Noi siriani. Una proposta di armistizio scritta direttamente dai profughi, perché non sia chi ha scatenato la guerra a scrivere la pace

IMG_5199
«Coloro che trattano la pace sono gli stessi che hanno scatenato la guerra. Coloro che siedono nei tavoli dei negoziati con i rappresentanti della comunità internazionale sono gli stessi che hanno distrutto il nostro Paese».
Khaled ha una 40ina di anni. L’ho incontrato al campo profughi di Tal Aabbas, a pochi chilometri dalla frontiera con la Siria. E’ scappato nei primi anni della guerra con la moglie e i suoi tre figli. «Non volevamo né uccidere né essere uccisi» mi spiega. Vivono tutti assieme in una tenda che gli ha regalato l’Unhcr. I soldi che sono riusciti a portare con loro sono finiti da un pezzo. Tutti spesi nell’affitto di quel pezzo di terreno dove hanno piantato quei quattro teli che chiamano "casa". Per fortuna lui ci sa fare con le mani. Un po’ elettricista, un po’ idraulico e un po’ falegname. Ogni tanto rimedia qualche lavoretto nel paese vicino. E poi ci sono i campi da lavorare che appartengono alla stessa persona che gli affitta il terreno e che, praticamente, si riprende così, e con gli interessi, i soldi che gli versa come bracciante. "Coltivare" un campo a profughi, per i proprietari terrieri libanesi, è più remunerativo che piantarci marijuana.Continua

Storie di altre biciclette. A Beirut, i profughi palestinesi si mobilitano in una due giorni ciclistica per ricordare la Nakba

IMG_5111
Beirut - Ci sono anche altri ciclisti e ci sono anche altre storie di sport. C'è la vergogna di un Giro d'Italia svenduto agli interessi di bottega ed usato per accreditare agli occhi dell'Europa una Paese fondato sulla violazione dei diritti umani come Israele. Ma c'è anche chi sale in bicicletta per ribadire che lo sport è libertà. O, quantomeno, così è lo sport che ci piace.
Nel 70esimo anniversario della Nakba, i profughi palestinesi in Libano hanno lanciato una Critical Mass in bicicletta per ricordare quel giorno in cui furono allontanati dalle loro case e sradicati dalle loro terre, e cominciò la loro odissea nel mondo come popolo di profughi.Continua

Ai confini della Siria, con i ragazzi e le ragazze dell’Operazione Colomba, tra i profughi che non possono tornare e non possono rimanere

IMG_5206
La strada che da Beirut porta al nord del Paese, corre tra l’azzurro del mare e il verde delle colline. Sarebbe pure bella e godibile, se gli automobilisti rispettassero una qualunque regola di circolazione e non avessero abbruttito il paesaggio con interi boschi di grigi palazzoni in puro stile "abuso edilizio". Dai tempi dei crociati, su questa sponda di mare, sorgono più chiese che moschee. In tempi moderni, queste chiese sono state affiancate da massicce e alte statue di severe Madonne, Cristi benedicenti e santi come San Marone, fondatore della chiesa maronita. Più che espressione di una qualche spiritualità, sono un modo come una altro per segnare il territorio e avvertire chi vi entra che questi sono quartieri cristiani. Difficile scorgere una qualche segno della presenza dei profughi siriani, su queste sponde.
I loro desolati campi stanno tutti all’interno, nelle zone più inospitali del Libano, come nella valle della Bekaa.
Tutto cambia improvvisamente dopo 150 chilometri, quando l’autostrada finisce di punto in bianco e lascia spazio a sterrati e stradine di campagna. Siamo arrivati ai confini con la Siria. Ed è proprio qui, nella periferia del villaggio di Tal Aabbas, che incontriamo le ragazze e i ragazzi dell’Operazione Colomba.
«Questa è la strada che congiunge la Siria con la città Tripoli. E’ percorsa da migliaia di profughi e sono stati proprio loro a chiamarci, spaventati da episodi di violenza nei loro confronti e dalle minacce ricevute da alcuni libanesi. Hanno addirittura bruciato la scuola dei bambini e noi la stiamo ricostruendo. Devo dire che la nostra presenza è riuscita, se non altro, ad attenuare gli animi».
Federica di Rimini è una dei sei giovani italiani di Operazione Colomba che vivono in un piccolo campo a El Gharbi. Diciassette famiglie di una decina di persone circa ciascuna sistemate in tende raffazzonate. Tutto materiale noleggiato a caro prezzo dal padrone del campo che gli ha pure affittato la terra. Ma sui commerci e sui guadagni - leciti e meno leciti - che la presenza di migliaia di profughi innesca nel territorio, torneremo in un prossimo articolo di questo nostro #FragileMosaico.Continua

Dentro Sabra e Chatila. Tra dedali di strade, diritti negati e tanta voglia di tornare in Palestina

Libano - 1 Beirut - Non c'è una pietra, in tutti i muri della città, che commemori Sabra e Chatila. Sono tanti, coloro che incroci su queste strade, a dirti che il massacro non è mai accaduto. Altri sostengono che i profughi palestinesi se lo sono meritato. Altri ancora cavillano sulle cifre. Le donne e i bambini ammazzati sarebbero "solo" 800. Al massimo un migliaio, ma non certo più di 3.500 come sostengono i palestinesi e gli osservatori internazionali. Ed anche quelle testimonianza dirette che anche Wikipedia riporta sotto la scritta "Alcuni dei contenuti riportati potrebbero urtare la sensibilità di chi legge" sarebbero tutte bugie.
Di sicuro, l'eccidio perpetrato delle milizie falangiste cristiane nel settembre del 1982 con la complicità dell'esercito israeliano, non ha intaccato quei muri che ancora dividono Beirut tra quartieri sciiti, drusi, armeni, maroniti o sunniti.
Nessuno ha pagato per quell'orrore. Nessun processo di pacificazione nazionale o di rielaborazione del dolore dei sopravvissuti è stato avviato. I volti dei mandanti di quella strage continuano a guardare Beirut con i loro sorrisi bonari, dai grandi manifesti elettorali che ancora penzolano pesantemente dagli alti palazzi.
Oggi, Sabra è solo il nome di una strada. Chatila invece è ancora il quartiere palestinese della città. Lo chiamano "campo" ma è tutto tranne che un campo. Ci si entra dal suk, il tradizionale mercato arabo che sempre profuma di spezie e di frutta, situato alla periferia di Beirut sud. Non ci sono porte o indicazioni. I profughi palestinesi, per il Governo di Beirut, non esistono anche se sono 70 anni che sono stati sbattuti in quelle strade. Eppure, non ti serve la toponomastica per capire che sei entrato a Chabra perché, attorno a te, in pochi passi, tutto è cambiato. Anche la luce che fa fatica a filtrare tra le strettissime stradine coperte da vere e proprie tettoie di fili elettrici impazziti. Chabra è un dedalo di calli che neanche Venezia se lo sogna. Un labirinto talmente aggrovigliato che se non ci sei nato e ti ci azzardi ad entrare, non ne esci più. Eppure è piccola Chabra. Appena un chilometro quadrato o poco più. Gli edifici sono cresciuti tutti in altezza, uno sopra l'altro, e pigiati come nei bus dell'ora di punta, per ospitare tutta quella gente che non esiste.
Continua

Joumana Haddad, la poetessa ribelle che sfida gli integralismi e lotta per i diritti delle donne

Libano - 1 (1)
Beirut - Sul suo profilo Facebook aveva già postato un video in cui esultava per la sua elezione al parlamento Libanese. Poi il sistema è andato misteriosamente in crash. Al riavvio, i conteggi delle schede hanno dato vincente il candidato cristiano maronita pupillo del partito del presidente in carica, Michel Aoun, del Free Patriotic Movement, una formazione di destra vicina ai falangisti. Stiamo parlando di Joumana Haddad, giornalista, scrittrice e poetessa libanese. Una delle donne considerata dai media tra le più influenti del Medio Oriente e non solo. Anche il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, le ha concesso nel 2013, il titolo onorario di ambasciatrice della cultura e dei diritti umani della città di Napoli.
In Libano, Joumana Haddad è uno di quei personaggio per il quale non ci sono mezze misure: o la odi o la ami.
I più, c’è da dire, la odiano. Gli integralisti soprattutto. Sia quelli cristiani che quelli musulmani. Ma anche le destre fasciste e falangiste e, come lei stessa sottolinea, anche tanti che si considerano di "sinistra" ma che poi sono i primi a riproporre quei cliché sulle donne che sono gli stessi delle teocrazie più medioevali, come quella del Bahrein, Paese che l’ha dichiarata "personaggio non gradito" rifiutandole il visto di ingresso per il suo acceso femminismo. Continua

Beirut dopo il voto. Il trionfo di Hezbollah

Libano - 1 (2)
Beirut. Scontri, tensioni e denunce di brogli hanno movimentato le elezioni della capitale libanese. Elezioni svoltesi nel segno dell’astensione e che hanno visto trionfare gli opposti estremismi: gli sciiti di Hezbollah, che ottengono più della metà dei seggi in palio, ed i filo falangisti del Free Patriotic Movement (Fpm)
Domenica, durante l’apertura dei seggi, le operazioni di voto si sono svolte in maniera abbastanza tranquilla, grazie anche ad un imponente dispiegamento di forze militari, dislocate nei punti più "caldi" delle piazze letteralmente rivestite di bandiere e manifesti. Nella vigilia del voto, alcuni sostenitori erano rimasti gravemente feriti durante una sparatoria tra opposte fazioni sunnite della capitale. Il lunedì dedicato allo spoglio, la situazione è rimasta tranquilla sino alla sera, a parte qualche centinaio di attivisti e, soprattutto, attiviste femministe che sono scesi in piazza per manifestare contro presunti brogli. La nottata è stata più calda. Dal sud sono arrivate varie centinaia di miliziani di Hezbollah in moto che hanno cominciato a "festeggiare" la vittoria nella sola maniera che i sostenitori del partito di Dio conoscono: smitragliando a destra e manca.
Ma il dato principale di queste elezioni è la bassa affluenza. Appena il 49,2 per cento degli aventi diritto si è recato alle urne. Un astensionismo visibile sin nei primi dati di affluenza che aveva annunciato al partito sunnita del primo ministro in carica, Saad Hariri, l’arrivo di una cocente sconfitta. Tanto è vero che lo stesso Hariri, nel pomeriggio di domenica, aveva inutilmente tentato far di prolungare di un paio di ore le operazioni di voto ed aveva ordinato ai suoi sostenitori di inscenare rumorosi caroselli con le auto sino alla chiusura delle urne, per spingere gli indecisi a votare.
Come era prevedibile, la bassissima affluenza ha pesantemente penalizzato il partito di Governo il cui elettorato gli ha fatto pesare scandali, corruzione, l’inefficienza di servizi pubblici come la raccolta delle immondizie e la fornitura elettrica (per tre ore al giorno, Beirut rimane sempre al buio), senza considerare la subalternità in politica estera, le troppe concessioni ai maroniti e l’incapacità di affrontare problemi reali del Paese come quelli legati alla presenza di un milione di profughi. Continua

I cantieri galera dei rifugiati siriani

IMG_4821
E’ una Beirut in stato di massima allerta quella che si prepara al voto. Le grandi arterie di scorrimento sono pattugliate da autoblindo e camionette militari: le piazze più significative dei quartieri cristiani, musulmani e armeni - dove su ogni pilone sventolano decine di bandiere dei partiti in corsa - sono sorvegliate da soldati con giubbotti antiproiettili e armati di mitra.
I locali notturni sono stati chiusi, limitati gli orari di aperture di bar e ristoranti ed è scattato il divieto di vendere bevande alcoliche. Davanti alle scuole e ai seggi elettorali, il traffico è stato deviato e tutti i veicoli in sosta rimossi per timore di attentati con autobombe. Vietata anche la circolazione di mezzi pesanti. In poche ore la città che era una delle più caotiche che avessi mai visto, è diventata "quasi" silenziosa. Anche i tanti cantieri che sino a ieri risuonavano di betoniere e di martelli pneumatici sino a notte tarda, tacciono. Tutte le attività edili sono state precauzionalmente sospese per mantenere le strade libere in caso di disordini.Continua

Le donne dell’Union Domestic Workers: dallo sfruttamento alla lotta per i diritti

IMG_4756
Beirut - Tutto quello che non hanno saputo fare gli uomini. Alla sfilata del Primo Maggio, spiccavano come un fiordaliso in mezzo ad un campo di papaveri. Tutte raggruppate al centro del corteo, dietro ad uno striscione che reclamava diritti per le donne, con addosso una maglietta bianca con la scritta "Union of Domestic Workers in Lebanon", unione delle lavoratrici domestiche nel Libano.
"Unione" e non "sindacato" perché il Governo non ha ancora concesso loro nessun riconoscimento formale. Quando ti passavano vicino cantando, sorridevano, e gridavano il nome del loro Paese di provenienza: Bangladesh, Etiopia, Filippine, Sri Lanka, Nepal, Madagascar…
Là per la, non ci ho fatto neppure tanto caso, lo ammetto. Poi, un signore tutto rossovestito, con la stella rossa in fronte, la bandiera con la falce ed il martello cucita sopra il cedro del Libano, e una maglietta con la foto del Che mi ha spiegato in un inglese oxfordiano che tutta l’organizzazione della sfilata è merito loro. Tutto merito di queste donne.
In Libano, il primo maggio lo festeggiano solo i comunisti - mi ha detto. «I comunisti come me» ha aggiunto. Sì, lo avevo intuito, gli ho risposto. Il partito comunista, ed i sindacati che gli fanno riferimento, però, dopo la guerra civile, si sono ridotti a percentuali omeopatiche. «Sono state loro, le compagne dell’Union of Domestic Workers a spingere perché fosse mantenuta la tradizione del corteo e della mobilitazione popolare del Primo Maggio». Continua

#FragileMosaico. Oltre i confini della Fortezza Europa

IMG_4736
I muri impediscono a chi è fuori di entrare. O, perlomeno, sarebbe questo lo scopo per il quale sono costruiti. Che non abbiamo mai funzionato nell'intera storia dell'umanità, è un discorso che non fa presa sui loro sostenitori. Ma i muri hanno anche un'altro scopo. Scopo che, alla fin dei conti, è il vero motivo per cui sono stati realizzati. Servono ad impedire a chi è dentro di vedere quello che accade fuori. Questi muri che all'ultimo orizzonte escludono lo sguardo, cui si è circondata una Europa oramai sempre più simile ad una fortezza sotto assedio, non sono solo di mattoni, di filo spinato, di garitte militari e di eserciti schierati. Sono soprattutto muri di paura ed ignoranza. Gettare uno sguardo oltre la fortezza, oggi, è un dovere ed una necessità. Per questo, Progetto MeltigPot Europa ha lanciato qualche anno fa l'iniziativa che ha chiamato #OverTheFortress, oltre la fortezza. Iniziativa che ha portato centinaia di ragazze e ragazze, attivisti degli spazi sociali, di associazioni per i diritti e per l'ambiente, a recarsi negli angoli più bui dell'"Impero": dai campi profughi di Idomeni in Grecia, a quelli della Turchia, dai centri per rifugiati attivi nella nostra penisola sino a Kobane e alla resistenza dei curdi.
Viaggi per imparare, documentare, realizzare progetti e costruire alternative. Continua

Beirut al voto tra territori, religione e confessionalità

IMG_4739
Beirut - Mancano solo sei giorni al voto e lo si respira in ogni angolo di Beirut. I volti truci dei militari che ti scrutano dalle garitte col kalashnikov in mano fanno da contraltare ai sorrisi bonaccioni dei candidati che ti ammiccano dagli immensi cartelloni di propaganda. Ce ne sono di talmente grandi che coprono intere facciate di grattacielo. Altri, appesi a bandiera tra alti edifici sono forati scientificamente per impedire che la prima folata di vento se li porti via.
Il Paese mediorientale torna a votare dopo nove anni di stallo. Una decisione "inevitabile" - stando perlomeno a come l’ha giustificata il primo ministro Saad Hariri - dovuta all’aggravarsi della crisi siriana ed al serio rischio di interferenze esterne.
Interferenze che, a dirla tutta, non sono certo una novità su questa sponda del Mediterraneo! La consultazione in programma domenica prossima, 6 maggio, vedono contendersi due principali schieramenti, il partito sunnita attualmente al potere e dichiaratamente filosaudita con appoggio dei cristiani, e la coalizione "8 marzo" di Hezbollah che fa riferimento a Teheran.Continua

Ciechi Muri di Confine

76f68b98-631c-42d8-b513-fb45d358c90d
Nessun muro è mai riuscito e mai riuscirà a fermare chi deve entrare . E certamente tutti i muri impediscono a chi sta dentro di vedere cosa accade fuori. Oltre i muri insanguinati con i quali la Fortezza Europa protegge le sue paure, oltre quel Mediterraneo diventato un cimitero di migranti , oltre le mobili linee del fronte, si dipanano storie, vicende e narrazioni che sono tessere indispensabili per leggere quel fragile mosaico che è il mondo contemporaneo.

Storie, vicende e narrazioni che abbiamo inseguito con #OverTheFortress , incontrando i migranti nei campi greci di Idomeni . Storie, vicende e narrazioni che abbiamo ascoltato nei laboratori tessili delle città turche di Gaziantep, di Kilis e di Antakya da voci di bambini. Bambini fuggiti dalla Siria in guerra , molti dei quali senza più familiari a fianco. Piccoli schiavi che sono i veri protagonisti di quel decantato miracolo economico che il Paese di Erdogan sta attraversando nel settore tessile . Vigliacche conseguenze di quei trattati di controllo che l'Europa ha energicamente preteso ma di cui non vuole vedere le conseguenze, pur prevedendo, nella sua legislazione, chiari meccanismi di tutela per i "minori non accompagnati" che riescono ad entrare nei suoi confini.

Ed è proprio questo non voler vedere che è alla base di tutte le nostre paure . Perché guardare al di là di questi muri, fa male e ti mette davanti tutte le tue responsabilità. Ed è proprio per questo che gettare lo sguardo oltre è una necessità , oltre che un dovere.Continua