#FragileMosaico. Oltre i confini della Fortezza Europa

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I muri impediscono a chi è fuori di entrare. O, perlomeno, sarebbe questo lo scopo per il quale sono costruiti. Che non abbiamo mai funzionato nell'intera storia dell'umanità, è un discorso che non fa presa sui loro sostenitori. Ma i muri hanno anche un'altro scopo. Scopo che, alla fin dei conti, è il vero motivo per cui sono stati realizzati. Servono ad impedire a chi è dentro di vedere quello che accade fuori. Questi muri che all'ultimo orizzonte escludono lo sguardo, cui si è circondata una Europa oramai sempre più simile ad una fortezza sotto assedio, non sono solo di mattoni, di filo spinato, di garitte militari e di eserciti schierati. Sono soprattutto muri di paura ed ignoranza. Gettare uno sguardo oltre la fortezza, oggi, è un dovere ed una necessità. Per questo, Progetto MeltigPot Europa ha lanciato qualche anno fa l'iniziativa che ha chiamato #OverTheFortress, oltre la fortezza. Iniziativa che ha portato centinaia di ragazze e ragazze, attivisti degli spazi sociali, di associazioni per i diritti e per l'ambiente, a recarsi negli angoli più bui dell'"Impero": dai campi profughi di Idomeni in Grecia, a quelli della Turchia, dai centri per rifugiati attivi nella nostra penisola sino a Kobane e alla resistenza dei curdi.
Viaggi per imparare, documentare, realizzare progetti e costruire alternative.

E proprio nell'ambito di #OverTheFortress, è stato lanciato il progetto Fragile Mosaico, cui hanno aderito l'associazione Ya Basta Êdî Bese, Borders of Borders e IndieWatch. L'obiettivo è quello di raccontare con tutti i mezzi a disposizione, dai reportage per vari siti, agli articoli per giornali tradizionali, alla fotografia, al reportage quanto accade in quel "fragile mosaico" di culture, confessioni, lingue, territori e provenienze che è il Libano. Un Libano in cui, come recita un antico proverbio di quelle terre, "nessuno è straniero perché tutti sono stranieri".
Ai profughi palestinesi rinchiusi - e "rinchiusi" è proprio la parola giusta, considerato che è negato loro non solo una qualsiasi riconoscimento civile ma anche il diritto a possedere qualcosa, e viene loro impedito di uscire in periodi particolari come questo elettorale - si sono aggiunti a partire dal gennaio del 2011 i rifugiati dalla guerra in Siria.
Una permanenza che doveva essere temporanea, nelle stesse intenzioni di questi rifugiati, ma che tutt'ora prosegue e si fortifica, considerando che l'inasprimento della guerra. Oggi, si calcola che perlomeno un quarto della popolazione sia composta da rifugiati: un milione su 4 milioni.
Proprio la condizione in cui versano i rifugiati sarà al centro dell'azione di FragileMosaico. Al team di giornalisti, fotografi e documentaristi già a Beirut, si aggiungerà in questi giorni una decina di operatori legali con l'obiettivo di monitorare la situazione in cui sopravvivono questi profughi.

Il Libano intanto si prepara alle elezioni che si svolgeranno domenica prossima, dopo ben 9 anni di stallo a causa della crisi siriana. Facce sorridenti e bonarie di candidati sorridono dai grandi manifesti appesi davanti agli alti palazzoni. Caroselli di auto con bandiere e altoparlanti percorrono le strade della città. Tanto rumore per nulla. Il rigido sistema elettorale libanese non consente ribaltamenti di fronte. Il futuro primo ministro sarà, per legge, un sunnita, il presidente della repubblica un cristiano maronita, il presidente della Camera, uno sciita. Il voto è cristallizzato all'appartenenza confessionale, territoriale e culturale. Gli armeni votano per gli armeni, i sunniti per i sunniti, i drusi per i drusi e via discorrendo. Ma è proprio su questo delicato equilibrio, basato però su un censimento che risale al 1932!, che si fonda la stabilità del Paese. Per paradosso, se un partito ottenesse il 50 per cento più uno dei voti, la conseguenza non sarebbe un governo stabile ma la deflagrazione di quel "fragile mosaico" che è il Paese. Ma accordi scritti, e accordi non scritti, impediscono che questa prospettiva diventi reale. E tutto questo altro non fa che il gioco delle oligarchie che detengono il vero potere nel Libano, le oligarchie economiche, siano esse saudite, sciite o occidentali. La politica non ha nulla a che fare con queste elezioni. Il confessionalismo spinto, in cui si è fossilizzato il Paese, altro non è che un dispositivo foucaltiano per mantenere lo status quo. Per questo, profughi siriani e palestinesi sono interdetti al voto, così come sono interdetti all'economia del Paese, se non come utile merce di sfruttamento. Anche se cambieranno i suonatori, per loro, non cambierà certo la musica.