces de los comités “No a las grandes obras” de Francia, Alemania, España, y de otro países de Europa. La lista de adhesiones al Encuentro es realmente larga como para ser nombrada. Se puede mirar en el sitio internet del comité organizador, donde se presentan las fotos de estos rascacielos ambulantes, y hacerse una idea del impacto que tienen en la ciudad más frágil del mundo.
Después de las reuniones, llegó el momento de manifestarse. La ciudad lo hizo durante todo el domingo desempolvando una antigua consigna de guerra: “por tierra y por mar”. Los violentos e injustificados ataques de la policía, de los cuales los manifestantes se protegieron con salvavidas, no lograron dispersar a los contingentes. Ni a los de la tierra, ni a los del agua. Durante todo el día los grandes barcos se quedaron anclados y no lograron romper el bloqueo, ni con la ayuda de helicópteros y lanchas de la policía.
Por todo un día, al menos, la laguna se liberó de sus monstruos marinos.
“Tres días extraordinarios”, comentó Tomasso Cacciari, del taller Morion. “Miles de personas bajaron a la calle a pesar de las prescripciones de la policía, y retomaron la ciudad y sus aguas ahora expropiadas por la Capitanería. Se hizo metro por metro, hasta conquistar el derecho a manifestarse contra las grandes obras flotantes que se obstinan en llamar barcos.”
Justo como las grandes obras, las grandes naves crean, además de un problema ambiental y económico, un problema de democracia. En Venecia nadie lo quiere. No los quieren los ciudadanos, ni los residentes porque cada vez que pasan, el impacto de las olas hace que los baños saquen residuos. No los quieren los ambientalistas y no los quieren siquiera la administración comunal, que desde hace tiempo ha pedido que los saquen de la laguna.
Sin embargo, los grandes barcos continúan atravesando el canal principal, “la sala de Venecia”- Plaza de San Marcos- como si fuera su casa.
“Por una antiestética jaula bajo el campanario”, observó el consejero comunal Beppe Caccia, e intervino el ministro de los Bienes Culturales. Incluso por los grandes barcos, que además de antiestético, son contaminantes y devastan, nadie se incomoda. Por esto decíamos que el problema que suponen entra en uno mayor en torno a la democracia. Es un problema de “¿quién manda en Venencia?”. De eso se trata.
La gran movilización ha señalado un ulterior punto a favor de Venecia. Tal como desde hace tiempo lo pedían los ambientalistas y la misma Comuna, el ministro de la Infraestructura, Maurizio Lupi, ha anticipado la convocatoria al llamado Gran Comité. Es un órgano interministerial para programar lo previsto en la legislación especial para Venecia, con un orden del día dedicado a los grandes barcos.
¿Qué podemos esperarnos de este encuentro? Veamos la lista de invitados. No fueron convocadas las asociaciones ambientalistas. Tampoco estará el ministro de la cultura, quien tendría el encargo, a través de la Superintendencia, de tutelar los bienes arquitectónicos (como si Venencia no lo fuera). En cambio, estarán el Síndico de Venecia. Estarán los representantes de la Región, cuya administración está en manos del Pueblo de la Libertad (PL) y la Liga Norte (ambos partidos de derecha), quienes tienen la sensibilidad ambiental de un mister Hyde y cuya atención va hacia una ciudad que les ha votado con el mínimo histórico.
En el Gran Comité estarán también los representantes del lobby de los cruceros y de las organizaciones de armadoras italianas y europeas. Nos preguntamos a qué título fueron invitadas. También estarán los órganos del Estado que desde siempre han cuidado los intereses de los grandes barcos, como la Capitanería y las autoridades portuarias de Venecia. Todos van a título ministerial. Así, el Síndico de Venecia tendrá que explicar por qué la ciudad no quiere ser diariamente devastada por el ir y venir de estos encementados de mar.
El problema, como hemos dicho, es este: ¿quién manda en Venecia?
Par tera e par mar! Venezia ha detto no alle Grandi Navi
10/06/2013EcoMagazine, Frontiere News, In Comune
Uno scandalo ambientale, sociale, artistico. Uno scandalo commesso nel nome del profitto delle lobby crocieristiche europee che dettano leggi a Governi ed amministrazioni.
Proprio per questo, le Grandi Navi, come è stato ribadito nella “tre giorni” di incontri svoltasi tra venerdì 8 e domenica 9 giugno a Venezia, rientrano a pieno titolo tra le Grandi Opere: mercificano e distruggono un Bene Comune (la laguna e la stessa città), per accumulare grandi guadagni in mano di poche società private. E proprio come per le Grandi Opere, la città e i suoi cittadini, non solo non ne ricavano nessun vantaggio, ma vengono posti nella condizione di dover pagare le spese economiche ma anche ambientali del dissesto causato. Vari studi di docenti ed economisti di Ca’ Foscari hanno abbondantemente dimostrato che Venezia non ha nessuna ricaduta economica nella presenza di questi Alberghi del Mare, in quanto il turismo da loro indotto - e vi posso assicurare che Venezia non ha bisogno di ulteriori promozioni turistiche, anche in tempi di crisi! - è un turismo “mordi e fuggi” da mezza giornata che si esaurisce sul “tutto compreso” della nave-albergo che offre anche la possibilità di acquistare nei negozi sui ponti anche l’immancabile gondola in plastica e altri souvenir.
Ma anche al di là dell’aspetto economico, non possiamo tacere sui rischi inerenti al passaggio di queste enormi scatoloni di ferro in un canale strettissimo come quello della Giudecca. E’ appena il caso di ricordare cosa è successo al Giglio e a Genova. E se un simile incidente si verificasse davanti alla basilica di San Marco?
Con queste premesse, è facile intuire come la “tre giorni” organizzata dal comitato cittadino No Grandi Navi, alla quale ha aderito l’intero arcipelago associazionista che opera nella Città dei Dogi, sia stata caratterizzata da una ampissima partecipazione di pubblico. Il cuore delle iniziative è stata l’isola di Sacca Fisola, estrema propaggine della Giudecca, cui è collegata da un ponte, dove i ragazzi del laboratorio Morion hanno attrezzato un campeggio internazionale.
Da sottolineare, a dimostrazione di quanto i destini di Venezia destino più preoccupazione all’estero che a casa nostra, la presenza di numerosi portavoce di comitati No Grandi Opere provenienti dalla Francia, dalla Germania, dalla Spagna e da altri Paesi d’Europa. La lista delle adesioni alla “tre giorni” è davvero troppo lunga per essere riportata ma potete scorrerla collegandovi al sito del comitato organizzatore www.nograndinavi.it, dove potete anche vedere le foto di questi grattacieli ambulanti e farvi una idea sul loro impatto nella città più fragile del mondo.
Dopo gli incontri è venuto anche il momento di manifestare. E la città lo ha fatto per tutta la giornata di domenica rispolverando un antico motto di guerra: “Par tera e par mar!” Per terra e per mare. Le violente e del tutto ingiustificate cariche della polizia dalle quali i manifestanti si sono riparati con salvagenti e canotti, non sono riuscite a disperdere i cortei. Né quello di terra, né quello d’acqua. Per tutta la giornata, le Grandi Navi sono rimaste ferme alle banchine e non sono riuscite a forzare il blocco neppure con l’aiuto degli elicotteri e dei motoscafi della polizia.
Per un giorno almeno, la laguna si è liberata dai suoi mostri marini.
“Tre giornate straordinarie - ha commentato Tommaso Cacciari, del laboratorio Morion -. Migliaia di persone sono scese in piazza nonostante le prescrizioni della questura e si sono rimpossessate della città e delle sue acque espropriate dalla Capitaneria di porto metro dopo metro, sino a conquistarsi il diritto di manifestare contro queste grandi opere galleggianti che si ostinano a chiamare navi”.
Proprio come per le Grandi Opere, le Grandi navi sollevano, oltre che un problema ambientale ed economico, anche un problema di democrazia. A Venezia, nessuno le vuole. Non le vogliono i cittadini, non le vogliono i residenti che ad ogni loro passaggio, causa l’impatto delle onde, vedono il water di casa tracimare liquami. Non le vogliono gli ambientalisti e non le vuole neppure l’amministrazione comunale che da tempo ha chiesto alle autorità competenti di spostarle dalla laguna. Eppure le Grandi Navi continuano a solcare il canale prospiciente il “salotto buono di Venezia” - piazza San Marco - come fosse casa loro. “Per un antiestetico gabbiotto sotto il Campanile - ha osservato il consigliere comunale Beppe Caccia - è giustamente intervenuto il ministro dei beni Culturali in persona. Eppure per le grandi navi che oltre ad essere antiestetiche inquinano e devastano, nessuno si scomoda”. Per questo, dicevamo, il problema delle grandi navi sta dentro un più ampio problema di democrazia. E’ un problema di “chi comanda a Venezia?” Tutto qua.
La grande mobilitazione ha segnato anche un ulteriore punto a favore di Venezia. Come da tempo chiedevano gli ambientalisti e lo stesso Comune, il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi ha anticipato la convocazione del cosiddetto Comitatone, l’organo Interministeriale per la programmazione previsto dalla Legislazione speciale per Venezia, con un ordine del giorno tutto dedicato alle Grandi Navi.
Cosa possiamo aspettarci da questo incontro? Scorriamo la lista dei partecipanti. Non sono state convocate le associazioni ambientaliste. Non ci sarà neppure il Ministero per la Cultura che avrebbe il compito tramite le Soprintendenze di tutelare i beni architettonici (come se Venezia non lo fosse...). Ci sarà invece il sindaco di Venezia, e vorrei vedere il contrario, ma ci saranno anche i rappresentanti della Regione la cui amministrazione è tutta in mano a Pdl e Lega che ha la sensibilità ambientale di un Mister Hyde e la cui attenzione nei confronti di una città che gli ha sempre votato contro è ai minimi storici.
Al Comitatone ci saranno anche tutti i rappresentanti delle lobby crocieristice e delle organizzazioni armatoriali italiane ed europee (ci chiediamo a che titolo sono state invitate), insieme a quegli organi dello Stato che da sempre hanno unicamente tutelato gli interessi delle Grandi Navi come la Capitaneria e l'Autorità Portuale di Venezia, tutti enti a nomine ministeriali. A costoro, il sindaco di Venezia dovrà spiegare perché la città non vuole essere giornalmente devastata dal via vai di questi cementifici di mare.
Il problema, come abbiamo scritto poco sopra, sta tutto qua: “chi comanda a Venezia?”
A Sacca Fisola tra gondolieri cinesi e aeroporti francesi
8/06/2013Global Project
Apre l’incontro Tommaso Cacciari del laboratorio Morion, che sintetizza l’obiettivo della “tre giorni”: denunciare l’intr
eccio politico affaristico che sta dietro tutte le Grandi Opere, quelle “galleggianti” comprese, e rivendicare Venezia e la sua laguna come un bene comune da tutelare.
Spetta a Flavio Cogo del comitato No Grandi Navi, intervistare l’autore del libro. “Il gondoliere cinese” è essenzialmente un noir che ha come protagonista principale... Venezia. Una Venezia mercificata, ben lontana dai fasti della Serenissima. Il romanzo dai toni forti descrive le pratiche sessuali sadomasochistiche basate sulla dominazione e la sottomissione cui indulgono i protagonisti. “Ho scelto appositamente uno sfondo scandaloso - spiega Lucio Angelini - perché questo si sposa perfettamente con lo scandaloso degrado in cui è precipitata l’ex Dominante. Il personaggio del mio libro che, per denaro, accetta di mercificarsi sino ad assumere l’identità di un cane ha un parallelo con le umiliazioni che la nostra città è costretta a subire ogni giorno. Con la non insignificante differenza che Venezia non è neppure pagata!”
Conclusa tra gli applausi la presentazione del libro, in attesa degli altri ospiti internazionali il cui arrivo è previsto per domani, intervistiamo la francese Roseline Amelot Pigat, ingegnere navale (ha lavorato sei anni anche nei cantieri di Monfalcone dove si sfornano, per l’appunto, le Grandi Navi) ed attivista del - ve lo scrivo in italiano - comitato contro l’aeroporto di Notre Dame di Landes. Una storia, questa, tutta da ascoltare e che nasce nel ’67 sull’onda della "politique de grandeur" del generale Charles de Gaulle. In un piccolo villaggio della Bretagna assediato dalle legioni di Cesare...
http://youtu.be/gaZ7uzSiSTM