In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

La laguna dei pesci morti

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Che ci fosse qualcosa di sbagliato in laguna lo si capiva sin dal ponte della Libertà. Neppure l’impianto di condizionamento dei treni e degli autobus stracarichi che portavano a Santa Lucia il popolo del Redentore, riusciva a porre barriera all’odore nauseabondo che saliva dalle acque. Non era la consueta “spussa da freschin” cui i veneziani sono geneticamente avvezzi. E neppure quella da “scoasse” che non manca mai nelle nostre romantiche ma puzzolenti calli. Quello che ammorbava l’aria afosa di quella domenica di festa era un odore assai più stomachevole. Un tanfo pestilenziale e malato di qualcosa che era andata a male.
Cosa fosse questo qualcosa, i veneziani lo hanno scoperto la mattina dopo i Fuochi. I canali della città lagunare, in particolare quelli del sestiere di Cannaregio, erano attraversati da una lenta ed irreale processione di pesci morti. Centinaia, migliaia di “go”, “sievoli”, “passarini”, “paganelli”, persino granchi... tutti con la pancia all’aria e in avanzato stato di putrefazione. La lenta corrente di “dozana” li radunava a branchi e li trascinava a ridosso delle rive, tra le barche e le bricole d’ormeggio.



Uno spettacolo davvero angosciante che, unito alla puzza che ristagnava nell’afa estiva, ha sconvolto tanto i veneziani quanto i turisti. Bisogna anche aggiungere che né i “cocai” ne le “pantegane”, animali che nella catena alimentare coprono il premiato ruolo di spazzini dei canali, si azzardavano a nutrirsi di quelle cose morte che ciondolavano tra le onde. Un fatto questo che ha preoccupato non poco i residenti, alimentando il sospetto che la causa della moria fosse da ricondurre ad un inquinamento industriale.

Sin dalle prime segnalazioni, l’assessorato all’Ambiente di Venezia si è prontamente attivato per trovare una spiegazione e nello stesso tempo rimuovere i resti della moria di pesce. Nonostante il personale di Veritas fosse ridotto all’osso per le pulizie del dopo Redentore, le barche del centro servizi hanno raccolto nella sola giornata di lunedì, oltre 50 quintali di pesce. Una quantità davvero enorme che avrebbe potuto coprire 10 volte il mercato di Rialto. Parallelamente alla pulizia dei canali, l’assessore Gianfranco Bettin si è rivolto ai laboratori dell’Arpav e dell’Ulss, che sono gli enti proposti ai controlli sanitari in laguna. “Sino ad ora, i risultati delle analisi - ha commentato Bettin - non hanno trovato nulla che possa far pensare a una causa artificiale. In questi giorni ne ho sentite di tutti i colori: dallo sversamento di una nave cisterna all’apertura delle chiuse dei canali di scolo a porto Marghera. Ma nessuna di queste spiegazioni è confermata dai tecnici che tuttavia installeranno nuove centraline in laguna per monitorare ancora meglio la qualità delle acque. Anche la Procura ha aperto una inchiesta che ritengo opportuna e importante. Se qualcuno ha inquinato dovrà pagare, anche se, ripeto, sino ad oggi non ci sono prove che la moria sia riconducibile ad uno specifico avvelenamento. Piuttosto, dobbiamo considerare che la nostra laguna è sotto stress per ragioni globali e per fattori locali, dal global warming alle grandi opere. Quando è successo in questi giorni è solo un segnale in più della sua sofferenza ed un invito a difenderla con più vigore”.
Il comunicato diffuso dall’Arpav riconduce le cause della moria di pesce ad un fenomeno biologico chiamato afasia dovuto all’impoverimento di ossigeno delle acqua, in particolare nelle zone basse di barena, causato dal “proliferare di alghe in fioritura tardiva dei generi lva, Gracilariopsis, Gracilaria ed Agardhiella”, come si legge nel comunicato Arpav. Tale eccezionale proliferazione sarebbe dovuta, sempre secondo l’agenzia regionale ambiente, alle particolari condizioni climatiche che si sono verificate in questi ultimi giorni: caldo asfissiante, assenza di vento e conseguente scarso ricambio di acqua. In parole povere, le alghe poste in condizioni ottimali per le loro proliferazione, avrebbero rubato l’ossigeno ai pesci che sarebbero morti soffocati. La moria è avvenuta nelle acque basse della laguna nord (anche perché la laguna sud oramai non esiste più, trasformata come è stata in un braccio di mare aperto), i resti dei pesci sarebbero venuti a galla successivamente - e quindi schifati dai gabbiani, abituati a cibarsi di pesce vivo - e trasportati lungo i canali della città dalle correnti. Un fenomeno, secondo l’Arpav, perfettamente naturale.
Vero è anche che 50 quintali di pesce putrefatto che se ne va a spasso per i canali come una gondola ha ben poco di “normale” anche per Venezia. La spiegazione fornita dall’Arpav non ha convinto tanti residenti, alcuni dei quali hanno infilato un pesce morto in una borsa di plastica per portarlo in qualche laboratorio privato. Che è come dire: “di quelli dell’Arpav non mi fido per niente”. Pur se comprendiamo la preoccupazione ed elogiamo il senso civico di questi concittadini. Non possiamo fare a meno di rilevare che una siffatta analisi non ha niente di scientifico per i semplice motivo che non rispetta i protocolli sulla raccolta del campione. In altre parole, anche se il pesce fosse stato avvelenato non è in questo modo che ce ne potremmo accorgere. Tanto varrebbe fargli fare i tarocchi da una maga.
Purtroppo i guai della laguna sono più profondi che un “semplice” sversamento abusivo di prodotti inquinanti e risalgono ad una mala politica di cementificazione e di sfruttamento, non di rado riconducibile ad interessi mafiosi e criminali, di cui la moria di pesce non è che un campanello di allarme che sta a noi saper cogliere per invertire la rotta. “
Preoccupa lo stato generale della laguna la cui situazione deve tornare al centro dell’attenzione delle istituzioni e della stessa opinione pubblica - conclude in una nota l’assessore Gianfranco Bettin -. C’è un’evidente sproporzione tra il peso economico e l’impatto ambientale delle grandi opere attualmente in esecuzione e gli interventi di tutela diffusa, compresi gli interventi compensativi di quelle opere, dagli importi infinitamente minori, dai tempi più lunghi, pochissimo o per nulla noti, pensati ed eseguiti senza vero coinvolgimento della città e delle sue rappresentanze. Serve una nuova, costante cura dell’ecosistema, un potenziamento della sua capacità di rigenerazione e la messa al bando di ogni nuova offesa ad esso recata”.

Vedere tutto ma ricordare sbagliato. L’(in)attendibilità della testimonianza oculare

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Essere testimoni oculari non è garanzia di veridicità. Questo vale per una scena del crimine quanto per un ricordo qualsiasi. Lo hanno affermato due studiosi statunitensi, Jason Chan e Jessica LaPaglia, in un lavoro denominato “Impairing existing declarative memory in humans by disrupting reconsolidation” recentemente pubblicato dalla rivista scientifica Pnas e del quale potete trovare un estratto nel sito http://ulisse.sissa.it.
Secondo i due scienziati, la memoria può essere contaminata semplicemente aggiungendo nuove e diverse informazioni sul fatto. Due sono i punti chiave. Il primo è la tempistica: per alterare il ricordo è indispensabile agire entro una finestra di circa sei ore, dopo le quali questo viene stabilizzato. Secondo punto: l’attinenza. La nuova informazione deve essere in qualche modo legata alla prima. Per spiegarci meglio, vediamo un esempio riportato dai due ricercatori. Ad alcune persone è stato chiesto di visionare un filmato in cui un terrorista cercava di dirottare un aereo minacciando lo steward con l’ago di una siringa. Successivamente ai testimoni sono stati formulate alcune domande relative all’episodio per verificare l’attendibilità dei loro ricordi. Ad un gruppo di loro, entro le ore successive, è stato fatto ascoltare un file audio in cui lo speaker dava notizia di un fatto simile relativo ad una operazione antidroga nel quale però il terrorista aveva usato una pistola elettrica al posto dell’ago.



Gli studi di Chan e LaPaglia hanno messo in evidenza come questo gruppo di persone, a differenza delle altre, avesse maggiori difficoltà a ricordare l’arma usata dal dirottatore nel primo episodio. Cosa significa questo? Sembrerebbe che la nostra mente abbia bisogno di un intervallo di almeno sei ore per assorbire un ricordo e che entro tale intervallo potrebbe essere manipolata. Questo avverrebbe comunque solo se i due fatti che creano interferenza mnemonica sono in qualche modo simili e compatibili. Per continuare con l’esempio proposto, se ai nostri testimoni fosse stato descritto in seconda battuta un assalto di pirati dei Caraibi, nessuno si sarebbe sognato di affermare che il dirottatore aereo impugnava una sciabola!
Oltre a gettare una nuova ombra di dubbio sul valore delle testimonianze oculari, vogliamo sottolineare come il lavoro di Chan e LaPaglia offra una possibile spiegazione agli errori degli studenti sotto esame. Se durante la lezione un compagno, sia pure involontariamente o per chiarire un suo dubbio, fornisce una informazione scorretta, per gli altri studenti sarà assai più difficile ricordare la soluzione corretta al momento dell’interrogazione.
Purtroppo, dubitiamo fortemente che in una simile eventualità, citare al vostro docente il lavoro di Chan e La Paglia potrà farvi ottenere una immeritata sufficienza!

Grandi opere e malaffare a Venezia: arrestato Giovanni Mazzacurati, il padre del Mose

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Trent’anni alla guida del Consorzio Venezia Nuova con libero accesso alle “stanze che contano” di ministri, presidenti e assessori regionali. Trent’anni da imprenditore di successo a collezionare medaglie e cavalierati. Trent’anni da protagonista della “politica del fare” tutta incentrata sull’economia delle Grandi Opere, per ritrovarsi una bella mattina d’estate agli arresti.
Una uscita di scena quantomeno poco elegante questa di Giovanni Mazzacurati, ingegnere padovano ottantenne, conosciuto per essere il “padre” del Mose. Due settimane prima del suo arresto da parte delle Fiamme Gialle, avvenuto nella prima mattinata di oggi, si era dimesso dalla presidenza dl consorzio adducendo qualche problemino di salute. Con lui sono stati colpiti da provvedimenti cautelari altre 14 persone tra cui il consigliere del Consorzio Pio Savioli, il dipendente Federico Sutto e vari rappresentanti legali e amministratori delle società di costruzione che facevano riferimento a Venezia Nuova. Tutti imputati per una serie di reati tra cui turbativa d’asta e falsa fatturazione.
L’operazione denominata “Profeta”, che ha portato a decapitare un’altra testa dell’idra che gestisce le grandi opere della nostra Regione, non avrebbe, secondo quanto dichiarato dal procuratore Luigi Delpino, nulla a che vedere con l’arresto nel febbraio scorso per false fatturazioni di Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani SpA. Azienda che è il principale azionista del Consorzio Venezia Nuova.



Secondo gli inquirenti, Giovanni Mazzacurati dirottava ad imprese “amiche” grazie ad appalti predeterminati, le vagonate di denaro pubblico destinate al Mose, frazionando i lavori in modo da accontentare anche le aziende minori grazie ai contributi provenienti dalle pubbliche amministrazioni. Tutti soldi dei cittadini che arricchivano pochi speculatori senza scrupoli.
Va da sé che, con questo sistema gonfiato che faceva riferimento in prima persona a Mazzacurati, i lavori venivano a costare allo Stato fino a tre o quattro volte tanto.
Così come per Baita, anche per l’ex presidente del Consorzio, l’ipotesi di reato è quella della costituzione di ingenti fondi neri. La Finanza ha accertato, per ora, un giro di fatture gonfiate di 6 milioni di euro solo per quanto riguarda i sassi utilizzati per le dighe a mare il cui costo veniva fatto lievitare dall’azienda chioggiotta che aveva l’appalto tramite una compravendita fittizia con una società di comodo con sede legale in Austria.
Il sospetto comunque è che quanto appurato dalla magistratura sia soltanto la punta del classico iceberg di un sistema di tangenti e di appalti fittizi che ha devastato la laguna, per non dire il Veneto, con il solo scopo di dirottare denaro pubblico nelle mani di faccendieri privati.
Fatto sta che tra le varie imputazioni al vaglio dei finanzieri c’è anche la creazione di "fondi neri in quantità industriale", come è stata efficacemente descritto in conferenza stampa. Lo stesso Giovanni Mazzacurati è stato dipinto senza pietà come un “padre padrone” senza scrupoli che gestiva denaro pubblico con criteri non certo finalizzati al bene comune e che decideva quali aziende favorire, quali no e cosa chiedere in cambio di un appalto.
Le domande cui rimane da rispondere agli inquirenti a questo punto sono: dove sono finiti i proventi derivanti dalle false fatturazioni e soprattutto come e per cosa sono stati utilizzati questi soldi.
La domanda invece alla quale l’operazione “Profeta” ha già risposto è quella che gli ambientalisti si erano posti sin dall’83, anno in cui venne istituito il Consorzio Venezia Nuova, bypassando le amministrazioni locali e commissariando di fatto una problematica delicata come la salvaguardia della Laguna di Venezia ad un pool di aziende private per forza di cose più inclini al guadagno personale che all’ambientalismo. E cioè: considerando che il Mose non serve certo a salvare Venezia dall’acqua alta, perché lo vogliono assolutamente realizzare?
“L’arresto di Mazzacurati - ha commentato Beppe Caccia, consigliere della Lista ‘in comune’ - ha dimostrato ancora una volta che le grandi opere infrastrutturali, realizzate attraverso procedure straordinarie e sottratte ad ogni controllo dei cittadini, sono il cuore del malaffare e della costruzione di veri e propri sistemi di potere finalizzati all'accaparramento di enormi risorse pubbliche da parte di pochi”.
Il Mose, ha spiegato Caccia, deciso e sostenuto trasversalmente da governi nazionali di ogni colore, nonostante e contro il parere dei cittadini e del Comune di Venezia, ne è un esempio lampante.
“Il denaro pubblico - spiega il consigliere - è stato gestito, grazie al perverso meccanismo della concessione unica da parte dello Stato, senza alcuna trasparenza e fuori da ogni verifica, delle opere per la salvaguardia di Venezia, da un consorzio di imprese private, i cui metodi sono oggi sotto gli occhi di tutti”.
Nell’augurarsi che le indagini gettino piena luce su come sono stati impiegati e a chi sono stati dirottati i fondi neri accumulati all'estero dal Consorzio Venezia Nuova e dai suoi soci, Beppe Caccia invita il parlamento a calendarizzare al più presto l'esame dei disegni di legge di riforma della Legislazione speciale per Venezia “restituendo trasparenza a questa delicata materia e piena sovranità alla comunità locale sul suo territorio.”

Venecia rechaza la navegación de hoteles turísticos flotantes

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Venecia, Italia. Tienen el coraje de llamarle “barcos”. Son verdaderos hoteles turísticos flotante que no tienen nada que ver con el mar salvo porque se mueven sobre él como si fuera una gran autopista hecha sólo para ellos. Son hoteles tan altos como los rascacielos. “Dotados de toda comodidad”, dicen sus trípticos publicitarios, tales como alberca, sauna, toboganes, club nocturno, discotecas y restaurantes de una a cinco estrellas. Así son los grandes barcos a los que se les permite devastar la laguna. Cada vez que pasan es como si fueran 14 mil autos. Levantan el agua de forma tal que destruyen el delicado fondo de la laguna, empantanan las orillas de la ciudad, y debilitan los antiguos cimientos.
Es un escándalo ambiental, social y artístico. Es un escándalo a nombre del lobby de los cruceros europeos, los cuales dictan leyes a los gobiernos y sus administraciones.
Justo por eso, en el encuentro realizado del viernes 7 al domingo 9 de junio en Venecia, se reconoció que los grandes barcos entran a título pleno en las grandes obras porque comercializan y destruyen un bien común-la laguna y la ciudad misma- con tal de acumular grandes beneficios en manos de pocas empresas privadas.


Igual que con las grandes obras, la ciudad y sus habitantes no sólo no obtendrán ninguna ventaja, sino que son puestos en la condición de tener que pagar impuestos económicos y ambientales por el daño causado. Varios estudios de docentes y economistas de Ca’ Foscari han demostrado abundantemente que Venecia no obtiene ningún beneficio económico con la presencia de estos “hoteles en el mar”. El turismo que propician-y les aseguro que Venecia no necesita más promoción turística, incluso en tiempos de crisis- es un turismo de “pisa y corre” que en medio día agota el “todo incluido”. Estos barco-hotel ofrecen la posibilidad de comprar en las tiendas las góndolas de plástico y otros recuerdos.
Más allá del aspecto económico no podemos dejar los riesgos inherentes al paso de estas enormes estructuras de hierro en un canal tan estrecho como el de la Giudecca.  Es conveniente recordar lo que sucedió en Giglio en enero de 2012, cuando un crucero chocó con una isla y se hundió, causando la muerte de 32 personas. O en mayo de 2013, cuando un portacontenedores chocó accidentalmente contra un muelle del puerto de Génova, derribando la torre de control y matando a por lo menos tres personas. ¿Y si un accidente así sucediera frente a la basílica de San Marcos? Con estas premisas es fácil intuir cómo los tres días de encuentro organizados por el comité ciudadano “No a los grandes barcos” se caracterizó por una amplia participación. A este evento se adhirieron el archipiélago entero de asociaciones que trabaja en la Ciudad de los dogos. El corazón del evento fue la isla de Sacca Fisola, extrema hija de la Giudecca a la cual se conecta por un puente, donde los jóvenes del taller Morion han instalado un campamento internacional.
Se debe subrayar que el destino de Venecia preocupa más en el extranjero que en nuestra propia casa. Muestra de ello es la presencia de numerosos portavoces de los comités “No a las grandes obras” de Francia, Alemania, España, y de otro países de Europa. La lista de adhesiones al Encuentro es realmente larga como para ser nombrada. Se puede mirar en el sitio internet del comité organizador, donde se presentan las fotos de estos rascacielos ambulantes, y hacerse una idea del impacto que tienen en la ciudad más frágil del mundo.
Después de las reuniones, llegó el momento de manifestarse. La ciudad lo hizo durante todo el domingo desempolvando una antigua consigna de guerra: “por tierra y por mar”. Los violentos e injustificados ataques de la policía, de los cuales los manifestantes se protegieron con salvavidas, no lograron dispersar a los contingentes. Ni a los de la tierra, ni a los del agua. Durante todo el día los grandes barcos se quedaron anclados y no lograron romper el bloqueo, ni con la ayuda de helicópteros y lanchas de la policía.
Por todo un día, al menos, la laguna se liberó de sus monstruos marinos.
“Tres días extraordinarios”, comentó Tomasso Cacciari, del taller Morion. “Miles de personas bajaron a la calle a pesar de las prescripciones de la policía, y retomaron la ciudad y sus aguas ahora expropiadas por la Capitanería. Se hizo metro por metro, hasta conquistar el derecho a manifestarse contra las grandes obras flotantes que se obstinan en llamar barcos.”
Justo como las grandes obras, las grandes naves crean, además de un problema ambiental y económico, un problema de democracia. En Venecia nadie lo quiere. No los quieren los ciudadanos, ni los residentes porque cada vez que pasan, el impacto de las olas hace que los baños saquen residuos. No los quieren los ambientalistas y no los quieren siquiera la administración comunal, que desde hace tiempo ha pedido que los saquen de la laguna.
Sin embargo, los grandes barcos continúan atravesando el canal principal, “la sala de Venecia”- Plaza de San Marcos- como si fuera su casa.
“Por una antiestética jaula bajo el campanario”, observó el consejero comunal Beppe Caccia, e intervino el ministro de los Bienes Culturales. Incluso  por los grandes barcos, que además de antiestético, son contaminantes y devastan, nadie se incomoda. Por esto decíamos que el problema que suponen entra en uno mayor en torno a la democracia. Es un problema de “¿quién manda en Venencia?”. De eso se trata.
La gran movilización ha señalado un ulterior punto a favor de Venecia. Tal como desde hace tiempo lo pedían los ambientalistas y la misma Comuna, el ministro de la Infraestructura, Maurizio Lupi, ha anticipado la convocatoria al llamado Gran Comité. Es un órgano interministerial para programar lo previsto en la legislación especial para Venecia, con un orden del día dedicado a los grandes barcos.
¿Qué podemos esperarnos de este encuentro? Veamos la lista de invitados. No fueron convocadas las asociaciones ambientalistas. Tampoco estará el ministro de la cultura, quien tendría el encargo, a través de la Superintendencia, de tutelar los bienes arquitectónicos (como si Venencia no lo fuera). En cambio, estarán el Síndico de Venecia. Estarán los representantes de la Región, cuya administración está en manos del Pueblo de la Libertad (PL) y la Liga Norte (ambos partidos de derecha), quienes tienen la sensibilidad ambiental de un mister Hyde y cuya atención va hacia una ciudad que les ha votado con el mínimo histórico.
En el Gran Comité estarán también los representantes del lobby de los cruceros y de las organizaciones de armadoras italianas y europeas. Nos preguntamos a qué título fueron invitadas. También estarán los órganos del Estado que desde siempre han cuidado los intereses de los grandes barcos, como la Capitanería y las autoridades portuarias de Venecia. Todos van a título ministerial. Así, el Síndico de Venecia tendrá que explicar por qué la ciudad no quiere ser diariamente devastada por el ir y venir de estos encementados de mar.
El problema, como hemos dicho, es este: ¿quién manda en Venecia?

Par tera e par mar! Venezia ha detto no alle Grandi Navi

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E hanno anche il coraggio di chiamarle “navi”. Veri e propri villaggi turistici galleggianti che col mare non hanno niente a che fare se non quello di muoversi sopra come fosse una autostrada costruite solo per loro. Grandhotel alti come grattacieli “dotati di ogni confort” - come non mancano mai di specificare i depliant delle agenzie - come piscine, saune, giostre d’acqua, night club, discoteche e ristoranti da una a cinque stelle. Sono queste le Grandi Navi alle quali viene consentito di devastare la laguna inquinando ad ogni passaggio come 14 mila auto, sollevando masse d’acqua che sventrano i delicati fondali lagunari ed impattano sulle rive della città abbattendone le antiche fondamenta.
Uno scandalo ambientale, sociale, artistico. Uno scandalo commesso nel nome del profitto delle lobby crocieristiche europee che dettano leggi a Governi ed amministrazioni.



Proprio per questo, le Grandi Navi, come è stato ribadito nella “tre giorni” di incontri svoltasi tra venerdì 8 e domenica 9 giugno a Venezia, rientrano a pieno titolo tra le Grandi Opere: mercificano e distruggono un Bene Comune (la laguna e la stessa città), per accumulare grandi guadagni in mano di poche società private. E proprio come per le Grandi Opere, la città e i suoi cittadini, non solo non ne ricavano nessun vantaggio, ma vengono posti nella condizione di dover pagare le spese economiche ma anche ambientali del dissesto causato. Vari studi di docenti ed economisti di Ca’ Foscari hanno abbondantemente dimostrato che Venezia non ha nessuna ricaduta economica nella presenza di questi Alberghi del Mare, in quanto il turismo da loro indotto - e vi posso assicurare che Venezia non ha bisogno di ulteriori promozioni turistiche, anche in tempi di crisi! - è un turismo “mordi e fuggi” da mezza giornata che si esaurisce sul “tutto compreso” della nave-albergo che offre anche la possibilità di acquistare nei negozi sui ponti anche l’immancabile gondola in plastica e altri souvenir.
Ma anche al di là dell’aspetto economico, non possiamo tacere sui rischi inerenti al passaggio di queste enormi scatoloni di ferro in un canale strettissimo come quello della Giudecca. E’ appena il caso di ricordare cosa è successo al Giglio e a Genova. E se un simile incidente si verificasse davanti alla basilica di San Marco?
Con queste premesse, è facile intuire come la “tre giorni” organizzata dal comitato cittadino No Grandi Navi, alla quale ha aderito l’intero arcipelago associazionista che opera nella Città dei Dogi, sia stata caratterizzata da una ampissima partecipazione di pubblico. Il cuore delle iniziative è stata l’isola di Sacca Fisola, estrema propaggine della Giudecca, cui è collegata da un ponte, dove i ragazzi del laboratorio Morion hanno attrezzato un campeggio internazionale.
Da sottolineare, a dimostrazione di quanto i destini di Venezia destino più preoccupazione all’estero che a casa nostra, la presenza di numerosi portavoce di comitati No Grandi Opere provenienti dalla Francia, dalla Germania, dalla Spagna e da altri Paesi d’Europa. La lista delle adesioni alla “tre giorni” è davvero troppo lunga per essere riportata ma potete scorrerla collegandovi al sito del comitato organizzatore www.nograndinavi.it, dove potete anche vedere le foto di questi grattacieli ambulanti e farvi una idea sul loro impatto nella città più fragile del mondo.
Dopo gli incontri è venuto anche il momento di manifestare. E la città lo ha fatto per tutta la giornata di domenica rispolverando un antico motto di guerra: “Par tera e par mar!” Per terra e per mare. Le violente e del tutto ingiustificate cariche della polizia dalle quali i manifestanti si sono riparati con salvagenti e canotti, non sono riuscite a disperdere i cortei. Né quello di terra, né quello d’acqua. Per tutta la giornata, le Grandi Navi sono rimaste ferme alle banchine e non sono riuscite a forzare il blocco neppure con l’aiuto degli elicotteri e dei motoscafi della polizia.
Per un giorno almeno, la laguna si è liberata dai suoi mostri marini.
“Tre giornate straordinarie - ha commentato Tommaso Cacciari, del laboratorio Morion -. Migliaia di persone sono scese in piazza nonostante le prescrizioni della questura e si sono rimpossessate della città e delle sue acque espropriate dalla Capitaneria di porto metro dopo metro, sino a conquistarsi il diritto di manifestare contro queste grandi opere galleggianti che si ostinano a chiamare navi”.
Proprio come per le Grandi Opere, le Grandi navi sollevano, oltre che un problema ambientale ed economico, anche un problema di democrazia. A Venezia, nessuno le vuole. Non le vogliono i cittadini, non le vogliono i residenti che ad ogni loro passaggio, causa l’impatto delle onde, vedono il water di casa tracimare liquami. Non le vogliono gli ambientalisti e non le vuole neppure l’amministrazione comunale che da tempo ha chiesto alle autorità competenti di spostarle dalla laguna. Eppure le Grandi Navi continuano a solcare il canale prospiciente il “salotto buono di Venezia” - piazza San Marco - come fosse casa loro. “Per un antiestetico gabbiotto sotto il Campanile - ha osservato il consigliere comunale Beppe Caccia - è giustamente intervenuto il ministro dei beni Culturali in persona. Eppure per le grandi navi che oltre ad essere antiestetiche inquinano e devastano, nessuno si scomoda”. Per questo, dicevamo, il problema delle grandi navi sta dentro un più ampio problema di democrazia. E’ un problema di “chi comanda a Venezia?” Tutto qua.
La grande mobilitazione ha segnato anche un ulteriore punto a favore di Venezia. Come da tempo chiedevano gli ambientalisti e lo stesso Comune, il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi ha anticipato la convocazione del cosiddetto Comitatone, l’organo Interministeriale per la programmazione previsto dalla Legislazione speciale per Venezia, con un ordine del giorno tutto dedicato alle Grandi Navi.
Cosa possiamo aspettarci da questo incontro? Scorriamo la lista dei partecipanti. Non sono state convocate le associazioni ambientaliste. Non ci sarà neppure il Ministero per la Cultura che avrebbe il compito tramite le Soprintendenze di tutelare i beni architettonici (come se Venezia non lo fosse...). Ci sarà invece il sindaco di Venezia, e vorrei vedere il contrario, ma ci saranno anche i rappresentanti della Regione la cui amministrazione è tutta in mano a Pdl e Lega che ha la sensibilità ambientale di un Mister Hyde e la cui attenzione nei confronti di una città che gli ha sempre votato contro è ai minimi storici.
Al Comitatone ci saranno anche tutti i rappresentanti delle lobby crocieristice e delle organizzazioni armatoriali italiane ed europee (ci chiediamo a che titolo sono state invitate), insieme a quegli organi dello Stato che da sempre hanno unicamente tutelato gli interessi delle Grandi Navi come la Capitaneria e l'Autorità Portuale di Venezia, tutti enti a nomine ministeriali. A costoro, il sindaco di Venezia dovrà spiegare perché la città non vuole essere giornalmente devastata dal via vai di questi cementifici di mare.
Il problema, come abbiamo scritto poco sopra, sta tutto qua: “chi comanda a Venezia?”

A Sacca Fisola tra gondolieri cinesi e aeroporti francesi

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Spetta a “Il gondoliere cinese” aprire questo pomeriggio il ciclo di incontri della “tre giorni” contro le Grandi Navi e le Grandi Opere. Questo infatti è il titolo del romanzo dello scrittore ed ambientalista veneziano Lucio Angelini (Supernova editore, 2013). Siamo a Sacca Fisola, nella grande sala dell’impianto polisportivo dell’isola. Il campeggio sta crescendo di tenda in tenda man mano che arrivano gli ospiti nazionali e internazionali che domenica daranno vita alla grande manifestazione “par tera e par mar”. Accanto alla piscina comunale, sul lato dell’isola che volge alla laguna sud, Big Mike sta preparando il concerto serale. Il tempo tiene. E’ una bella giornata che - finalmente - ci regala un anticipo d’estate. Nelle grande sala, le sedie sono state messe a circolo. Non per mancanza di spettatori ma per restare fedeli a quello “spirito informale e famigliare”, come si legge nel programma, che caratterizzerà tutti gli appuntamenti.
Apre l’incontro Tommaso Cacciari del laboratorio Morion, che sintetizza l’obiettivo della “tre giorni”: denunciare l’intr

eccio politico affaristico che sta dietro tutte le Grandi Opere, quelle “galleggianti” comprese, e rivendicare Venezia e la sua laguna come un bene comune da tutelare.

Spetta a Flavio Cogo del comitato No Grandi Navi, intervistare l’autore del libro. “Il gondoliere cinese” è essenzialmente un noir che ha come protagonista principale... Venezia. Una Venezia mercificata, ben lontana dai fasti della Serenissima. Il romanzo dai toni forti descrive le pratiche sessuali sadomasochistiche basate sulla dominazione e la sottomissione cui indulgono i protagonisti. “Ho scelto appositamente uno sfondo scandaloso - spiega Lucio Angelini - perché questo si sposa perfettamente con lo scandaloso degrado in cui è precipitata l’ex Dominante. Il personaggio del mio libro che, per denaro, accetta di mercificarsi sino ad assumere l’identità di un cane ha un parallelo con le umiliazioni che la nostra città è costretta a subire ogni giorno. Con la non insignificante differenza che Venezia non è neppure pagata!”

Conclusa tra gli applausi la presentazione del libro, in attesa degli altri ospiti internazionali il cui arrivo è previsto per domani, intervistiamo la francese Roseline Amelot Pigat, ingegnere navale (ha lavorato sei anni anche nei cantieri di Monfalcone dove si sfornano, per l’appunto, le Grandi Navi) ed attivista del - ve lo scrivo in italiano - comitato contro l’aeroporto di Notre Dame di Landes. Una storia, questa, tutta da ascoltare e che nasce nel ’67 sull’onda della "politique de grandeur" del generale Charles de Gaulle. In un piccolo villaggio della Bretagna assediato dalle legioni di Cesare...

http://youtu.be/gaZ7uzSiSTM

Tre giorni di mobilitazione per dire No alle Grandi Navi

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Domenica 9 giugno si comincia presto e si parte alla grande. Alle 8 e mezza dalla stazione di Padova, alle 9 da quella di Monselice. Da Vicenza si sale sul treno alle 8 in punto. Da Macerata e dalle Marche arrivano col pullman e così da Bologna e dall’Emilia Romagna. Tutti a Venezia, dove l'appuntamento per domenica 9 giugno è alle 10 a piazzale Roma per la manifestazione diretta via terra all'ingresso del Terminal portuale crocieristico e alle 16 all'imbarcadero di San Basilio per il corteo acqueo.  E intanto, da qualche giorno, nell’isola di Sacca Fisola a rimboccarsi le maniche per allestire il campeggio nello spazio polisportivo, ospiti della Cooperativa Il Cerchio, dove stanno arrivando i primi partecipanti alle mobilitazioni. L’isola lagunare che sorge all'imbocco del canale della Giudecca - proprio quello che giornalmente viene percorso dai questi mostruosi alberghi galleggianti - sarà il cuore delle tre giornate dedicate all’evento No Grandi Navi. Il primo appuntamento di discussione nel pomeriggio di venerdì con la presentazione del libro di Lucio Angelini “il gondoliere cinese”, pubblicato da Supernova Edizioni. In serata festa e concerti con Soul Riot, Big Mike e Almost Inside.


Intanto, fioccano le adesioni alle iniziative che hanno già coperto gran parte dei comitati e movimenti che si battono a difesa dell'ambiente e del territorio. Per l’elenco completo così come per il programma integrale della giornate, ci si può collegare al SITO DEL COMITATO NO GRANDI NAVI di Venezia.
Una mobilitazione di tale portata, non ha mancato di ottenere i primi risultati anche a livello  istituzionale. E’ notizia di giovedì che il ministro per le Infrastrutture e i Trasporti Maurizio Lupi ha  fissato per il 13 giugno la prima convocazione di un tavolo a Roma, proprio per discutere di alternative al passaggio delle Grandi navi nel bacino di San Marco. Senza dubbio un primo risultato della mobilitazione dei cittadini veneziani, dal momento che il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni aveva invano richiesto da un anno la convocazione di una specifica riunione del Comitato interministeriale per la salvaguardia di Venezia, che fosse dedicata alla questione.
La battaglia però è ancora lunga e difficile, nonostante l'enormità dell'impatto ambientale e del pericolo rappresentato dalle navi da crociera in transito. Come fa notare il consigliere della lista "In Comune" Beppe Caccia, nella riunione del prossimo 13 giugno, il sindaco sarà solo a confrontarsi con i rappresentanti delle società armatoriali italiane ed europee, e con quegli stessi organi dello Stato che hanno finora unicamente tutelato gli interessi della potente lobby delle crocieristica (lo stesso ministero dell'Ambiente, la Capitaneria e l'Autorità Portuale di Venezia). Escluso ad esempio dall’incontro il ministro Massimo Bray, titolare del dicastero dedicato alle attività culturali che pure svolge un ruolo non indifferente nella tutela di un patrimonio monumentale e artistico di cui l’intera Venezia e la sua laguna fanno parte.
Ed è a Bray che si è rivolto Beppe Caccia, invitandolo ad intervenire a difesa di Venezia allontanando il rischio “che al centro del confronto non stiano i beni comuni così pesantemente aggrediti dalle grandi navi, ma ben precisi e consolidati interessi economici. E che il tutto si concluda con un nulla di fatto o, peggio, con l'adozione di soluzioni peggiorative quali lo scavo di nuovi profondi canali”. Per questo, conclude, bisogna arrivare al "definitivo  allontanamento dalla Laguna dei natanti con essa incompatibili, prima che sia troppo tardi”.
Intanto il Comitato No grandi navi ha chiesto alla Capitaneria di porto, all'Autorità portuale (responsabili in materia) e a Venezia Terminal Passeggeri (la società che gestisce l'arrivo delle crociere) che il giorno delle mobilitazioni si trasformi in una vera "domenica ecologica". Cioè che il 9 giugno non partano né arrivino a Venezia i mostri del mare. La risposta è stata l'arrogante conferma nel traffico programmato e, da parte della Questura, l'allarme per "possibili infiltrazioni" tra i manifestanti. La Prefettura ha diffuso un comunicato in cui, dopo aver garantito il massimo impegno per lo svolgimento della manifestazione, avverte che non saranno tollerate "violazioni di legge". Le prescrizioni dettate dal questore Roca per il corteo della mattina prevederebbero il divieto di sostare davanti all'ingresso del porto alla Marittima e vorrebbero imporre una conclusione della manifestazione lontano dall'area portuale.
Ma né i divieti, né la propaganda allarmistica scoraggiano la mobilitazione. In un comunicato diffuso dal comitato organizzatore si invita anzi a rafforzare la partecipazione ad una “tre giorni contro le Grandi Navi” che sia un reale momento a difesa di un bene comune che sta nei cuori di tutti: Venezia con la sua laguna.  

L'Europa oltre l'Europa

euro
Dall’Est all’Euromediterraneo. Incontri senza confini
Parte da Venezia l’Europa in movimento
Cronaca della prima giornata del convegno

E’ cominciato come doveva cominciare. Con un grande e commosso applauso in memoria di don Gallo. “Un uomo che è e che sempre rimarrà nei cuori di chiunque lotti per cambiare il mondo”, come lo ha ricordato in apertura Vilma Mazza.
E’ cominciato così la “due giorni” di incontri sul tema L’Europa oltre l’Europa organizzata da Global Project e European Alternatives. Il freddo quasi autunnale e la ventilata minaccia dell’acqua alta, sottoposta ai capricci di un imprevedibile vento di scirocco, non hanno compromesso la partecipazione di un folto pubblico che ha affollato la sala messa a disposizione dallo Iuav.
Questo primo appuntamento, coordinato da Vilma Mazza direttore di Global Project e da Lorenzo Marsili European Alternatives,è stata dedicata ai movimenti internazionali.
“Non perdiamoci a descrivere cose che già sappiamo - ha invitato Vilma Mazza - come le politiche di austerity o le repressioni, ma cerchiamo piuttosto di utilizzare questo incontro per costruire un ragionamento comune. Ragionamento che è tutt’altro che scontato. Nessuno di noi vuole tornare indietro nell’orologio della storia. Fermarsi a sostenere che l’Europa ci opprime rischia di sfociare in derive nazionalistiche. Piuttosto troviamo una strada comune per abbattere questa idea di Europa e costruirne una con una geografia politica diversa capace di guardare verso l’Euromeditteraneo”.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Lorenzo Marsili che osserva come ogni ragionamento sull’Europa è soggetto a due poli di attrazione: quello dello status quo e dell’austerità sostenuto da politiche socialdemocratiche sempre più blande, e quello del nazionalismo xenofobo di chiara impronta fascista.



Tema al quale si riaggancia il primo ospite: il giornalista greco Argiris Panagoupoulus. “Ultimamente ho viaggiato parecchio per il sud dell’Europa - spiega - e ho visto dappertutto la stessa rabbia. Ma come si fa a costruire una Europa democratica partendo da un Paese come la Grecia che democratico non può più definirsi?” Argiris racconta episodi di precettazioni forzate e di un diritto fondamentale, come quello dello sciopero, che non esiste più. “Che diritti ci rimangono allora? Quello di andare a votare ogni quattro anni dopo un violento bombardamento di menzogne televisive?” Quindi esamina il caso greco di Syriza. “Mettere insieme le tante anime della sinistra greca è stato un rischio... nucleare! Eppure lo abbiamo fatto perché avevamo qualcosa di dire alla gente. Questa è una strada che mi auguro anche l’Italia sappia seguire. Sono stato in piazza con la Fiom e ho visto una piazza senza rappresentanza istituzionale“.

Parola alla Spagna e al redattore di Diagonal pablo Elorduy. Impossibile che il discorso non cada sugli indignados. “In Spagna la situazione è diversa. La sinistra tradizionale, quella che affondava le sue radici nel comunismo, e non la destra, è violentemente antieuropea. Il governo socialista ha seguito una politica ugale a quella dei conservatori e che si limita a predicare austerità e tagli al welfare. Abbiamo assistito ad un processo di svuotamento dello Stato cui sono rimasti solo i compiti di controllo sociale e di spoliazione dei beni comuni. Contro tutto questo è nato il movimento degli indignados, che ha messo in luce la carenza di democrazia e la crisi della rappresentanza. Cosa ne è ora di questo movimento? Si è verificato un ritorno al territorio e una attenzione alle battaglie locali”. Ammettendo che, rispetto ad un ragionamento europea gli indignados sono in forte ritardo, Pablo conclude con un parallelo musicale, invitando tutti i movimenti locali a “suonare la stessa musica”.

Anno zero anche in Romania, come spiega Iulia Popovici di CritcAtac. A Bucarest le proteste contro la casta politica e contro l’austerity hanno ottenuto solo di affobdare un governo di destra per lasciare spazio ad una coalizione socialista e liberalista in cui i più liberisti sono proprio i socialisti. “I nostri governanti sono proni ai comandi di Bruxelles e più pronti ad andare contro al loro stesso popolo che ai comandi della troika. Da anni stanno privatizzando tutto il privatizzabile e anche qualcosa di più”. Addirittura, racconta Iulia, anche il sistema di ambulanze di prima emergenza è in mano ai privati. Per quanto riguarda l’Europa, in Romania non ci sono Euroscettici. “L’Europa viene vista come un mercato aperto del lavoro. Ricordiamoci che nel mioPaese la migrazione è un cardine sociale e culturale”.

Claudio Gnesutta di Sbilanciamoci riprendo in mano la dicotomiia tra democrazia e capitalismo, osservando come questi due termini non si sposino bene assieme. “Siamo di fronte ad una rivoluzione dall’alto che significa che le regole sociali le sta riscrivendo l’alta finanza. Sino ad oggi c’è sempre stato un compromesso tra il sociale e l’economia. Adesso non c’è più bisogno di questo compromesso. L’economia ordina come deve organizzarsi la società. La finanza comanda perché può decidere come e dove devono spostarsi i capitali a livello globale. Si è assunta il diritto di decidere priorità, meriti e metodi, forte di una forte classe dirigente e di una forte egemonia culturale”. Gnesutta osserva come anche tanta sinistra abbia digerito il principio che l’economia è dominante in una società. Dove sta l’alternativa allora? “Riportando al centro il lavoro e i suoi diritti, ponendo la questione sociale sopra quella economica. Il problema non è euro sì o euro no, ma come cambiare le politiche economiche dell’Europa”.

Di rivoluzione dall’alto parla anche Francesco Raparelli di Dinamopress. “Ma piuttosto che usare questo termine preferssco quello di costituente neoliberale, preferisco parlare di saccheggio più che di economia. I salari, il welfare sono il primo bersaglio di questa costituente che tenta di trasformare la crisi in opportunità. Non è un caso che la grande finanza ha ripreso ad investire nei titoli di Paesi in bancarotta come la Grecia”. Quella che a parere di Raparelli ci attende è una stagione di grandi turbolenze sociali. “Non possiamo liquidare il problema come la supremazia dell’economia sulla politica. Il, problema è che si governo solo a sostegno del mercato. Non c’è un vuoto di politiche ma nuove politiche”. Impossibile pensare a rifondare questa Europa dal basso senza fare i conti con l’euro che, secondo Raparelli, è la quintessenza dell’Europa e un caposaldo di questo processo. Eppure sulla questione “euro sì o euro no” i movimenti non hanno ancora preso una posizione forte. “Grillo sta per lanciare il referendum contro l’euro. Noi cosa gli opponiamo?” domanda. Raparelli non si nasconde di non avere la soluzione in tasca e offre alla platea due possibilità: la moneta comune oppure “far uscire la Germania dall’euro. Intendo, istituendo zone di moneta diversificate nell’Europa. Cose fuori dal mondo? Può darsi. Di sicuro c’è solo che così come è, l’euro non può essere preso per buono”.

Il giurista austriaco Leo Specht descrive come stiamo vivendo la fine del compromesso sociale su cui si era fondata la nostra società ed in cui anche alle classi deboli veniva concesso l’accesso alla ricchezza sociale. “Il welfare di cui abbiamo goduto sino ad ora era organizzato su base nazionale ma l’attacco è venuto dall’Europa e non c’è stata difesa”. Specht propone di rovesciare la logica europea puntando su economie locali. “Le politiche europee si basano sul binomia economia e mercato ma ci sono tante forme di mercato, anche di creative e di sperimentali in grado di creare vere alternative”.

Srecko Horvat organizzatore del festival croato Subversive cerca di dare una risposta alla fondamentale domanda “Che fare?” e risponde raccontando un aneddoto riguardante Ho Chi Min al quale una delegazione di comunisti italiani aveva chiesto come poteva fare per sostenere la sua battaglia. Il leader vietnamita rispose “Quando tornate in Italia fate la rivoluzione che abbiamo bisogno di alleati”. “Magari non la rivoluzione - scherza Srecko, cui va dato l’innegabile merito di aver risvegliato la platea raccontando qualche episodio divertente - ma è innegabile che in tutta l’Europa qualcosa si muove. Il rischio è quello del Gattopardo, che cambi tutto per non cambiare niente”.

La parola passa al giornalista del Manifesto Marco Bascetta che ha denunciato il pericolo che le critiche all’Europa provengano solo da basi nazionaliste grazie anche alla nostra incapacità di pensare all’Europa in termini politici. Attenzione alla Germania, afferma, “in cui si sta affermando un nazionalismo basato su criteri di competitività”. L’evidente fallimento delle politiche di austerity, conclude, non ha comportato un retromarcia “perché sono sempre state giustificate sostenendo che non erano state applicate bene o in maniera completa”.

Per Raffaella Bolini dell’Arci, i pezzi di un processo alternativo ci sono e sono sparpagliati per tutta l’‘Europa. Il problema è che sono nascosti da una cappa di egemonia culturale liberista che non lasci spazi. “Ora ci cullano con il miraggio di una imminente crescita ma sono solo escamotage elettorali. L’unica crescita sarà per gli speculatori che riescono pure a passare per salvatori dell’economia”. Raffaella Bolini racconta di come il Governo greco abbia invitato i gruppi finanziari francesi a gestire le risorse idriche privatizzate del loro Paese per “aiutare” il popolo greco. “In queste condizioni, come si fa a far capire alla gente che il futuro è nella cooperazione e non nella competività?” si chiede. E conclude ottimisticamente: “Se c’è una cosa in cui noi italiani siamo sempre stati bravi è la cooperazione. Abbiamo costruito reti, associazioni, raccolte di firme e quant’altro per la Palestina, il Chiapas... Adesso è il momento di sostenere quelle realtà europee che resistono, nonostante se ne parli poco. In Grecia ci sono gruppi di mutuo soccorso di gente che non ha niente e aiuta chi non ha niente, in Romania interi paesi sono sulle barricate contro le privatizzazioni. Sosteniamoli come abbiamo sostenuto altre battaglie. Forse non riusciremo ad aiutare loro, ma certo aiuteremo noi a capire quale europa vogliamo”.

Conclude questo primo appuntamento Beppe Caccia che comincia con una citazione di buon auspicio di Nietzsche “Solo chi ha dentro il caos può partorire una stella”. Per il consigliere comunale della lista In Comune, l’eterogeneità che caratterizza i movimenti più che una risorsa può essere un rischio. “Per rendere costituente e produttiva questa eterogeneità bisogna partire da punti fermi. Siamo alla preistoria di un discorso politico europeo e dobbiamo rendercene conto. le forza in campo sono enormemente sproporzionate perché l’accumulazione capitalistica ha ristretto gli spazi che prima erano di competenza del lavoro. Per rovesciare questo quadro è indispensabile uscire da vecchie e comode certezze del passato. A monte della crisi c’è una trasformazione epocale del lavoro. Quello citato nel primo articolo della Costituzione non esiste più e più tornerà”. Caccia nota che che la parola “cittadini” presente nel sottotitolo del convegno, “per un patto costituente tra cittadine e cittadini”, è equivoco. “Perché questo termine, nelle politiche europee è stato usato in maniera escludente. L’Europa che vogliamo è una Europa dai confini più ampi, che guarda verso l’est e verso il Mediterraneo. Abbiamo bisogno di allargare i confini di questa Europa oltre le vecchie barriere. Abbiamo bisogno di cittadini insorgenti, perché senza conflitto non potremo mai aprire una fase costituente dal basso”.


Dal movimento all’istituzione. Incontri senza confini
L’Europa tra la crisi della rappresentanza e la politica dall’alto
Cronaca della seconda giornata del convegno


Spazio alle istituzioni, in questo secondo appuntamento del seminario l’Europa oltre l’Europa. La cornice prescelta non poteva che essere la sala consigliare di Ca’ Farsetti, sede del municipio di Venezia che si affaccia su un canal Grande fortunatamente miracolato dall’acqua alta. A far gli onori di casa, il consigliere comunale Beppe Caccia in collaborazione con Segolene Prunot.

Apertura a Ugo Mattei che focalizza il suo intervento sulla centralità dei beni comuni.
“Quando leggiamo che Delors e altri economisti invocano la necessità di apportare riforme strutturali all’Europa, sappiamo che parlano delle riforme imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale che continuano ad avere come obiettivo una ipotetica e futura crescita. Il nostro obiettivo, al contrario, è proporre una visione alternativa a questo riformismo già rivelatosi fallimentare. Perché la crescita, possiamo esserne certi, non ci sarà più”. In quanto alla crisi della rappresentanza, Mattei osserva che “un sistema che pensa ad una Europa sempre più simile ad uno Stato federale non è una soluzione. La causa di questa crisi non sta nella mancanza di sovranità del un Governo centrale ma nella mancanza di sovranità nel locale. Lo scontro sul livello della costituente è sorto proprio perché il sistema capitalista non tollera più quel poco di sovranità ancora concesso ai territori”. Come affrontare allora la sfida costituente? “intanto bisogna superare vecchi concetti come quello di destra e di sinistra. Non dobbiamo porci lo scopo di rifondare la sinistra ma trovare un linguaggio comune tra tutti coloro che non credono che l’accumulazione capitalista possa essere un criterio fondante dell’Europa”. Per Mattei, bisogna ripartire dai beni comuni portando la battaglia nel locale e, in particolare, nell’istituzione del Comune, come ente amministrativo più vicino ai cittadini. Un concetto questo, ribadito in tanti interventi. “Sforziamoci di costruire istituzioni nuove che si oppongano alla concentrazione verticistica del potere in nome della governabilità. Superiamo le vecchio distanze tra pubblico e privato. Poniamo al centro della nostra azione, sia nei movimenti che nelle istituzioni, concetti come l’inclusione, l’ecologia e un nuovo modo di stare assieme. E smettiamola di dare credito a quanti affermando che l’economia, prima o poi, tornerà a crescere!”

Con Theano Fotiou, parlamentare di Syriza, si torna a parlare di Grecia. Fotiou cita il motto della rivoluzione francese, libertà, fraternità ed uguaglianza, per ricordare come la politica europea promuova soluzioni completamente opposte. “Con i livelli di disoccupazione che abbiamo in Grecia come si fa a parlare di democrazia? Con le leggi che ogni giorno il parlamento approva e che sono contro la nostra costituzione, come si fa a parlare di democrazia? Queste sono le premesse ottimali per il fascismo. Noi in Grecia siamo arrivati al capolinea prima degli altri ma sula nostra stessa strada siete incamminati anche voi italiani. L’alternativa, non è il ritorno agli Stati nazionali ma una radicale rifondazione dell’Europa che abbia come base i cittadini e non la finanza”.

Voce fuori del coro, quella di Francesco Martone, responsabile degli esteri di Sel che polemizza con Mattei: “se non vogliamo più parlare di destra e di sinistra come possiamo combattere quello che sta succedendo in Ungheria dove si è imposto un regime fascista?” Anche la battaglia, secondo Martone, non va combattuta sul locale - “non c’è più tempo per ricostruire l’istituzione Comune” - quanto piuttosto dai banchi del parlamento europeo. Banchi ai quali sarà presumibilmente uno dei prossimi candidati di Sel. E conclude invitando la platea a “dare più forza alla propria rappresentanza al parlamento europeo”.

Addirittura sul “tragico ruolo del parlamentare europeo” si sofferma Niccolò Rinaldi, per l’appunto, parlamentare europeo nelle file dei liberali e democratici. Tragico ruolo in quanto “le nostre scelte sono distanti dal sentire comune dei cittadini”. Rinaldi si sofferma sul ruolo centrale del parlamento “espressione di democrazia diretta”, e paventa alle prossime elezioni l’arrivo di una forte rappresentanza euroscettica.

Roberto Musacchio di Altramentenota come la centralità della crescita abbia inquinato anche il pensiero socialista. “Le prossime elezioni saranno un vero e proprio referendum sull’Europa” commenta e bacchetta il relatore che lo ha preceduto, il parlamentare Rinaldi, sulla “distanza tra l’istituzione europea e il comune sentire del cittadino” osservando che “come dopo il disastro di Chernobyl tutti si sono informati su cosa è il nucleare, stavolta tutti si sono informati su cosa sia l’Europa”. Sulla questione euro sì o euro no, Musacchio ricorda che “già la lira era stata privatizzata dall’allora ministro Andreatta. L’euro non ha fatto altro che portare a termine un percorso già avviato. In questo nuovo panorama, ha ragione Ugo Mattei quando afferma che destra e sinistra sono uguali. Bisogna tornare al senso effettivo di questi parole. Spazio quindi alle politiche di movimento, ai beni comuni ad una nuova politica sul reddito. Proprio il diritto al reddito potrebbe rivelarsi un cardine fondamentale per scardinare l’Europa della grande finanza. Rovesciamo l’egemonia culturale liberista. Considerato che c’è tanta gente che lavora senza reddito, battiamoci per il diritto al reddito senza lavoro”.

Più come ex portavoce di Sbilanciamoci che come neo deputato di Sel - “all’opposizione” sottolinea -, interviene Giulio Marcon che osserva come la politica risponda solo alle logiche del mercato. “La questione sta nel riportare la finanza sotto il controllo dei cittadini. Questa è l’unica risposta alla crisi”. Per democraticizzare l’Europa, Marcon individua tre strade parallele: la democrazia diretta di cui i referendum sono lo strumento più efficace, la democrazia locale come focalizzato da Mattei e anche la rappresentanza elettorale.

Città e popoli sono il focus su coi si concentra l’assessora all’Ambiente del Comune di Venezia, Gianfranco Bettin, definite “le prime vittime delle politiche europee”. “Il patto di stabilità europeo ha colpito e mortificato proprio i Comuni che sono sempre stati, soprattutto in Italia, il cardine della partecipazione sociale e anche culturale dei cittadini. Il processo di spossessamento dei beni comuni ha investito le città perché queste erano il primo presidio di queste ricchezze di tutti”. Proprio sul terreno delle città quindi, si giocherà la partita determinante “tra i due poli dell’eurocrazia e del populismo. Sarà indispensabile allora aver maturato una sintesi politica in grado di dare una risposta razionale ma anche comprensibile a popolazioni impoverite e angosciate”. Un percorso che ci faccia uscire tanto dalla rassegnazione che ci porta ad accettare ingiuste ed inefficaci politiche di austerity, quanto dalle “nebbie di un populismo che oscilla tra rigurgiti fascisti e tentazioni di affidarci a vuoti demagoghi”. Ripartire quindi dallo spazio metropolitano per costruire una nuova condivisione dei beni comuni ma facendo attenzione che, di per sé, il ritorno al Comune non basta per garantire questo percorso. Bettin fa l’esempio dell’Arsenale di Venezia, recentemente tornato sotto la gestione del Comune. Un passo positivo, senza dubbia, ma non sufficiente a garantire un suo usufrutto slegato dalle logiche di mercato.

Applauditissimo l’intervento conclusivo di Lorenzo Marsili di European Alternatives. Uno che non te le manda a dire. “Parliamoci chiaro. Se pensiamo di andare alle elezioni raccontando alla gente che siamo per l’Europa ma che vorremmo rifondarla sulla base dei diritti, andiamo a perdere. La gente ci manderà tutti a cagare e fa bene a mandarci a cagare. Perché il tono delle danze lo sta dettando Beppe Grillo col referendum sull’euro. Cosa fare allora? Andare tra gli euroscettici per tornare a seguire le stesse politiche liberiste con una lire inflazionata piuttosto che con l’euro? Credo piuttosto che dobbiamo imparare a radicalizzare la nostra proposta alternativa”. Marsili non si nasconde che il nemico è un nemico invisibile. “Il drago dell’alta finanza” lo chiama. “Ma questo drago ha una rappresentanza politica che è ben visibile in figure come il cancelliere tedesco Angela Merkel”. Marsili conclude citando la “rivoluzione giacobina” proposta da Toni Negri. “I nostri eventuali candidati devono avere chiaro che vanno al parlamento europeo per sovvertire il parlamento europeo. Altrimenti, è meglio che se ne stiano a casa”.


Dal conflitto internazionale alla costituente europea
I movimenti sociali per una Europa dei popoli e dei diritti
Cronaca della terza giornata del convegno


Dopo la vetrina istituzionale di Ca’ Farsetti, il convegno l’Europa oltre l’Europa organizzato da Global Project e European Alternatives si sposta alle Zattere, all’interno degli antichi magazzini del sale della repubblica serenissima, negli spazi gestiti da Sale Docks.
Stavolta tocca ai movimenti e ai loro portavoce gestire la maratona di interventi conclusivi che durerà tutto il pomeriggio sino a sera in una lunga e partecipata assemblea. All’incirca una trentina i relatori che si alternano ai microfoni dopo l’introduzione di Omeyya Seddik, ricercatore tunisino e protagonista della Primavera di Tunisi. Provengono da tutta Europa: dalla Spagna alla Gran Bretagna, dalla Grecia alla Romania, senza trascurare le tante realtà di lotta per la democrazia e i beni comuni e contro le grandi opere attive nel nostro Paese. Il bilancio e il racconto delle varie mobilitazioni, lascia presto spazio alla preparazione dei prossimi appuntamenti come l’Alter Summit di Atene sabato e domenica 8 e 9 giugno, o Occupy Frankfurt in programma nel prossimo fine settimana.

Il passaggio di tre enormi navi da crociera proprio davanti alla fondamenta dove si apre il portone di Sale Docks - uno “spettacolo” che non ha mancato di lasciare esterrefatti gli ospiti stranieri - ha commentato meglio di tanti discorsi l’invito di Tommaso Cacciari del Morion a partecipare all’imminente “tre giorni” in difesa della laguna di Venezia, in programma da venerdì 7 a domenica 9 agosto. “Come abbiamo verificato anche al recente Social Forum di Tunisi, in cui sono stati discussi molti casi simili, questo sistema economico predatorio usa la politica delle grandi opere, portata avanti nel nome di un interesse generale che alla fin fine si riduce all’interesse di pochi privati, per devastare il territorio e impossessarsi dei beni comuni. Anche la laguna per noi veneziani è un bene comune e anche noi abbiamo le nostre grandi opere devastatrici. Una di queste sono quei mostri galleggianti che avete visto passare qui davanti e che distruggono l’ambiente lagunare, la città d’acqua e compromettono la nostra salute a vantaggio esclusivo degli interessi delle multinazionali del turismo. Per dire no alle grandi navi e per difendere Venezia e la sua laguna, e per ribadire che ambiente e salute non sono merci da cui trarre guadagno, invitiamo tutti a partecipare al queste giornate di lotta”.
La nuova Europa comincia anche da qui.

Finanza o democrazia? Un convegno per un nuovo patto costituente tra cittadini e cittadini

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Venezia, e non a caso. La città lagunare, storico “ponte” mediterraneo di scambi tra oriente ed occidente, tra settentrione e meridione, sarà la sede del convegno internazionale di due giorni “L’Europa oltre l’Europa”, che si svolgerà venerdì 24 e sabato 25 maggio. In allegato, potete scaricare il ricco programma della manifestazione che, proprio per dare una idea della varietà delle discussioni prevsite, si terrà sia in sedi istituzionali come le sale messe a disposizione dallo Iuav o dal Comune di Venezia, quanto in spazi autogestiti come il Sale Docks. L’iniziativa è stata presentata questa mattina a Ca’ Farsetti.
Perché un convegno sull’Europa?
Perché, si legge nel documento di presentazione dell’incontro, “tre anni ininterrotti di politiche di austerity hanno profondamente modificato la costituzione materiale dell’Unione Europea. Il processo di integrazione economica e finanziaria appare oggi guidato da poteri economici e politici estranei alla stessa cornice istituzionale dei Trattati. La fase costituente dall’alto che stiamo subendo si sta dimostrando post- e anti- democratica. Tanto più che ciò si verifica nel contesto di una gestione della crisi finanziaria ed economica che sta impoverendo drammaticamente il continente e allargando la forbice delle diseguaglianze sociali ai danni di molti”.



Il seminario è stato organizzato da Global Project e da European Alternatives e si inserisce in un percorso che continuerà in Germania, a Francoforte, con Occupy Frankfurt, e in Grecia, ad Atene, con Alter Summit.
“Quando abbiamo lanciato la proposta di questo incontro sull’Europa - spiega Vilma Mazza, direttore di Global Project- non ci aspettavamo una risposta così entusiastica. Lo stesso numero dei relatori, provenienti non solo da pressoché tutti i paesi europei ma anche dall’area mediterranea e dall’est, e che supera la quarantina, è un dato che la dice lunga sulle dimensioni di questa ‘due giorni’ di incontri. Tra loro ci sono esperti, amministratori locali, rappresentanti di movimenti. Tre categorie che difficilmente troviamo all’interno della stessa sala di convegno ma che, proprio per questo, abbiamo voluto far incontrare. In questa Europa arroccata dietro alle decisioni della troika e dove gli spazi di democrazia si restringono sempre di più, riteniamo che sia necessario costruire una azione multipla e pensare ad un linguaggio condiviso per poter incamminarci verso un deciso cambiamento di rotta”.
“Come Comune siamo molto interessati a questo convegno e, in generale, a questo tipo di percorsi che intrecciano esperienze di base e ed esperienze amministrative - commenta Gianfranco Bettin, assessore all’Ambiente del Comune di Venezia -. L’Europa in cui ci riconosciamo di più è quella dei popoli e delle città, che poi costituiscono la vera radice dell’Europa. Due dimensioni che oggi sono entrate in crisi e poste sotto continuo attacco dal quell’Europa che prevale in questo momento, che è soprattutto quella delle oligarchie finanziarie. Oggi i popoli soffrono le politiche del rigore e le città sono il fulcro della leva con cui vengono applicate tali politiche nel welfare e nei beni comuni. Beni sotto continua pressione per essere ceduti e, con loro, cedere anche sovranità. L’affacciarsi di una diversa idea di Europa, in grado di produrre tanto pratiche amministrative quanto pratiche di conflitto capaci di opporsi a quanto avviene, è, per noi tutti, non soltanto importante ma addirittura vitale”.
Marco Baravalle di Sale Docks osserva come il convegno internazionale comprenda “un focus interessante sull’Europa dell’est e su Paesi di cui si parla poco, pur se negli ultimi anni sono stati al centro di politiche e di vicende contraddittorie come governance identitarie, euroscettiche e di estrema destra, ma anche di movimenti che si sono opposti a queste derive e dei quali sappiamo molto poco”.
“L’Europa oltre l’Europa - conclude Baravalle - sarà un appuntamento che ha come obiettivo essenziale quello di ridefinire che cosa intendiamo oggi con ‘Europa’, sia per trovare un linguaggio comune come ha detto Vilma Mazza che per costruire insieme pratiche amministrative e di movimento, come ha spiegato l’assessore Bettin. Oggi l’Europa è solo quella della troika e dell’austerity. E’ una Europa che non risponde democraticamente ai bisogni dei suoi cittadini, una Europa delle decisioni prese dall’alto col baricentro chiuso dentro le cassaforti dei gruppi finanziari. Durante il convegno, cercheremo di definire una Europa diversa, un’Europa dei diritti e dei movimenti sociali. Una Europa che abbia un centro di gravità mobile, pronto a spostarsi ad est o a sud, verso quello che non ha caso è stato chiamato l’Euromediterraneo”.
Perché, proprio come per il mondo, anche un’altra Europa è non solo possibile ma anche necessaria.

Italeñas, storie di italiani diversi dagli altri

ital
Melina è una ragazza come tutte le altre. Ha 19 anni, frequenta la quinta superiore ed è in procinto di dare l’esame di maturità. Melina è nata in Italia, a Genova, dove tutt’ora risiede con i suoi genitori. E’ italiana e si sente italiana. Ma Melina non è una italiana come tutte le altre. Non ha cittadinanza e neppure diritto di voto. Perché Melina è una italiana cosiddetta di “seconda generazione”. I suoi genitori sono originari dell’Ecuador. Un Paese di cui lei non conserva nessun ricordo, considerato che ci ha vissuto solo per pochi mesi, quando aveva quattro anni e i suoi sono dovuti rientrare per un breve periodo in patria. Melina, lo abbiamo già scritto, si sente italiana ed è italiana. Qualche mese fa ha inoltrato una richiesta per ottenere la cittadinanza - “L’ho fatto appena sono diventata maggiorenne perché lo considero un mio diritto”, spiega - ma la domanda è stata respinta perché non le è stata riconosciuta una sufficiente “continuità di residenza” in Italia. Sono bastati quei pochi mesi trascorsi in Ecuador quando era bambina a giustificare la risposta negativa della prefettura. Oggi, Melina che studia per la maturità, se dovesse perdere il permesso di soggiorno, potrebbe essere espulsa dal nostro Paese. Perché lei, italiana, non è una italiana come tutte le altre.


A raccontarci la storia di Melina, che poi è la storia di oltre 600 mila nati in Italia da genitori stranieri (il 15 per cento delle nascite, secondo i dati del 2011), è il laboratorio di video partecipativo Za Lab. Un progetto volto a raccogliere “vite ignorate e segnate dai conflitti di oggi, con il desiderio di farne storie per tutti”. La video-storia di Melina intitolata “Italeñas”, che potete vedere sul sito www.zalab.org, è stato realizzato da David Chierchini, Matteo Keffer e Davide Morandini. La voce narrante è quella di Domenica Canchano, giovane giornalista originaria del Perù approdata in Italia da bambina. Anche lei è una “italeñas”, una italiana diversa da tutte le altre italiane. Domenica è regolarmente iscritta all’Ordine dei Giornalisti ma è stata inserita d’ufficio nell’elenco speciale degli stranieri. Il che significa che paga le stesse tasse di tutti gli altri colleghi “italiani” ma non ha diritto a dirigere una testata o a svolgere le funzioni di direttore responsabile. “Il problema di Melina sta tutto nella legge che determina i criteri di concessione della cittadinanza italiana - spiega amareggiata - Se ne discute da perlomeno una ventina di anni. Se in tutto questo tempo non si è fatto nulla vuol semplicemente dire che non c’e la volontà di farlo”.
Vedi gli articoli precedenti
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