Messico: il Tren Maya minaccia la sopravvivenza degli indigeni

Stacks Image 2928
“Este tren no es maya, este tren es militar”
“Este tren no es maya, este tren es militar” gridano forte donne e uomini indigeni mentre sfilano nei loro chiassosi e colorati cortei lungo le strade di Palenque, Valladolid, Villahermosa e altre città dell’istmo di Tehuantepec. Siamo nel sud del Messico, dove il continente americano si restringe e i due grandi oceani, quello Atlantico e quello Pacifico, arrivano quasi a sfiorarsi, prima di ritornare ad allontanarsi per dare forma alla penisola dello Yucatan. Ed è proprio su questo istmo, lungo neppure 200 chilometri, che il Governo messicano ha deciso di realizzare, su pressione degli Stati Uniti, un mega progetto chiamato Corredor interoceánico, il quale ha l’obiettivo di fare concorrenza al canale di Panama costruendo un insieme di infrastrutture miste su rotaia e su asfalto capaci di portare le merci da un oceano all’altro in meno di tre giorni. Una scelta strategica per gli Usa, alla disperata ricerca di una alternativa a Panama dove l’influenza economica e politica della Cina si fa sempre più forte.

Il mega progetto - senza dubbio uno dei più ambiziosi ed imponenti mai realizzati in Messico e, probabilmente, in tutta l’America Latina - comprende la realizzazione lungo il percorso del Corredor di ben 10 grandi parchi industriali e il rifacimento e l’allargamento dei due porti dell’istmo che dovrebbero fungere da punto di partenza e di arrivo del “canale” ferrotranviario, quello di Salina Cruz, che si affaccia sul Pacifico, e quello di Minatitlan, sull’Atlantico. Inoltre, l’opera prevede l’ampliamento delle due raffinerie già realizzate nei porti sopracitati e la realizzazione ex novo di una terza, dove dovrebbe convogliarsi tutto il petrolio proveniente dalle nuove piattaforme estrattive, anche questi facenti parte del progetto, da impiantare nel mar dei Caraibi, al largo della costa dello Stato di Tabasco. Non è ancora finita. Il Corredor Interoceánico ha anche una voce “sviluppo turistico” che prevede la realizzazione di una ferrovia, il “Tren Maya” appunto, che colleghi tutti i luoghi più significativi e monumentali dell’antico impero dei Maya, aprendosi violentemente il cammino sulle intricate selve della regione, sino ad oggi difficilmente accessibili al turismo di massa.

Progetto questo che certamente non piace ai discendenti del popolo maya che abitano queste selve sin da prima dell’arrivo dei conquista… anzi, chiamiamoli col loro giusto nome… degli invasori spagnoli. Non piace perché per gli indigeni la selva è madre. La devastazione che conseguirebbe alla realizzazione del progetto avrebbe delle conseguenze senza precedenti sulle specie vegetali e animali - esseri umani compresi - che oggi vi vivono in sintonia con l’ambiente naturale. Non piace perché su queste terre gli indigeni hanno costruito autonomie sul modello di quelle zapatiste del Chiapas e il Tren Maya, col suo carico di turismo massificato, comporterebbe un violento cambio di paradigma sociale. Terre statali e senza valore di mercato, dove oggi gli indigeni coltivano fagioli e mais, sono già state messe all’asta ed acquistate dalle multinazionali del turismo per la realizzazione di resort di lusso.

Quello che sta accadendo nell’istmo di Tehuantepec, spiegano i portavoce indigeni, altro non è che una seconda invasione europea, tenendo conto che i capitali per la realizzazione del progetto vengono tutti da imprese del Vecchio Continente, raccolti e messi gentilmente a disposizione al Governo messicano dalla Deutsche Bahn, la società ferroviaria tedesca.

Una invasione del territorio indigeno non solo di capitali stranieri, ma anche militare. L’appalto per la realizzazione del Corredor, infatti, è stato assegnato all’esercito messicano! In questo Paese, le forze armate nazionali hanno facoltà di “fare impresa”, assumendo personale e subappaltando lavori a ditte esterne. Una scelta questa, espressamente voluta dal Governo perché, con la solita scusa della “sicurezza” e del supremo “interesse della nazione”, le procedure amministrative e burocratiche vengono velocizzate e sono aggirati sia i controlli di bilancio che le verifiche ambientali. A nulla sono valse le formali richieste di tribunali e di magistrati che hanno accolto le rimostranze degli indigeni chiedendo di fermare l’avanzare dell’opera in attesa di chiarimenti sull’impatto ambientale e sociale del Corredor. Gli eserciti non si fermano di fronte ai diritti. Men che meno di fronte a quelli dei popoli originari.

Chi è abituato a trattare con un fucile in mano non si cura delle carte bollate e già molti accampamenti indigeni sono stati brutalmente spazzati via dai mezzi blindati per far avanzare i lavori della ferrovia.

Ecco perché, manifestando nei loro cortei, uomini e donne indigene urlano “Este tren no es maya, este tren es militar”. Questo treno non è maya, questo è un treno militare.

Torna indietro