In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
A Sacca Fisola tra gondolieri cinesi e aeroporti francesi
8/06/2013Global Project
Apre l’incontro Tommaso Cacciari del laboratorio Morion, che sintetizza l’obiettivo della “tre giorni”: denunciare l’intr
eccio politico affaristico che sta dietro tutte le Grandi Opere, quelle “galleggianti” comprese, e rivendicare Venezia e la sua laguna come un bene comune da tutelare.
Spetta a Flavio Cogo del comitato No Grandi Navi, intervistare l’autore del libro. “Il gondoliere cinese” è essenzialmente un noir che ha come protagonista principale... Venezia. Una Venezia mercificata, ben lontana dai fasti della Serenissima. Il romanzo dai toni forti descrive le pratiche sessuali sadomasochistiche basate sulla dominazione e la sottomissione cui indulgono i protagonisti. “Ho scelto appositamente uno sfondo scandaloso - spiega Lucio Angelini - perché questo si sposa perfettamente con lo scandaloso degrado in cui è precipitata l’ex Dominante. Il personaggio del mio libro che, per denaro, accetta di mercificarsi sino ad assumere l’identità di un cane ha un parallelo con le umiliazioni che la nostra città è costretta a subire ogni giorno. Con la non insignificante differenza che Venezia non è neppure pagata!”
Conclusa tra gli applausi la presentazione del libro, in attesa degli altri ospiti internazionali il cui arrivo è previsto per domani, intervistiamo la francese Roseline Amelot Pigat, ingegnere navale (ha lavorato sei anni anche nei cantieri di Monfalcone dove si sfornano, per l’appunto, le Grandi Navi) ed attivista del - ve lo scrivo in italiano - comitato contro l’aeroporto di Notre Dame di Landes. Una storia, questa, tutta da ascoltare e che nasce nel ’67 sull’onda della "politique de grandeur" del generale Charles de Gaulle. In un piccolo villaggio della Bretagna assediato dalle legioni di Cesare...
http://youtu.be/gaZ7uzSiSTM
Tre giorni di mobilitazione per dire No alle Grandi Navi
7/06/2013Global Project
Intanto, fioccano le adesioni alle iniziative che hanno già coperto gran parte dei comitati e movimenti che si battono a difesa dell'ambiente e del territorio. Per l’elenco completo così come per il programma integrale della giornate, ci si può collegare al SITO DEL COMITATO NO GRANDI NAVI di Venezia.
Una mobilitazione di tale portata, non ha mancato di ottenere i primi risultati anche a livello istituzionale. E’ notizia di giovedì che il ministro per le Infrastrutture e i Trasporti Maurizio Lupi ha fissato per il 13 giugno la prima convocazione di un tavolo a Roma, proprio per discutere di alternative al passaggio delle Grandi navi nel bacino di San Marco. Senza dubbio un primo risultato della mobilitazione dei cittadini veneziani, dal momento che il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni aveva invano richiesto da un anno la convocazione di una specifica riunione del Comitato interministeriale per la salvaguardia di Venezia, che fosse dedicata alla questione.
La battaglia però è ancora lunga e difficile, nonostante l'enormità dell'impatto ambientale e del pericolo rappresentato dalle navi da crociera in transito. Come fa notare il consigliere della lista "In Comune" Beppe Caccia, nella riunione del prossimo 13 giugno, il sindaco sarà solo a confrontarsi con i rappresentanti delle società armatoriali italiane ed europee, e con quegli stessi organi dello Stato che hanno finora unicamente tutelato gli interessi della potente lobby delle crocieristica (lo stesso ministero dell'Ambiente, la Capitaneria e l'Autorità Portuale di Venezia). Escluso ad esempio dall’incontro il ministro Massimo Bray, titolare del dicastero dedicato alle attività culturali che pure svolge un ruolo non indifferente nella tutela di un patrimonio monumentale e artistico di cui l’intera Venezia e la sua laguna fanno parte.
Ed è a Bray che si è rivolto Beppe Caccia, invitandolo ad intervenire a difesa di Venezia allontanando il rischio “che al centro del confronto non stiano i beni comuni così pesantemente aggrediti dalle grandi navi, ma ben precisi e consolidati interessi economici. E che il tutto si concluda con un nulla di fatto o, peggio, con l'adozione di soluzioni peggiorative quali lo scavo di nuovi profondi canali”. Per questo, conclude, bisogna arrivare al "definitivo allontanamento dalla Laguna dei natanti con essa incompatibili, prima che sia troppo tardi”.
Intanto il Comitato No grandi navi ha chiesto alla Capitaneria di porto, all'Autorità portuale (responsabili in materia) e a Venezia Terminal Passeggeri (la società che gestisce l'arrivo delle crociere) che il giorno delle mobilitazioni si trasformi in una vera "domenica ecologica". Cioè che il 9 giugno non partano né arrivino a Venezia i mostri del mare. La risposta è stata l'arrogante conferma nel traffico programmato e, da parte della Questura, l'allarme per "possibili infiltrazioni" tra i manifestanti. La Prefettura ha diffuso un comunicato in cui, dopo aver garantito il massimo impegno per lo svolgimento della manifestazione, avverte che non saranno tollerate "violazioni di legge". Le prescrizioni dettate dal questore Roca per il corteo della mattina prevederebbero il divieto di sostare davanti all'ingresso del porto alla Marittima e vorrebbero imporre una conclusione della manifestazione lontano dall'area portuale.
Ma né i divieti, né la propaganda allarmistica scoraggiano la mobilitazione. In un comunicato diffuso dal comitato organizzatore si invita anzi a rafforzare la partecipazione ad una “tre giorni contro le Grandi Navi” che sia un reale momento a difesa di un bene comune che sta nei cuori di tutti: Venezia con la sua laguna.
L'Europa oltre l'Europa
30/05/2013Global Project
Parte da Venezia l’Europa in movimento
Cronaca della prima giornata del convegno
E’ cominciato come doveva cominciare. Con un grande e commosso applauso in memoria di don Gallo. “Un uomo che è e che sempre rimarrà nei cuori di chiunque lotti per cambiare il mondo”, come lo ha ricordato in apertura Vilma Mazza.
E’ cominciato così la “due giorni” di incontri sul tema L’Europa oltre l’Europa organizzata da Global Project e European Alternatives. Il freddo quasi autunnale e la ventilata minaccia dell’acqua alta, sottoposta ai capricci di un imprevedibile vento di scirocco, non hanno compromesso la partecipazione di un folto pubblico che ha affollato la sala messa a disposizione dallo Iuav.
Questo primo appuntamento, coordinato da Vilma Mazza direttore di Global Project e da Lorenzo Marsili European Alternatives,è stata dedicata ai movimenti internazionali.
“Non perdiamoci a descrivere cose che già sappiamo - ha invitato Vilma Mazza - come le politiche di austerity o le repressioni, ma cerchiamo piuttosto di utilizzare questo incontro per costruire un ragionamento comune. Ragionamento che è tutt’altro che scontato. Nessuno di noi vuole tornare indietro nell’orologio della storia. Fermarsi a sostenere che l’Europa ci opprime rischia di sfociare in derive nazionalistiche. Piuttosto troviamo una strada comune per abbattere questa idea di Europa e costruirne una con una geografia politica diversa capace di guardare verso l’Euromeditteraneo”.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Lorenzo Marsili che osserva come ogni ragionamento sull’Europa è soggetto a due poli di attrazione: quello dello status quo e dell’austerità sostenuto da politiche socialdemocratiche sempre più blande, e quello del nazionalismo xenofobo di chiara impronta fascista.
Tema al quale si riaggancia il primo ospite: il giornalista greco Argiris Panagoupoulus. “Ultimamente ho viaggiato parecchio per il sud dell’Europa - spiega - e ho visto dappertutto la stessa rabbia. Ma come si fa a costruire una Europa democratica partendo da un Paese come la Grecia che democratico non può più definirsi?” Argiris racconta episodi di precettazioni forzate e di un diritto fondamentale, come quello dello sciopero, che non esiste più. “Che diritti ci rimangono allora? Quello di andare a votare ogni quattro anni dopo un violento bombardamento di menzogne televisive?” Quindi esamina il caso greco di Syriza. “Mettere insieme le tante anime della sinistra greca è stato un rischio... nucleare! Eppure lo abbiamo fatto perché avevamo qualcosa di dire alla gente. Questa è una strada che mi auguro anche l’Italia sappia seguire. Sono stato in piazza con la Fiom e ho visto una piazza senza rappresentanza istituzionale“.
Parola alla Spagna e al redattore di Diagonal pablo Elorduy. Impossibile che il discorso non cada sugli indignados. “In Spagna la situazione è diversa. La sinistra tradizionale, quella che affondava le sue radici nel comunismo, e non la destra, è violentemente antieuropea. Il governo socialista ha seguito una politica ugale a quella dei conservatori e che si limita a predicare austerità e tagli al welfare. Abbiamo assistito ad un processo di svuotamento dello Stato cui sono rimasti solo i compiti di controllo sociale e di spoliazione dei beni comuni. Contro tutto questo è nato il movimento degli indignados, che ha messo in luce la carenza di democrazia e la crisi della rappresentanza. Cosa ne è ora di questo movimento? Si è verificato un ritorno al territorio e una attenzione alle battaglie locali”. Ammettendo che, rispetto ad un ragionamento europea gli indignados sono in forte ritardo, Pablo conclude con un parallelo musicale, invitando tutti i movimenti locali a “suonare la stessa musica”.
Anno zero anche in Romania, come spiega Iulia Popovici di CritcAtac. A Bucarest le proteste contro la casta politica e contro l’austerity hanno ottenuto solo di affobdare un governo di destra per lasciare spazio ad una coalizione socialista e liberalista in cui i più liberisti sono proprio i socialisti. “I nostri governanti sono proni ai comandi di Bruxelles e più pronti ad andare contro al loro stesso popolo che ai comandi della troika. Da anni stanno privatizzando tutto il privatizzabile e anche qualcosa di più”. Addirittura, racconta Iulia, anche il sistema di ambulanze di prima emergenza è in mano ai privati. Per quanto riguarda l’Europa, in Romania non ci sono Euroscettici. “L’Europa viene vista come un mercato aperto del lavoro. Ricordiamoci che nel mioPaese la migrazione è un cardine sociale e culturale”.
Claudio Gnesutta di Sbilanciamoci riprendo in mano la dicotomiia tra democrazia e capitalismo, osservando come questi due termini non si sposino bene assieme. “Siamo di fronte ad una rivoluzione dall’alto che significa che le regole sociali le sta riscrivendo l’alta finanza. Sino ad oggi c’è sempre stato un compromesso tra il sociale e l’economia. Adesso non c’è più bisogno di questo compromesso. L’economia ordina come deve organizzarsi la società. La finanza comanda perché può decidere come e dove devono spostarsi i capitali a livello globale. Si è assunta il diritto di decidere priorità, meriti e metodi, forte di una forte classe dirigente e di una forte egemonia culturale”. Gnesutta osserva come anche tanta sinistra abbia digerito il principio che l’economia è dominante in una società. Dove sta l’alternativa allora? “Riportando al centro il lavoro e i suoi diritti, ponendo la questione sociale sopra quella economica. Il problema non è euro sì o euro no, ma come cambiare le politiche economiche dell’Europa”.
Di rivoluzione dall’alto parla anche Francesco Raparelli di Dinamopress. “Ma piuttosto che usare questo termine preferssco quello di costituente neoliberale, preferisco parlare di saccheggio più che di economia. I salari, il welfare sono il primo bersaglio di questa costituente che tenta di trasformare la crisi in opportunità. Non è un caso che la grande finanza ha ripreso ad investire nei titoli di Paesi in bancarotta come la Grecia”. Quella che a parere di Raparelli ci attende è una stagione di grandi turbolenze sociali. “Non possiamo liquidare il problema come la supremazia dell’economia sulla politica. Il, problema è che si governo solo a sostegno del mercato. Non c’è un vuoto di politiche ma nuove politiche”. Impossibile pensare a rifondare questa Europa dal basso senza fare i conti con l’euro che, secondo Raparelli, è la quintessenza dell’Europa e un caposaldo di questo processo. Eppure sulla questione “euro sì o euro no” i movimenti non hanno ancora preso una posizione forte. “Grillo sta per lanciare il referendum contro l’euro. Noi cosa gli opponiamo?” domanda. Raparelli non si nasconde di non avere la soluzione in tasca e offre alla platea due possibilità: la moneta comune oppure “far uscire la Germania dall’euro. Intendo, istituendo zone di moneta diversificate nell’Europa. Cose fuori dal mondo? Può darsi. Di sicuro c’è solo che così come è, l’euro non può essere preso per buono”.
Il giurista austriaco Leo Specht descrive come stiamo vivendo la fine del compromesso sociale su cui si era fondata la nostra società ed in cui anche alle classi deboli veniva concesso l’accesso alla ricchezza sociale. “Il welfare di cui abbiamo goduto sino ad ora era organizzato su base nazionale ma l’attacco è venuto dall’Europa e non c’è stata difesa”. Specht propone di rovesciare la logica europea puntando su economie locali. “Le politiche europee si basano sul binomia economia e mercato ma ci sono tante forme di mercato, anche di creative e di sperimentali in grado di creare vere alternative”.
Srecko Horvat organizzatore del festival croato Subversive cerca di dare una risposta alla fondamentale domanda “Che fare?” e risponde raccontando un aneddoto riguardante Ho Chi Min al quale una delegazione di comunisti italiani aveva chiesto come poteva fare per sostenere la sua battaglia. Il leader vietnamita rispose “Quando tornate in Italia fate la rivoluzione che abbiamo bisogno di alleati”. “Magari non la rivoluzione - scherza Srecko, cui va dato l’innegabile merito di aver risvegliato la platea raccontando qualche episodio divertente - ma è innegabile che in tutta l’Europa qualcosa si muove. Il rischio è quello del Gattopardo, che cambi tutto per non cambiare niente”.
La parola passa al giornalista del Manifesto Marco Bascetta che ha denunciato il pericolo che le critiche all’Europa provengano solo da basi nazionaliste grazie anche alla nostra incapacità di pensare all’Europa in termini politici. Attenzione alla Germania, afferma, “in cui si sta affermando un nazionalismo basato su criteri di competitività”. L’evidente fallimento delle politiche di austerity, conclude, non ha comportato un retromarcia “perché sono sempre state giustificate sostenendo che non erano state applicate bene o in maniera completa”.
Per Raffaella Bolini dell’Arci, i pezzi di un processo alternativo ci sono e sono sparpagliati per tutta l’‘Europa. Il problema è che sono nascosti da una cappa di egemonia culturale liberista che non lasci spazi. “Ora ci cullano con il miraggio di una imminente crescita ma sono solo escamotage elettorali. L’unica crescita sarà per gli speculatori che riescono pure a passare per salvatori dell’economia”. Raffaella Bolini racconta di come il Governo greco abbia invitato i gruppi finanziari francesi a gestire le risorse idriche privatizzate del loro Paese per “aiutare” il popolo greco. “In queste condizioni, come si fa a far capire alla gente che il futuro è nella cooperazione e non nella competività?” si chiede. E conclude ottimisticamente: “Se c’è una cosa in cui noi italiani siamo sempre stati bravi è la cooperazione. Abbiamo costruito reti, associazioni, raccolte di firme e quant’altro per la Palestina, il Chiapas... Adesso è il momento di sostenere quelle realtà europee che resistono, nonostante se ne parli poco. In Grecia ci sono gruppi di mutuo soccorso di gente che non ha niente e aiuta chi non ha niente, in Romania interi paesi sono sulle barricate contro le privatizzazioni. Sosteniamoli come abbiamo sostenuto altre battaglie. Forse non riusciremo ad aiutare loro, ma certo aiuteremo noi a capire quale europa vogliamo”.
Conclude questo primo appuntamento Beppe Caccia che comincia con una citazione di buon auspicio di Nietzsche “Solo chi ha dentro il caos può partorire una stella”. Per il consigliere comunale della lista In Comune, l’eterogeneità che caratterizza i movimenti più che una risorsa può essere un rischio. “Per rendere costituente e produttiva questa eterogeneità bisogna partire da punti fermi. Siamo alla preistoria di un discorso politico europeo e dobbiamo rendercene conto. le forza in campo sono enormemente sproporzionate perché l’accumulazione capitalistica ha ristretto gli spazi che prima erano di competenza del lavoro. Per rovesciare questo quadro è indispensabile uscire da vecchie e comode certezze del passato. A monte della crisi c’è una trasformazione epocale del lavoro. Quello citato nel primo articolo della Costituzione non esiste più e più tornerà”. Caccia nota che che la parola “cittadini” presente nel sottotitolo del convegno, “per un patto costituente tra cittadine e cittadini”, è equivoco. “Perché questo termine, nelle politiche europee è stato usato in maniera escludente. L’Europa che vogliamo è una Europa dai confini più ampi, che guarda verso l’est e verso il Mediterraneo. Abbiamo bisogno di allargare i confini di questa Europa oltre le vecchie barriere. Abbiamo bisogno di cittadini insorgenti, perché senza conflitto non potremo mai aprire una fase costituente dal basso”.
Dal movimento all’istituzione. Incontri senza confini
L’Europa tra la crisi della rappresentanza e la politica dall’alto
Cronaca della seconda giornata del convegno
Spazio alle istituzioni, in questo secondo appuntamento del seminario l’Europa oltre l’Europa. La cornice prescelta non poteva che essere la sala consigliare di Ca’ Farsetti, sede del municipio di Venezia che si affaccia su un canal Grande fortunatamente miracolato dall’acqua alta. A far gli onori di casa, il consigliere comunale Beppe Caccia in collaborazione con Segolene Prunot.
Apertura a Ugo Mattei che focalizza il suo intervento sulla centralità dei beni comuni.
“Quando leggiamo che Delors e altri economisti invocano la necessità di apportare riforme strutturali all’Europa, sappiamo che parlano delle riforme imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale che continuano ad avere come obiettivo una ipotetica e futura crescita. Il nostro obiettivo, al contrario, è proporre una visione alternativa a questo riformismo già rivelatosi fallimentare. Perché la crescita, possiamo esserne certi, non ci sarà più”. In quanto alla crisi della rappresentanza, Mattei osserva che “un sistema che pensa ad una Europa sempre più simile ad uno Stato federale non è una soluzione. La causa di questa crisi non sta nella mancanza di sovranità del un Governo centrale ma nella mancanza di sovranità nel locale. Lo scontro sul livello della costituente è sorto proprio perché il sistema capitalista non tollera più quel poco di sovranità ancora concesso ai territori”. Come affrontare allora la sfida costituente? “intanto bisogna superare vecchi concetti come quello di destra e di sinistra. Non dobbiamo porci lo scopo di rifondare la sinistra ma trovare un linguaggio comune tra tutti coloro che non credono che l’accumulazione capitalista possa essere un criterio fondante dell’Europa”. Per Mattei, bisogna ripartire dai beni comuni portando la battaglia nel locale e, in particolare, nell’istituzione del Comune, come ente amministrativo più vicino ai cittadini. Un concetto questo, ribadito in tanti interventi. “Sforziamoci di costruire istituzioni nuove che si oppongano alla concentrazione verticistica del potere in nome della governabilità. Superiamo le vecchio distanze tra pubblico e privato. Poniamo al centro della nostra azione, sia nei movimenti che nelle istituzioni, concetti come l’inclusione, l’ecologia e un nuovo modo di stare assieme. E smettiamola di dare credito a quanti affermando che l’economia, prima o poi, tornerà a crescere!”
Con Theano Fotiou, parlamentare di Syriza, si torna a parlare di Grecia. Fotiou cita il motto della rivoluzione francese, libertà, fraternità ed uguaglianza, per ricordare come la politica europea promuova soluzioni completamente opposte. “Con i livelli di disoccupazione che abbiamo in Grecia come si fa a parlare di democrazia? Con le leggi che ogni giorno il parlamento approva e che sono contro la nostra costituzione, come si fa a parlare di democrazia? Queste sono le premesse ottimali per il fascismo. Noi in Grecia siamo arrivati al capolinea prima degli altri ma sula nostra stessa strada siete incamminati anche voi italiani. L’alternativa, non è il ritorno agli Stati nazionali ma una radicale rifondazione dell’Europa che abbia come base i cittadini e non la finanza”.
Voce fuori del coro, quella di Francesco Martone, responsabile degli esteri di Sel che polemizza con Mattei: “se non vogliamo più parlare di destra e di sinistra come possiamo combattere quello che sta succedendo in Ungheria dove si è imposto un regime fascista?” Anche la battaglia, secondo Martone, non va combattuta sul locale - “non c’è più tempo per ricostruire l’istituzione Comune” - quanto piuttosto dai banchi del parlamento europeo. Banchi ai quali sarà presumibilmente uno dei prossimi candidati di Sel. E conclude invitando la platea a “dare più forza alla propria rappresentanza al parlamento europeo”.
Addirittura sul “tragico ruolo del parlamentare europeo” si sofferma Niccolò Rinaldi, per l’appunto, parlamentare europeo nelle file dei liberali e democratici. Tragico ruolo in quanto “le nostre scelte sono distanti dal sentire comune dei cittadini”. Rinaldi si sofferma sul ruolo centrale del parlamento “espressione di democrazia diretta”, e paventa alle prossime elezioni l’arrivo di una forte rappresentanza euroscettica.
Roberto Musacchio di Altramentenota come la centralità della crescita abbia inquinato anche il pensiero socialista. “Le prossime elezioni saranno un vero e proprio referendum sull’Europa” commenta e bacchetta il relatore che lo ha preceduto, il parlamentare Rinaldi, sulla “distanza tra l’istituzione europea e il comune sentire del cittadino” osservando che “come dopo il disastro di Chernobyl tutti si sono informati su cosa è il nucleare, stavolta tutti si sono informati su cosa sia l’Europa”. Sulla questione euro sì o euro no, Musacchio ricorda che “già la lira era stata privatizzata dall’allora ministro Andreatta. L’euro non ha fatto altro che portare a termine un percorso già avviato. In questo nuovo panorama, ha ragione Ugo Mattei quando afferma che destra e sinistra sono uguali. Bisogna tornare al senso effettivo di questi parole. Spazio quindi alle politiche di movimento, ai beni comuni ad una nuova politica sul reddito. Proprio il diritto al reddito potrebbe rivelarsi un cardine fondamentale per scardinare l’Europa della grande finanza. Rovesciamo l’egemonia culturale liberista. Considerato che c’è tanta gente che lavora senza reddito, battiamoci per il diritto al reddito senza lavoro”.
Più come ex portavoce di Sbilanciamoci che come neo deputato di Sel - “all’opposizione” sottolinea -, interviene Giulio Marcon che osserva come la politica risponda solo alle logiche del mercato. “La questione sta nel riportare la finanza sotto il controllo dei cittadini. Questa è l’unica risposta alla crisi”. Per democraticizzare l’Europa, Marcon individua tre strade parallele: la democrazia diretta di cui i referendum sono lo strumento più efficace, la democrazia locale come focalizzato da Mattei e anche la rappresentanza elettorale.
Città e popoli sono il focus su coi si concentra l’assessora all’Ambiente del Comune di Venezia, Gianfranco Bettin, definite “le prime vittime delle politiche europee”. “Il patto di stabilità europeo ha colpito e mortificato proprio i Comuni che sono sempre stati, soprattutto in Italia, il cardine della partecipazione sociale e anche culturale dei cittadini. Il processo di spossessamento dei beni comuni ha investito le città perché queste erano il primo presidio di queste ricchezze di tutti”. Proprio sul terreno delle città quindi, si giocherà la partita determinante “tra i due poli dell’eurocrazia e del populismo. Sarà indispensabile allora aver maturato una sintesi politica in grado di dare una risposta razionale ma anche comprensibile a popolazioni impoverite e angosciate”. Un percorso che ci faccia uscire tanto dalla rassegnazione che ci porta ad accettare ingiuste ed inefficaci politiche di austerity, quanto dalle “nebbie di un populismo che oscilla tra rigurgiti fascisti e tentazioni di affidarci a vuoti demagoghi”. Ripartire quindi dallo spazio metropolitano per costruire una nuova condivisione dei beni comuni ma facendo attenzione che, di per sé, il ritorno al Comune non basta per garantire questo percorso. Bettin fa l’esempio dell’Arsenale di Venezia, recentemente tornato sotto la gestione del Comune. Un passo positivo, senza dubbia, ma non sufficiente a garantire un suo usufrutto slegato dalle logiche di mercato.
Applauditissimo l’intervento conclusivo di Lorenzo Marsili di European Alternatives. Uno che non te le manda a dire. “Parliamoci chiaro. Se pensiamo di andare alle elezioni raccontando alla gente che siamo per l’Europa ma che vorremmo rifondarla sulla base dei diritti, andiamo a perdere. La gente ci manderà tutti a cagare e fa bene a mandarci a cagare. Perché il tono delle danze lo sta dettando Beppe Grillo col referendum sull’euro. Cosa fare allora? Andare tra gli euroscettici per tornare a seguire le stesse politiche liberiste con una lire inflazionata piuttosto che con l’euro? Credo piuttosto che dobbiamo imparare a radicalizzare la nostra proposta alternativa”. Marsili non si nasconde che il nemico è un nemico invisibile. “Il drago dell’alta finanza” lo chiama. “Ma questo drago ha una rappresentanza politica che è ben visibile in figure come il cancelliere tedesco Angela Merkel”. Marsili conclude citando la “rivoluzione giacobina” proposta da Toni Negri. “I nostri eventuali candidati devono avere chiaro che vanno al parlamento europeo per sovvertire il parlamento europeo. Altrimenti, è meglio che se ne stiano a casa”.
Dal conflitto internazionale alla costituente europea
I movimenti sociali per una Europa dei popoli e dei diritti
Cronaca della terza giornata del convegno
Dopo la vetrina istituzionale di Ca’ Farsetti, il convegno l’Europa oltre l’Europa organizzato da Global Project e European Alternatives si sposta alle Zattere, all’interno degli antichi magazzini del sale della repubblica serenissima, negli spazi gestiti da Sale Docks.
Stavolta tocca ai movimenti e ai loro portavoce gestire la maratona di interventi conclusivi che durerà tutto il pomeriggio sino a sera in una lunga e partecipata assemblea. All’incirca una trentina i relatori che si alternano ai microfoni dopo l’introduzione di Omeyya Seddik, ricercatore tunisino e protagonista della Primavera di Tunisi. Provengono da tutta Europa: dalla Spagna alla Gran Bretagna, dalla Grecia alla Romania, senza trascurare le tante realtà di lotta per la democrazia e i beni comuni e contro le grandi opere attive nel nostro Paese. Il bilancio e il racconto delle varie mobilitazioni, lascia presto spazio alla preparazione dei prossimi appuntamenti come l’Alter Summit di Atene sabato e domenica 8 e 9 giugno, o Occupy Frankfurt in programma nel prossimo fine settimana.
Il passaggio di tre enormi navi da crociera proprio davanti alla fondamenta dove si apre il portone di Sale Docks - uno “spettacolo” che non ha mancato di lasciare esterrefatti gli ospiti stranieri - ha commentato meglio di tanti discorsi l’invito di Tommaso Cacciari del Morion a partecipare all’imminente “tre giorni” in difesa della laguna di Venezia, in programma da venerdì 7 a domenica 9 agosto. “Come abbiamo verificato anche al recente Social Forum di Tunisi, in cui sono stati discussi molti casi simili, questo sistema economico predatorio usa la politica delle grandi opere, portata avanti nel nome di un interesse generale che alla fin fine si riduce all’interesse di pochi privati, per devastare il territorio e impossessarsi dei beni comuni. Anche la laguna per noi veneziani è un bene comune e anche noi abbiamo le nostre grandi opere devastatrici. Una di queste sono quei mostri galleggianti che avete visto passare qui davanti e che distruggono l’ambiente lagunare, la città d’acqua e compromettono la nostra salute a vantaggio esclusivo degli interessi delle multinazionali del turismo. Per dire no alle grandi navi e per difendere Venezia e la sua laguna, e per ribadire che ambiente e salute non sono merci da cui trarre guadagno, invitiamo tutti a partecipare al queste giornate di lotta”.
La nuova Europa comincia anche da qui.
Finanza o democrazia? Un convegno per un nuovo patto costituente tra cittadini e cittadini
23/05/2013EcoVenezia, Global Project, In Comune
Perché un convegno sull’Europa?
Perché, si legge nel documento di presentazione dell’incontro, “tre anni ininterrotti di politiche di austerity hanno profondamente modificato la costituzione materiale dell’Unione Europea. Il processo di integrazione economica e finanziaria appare oggi guidato da poteri economici e politici estranei alla stessa cornice istituzionale dei Trattati. La fase costituente dall’alto che stiamo subendo si sta dimostrando post- e anti- democratica. Tanto più che ciò si verifica nel contesto di una gestione della crisi finanziaria ed economica che sta impoverendo drammaticamente il continente e allargando la forbice delle diseguaglianze sociali ai danni di molti”.
Il seminario è stato organizzato da Global Project e da European Alternatives e si inserisce in un percorso che continuerà in Germania, a Francoforte, con Occupy Frankfurt, e in Grecia, ad Atene, con Alter Summit.
“Quando abbiamo lanciato la proposta di questo incontro sull’Europa - spiega Vilma Mazza, direttore di Global Project- non ci aspettavamo una risposta così entusiastica. Lo stesso numero dei relatori, provenienti non solo da pressoché tutti i paesi europei ma anche dall’area mediterranea e dall’est, e che supera la quarantina, è un dato che la dice lunga sulle dimensioni di questa ‘due giorni’ di incontri. Tra loro ci sono esperti, amministratori locali, rappresentanti di movimenti. Tre categorie che difficilmente troviamo all’interno della stessa sala di convegno ma che, proprio per questo, abbiamo voluto far incontrare. In questa Europa arroccata dietro alle decisioni della troika e dove gli spazi di democrazia si restringono sempre di più, riteniamo che sia necessario costruire una azione multipla e pensare ad un linguaggio condiviso per poter incamminarci verso un deciso cambiamento di rotta”.
“Come Comune siamo molto interessati a questo convegno e, in generale, a questo tipo di percorsi che intrecciano esperienze di base e ed esperienze amministrative - commenta Gianfranco Bettin, assessore all’Ambiente del Comune di Venezia -. L’Europa in cui ci riconosciamo di più è quella dei popoli e delle città, che poi costituiscono la vera radice dell’Europa. Due dimensioni che oggi sono entrate in crisi e poste sotto continuo attacco dal quell’Europa che prevale in questo momento, che è soprattutto quella delle oligarchie finanziarie. Oggi i popoli soffrono le politiche del rigore e le città sono il fulcro della leva con cui vengono applicate tali politiche nel welfare e nei beni comuni. Beni sotto continua pressione per essere ceduti e, con loro, cedere anche sovranità. L’affacciarsi di una diversa idea di Europa, in grado di produrre tanto pratiche amministrative quanto pratiche di conflitto capaci di opporsi a quanto avviene, è, per noi tutti, non soltanto importante ma addirittura vitale”.
Marco Baravalle di Sale Docks osserva come il convegno internazionale comprenda “un focus interessante sull’Europa dell’est e su Paesi di cui si parla poco, pur se negli ultimi anni sono stati al centro di politiche e di vicende contraddittorie come governance identitarie, euroscettiche e di estrema destra, ma anche di movimenti che si sono opposti a queste derive e dei quali sappiamo molto poco”.
“L’Europa oltre l’Europa - conclude Baravalle - sarà un appuntamento che ha come obiettivo essenziale quello di ridefinire che cosa intendiamo oggi con ‘Europa’, sia per trovare un linguaggio comune come ha detto Vilma Mazza che per costruire insieme pratiche amministrative e di movimento, come ha spiegato l’assessore Bettin. Oggi l’Europa è solo quella della troika e dell’austerity. E’ una Europa che non risponde democraticamente ai bisogni dei suoi cittadini, una Europa delle decisioni prese dall’alto col baricentro chiuso dentro le cassaforti dei gruppi finanziari. Durante il convegno, cercheremo di definire una Europa diversa, un’Europa dei diritti e dei movimenti sociali. Una Europa che abbia un centro di gravità mobile, pronto a spostarsi ad est o a sud, verso quello che non ha caso è stato chiamato l’Euromediterraneo”.
Perché, proprio come per il mondo, anche un’altra Europa è non solo possibile ma anche necessaria.
Italeñas, storie di italiani diversi dagli altri
21/05/2013Il Manifesto
A raccontarci la storia di Melina, che poi è la storia di oltre 600 mila nati in Italia da genitori stranieri (il 15 per cento delle nascite, secondo i dati del 2011), è il laboratorio di video partecipativo Za Lab. Un progetto volto a raccogliere “vite ignorate e segnate dai conflitti di oggi, con il desiderio di farne storie per tutti”. La video-storia di Melina intitolata “Italeñas”, che potete vedere sul sito www.zalab.org, è stato realizzato da David Chierchini, Matteo Keffer e Davide Morandini. La voce narrante è quella di Domenica Canchano, giovane giornalista originaria del Perù approdata in Italia da bambina. Anche lei è una “italeñas”, una italiana diversa da tutte le altre italiane. Domenica è regolarmente iscritta all’Ordine dei Giornalisti ma è stata inserita d’ufficio nell’elenco speciale degli stranieri. Il che significa che paga le stesse tasse di tutti gli altri colleghi “italiani” ma non ha diritto a dirigere una testata o a svolgere le funzioni di direttore responsabile. “Il problema di Melina sta tutto nella legge che determina i criteri di concessione della cittadinanza italiana - spiega amareggiata - Se ne discute da perlomeno una ventina di anni. Se in tutto questo tempo non si è fatto nulla vuol semplicemente dire che non c’e la volontà di farlo”.
Venezia sceglie la differenziata. Chiude l’ultimo inceneritore di Fusina
21/05/2013EcoMagazine, Global Project, In Comune
Un errore che, come ha osservato l’assessore Bettin, rese più lungo e difficoltoso il passaggio verso un ciclo dei rifiuti più moderno e sostenibile. Adesso però è arrivato il momento di voltare definitivamente pagina.
"La chiusura di questo impianto - ha spiegato Bettin - è una scelta strategica, nel segno della salute, dell’ambiente, della sostenibilità e dell’innovazione. E’ il frutto di un percorso virtuoso che da tempo l'amministrazione ha intrapreso e che consiste nel ridurre a monte la produzione di rifiuti grazie ad una raccolta differenziata spinta, raccoglierli in modo corretto per poi poterli riciclare o ricavarne energia, superando così il vecchio sistema di smaltimento, basato sul conferimento alle discariche e sugli inceneritori, come questo di Fusina per l’appunto, che bruciano i rifiuti senza trattamento”. Una chiusura resa possibile dallo straordinario aumento della percentuale di raccolta differenziata registrato nel 2012 ed in continua crescita. Una chiusura inoltre, che non comporterà nessuna perdita di posti di lavoro, considerato che i 22 dipendenti dell’impianto saranno dirottati ad altre mansioni nel nascente Ecodistretto del riciclo e dell’energia.
“Le emissioni dell’inceneritore di Fusina sono sempre state tenute sotto controllo e negli anni sono state realizzate molte migliorie all’impianto - commenta Bettin -. Ma rimaneva comunque una struttura superata ed inquinante, come lo sono tutti gli inceneritori. La sua chiusura eviterà l'emissione nell'atmosfera di 50 mila tonnellate all'anno di CO2. Un passo importante per la nostra città, che si aggiunge agli ottimi risultati già raggiunti in termini di minor conferimento di rifiuti nelle discariche”.
Una scelta decisamente in controtendenza in una Italia che dal punto di vista del ciclo dei rifiuti rimane il fanalino di coda dell’Europa, considerato che si continua a puntare su una politica di incenerimento con conseguente conferimento in discarica che oramai ha dimostrato tutti i suoi limiti. Eppure nel nostro Paese, circa la metà dei rifiuti prende questa strada fortemente inquinante contro il 5 per cento ottenuto a Venezia. Si continuano inoltre a costruire e a mettere in funzione costosi inceneritori, non ultimo il contestatissimo impianto di Parma.
L’inquinamento in altre parole, è ancora una industria che in Italia fattura bene anche in tempi di crisi ed a cui vengono destinate risorse pubbliche che sarebbe assai meglio dirottare verso soluzioni più virtuose e meno impattanti. Una politica fallimentare che comporta carissime ricadute alla società, all’ambiente e alla nostra salute.
Venezia, per fortuna, ha scelto una strada diversa.
L'accordo per la riduzione dell'inquinamento non basta. Vogliamo una portualità sostenibile Accordo tra Comune e armatori per ridurre l’inquinamento. Caccia: “Ma adesso via le grandi navi dalla laguna”
20/05/2013In Comune
E non è tutto. Nel “non scritto” dell’accordo va annoverata anche la disponibilità delle compagnie a mettere in discussione la contestata “passerella” davanti alla piazza marciana. Lo stesso sindaco Giorgio Orsoni che, con l’assessore all’Ambiente Gianfranco Bettin, ha rappresentato l’amministrazione comunale durante la ratifica del documento di intenti, ha sottolineato: “Un ringraziamento è dovuto anche agli armatori che hanno sottoscritto l’accordo e si sono dichiarati disponibili ad affrontare le alternative al passaggio delle navi da crociera in Bacino”.
Alternative quindi, che sono e devono rimanere il vero obiettivo da perseguire. Sotto questo punto di vista, l’istituzione di questo corridoio verde a basso impatto ambientale, tra il Lido e la Marittima, assume un valore ancora più significativo perché, come ha osservato il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia, per la prima volta è arrivata l’ammissione anche da parte degli armatori che il problema del viavai di questi enormi alberghi galleggianti nel fragilissimo ecosistema della laguna dei dogi, esiste, deve essere affrontato e risolto. “L’accordo volontario volto a ridurre le emissioni inquinanti che fuoriescono dai camini delle grandi navi in transito è senza dubbio positivo, così come è positiva la disponibilità dichiarata dalle compagnie armatoriali ad abbandonare le rotte che attraversano il bacino di San Marco – commenta Caccia-. Ma entrambe le notizie dimostrano come tutti siano ormai pienamente consapevoli di una situazione insostenibile, sia per l’inquinamento dell’aria, sia per i danni che provoca e i rischi che crea il passaggio di questi mostri del mare”.
“Gli unici che restano sordi e inadempienti, ma nelle cui mani sta la soluzione del problema, sono, a livello locale, l’Autorità Portuale e Venezia Terminal Passeggeri e, a livello nazionale, il governo Letta – continua il consigliere della lista In Comune-. I primi si ostinano a difendere l’indifendibile o a proporre interventi addirittura peggiorativi, come lo scavo di nuovi canali. Il secondo lascia inapplicato il decreto che vieta il passaggio a San Marco e non ha mosso un dito per l’individuazione delle alternative necessarie a difendere la laguna, rilanciando una portualità sostenibile”.
“La città – conclude Beppe Caccia – non può aspettare oltre: il Governo deve impegnarsi subito per dare soluzione al problema, mantenendo la promessa di una urgente convocazione del Comitatone”.
Porto Marghera pattumiera d’Italia. La Regione autorizza il revamping Alles
24/04/2013EcoMagazine
“Siamo di fronte ad un atto di inaudita arroganza da parte di Mantovani SpA e della Regione - ha commentato Beppe Caccia - perché sono state ignorate le richieste della popolazione di Marghera e il pronunciamento drasticamente negativo dei Consigli comunale e provinciale di Venezia. Perché si insiste sul progetto di trasformare la zona industriale nella pattumiera dei veleni di tutto il Veneto e oltre. Perché, pur di realizzare questo disegno, si interviene autoritariamente sulla stessa pianificazione urbanistica del Comune di Venezia. Perché tutto ciò avviene nel momento in cui proprio Mantovani spa è al centro delle inchieste giudiziarie che hanno, per la prima volta, messo sotto accusa il sistema di potere che ha gestito le scelte infrastrutturali e
ambientali regionali degli ultimi quindici anni”.
La discussa delibera regionale non prevede solo la possibilità di bruciare la pur considerevole quantità di 180 mila tonnellate annue di rifiuti, ma concede anche un pericoloso raddoppio dell’attuale capacità di stoccaggio che passa delle attuale 6 mila a 12 mila tonnellate. Inoltre è stato ampliato anche il cosiddetto range dei codici accettati nella procedure di incenerimento, da 20 a 70, molti dei quali riguardano a rifiuti pericolosi per la salute umana come fanghi, ceneri pesanti, scarti di mescole, terre e rocce contenenti sostanze dannose, e molti altri.
“Sarebbe questo il ‘nuovo corso’ inaugurato dal presidente Carmine Damiano, il poliziotto chiamato a ripulire la facciata dell'impresa di costruzioni
e malaffare? - ironizza Caccia - Sarebbero queste le politiche industriali e ambientali della giunta di Zaia, Chisso e Conte, che dovrebbero riconvertire e
riqualificare il polo di Porto Marghera? Non s'illudano: la loro arroganza troverà sulla sua strada tutte le possibili barricate, formali e materiali. Lo dobbiamo a chi crede che un futuro diverso per il nostro territorio sia possibile".
La prima delle “barricate formali” cui accenna Beppe Caccia, è un ricorso al Tar, già annunciato dall’assessore all’Ambiente del Comune di Venezia, Gianfranco Bettin. “Il via libera al revamping dell’impianto Alles di ricondizionamento di rifiuti speciali anche pericolosi approvato dalla Giunta regionale del Veneto su proposta dell’assessore leghista Maurizio Conte - commenta l’assessore - prevede la possibilità di conferire all’impianto rifiuti provenienti anche dall’esterno del bacino lagunare, con il rischio di fare, perciò, di Marghera la pattumiera d’Italia e oltre. Tutto ciò in totale controtendenza rispetto alla scelta, condivisa dalla Regione stessa, di farne invece un’area di sviluppo dell’industria compatibile, pulita e innovativa.
Tale scelta, che il vigente Piano regolatore vieterebbe, è resa possibile dal fatto che la decisione della commissione Via regionale, avallata dalla Giunta regionale, produce una variante urbanistica che consente di superare questo divieto. Si tratta, quindi, oltre che di una scelta sbagliata nel merito, che mette a repentaglio la salute e l’ambiente e distorce la nuova politica industriale su Marghera, di una scelta gravemente lesiva della democrazia poiché, con i numeri prepotenti di una commissione Via di nomina regionale che minimizza la presenza degli enti locali, ratificata dalla Giunta regionale, si impone dall’alto una variante urbanistica, al di fuori di ogni possibilità di partecipazione democratica, e malgrado il parer contrario espresso da Comune e Provincia”.
Ritorna la Primavera. Dall’Italia alla Tunisia per il Forum Sociale Mondiale
21/03/2013Frontiere News
L’unico modo per rispondere a queste domande è quello di partecipare al forum sociale. Dall’Italia, tantissime associazioni, comitati, sindacati di base e movimenti vari sono in partenza per Tunisi. La delegazione più numerosa sarà probabilmente quella al seguito di Ya Basta! in collaborazione con Un Ponte Per. Quasi un centinaio di attivisti sta preparando gli zaini. Altri sono già in Tunisia per mettere a punto la logistica della “carovana” o per continuare i progetti di collaborazione per la realizzazione di media center a Sidi Bouzid, Regueb e Menzel Bouzaiane, nel sud del Paese.
I motivi per i quali Ya Basta! ha organizzato la sua carovana verso Tunisi, ce li spiega Vilma Mazza, portavoce dell’associazione: “Ci andremo per capire cosa sta succedendo nel mondo arabo. Un mondo che ci è molto più vicino, e non solo geograficamente, di quanto tanta stampa vorrebbe farci credere. Ci andremo per scambiare esperienze, percorsi e desideri con chi sulle coste del nostro stesso mare sta affermando con determinazione che indietro non si può tornare, con chi chiede a gran voce giustizia sociale, libertà e democrazia reale”.
Quasi una Odissea: un viaggio per conoscere speranze e battaglie di chi vive sull’altra sponda del nostro mare. Un viaggio per vedere con i proprio occhi e per ascoltare con le proprie orecchi. Un viaggio contro le mistificazioni. Niente come la primavere arabe ci hanno insegnato quanto fossero errati gli stereotipi benedetti dai giornali e dalle tv. Gli arabi, si diceva, sono fatti così: non hanno vissuto il Rinascimento, la Controriforma e le lotte operaie. Sono rimasti indietro nell’orologio della storia. La democrazia non è nel loro dna. Possono essere governati soltanto o dagli integralisti (nemici dell’occidente) o da dittature più o meno soft. Dittature che, per riflesso, diventavano amiche dell’occidente e quindi “tollerabili”. In fondo, sottolineavano anche commentatori che si richiamavano alla sinistra, è meglio così anche per loro!
Un bel cumulo di menzogne che proprio le primavere arabe hanno spazzato via insieme ai governi fascisti e torturatori. Perché l’aspirazione alla libertà, alla difesa dei diritti fondamentali e alla partecipazione democratica percorrerà anche strade diverse ma non ha religione o razza.
Eppure, a due anni di distanza, le menzogne sul mondo arabo continuano ad essere contrabbandate da media e opinionisti televisivi. La spinta riformista data dalle rivoluzioni è conclusa, è stato detto. Le grandi mobilitazioni popolari sono oramai storia. Nelle piazze arabe è sceso il silenzio e un nuovo ordine globalizzato ha ripreso il governo della situazione.
“E’ un dato di fatto - conclude Vilma Mazza - che le grandi mobilitazioni della primavera araba oggi si scontrano con forme politico-istituzionale che vorrebbero chiudere spazi di libertà e di costruzione di un futuro diverso. Ma contro questa deriva sono riprese un po’ dappertutto, con grande forza e risonanza, soprattutto in Egitto e Tunisia, le manifestazioni multitudinarie. Queste proteste in piazza ci aiutano a capire che la primavera araba non è stata solo una ventata passeggera ma che in questi Paesi è in corso una vera e propria rivoluzione, con tutti i suoi flussi e riflussi, i suoi limiti e delusioni, le sue innovazioni e potenzialità. Una rivoluzione che si è radicata nelle modalità del vivere quotidiano di uomini e donne insofferenti alle rigide imposizioni e che rivendicano le libertà individuali come uno status civile irrinunciabile”. Uno status che non ha colore, Paese o religione.
Ca’ Farsetti: una commissione di inchiesta per far luce sul caso Mantovani
20/03/2013EcoMagazine, In ComuneUna commissione di inchiesta sul caso Mantovani col Comune pronto a costituirsi parte civile. Ca’ Farsetti vuole a tutti costi fare luce sugli intrecci tra la politica e il malaffare portato alla luce dalla recente inchiesta della Guardia di Finanza che ha portato all’arresto cautelativo del presidente della spa Piergiorgio Baita con l’accusa di “associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale”. Intrecci che, di fatto, negli ultimi anni hanno costretto l’amministrazione comunale ad abdicare alla funzione di governo del suo territorio a favore di una lobby affaristica che si era assunta il potere di operare scelte urbanistiche e strategiche.
“Non è nostra intenzione sostituirci alla magistratura - ha puntualizzato il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia - ma vogliamo capire come ha potuto consolidarsi un vero e proprio sistema fondato sul concessionario unico che esercita un ruolo di monopolio delle opere pubbliche della salvaguardia. Un sistema che riguarda non solo Venezia ma anche tutto il Veneto».
La Mantovani spa infatti non è solo la principale azionista del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico del Ministero per le Infrastrutture e del Magistrato alle Acque di Venezia dei lavori per la realizzazione delle opere per la salvaguardia fisica della città di Venezia e della Laguna. La società fatturava ad oltre una ventina tra Enti e Società operanti nel territorio regionale tra cui Veneto Acque e Veneto Strade, oltre a al Consorzio Venezia Nuova, all’Autorità Portuale di Venezia, al Thetis e al Passante di Mestre.
La proposta di istituire una commissione comunale ad hoc dalla durata di 18 mesi prorogabile per raccogliere informazioni utili in prospettiva di costituire il Comune quale parte civile in sede processuale è stata lanciata questa mattina dai consiglieri dei partiti di maggioranza (Pd, Psi, Federazione della Sinistra, Idv, Udc e In Comune,) e dal Movimento 5 Stelle. Di conseguenza la sua approvazione in sede consiliare è da considerarsi pressoché scontata.
“L’impresa di costruzioni Mantovani spa - si legge nella proposta già protocollata - ha assunto negli ultimi anni un ruolo preponderante nella progettazione e costruzione di importanti opere pubbliche previste nel territorio veneziano, promosse da diversi Enti e Istituzioni tra cui la stessa Amministrazione Comunale”. E ancora, va considerato che “risultano di eccezionale gravità gli addebiti contestati dalla Procura della Repubblica di Venezia nell’ambito dell’inchiesta penale ... tra le ipotesi di reato contestate vi è la distrazione dei risorse pubbliche destinate alla realizzazione di opere previste nel territorio comunale e finalizzate invece alla costituzione di ‘fondi neri’, a loro volta utilizzati per alimentare meccanismi corruttivi”. E conclude: “La ricostruzione della Magistratura inquirente mette in luce l’esistenza di una grave e intollerabile situazione di illegalità in grado di condizionare l’intero sistema di realizzazione delle opere pubbliche nel territorio veneziano, a discapito dei più elementari principi di trasparenza, legalità e di effettiva libertà di mercato e concorrenza; è interesse prioritario dell’Amministrazione Comunale e della Città nel suo insieme che sia fatta piena luce sulla vicenda, in primis per quanto attiene ai progetti e alle opere di propria competenza, ma anche e soprattutto relativamente al ruolo svolto nella vita economica e produttiva, politico e amministrativa della Città, da parte delle Imprese e degli Enti a vario titolo coinvolti”.
Niente di più e niente di meno di quanto gli ambientalisti, i movimenti di base ed i comitati cittadini sorti a tutelare il loro territorio hanno sostenuto da tanti anni. Peccato che, anche in questo caso, la condanna politica di un sistema di grandi opere utili solo ad avvantaggiare chi le realizzava, arrivi a rimorchio di una inchiesta della magistratura.
“Non è nostra intenzione sostituirci alla magistratura - ha puntualizzato il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia - ma vogliamo capire come ha potuto consolidarsi un vero e proprio sistema fondato sul concessionario unico che esercita un ruolo di monopolio delle opere pubbliche della salvaguardia. Un sistema che riguarda non solo Venezia ma anche tutto il Veneto».
La Mantovani spa infatti non è solo la principale azionista del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico del Ministero per le Infrastrutture e del Magistrato alle Acque di Venezia dei lavori per la realizzazione delle opere per la salvaguardia fisica della città di Venezia e della Laguna. La società fatturava ad oltre una ventina tra Enti e Società operanti nel territorio regionale tra cui Veneto Acque e Veneto Strade, oltre a al Consorzio Venezia Nuova, all’Autorità Portuale di Venezia, al Thetis e al Passante di Mestre.
La proposta di istituire una commissione comunale ad hoc dalla durata di 18 mesi prorogabile per raccogliere informazioni utili in prospettiva di costituire il Comune quale parte civile in sede processuale è stata lanciata questa mattina dai consiglieri dei partiti di maggioranza (Pd, Psi, Federazione della Sinistra, Idv, Udc e In Comune,) e dal Movimento 5 Stelle. Di conseguenza la sua approvazione in sede consiliare è da considerarsi pressoché scontata.
“L’impresa di costruzioni Mantovani spa - si legge nella proposta già protocollata - ha assunto negli ultimi anni un ruolo preponderante nella progettazione e costruzione di importanti opere pubbliche previste nel territorio veneziano, promosse da diversi Enti e Istituzioni tra cui la stessa Amministrazione Comunale”. E ancora, va considerato che “risultano di eccezionale gravità gli addebiti contestati dalla Procura della Repubblica di Venezia nell’ambito dell’inchiesta penale ... tra le ipotesi di reato contestate vi è la distrazione dei risorse pubbliche destinate alla realizzazione di opere previste nel territorio comunale e finalizzate invece alla costituzione di ‘fondi neri’, a loro volta utilizzati per alimentare meccanismi corruttivi”. E conclude: “La ricostruzione della Magistratura inquirente mette in luce l’esistenza di una grave e intollerabile situazione di illegalità in grado di condizionare l’intero sistema di realizzazione delle opere pubbliche nel territorio veneziano, a discapito dei più elementari principi di trasparenza, legalità e di effettiva libertà di mercato e concorrenza; è interesse prioritario dell’Amministrazione Comunale e della Città nel suo insieme che sia fatta piena luce sulla vicenda, in primis per quanto attiene ai progetti e alle opere di propria competenza, ma anche e soprattutto relativamente al ruolo svolto nella vita economica e produttiva, politico e amministrativa della Città, da parte delle Imprese e degli Enti a vario titolo coinvolti”.
Niente di più e niente di meno di quanto gli ambientalisti, i movimenti di base ed i comitati cittadini sorti a tutelare il loro territorio hanno sostenuto da tanti anni. Peccato che, anche in questo caso, la condanna politica di un sistema di grandi opere utili solo ad avvantaggiare chi le realizzava, arrivi a rimorchio di una inchiesta della magistratura.