In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Italeñas, storie di italiani diversi dagli altri
21/05/2013Il Manifesto
A raccontarci la storia di Melina, che poi è la storia di oltre 600 mila nati in Italia da genitori stranieri (il 15 per cento delle nascite, secondo i dati del 2011), è il laboratorio di video partecipativo Za Lab. Un progetto volto a raccogliere “vite ignorate e segnate dai conflitti di oggi, con il desiderio di farne storie per tutti”. La video-storia di Melina intitolata “Italeñas”, che potete vedere sul sito www.zalab.org, è stato realizzato da David Chierchini, Matteo Keffer e Davide Morandini. La voce narrante è quella di Domenica Canchano, giovane giornalista originaria del Perù approdata in Italia da bambina. Anche lei è una “italeñas”, una italiana diversa da tutte le altre italiane. Domenica è regolarmente iscritta all’Ordine dei Giornalisti ma è stata inserita d’ufficio nell’elenco speciale degli stranieri. Il che significa che paga le stesse tasse di tutti gli altri colleghi “italiani” ma non ha diritto a dirigere una testata o a svolgere le funzioni di direttore responsabile. “Il problema di Melina sta tutto nella legge che determina i criteri di concessione della cittadinanza italiana - spiega amareggiata - Se ne discute da perlomeno una ventina di anni. Se in tutto questo tempo non si è fatto nulla vuol semplicemente dire che non c’e la volontà di farlo”.
Venezia sceglie la differenziata. Chiude l’ultimo inceneritore di Fusina
21/05/2013EcoMagazine, Global Project, In Comune
Un errore che, come ha osservato l’assessore Bettin, rese più lungo e difficoltoso il passaggio verso un ciclo dei rifiuti più moderno e sostenibile. Adesso però è arrivato il momento di voltare definitivamente pagina.
"La chiusura di questo impianto - ha spiegato Bettin - è una scelta strategica, nel segno della salute, dell’ambiente, della sostenibilità e dell’innovazione. E’ il frutto di un percorso virtuoso che da tempo l'amministrazione ha intrapreso e che consiste nel ridurre a monte la produzione di rifiuti grazie ad una raccolta differenziata spinta, raccoglierli in modo corretto per poi poterli riciclare o ricavarne energia, superando così il vecchio sistema di smaltimento, basato sul conferimento alle discariche e sugli inceneritori, come questo di Fusina per l’appunto, che bruciano i rifiuti senza trattamento”. Una chiusura resa possibile dallo straordinario aumento della percentuale di raccolta differenziata registrato nel 2012 ed in continua crescita. Una chiusura inoltre, che non comporterà nessuna perdita di posti di lavoro, considerato che i 22 dipendenti dell’impianto saranno dirottati ad altre mansioni nel nascente Ecodistretto del riciclo e dell’energia.
“Le emissioni dell’inceneritore di Fusina sono sempre state tenute sotto controllo e negli anni sono state realizzate molte migliorie all’impianto - commenta Bettin -. Ma rimaneva comunque una struttura superata ed inquinante, come lo sono tutti gli inceneritori. La sua chiusura eviterà l'emissione nell'atmosfera di 50 mila tonnellate all'anno di CO2. Un passo importante per la nostra città, che si aggiunge agli ottimi risultati già raggiunti in termini di minor conferimento di rifiuti nelle discariche”.
Una scelta decisamente in controtendenza in una Italia che dal punto di vista del ciclo dei rifiuti rimane il fanalino di coda dell’Europa, considerato che si continua a puntare su una politica di incenerimento con conseguente conferimento in discarica che oramai ha dimostrato tutti i suoi limiti. Eppure nel nostro Paese, circa la metà dei rifiuti prende questa strada fortemente inquinante contro il 5 per cento ottenuto a Venezia. Si continuano inoltre a costruire e a mettere in funzione costosi inceneritori, non ultimo il contestatissimo impianto di Parma.
L’inquinamento in altre parole, è ancora una industria che in Italia fattura bene anche in tempi di crisi ed a cui vengono destinate risorse pubbliche che sarebbe assai meglio dirottare verso soluzioni più virtuose e meno impattanti. Una politica fallimentare che comporta carissime ricadute alla società, all’ambiente e alla nostra salute.
Venezia, per fortuna, ha scelto una strada diversa.
L'accordo per la riduzione dell'inquinamento non basta. Vogliamo una portualità sostenibile Accordo tra Comune e armatori per ridurre l’inquinamento. Caccia: “Ma adesso via le grandi navi dalla laguna”
20/05/2013In Comune
E non è tutto. Nel “non scritto” dell’accordo va annoverata anche la disponibilità delle compagnie a mettere in discussione la contestata “passerella” davanti alla piazza marciana. Lo stesso sindaco Giorgio Orsoni che, con l’assessore all’Ambiente Gianfranco Bettin, ha rappresentato l’amministrazione comunale durante la ratifica del documento di intenti, ha sottolineato: “Un ringraziamento è dovuto anche agli armatori che hanno sottoscritto l’accordo e si sono dichiarati disponibili ad affrontare le alternative al passaggio delle navi da crociera in Bacino”.
Alternative quindi, che sono e devono rimanere il vero obiettivo da perseguire. Sotto questo punto di vista, l’istituzione di questo corridoio verde a basso impatto ambientale, tra il Lido e la Marittima, assume un valore ancora più significativo perché, come ha osservato il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia, per la prima volta è arrivata l’ammissione anche da parte degli armatori che il problema del viavai di questi enormi alberghi galleggianti nel fragilissimo ecosistema della laguna dei dogi, esiste, deve essere affrontato e risolto. “L’accordo volontario volto a ridurre le emissioni inquinanti che fuoriescono dai camini delle grandi navi in transito è senza dubbio positivo, così come è positiva la disponibilità dichiarata dalle compagnie armatoriali ad abbandonare le rotte che attraversano il bacino di San Marco – commenta Caccia-. Ma entrambe le notizie dimostrano come tutti siano ormai pienamente consapevoli di una situazione insostenibile, sia per l’inquinamento dell’aria, sia per i danni che provoca e i rischi che crea il passaggio di questi mostri del mare”.
“Gli unici che restano sordi e inadempienti, ma nelle cui mani sta la soluzione del problema, sono, a livello locale, l’Autorità Portuale e Venezia Terminal Passeggeri e, a livello nazionale, il governo Letta – continua il consigliere della lista In Comune-. I primi si ostinano a difendere l’indifendibile o a proporre interventi addirittura peggiorativi, come lo scavo di nuovi canali. Il secondo lascia inapplicato il decreto che vieta il passaggio a San Marco e non ha mosso un dito per l’individuazione delle alternative necessarie a difendere la laguna, rilanciando una portualità sostenibile”.
“La città – conclude Beppe Caccia – non può aspettare oltre: il Governo deve impegnarsi subito per dare soluzione al problema, mantenendo la promessa di una urgente convocazione del Comitatone”.
Porto Marghera pattumiera d’Italia. La Regione autorizza il revamping Alles
24/04/2013EcoMagazine
“Siamo di fronte ad un atto di inaudita arroganza da parte di Mantovani SpA e della Regione - ha commentato Beppe Caccia - perché sono state ignorate le richieste della popolazione di Marghera e il pronunciamento drasticamente negativo dei Consigli comunale e provinciale di Venezia. Perché si insiste sul progetto di trasformare la zona industriale nella pattumiera dei veleni di tutto il Veneto e oltre. Perché, pur di realizzare questo disegno, si interviene autoritariamente sulla stessa pianificazione urbanistica del Comune di Venezia. Perché tutto ciò avviene nel momento in cui proprio Mantovani spa è al centro delle inchieste giudiziarie che hanno, per la prima volta, messo sotto accusa il sistema di potere che ha gestito le scelte infrastrutturali e
ambientali regionali degli ultimi quindici anni”.
La discussa delibera regionale non prevede solo la possibilità di bruciare la pur considerevole quantità di 180 mila tonnellate annue di rifiuti, ma concede anche un pericoloso raddoppio dell’attuale capacità di stoccaggio che passa delle attuale 6 mila a 12 mila tonnellate. Inoltre è stato ampliato anche il cosiddetto range dei codici accettati nella procedure di incenerimento, da 20 a 70, molti dei quali riguardano a rifiuti pericolosi per la salute umana come fanghi, ceneri pesanti, scarti di mescole, terre e rocce contenenti sostanze dannose, e molti altri.
“Sarebbe questo il ‘nuovo corso’ inaugurato dal presidente Carmine Damiano, il poliziotto chiamato a ripulire la facciata dell'impresa di costruzioni
e malaffare? - ironizza Caccia - Sarebbero queste le politiche industriali e ambientali della giunta di Zaia, Chisso e Conte, che dovrebbero riconvertire e
riqualificare il polo di Porto Marghera? Non s'illudano: la loro arroganza troverà sulla sua strada tutte le possibili barricate, formali e materiali. Lo dobbiamo a chi crede che un futuro diverso per il nostro territorio sia possibile".
La prima delle “barricate formali” cui accenna Beppe Caccia, è un ricorso al Tar, già annunciato dall’assessore all’Ambiente del Comune di Venezia, Gianfranco Bettin. “Il via libera al revamping dell’impianto Alles di ricondizionamento di rifiuti speciali anche pericolosi approvato dalla Giunta regionale del Veneto su proposta dell’assessore leghista Maurizio Conte - commenta l’assessore - prevede la possibilità di conferire all’impianto rifiuti provenienti anche dall’esterno del bacino lagunare, con il rischio di fare, perciò, di Marghera la pattumiera d’Italia e oltre. Tutto ciò in totale controtendenza rispetto alla scelta, condivisa dalla Regione stessa, di farne invece un’area di sviluppo dell’industria compatibile, pulita e innovativa.
Tale scelta, che il vigente Piano regolatore vieterebbe, è resa possibile dal fatto che la decisione della commissione Via regionale, avallata dalla Giunta regionale, produce una variante urbanistica che consente di superare questo divieto. Si tratta, quindi, oltre che di una scelta sbagliata nel merito, che mette a repentaglio la salute e l’ambiente e distorce la nuova politica industriale su Marghera, di una scelta gravemente lesiva della democrazia poiché, con i numeri prepotenti di una commissione Via di nomina regionale che minimizza la presenza degli enti locali, ratificata dalla Giunta regionale, si impone dall’alto una variante urbanistica, al di fuori di ogni possibilità di partecipazione democratica, e malgrado il parer contrario espresso da Comune e Provincia”.
Ritorna la Primavera. Dall’Italia alla Tunisia per il Forum Sociale Mondiale
21/03/2013Frontiere News
L’unico modo per rispondere a queste domande è quello di partecipare al forum sociale. Dall’Italia, tantissime associazioni, comitati, sindacati di base e movimenti vari sono in partenza per Tunisi. La delegazione più numerosa sarà probabilmente quella al seguito di Ya Basta! in collaborazione con Un Ponte Per. Quasi un centinaio di attivisti sta preparando gli zaini. Altri sono già in Tunisia per mettere a punto la logistica della “carovana” o per continuare i progetti di collaborazione per la realizzazione di media center a Sidi Bouzid, Regueb e Menzel Bouzaiane, nel sud del Paese.
I motivi per i quali Ya Basta! ha organizzato la sua carovana verso Tunisi, ce li spiega Vilma Mazza, portavoce dell’associazione: “Ci andremo per capire cosa sta succedendo nel mondo arabo. Un mondo che ci è molto più vicino, e non solo geograficamente, di quanto tanta stampa vorrebbe farci credere. Ci andremo per scambiare esperienze, percorsi e desideri con chi sulle coste del nostro stesso mare sta affermando con determinazione che indietro non si può tornare, con chi chiede a gran voce giustizia sociale, libertà e democrazia reale”.
Quasi una Odissea: un viaggio per conoscere speranze e battaglie di chi vive sull’altra sponda del nostro mare. Un viaggio per vedere con i proprio occhi e per ascoltare con le proprie orecchi. Un viaggio contro le mistificazioni. Niente come la primavere arabe ci hanno insegnato quanto fossero errati gli stereotipi benedetti dai giornali e dalle tv. Gli arabi, si diceva, sono fatti così: non hanno vissuto il Rinascimento, la Controriforma e le lotte operaie. Sono rimasti indietro nell’orologio della storia. La democrazia non è nel loro dna. Possono essere governati soltanto o dagli integralisti (nemici dell’occidente) o da dittature più o meno soft. Dittature che, per riflesso, diventavano amiche dell’occidente e quindi “tollerabili”. In fondo, sottolineavano anche commentatori che si richiamavano alla sinistra, è meglio così anche per loro!
Un bel cumulo di menzogne che proprio le primavere arabe hanno spazzato via insieme ai governi fascisti e torturatori. Perché l’aspirazione alla libertà, alla difesa dei diritti fondamentali e alla partecipazione democratica percorrerà anche strade diverse ma non ha religione o razza.
Eppure, a due anni di distanza, le menzogne sul mondo arabo continuano ad essere contrabbandate da media e opinionisti televisivi. La spinta riformista data dalle rivoluzioni è conclusa, è stato detto. Le grandi mobilitazioni popolari sono oramai storia. Nelle piazze arabe è sceso il silenzio e un nuovo ordine globalizzato ha ripreso il governo della situazione.
“E’ un dato di fatto - conclude Vilma Mazza - che le grandi mobilitazioni della primavera araba oggi si scontrano con forme politico-istituzionale che vorrebbero chiudere spazi di libertà e di costruzione di un futuro diverso. Ma contro questa deriva sono riprese un po’ dappertutto, con grande forza e risonanza, soprattutto in Egitto e Tunisia, le manifestazioni multitudinarie. Queste proteste in piazza ci aiutano a capire che la primavera araba non è stata solo una ventata passeggera ma che in questi Paesi è in corso una vera e propria rivoluzione, con tutti i suoi flussi e riflussi, i suoi limiti e delusioni, le sue innovazioni e potenzialità. Una rivoluzione che si è radicata nelle modalità del vivere quotidiano di uomini e donne insofferenti alle rigide imposizioni e che rivendicano le libertà individuali come uno status civile irrinunciabile”. Uno status che non ha colore, Paese o religione.
Ca’ Farsetti: una commissione di inchiesta per far luce sul caso Mantovani
20/03/2013EcoMagazine, In ComuneUna commissione di inchiesta sul caso Mantovani col Comune pronto a costituirsi parte civile. Ca’ Farsetti vuole a tutti costi fare luce sugli intrecci tra la politica e il malaffare portato alla luce dalla recente inchiesta della Guardia di Finanza che ha portato all’arresto cautelativo del presidente della spa Piergiorgio Baita con l’accusa di “associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale”. Intrecci che, di fatto, negli ultimi anni hanno costretto l’amministrazione comunale ad abdicare alla funzione di governo del suo territorio a favore di una lobby affaristica che si era assunta il potere di operare scelte urbanistiche e strategiche.
“Non è nostra intenzione sostituirci alla magistratura - ha puntualizzato il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia - ma vogliamo capire come ha potuto consolidarsi un vero e proprio sistema fondato sul concessionario unico che esercita un ruolo di monopolio delle opere pubbliche della salvaguardia. Un sistema che riguarda non solo Venezia ma anche tutto il Veneto».
La Mantovani spa infatti non è solo la principale azionista del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico del Ministero per le Infrastrutture e del Magistrato alle Acque di Venezia dei lavori per la realizzazione delle opere per la salvaguardia fisica della città di Venezia e della Laguna. La società fatturava ad oltre una ventina tra Enti e Società operanti nel territorio regionale tra cui Veneto Acque e Veneto Strade, oltre a al Consorzio Venezia Nuova, all’Autorità Portuale di Venezia, al Thetis e al Passante di Mestre.
La proposta di istituire una commissione comunale ad hoc dalla durata di 18 mesi prorogabile per raccogliere informazioni utili in prospettiva di costituire il Comune quale parte civile in sede processuale è stata lanciata questa mattina dai consiglieri dei partiti di maggioranza (Pd, Psi, Federazione della Sinistra, Idv, Udc e In Comune,) e dal Movimento 5 Stelle. Di conseguenza la sua approvazione in sede consiliare è da considerarsi pressoché scontata.
“L’impresa di costruzioni Mantovani spa - si legge nella proposta già protocollata - ha assunto negli ultimi anni un ruolo preponderante nella progettazione e costruzione di importanti opere pubbliche previste nel territorio veneziano, promosse da diversi Enti e Istituzioni tra cui la stessa Amministrazione Comunale”. E ancora, va considerato che “risultano di eccezionale gravità gli addebiti contestati dalla Procura della Repubblica di Venezia nell’ambito dell’inchiesta penale ... tra le ipotesi di reato contestate vi è la distrazione dei risorse pubbliche destinate alla realizzazione di opere previste nel territorio comunale e finalizzate invece alla costituzione di ‘fondi neri’, a loro volta utilizzati per alimentare meccanismi corruttivi”. E conclude: “La ricostruzione della Magistratura inquirente mette in luce l’esistenza di una grave e intollerabile situazione di illegalità in grado di condizionare l’intero sistema di realizzazione delle opere pubbliche nel territorio veneziano, a discapito dei più elementari principi di trasparenza, legalità e di effettiva libertà di mercato e concorrenza; è interesse prioritario dell’Amministrazione Comunale e della Città nel suo insieme che sia fatta piena luce sulla vicenda, in primis per quanto attiene ai progetti e alle opere di propria competenza, ma anche e soprattutto relativamente al ruolo svolto nella vita economica e produttiva, politico e amministrativa della Città, da parte delle Imprese e degli Enti a vario titolo coinvolti”.
Niente di più e niente di meno di quanto gli ambientalisti, i movimenti di base ed i comitati cittadini sorti a tutelare il loro territorio hanno sostenuto da tanti anni. Peccato che, anche in questo caso, la condanna politica di un sistema di grandi opere utili solo ad avvantaggiare chi le realizzava, arrivi a rimorchio di una inchiesta della magistratura.
“Non è nostra intenzione sostituirci alla magistratura - ha puntualizzato il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia - ma vogliamo capire come ha potuto consolidarsi un vero e proprio sistema fondato sul concessionario unico che esercita un ruolo di monopolio delle opere pubbliche della salvaguardia. Un sistema che riguarda non solo Venezia ma anche tutto il Veneto».
La Mantovani spa infatti non è solo la principale azionista del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico del Ministero per le Infrastrutture e del Magistrato alle Acque di Venezia dei lavori per la realizzazione delle opere per la salvaguardia fisica della città di Venezia e della Laguna. La società fatturava ad oltre una ventina tra Enti e Società operanti nel territorio regionale tra cui Veneto Acque e Veneto Strade, oltre a al Consorzio Venezia Nuova, all’Autorità Portuale di Venezia, al Thetis e al Passante di Mestre.
La proposta di istituire una commissione comunale ad hoc dalla durata di 18 mesi prorogabile per raccogliere informazioni utili in prospettiva di costituire il Comune quale parte civile in sede processuale è stata lanciata questa mattina dai consiglieri dei partiti di maggioranza (Pd, Psi, Federazione della Sinistra, Idv, Udc e In Comune,) e dal Movimento 5 Stelle. Di conseguenza la sua approvazione in sede consiliare è da considerarsi pressoché scontata.
“L’impresa di costruzioni Mantovani spa - si legge nella proposta già protocollata - ha assunto negli ultimi anni un ruolo preponderante nella progettazione e costruzione di importanti opere pubbliche previste nel territorio veneziano, promosse da diversi Enti e Istituzioni tra cui la stessa Amministrazione Comunale”. E ancora, va considerato che “risultano di eccezionale gravità gli addebiti contestati dalla Procura della Repubblica di Venezia nell’ambito dell’inchiesta penale ... tra le ipotesi di reato contestate vi è la distrazione dei risorse pubbliche destinate alla realizzazione di opere previste nel territorio comunale e finalizzate invece alla costituzione di ‘fondi neri’, a loro volta utilizzati per alimentare meccanismi corruttivi”. E conclude: “La ricostruzione della Magistratura inquirente mette in luce l’esistenza di una grave e intollerabile situazione di illegalità in grado di condizionare l’intero sistema di realizzazione delle opere pubbliche nel territorio veneziano, a discapito dei più elementari principi di trasparenza, legalità e di effettiva libertà di mercato e concorrenza; è interesse prioritario dell’Amministrazione Comunale e della Città nel suo insieme che sia fatta piena luce sulla vicenda, in primis per quanto attiene ai progetti e alle opere di propria competenza, ma anche e soprattutto relativamente al ruolo svolto nella vita economica e produttiva, politico e amministrativa della Città, da parte delle Imprese e degli Enti a vario titolo coinvolti”.
Niente di più e niente di meno di quanto gli ambientalisti, i movimenti di base ed i comitati cittadini sorti a tutelare il loro territorio hanno sostenuto da tanti anni. Peccato che, anche in questo caso, la condanna politica di un sistema di grandi opere utili solo ad avvantaggiare chi le realizzava, arrivi a rimorchio di una inchiesta della magistratura.
I consiglieri della lista In Comune: “Stop alla Romea in attesa del nuovo Governo”
19/03/2013EcoMagazine, In ComuneFermate le ruspe. Fermate tutti i cantieri della Romea Commerciale perlomeno sino a che non ci sarà un nuovo governo. Un nuovo governo, ci si augura, magari capace di prestare più attenzione agli enti locali e ai comitati cittadini che alle lobby del cemento. E’ quanto chiede il consiglio comunale di Venezia tramite un ordine del giorno che ha avuto come primi firmatari Giuseppe Caccia e Camilla Seibezzi, consiglieri della lista In Comune. “Oggi, lunedì 18 marzo, a Roma è prevista una riunione del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, il cosiddetto Cipe - ha spiegato Caccia -. L’ordine dei lavori prevede proprio una discussione in merito all’approvazione del progetto preliminare del nuovo corridoio autostradale Orte-Mestre. Noi riteniamo che un'opera autostradale così imponente, sia dal punto di vista dei costi che dell’impatto ambientale, non può in alcun modo essere considerata come ‘ordinaria amministrazione’, e tantomeno venire annoverata tra gli atti di particolare necessità e urgenza. Il consiglio comunale di Venezia chiede quindi che il Cipe attenda l’insediamento del nuovo Governo prima di procedere oltre. L’attuale Governo, che dopo lo svolgimento delle elezioni politiche è costituzionalmente ancora in carica soltanto per il disbrigo dell’ordinaria amministrazione e l’approvazione di una nuova autostrada come è la Romea Commerciale non rientra certo tra i suoi compiti”.
Un vero e proprio “colpo di mano” che, perlomeno questa volta, pare sia stato sventato grazie anche alla continua attenzione dei comitati. Fonti regionali garantiscono che il punto relativo alla Romea Commerciale è stato stralciato dall’ordine del giorno in discussione al Cipe e rinviato per l’ennesima volta a data da destinarsi.
Il documento portato in Consiglio da Caccia e Seibezzi ha comunque sottolineato le ragioni che hanno già portato l’amministrazione veneziana, così come tante altre amministrazioni interessate al tracciato della Romea, ad esprimere un parere decisamente contrario a questa ennesima grande opera lanciata nel ben noto Programma delle Infrastrutture Strategiche. Programma che alla fin fine si è rivelato solo come un sistema utile solo a bypassare le tutele ambientali per imporre dall’alto opere inutili, devastanti e sgradite tanto ai residenti quanto alle amministrazioni locali.
L’augurio, come abbiamo già detto, è che il nuovo esecutivo presti più attenzione alla voce dei cittadini e meno alle lobby del cemento.
Un vero e proprio “colpo di mano” che, perlomeno questa volta, pare sia stato sventato grazie anche alla continua attenzione dei comitati. Fonti regionali garantiscono che il punto relativo alla Romea Commerciale è stato stralciato dall’ordine del giorno in discussione al Cipe e rinviato per l’ennesima volta a data da destinarsi.
Il documento portato in Consiglio da Caccia e Seibezzi ha comunque sottolineato le ragioni che hanno già portato l’amministrazione veneziana, così come tante altre amministrazioni interessate al tracciato della Romea, ad esprimere un parere decisamente contrario a questa ennesima grande opera lanciata nel ben noto Programma delle Infrastrutture Strategiche. Programma che alla fin fine si è rivelato solo come un sistema utile solo a bypassare le tutele ambientali per imporre dall’alto opere inutili, devastanti e sgradite tanto ai residenti quanto alle amministrazioni locali.
L’augurio, come abbiamo già detto, è che il nuovo esecutivo presti più attenzione alla voce dei cittadini e meno alle lobby del cemento.
Marghera. Oltre duemila persone in piazza per dire "riprendiamoci la città!"
15/03/2013Global Project
E’ questa qua la Marghera che vogliamo. Una Marghera dove uomini, donne e bambini si sentano “sicuri” di girare per le strade perché sono le loro strade. Le strade che hanno riempito dei loro sogni. Le strade di una città solidale, inclusiva, sostenibile e aperta. Sono queste le uniche strade da percorrere perché non si verifichino più tragedie come quella che ha portato alla morte violenta di Ajdin Isak. Sembra averlo capito anche il sindaco Giorgio Orsoni che rivolto alla gente ha dichiarato: “il nostro esercito siete voi”.
E non è un caso che lo striscione più colorato, lo striscione che apriva la fiaccolata, fosse sorretto proprio dai migranti che hanno aderito in massa alla manifestazione. Un centinaio di loro si è ritrovato negli spazi del centro sociale Rivolta nel pomeriggio per preparare il cartello e avviarsi all’iniziativa assieme ai ragazzi della scuola Liberalaparola.
“Marghera viva - si leggeva nello striscione - libera e antirazzista”. Perché la violenza più pericolosa, quella che genera tante altre prevaricazioni, è quella dettata dalla paura razzista. Una città viva e libera è anche una città antirazzista ed accogliente.
Questa è la bella lezione che è arrivata da Marghera. E viene da chiedersi in quante altre città d’Italia, un episodio odioso che ha avuto come vittima un cittadino migrante avrebbe ottenuto una risposta così civile ed efficace. Una bella lezione quindi che è anche il segnale di una città che sta maturando.
Laguna nord: un passo decisivo verso il parco
9/03/2013EcoMagazine, In Comune, Parcolagunanord
Sarà, burocraticamente parlando, un “parco regionale di interesse locale”. Il Comune infatti, ha spiegato l’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin, non ha competenze per istituire un parco regionale e tantomeno per uno nazionale. Questa era l’unica forma possibile. “In un ambiente in cui, per fortuna, ci sono già molti vincoli - ha commentato Bettin - non era in nostro potere e neppure nel nostro interesse imporne di altri. Il parco, come lo intendiamo noi, sarà uno strumento per valorizzare le straordinarie possibilità di un ambiente unico al mondo, non solo dal punto di vista paesaggistico, ma anche da quello storico, culturale ed artistico”.
La storia del parco viene da lontano, da quando in casa ambientalista si cominciò a pensare ad una forma di tutela adatta a salvaguardare non solo l’ambiente lagunare ma anche la gente che ancora, tra mille difficoltà oggettive, continua ostinatamente a vivere “in” quell’ambiente e “di” quell’ambiente, con mestieri e tradizioni che non hanno uguali in nessun posto della terra. Non è stato un percorso agevole.
“Purtroppo in Italia le cose vanno così - spiega Bettin -. In tutto il mondo la costituzione di un parco si saluta festeggiando, da noi invece ci si preoccupa”. Per vincere le resistenze e rispondere ai dubbi di categorie tradizionalmente poco inclini ai cambiamenti, l’assessorato ha messo in moto un meccanismo partecipato che ha pazientemente riunito attorno ad un unico tavolo tutti i soggetti interessati, dai commercianti agli albergatori, dai residenti ai pescatori, dagli artigiani agli ambientalisti. Il risultato è questa delibera istitutiva che conclude l’iter istitutivo cominciato nel 2004 con una variante al piano regolatore regionale.
I confini del parco saranno pressapoco quelli disegnati in quell’anno e che comprendono praticamente l’intera laguna nord. Sedicimila ettari complessivi che rappresentano più o meno un terzo dell’intera laguna. Perché la laguna nord? Perché è l’ultima laguna che ci è ancora rimasta. A sud, da Venezia a Chioggia, quella che un tempo era la laguna viva dei dogi tutelata da una severa legge della Serenissima che prevedeva l’affido ai “remi di galera” per chiunque si fosse azzardato ad attentare alla sua incolumità, oggi non esiste più. Grandi opere inutili, fallimentari e dissennate l’hanno ridotta ad un braccio di mare aperto, battuto dalle onde ed invaso dalle maree dell’Alto Adriatico.
Niente vicoli ulteriori, abbiamo detto, per il nostro parco. Ma allora, hanno chiesto i giornalisti durate la conferenza stampa di presentazione, venerdì a mezzogiorno a Ca’ Farsetti, cosa potrà fare questa nuova istituzione per tutelare un territorio dove ci sono oltre trenta diversi enti competenti e che, se da un lato ad un residente risulta praticamente impossibile mettere le controfinestre a casa sua, dall’altro si autorizza, ad esempio, la costruzione di barene artificiali dove non ce ne sono mai state.
“Il parco serve proprio a semplificare le fin troppo normative esistenti - ha risposto Bettin -. Uno dei suoi scopi istitutivi è proprio quello di aiutare chi, coraggiosamente, vive in laguna a districarsi tra i vicoli burocratici, tutelando anche la residenzialità favorendo il prosieguo dei mestieri tradizionali come la cantieristica e la pesca, e incentivando un turismo intelligente e sostenibile”. E conclude l’ambientalista: “Le barene in cemento? Sono opere sulle quali il Comune, sino ad oggi, non ha potuto dire una parola perché sono di competenza di altri enti. Col parco le cose cambieranno. Potremo finalmente intervenire. Ci troveremo, discuteremo, se necessario ci scontreremo anche. Difendere Venezia significa difendere la sua laguna. Perché Venezia è la sua laguna”.
Tangenti sotto il cemento
2/03/2013Global Project
Con l’imprenditore, la cui difesa è già stata assunta dall’avvocato e senatore Piero Longo, il legale di Berlusconi, è stata arrestata anche Claudia Minutillo, ora amministratore delegato di Adria Infrastrutture, ma più conosciuta con l’appellativo di “Dogaressa” all’epoca in cui era la segretaria particolare di Giancarlo Galan e fungeva da perno di collegamento tra il Governatore Veneto e tutta la mandria di cementificatori e palazzinari che gli scodinzolava attorno. In manette anche un presunto console onorario di San Marino, William Ambrogio Colombelli - un “poveraccio” che al fisco dichiarava di guadagnare 12 mila euro all’anno e fatturava per 10 milioni di euro alla volta -, e Nicolò Buson direttore finanziario della Mantovani.
Quella Mantovani spa che a Venezia si legge Mose. Ma non solo. L’impero di cemento costruito da Baita comprende anche l’appalto principale per la realizzazione del prossimo Expo di Milano ma la fetta di torta più grossa era quella che la società si era ritagliata nel Veneto. Potremmo pure dire che nella nostra Regione, la Mantovani si è mangiata tutta la torta! Un vero e proprio asso pigliattutto a Rubamazzetto. Dall’ospedale all’Angelo al percorso del tram di Mestre, dagli interventi di difesa della laguna al passante di Mestre, dalla viabilità della base statunitense Dal Molin alle autostrade. Difficile trovare una devastazione ambientale dove non ci sia dietro lo zampino della Mantovani spa.
Secondo gli inquirenti, l’associazione a delinquere messa in piedi da Baita & C ruotava attorno ad una società con sede legale a San Marino verso la quale venivano emesse fatture false - accertati sempre secondo la guardia di finanza perlomeno 10 milioni di euro - i cui importi venivano in seguito prelevati in contati per essere restituiti all’imprenditore e alla “dogaressa” Minutillo. Frode fiscale quindi. Ma non solo. La domanda che bisogna porsi è: come venivano utilizzati questi fondi neri?
Proprio qualche mese fa, Beppe Caccia, consigliere comunale di Venezia per la lista In Comune, aveva rivolto un appello a Piergiorgio Baita per sollecitarlo a fare chiarezza e ad illustrare pubblicamente, i conti del Consorzio Venezia Nuova e del suo azionista di maggioranza, la Mantovani. Anche in virtù della non irrilevante considerazione che ciò che maneggiano questi signori non sono soldi loro ma risorse pubbliche!
Come c’era da aspettarsi, l’appello di Caccia è stato completamente ignorato dall’imprenditore e, allo stato delle cose, si capisce pure il perché. “Dal 1984, da quando cioè è partito il progetto del Mose, quasi trent’anni or sono - ha dichiarato Beppe Caccia in un suo commento pubblicato sul sito dell’associazione In Comune - della marea di danaro che è andata e che va spesa per quel progetto, solo una parte va a finanziare le opere, mentre una gran parte va a finanziare qualcos’altro”.
Cosa sarò mai “qualcos’altro”? Vediamo come saranno spesi gli ultimi 1.250 milioni di euro stanziati per il Mose dal Governo Monti nell'ultimo scorcio (sconcio) di legislatura. “Innanzi tutto una quota del 12% va a pagare non i lavori o la loro progettazione, ma l’attività di management del Consorzio Venezia Nuova: ciò significa che questa attività verrà finanziata nei prossimi quattro anni con 250 milioni di euro, oltre sessanta milioni all’anno. Chiunque abbia una qualche competenza in materia sa che si tratta di cifre assurde e del tutto spropositate. Mettendo l’occhio nei bilanci passati si vede poi che questa cifra aumenta considerevolmente attraverso attività affidate dal Consorzio ad altri soggetti e rimborsate con cifre molto superiori a quanto effettivamente speso. Si può dunque pensare che i 250 milioni lieviteranno almeno fino a 300”.
“I 950 milioni restanti verranno spesi per i lavori. Ma come? Attraverso l’affidamento diretto alle imprese del Consorzio tra cui le indagate Mantovani SpA e le sue controllate come Palomar e senza gara di appalto. Anche pensando che la forte etica di quelle imprese non le induca a gonfiare le voci di costo (basterebbe informarsi in proposito presso i costruttori veneziani), qualora si facessero delle gare, come avviene in tutto il mondo civile, si otterrebbero dei ribassi medi sui lavori di circa il 30%. Ciò significa che se si facessero delle gare si risparmierebbero 285 milioni di euro, pur lasciando alle imprese la legittima remunerazione del proprio lavoro. Ripeto, questo sarebbe il risparmio minimo a fronte di conti ineccepibili da parte delle imprese. Per la precisione, in questa cifra ci sono anche costi di progettazione, magari fatta in famiglia con incarichi, sempre senza gare, dati da moglie a marito o da padre a figlio, ma non è questo il punto”.
Continua l’ambientalista: “Dunque, dei 1.250 milioni dati dallo Stato circa il 50%, cioè circa 600 milioni di euro non vanno a pagare le opere, ma vanno a un ristretto numero di persone che realizzano così assieme a degli impressionanti superprofitti, degli inspiegabili consensi e degli inspiegabili silenzi da decenni a questa parte. Ristretto numero di persone tra le quali va annoverata la rete dei “collaudatori”, che dovrebbero essere i controllori di ultima istanza, i quali si distribuiscono parcelle principesche e alla cui testa c’era fino a poco fa il noto Balducci”.
Per farla breve tutta l’operazione che ruota attorno al Mose rappresenta il più colossale e impressionante trasferimento di danaro dal pubblico al privato che si sia visto in Italia. Quando l’opera sarà finita (sempre che venga mai finita perché chi la realizza ha interesse ad allungare continuamente i tempi e ad aumentare continuamente i costi) della cifra spesa, solo poco più della metà sarà stato effettivamente speso nelle opere di salvaguardia.
E il resto? “Tutto ciò, che produce gravi distorsioni dell’etica e (a qualcuno potrebbe interessare) del mercato, e che viene pagato, come si dice oggi, ‘mettendo le mani nelle tasche degli italiani’, avviene in nome di Venezia - spiega Caccia -. Con il pretesto della salvezza della città che tutto il mondo vuole e che tutto copre è stata attivata una macchina per mangiare soldi che non si ferma di fronte a nulla”. E conclude: “Vogliamo la verità. Vogliamo sapere a cosa sono serviti questi fondi neri. Se sono state pagate tangenti, chi si è lasciato corrompere e perché”.
Da sempre, le associazioni ambientaliste e non solo oro, hanno sostenuto che le grandi opere come il Mose non servono a salvaguardare l’ambiente, anzi. Piuttosto queste operazioni sono strutturate per deviare finanziamenti pubblici verso colossi privati che li utilizzano non soltanto per cementificare il territorio ma anche per corrompere ed influenzare la politica, dirottandola dal cittadino e bypassando le amministrazioni locali verso ristretti gruppi di potere non di rado malavitoso.
Non è incredibile, riteniamo, che l’arresto di Baita & C sia avvenuto dopo lo tsunami elettorale che ha scompaginato gli equilibri politici. Non è neppure incredibile che il leader del centro destra, Silvio Berlusconi, abbia dichiarato in piena campagna elettorale che le tangenti sono una pratica necessaria per far girare l’economia. Quello che ci risulta davvero incredibile è che 7 milioni 332 mila e 972 italiani lo abbiano pure votato.
Ma questo punto, gli ambientalisti non possono più farsi bastare la soddisfazione di poter dire, ancora una volta, "visto che avevamo ragione noi?". Conclude Beppe Caccia "Ci auguriamo che questa sia la volta buona per fare pulizia e per liberare una volta per tutte Venezia e il Veneto da questo sistema malavitoso di intreccio tra politica ed affari".