125. Non sopporto i cori russi

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1979: L'era del cinghiale bianco (Battiato/Pio, #12)

1982: Centro di gravità permanente (Battiato/Pio, #1)

Ed eccoci alla prima semifinale della Gara delle canzoni di Franco Battiato (si vota qui), con quella che forse è la sorpresa più grossa del torneo: in breve è successa questa cosa, che a mezzanotte di ieri L'era del cinghiale bianco aveva un voto in più di Cuccurucucù, e le regole sono le regole: quella che secondo me era la favorita (oltre che la mia preferita, dopo il tracollo di Stranizza d'amuri) rimane ai quarti, e il Cinghiale diventa la prima canzone del torneo a mandare a casa un brano della Voce del padrone. Ricordiamo che è solo un gioco – buffo, è da tanto che non lo scrivevo, coi Beatles dovevo farlo molto più spesso, il fatto è che fin qui non ci sono stati molti risultati imprevedibili. Da qui in poi invece mi aspetto di tutto, insomma un pezzo che ha battuto L'oceano di silenzioE ti vengo a cercare e Cuccuruccucù evidentemente ha abbastanza sostenitori da portare a casa il torneo. D'altra parte, Centro di gravità è la testa di serie numero uno – cioè il brano più ascoltato su Spotify, sì, ma ricordiamo che il secondo brano più ascoltato su Spotify (La cura) ci ha lasciato serenamente agli ottavi. Insomma io mi giocherei la tripla, un'espressione che i più giovani non capiranno, del resto perché i giovani dovrebbero venir qui? Fatevi il vostro torneo con la miglior canzone di... di Sfera Ebbasta. 

Cos'hanno in comune i due brani? Una certa schizofrenia strutturale, che prevede la giustapposizione di una strofa in minore, riflessiva, e un ritornello squillante e cantabile (anche se nel caso del Cinghiale non è cantato, bensì strumentale). Il fascino particolare sta proprio nella sensibile differenza tra strofa e ritornello, con una dinamica che risente ancora di una certa mentalità prog, ma al servizio di un progetto molto più pop: alla fine è il ritornello di entrambe che salta fuori dalla radio e ti si ficca in testa. Non è del tutto una coincidenza nemmeno che in una strofa di tutte e due le canzoni Battiato ritragga sé stesso mentre passeggia in una città di sera, a Tunisi o a Pechino: in entrambe le canzoni c'è un momento in cui si passeggia e un momento in cui ci si mette a ballare. Bisogna ammettere che in Centro il passaggio è più fluido, mentre nel Cinghiale è ancora meccanico (e forse troppo insistito: è una canzone che poteva durare un minuto in meno). A meno che parte del fascino del Cinghiale non risieda proprio in questa meccanicità inesorabile.   

Che cos'hanno di diverso? Il Cinghiale è (forse) il brano più esoterico, pieno di enigmi non risolti: Centro di gravità è il manifesto del Battiato popolare ed essoterico (con due s), quello che vuole smettere di stupire con enigmi e anzi conciarsi come una popstar per arrivare a più pubblico possibile. Nel Cinghiale Battiato trova una sua formula di new wave, nel Centro proclama che la new wave non gli piace – ma in generale non gli piace nulla di quello che sta facendo: i cori finto russi dei madrigalisti, la finzione rock di Patriots, e in generale tutta la musica che proviene dal blues e dall'Africa: non la sopporta. Vi capita mai di dire a voce alta che odiate il vostro mestiere? Sono momenti, poi passano. Voterete L'era del cinghiale bianco se vi piace il Battiato enigmatico che sta ancora cercando di capire come si vendono le canzoni al grande pubblico; voterete Centro di gravità permanente se lo preferite nel momento in cui ha capito come venderle, e se ne sta già un po' pentendo. In ogni caso dovete votare a partire da oggi; il sondaggio scade la mezzanotte tra il primo e il 2 settembre.   

Si vota qui – il tabellone

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Perché votiamo a settembre

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(Volevo scrivere qualcosa sulle elezioni, ma c'era nell'aria un temporale che non riusciva a risolversi. Ho passato ore a tenere d'occhio il cielo da tutte le finestre di casa per capire da che parte avrei dovuto chiudere nel momento della bomba d'acqua, come un marinaio che saltella da poppa a prua e non trova pace. Il cielo notturno s'illuminava a volte per un istante, come un globo di neon, sfarfallava, prima di spegnersi o esplodere. Non si spegneva mai e non esplodeva mai). 

I motivi per cui si votava in primavera confesso di non averli mai afferrati. Probabilmente c'era un non detto, ragioni molto pratiche e poco nobili, quadrature di conti, cose del genere. Che le istituzioni si stessero, progressivamente, sfaldando, lo abbiamo notato anche dal fatto che si cominciava a votare sempre prima: a marzo, a febbraio. Nulla di incostituzionale, eppure a chi stava al mondo da un po' risuonava come uno scricchiolio sempre meno ignorabile. E quest'anno si vota a settembre, con un'accelerazione che è tipica dei disastri. Perché votiamo a settembre? I motivi di giugno ce li siamo già più o meno dimenticati – Conte ha pestato i piedi, Draghi era stanco, Aa Meloni aveva i sondaggi buoni. Niente che non fosse già successo, postumi di qualche elezione amministrativa. Sì, ma di solito a questo punto si faceva un governo balneare e buona lì. Invece voteremo a settembre. Appena entrati a scuola, ci fermeremo per votare. Perché stavolta non potevamo fare diversamente? Crisi di governo ne abbiamo avute così tante – i meno giovani ricorderanno che anche ai tempi dello stabilissimo pentapartito, occorreva rimpastare in media ogni venti mesi. Cosa ha di veramente diverso, questa crisi, da tutte le crisi dal 1946 in poi? 

Beh, tutto. Viviamo in tempi esageratamente interessanti. C'è una guerra – ce ne sono state tante, ma questa è una guerra con la Russia e se sembra scongiurata la possibilità di combatterla con le testate nucleare, forse è previsto che diamo il nostro contributo spegnendo il riscaldamento. C'è un'epidemia – ce ne sono state tante, ma facevano meno notizia e probabilmente meno morti: oddio, questa continua a farne tantissimi ma una specie di comitato dell'inconscio collettivo ha deciso che ne siamo fuori (decisivo il sostegno di un po' tutti gli organi di stampa, che forse a questo punto erano stanchi di intervistare virologi, inoltre gli industriali che li pagano preferiscono avere un po' più morti e un po' meno lockdown). Che altro c'è? Beh, date un'occhiata alla finestra, magari il monsone sta passando anche da voi. I raccolti come stanno andando? Nella mia zona hanno raccolto un quarto del granoturco che si aspettavano di raccogliere, questo capisco che non sia interessante quanto i tweet di qualche tizio che si batte per il 5%, in fondo il granoturco si dà alle bestie. Carestia, Guerra, Epidemia danno sempre la sensazione di incontrarsi in un posto per caso, ma a ben vedere viaggiano assieme. Ecco perché voteremo a settembre. Ecco perché Conte non poteva andare avanti, perché Draghi era stanco, perché aa Meloni aveva fretta. Voteremo a settembre perché dopo non abbiamo la minima idea di cosa ci succederà.

Sul serio: non abbiamo la minima idea. Per dire: Putin potrebbe cedere all'improvviso. È sinceramente il mio scenario preferito. Quello che sta stritolando l'Europa è in fondo un braccio di ferro, e i bracci di ferro hanno di buono che finiscono all'improvviso (sì, ma a volte per arrivare a questi finali improvvisi ci vogliono 40 anni, vedi Guerra Fredda). Per ottenere un cambio di regime in Russia, la Nato ha messo in atto una serie di misure che hanno portato alla recessione gran parte d'Europa (compresa, si spera, la Russia). Ora il punto è: cederanno prima i russi, che forse all'austerità sono più abituati e hanno meno margini per esprimere il loro malcontento, o gli europei, in particolare noi europei occidentali, i bambini viziati del mondo, ancora coi postumi delle sbornie coloniali? Nessuno lo sa davvero, anche perché dipende dal clima, e il clima sta cambiando troppo velocemente. Metti che l'estate si protragga fino a ottobre, e le ottobrate a novembre: magari teniamo duro e molla Putin. Metti invece che da qui in poi sia una lunga stagione delle piogge con un settembre già freddino, e un governo che ci propone di tenere il riscaldamento al minimo: ce la facciamo? E chi lo sa. Non ne ho la minima idea, così come non mi sarei mai aspettato che gli italiani rispettassero un lockdown rigido come quello del 2020. Magari ci terremo caldi cantando, va' a sapere. Oppure andremo a cercare i governanti coi forconi. I prezzi dei generi alimentari aumenteranno? Ovvio che aumenteranno, ma di quanto? Dovremo chiudere le scuole, non per il contagio (quello a quanto pare dobbiamo prendercelo e ringraziare), ma per risparmiare il riscaldamento – ovvero per farlo pagare alle famiglie che dovranno scaldarsi i figli in casa? Magari obbediremo: per cacciare Putin questo e altro. O magari cominceremo a inneggiare a Putin, da quel che vedo in giro non mi sento di escluderlo. 

Non credo che nessuno possa escludere niente. Il virus si evolve, il clima cambia, la guerra sembra a uno stallo (uno stallo che potrebbe risolversi domani o durare come l'Afganistan). Voteremo a settembre perché da ottobre in poi nessuno ha la minima idea, e un'altra cosa interessante che succede quando nessuno ha la minima idea è che nel dubbio alza il prezzo, così che per esempio quello del gas è aumentato molto prima che ce ne fosse davvero penuria. Qualcuno ci sta ovviamente speculando sopra, ma dando una scorsa ai titoli dei giornali non è che la cosa interessi molto: l'idea di includere la lotta alla speculazione tra gli argomenti della campagna elettorale non è venuta a nessun personaggio di rilievo. Eppure sembra ai miei occhi di profano un argomento perfetto: la gente teme i rincari di bolletta, teme l'inverno gelido, e alla borsa di Amsterdam qualcuno sta speculando sulle loro paure. C'è un problema popolare, c'è un colpevole meschino... no, niente da fare, alla fine a proporre il price cap dev'essere lo stesso Draghi che del capitalismo non è nemmeno il volto umano, diciamo il volto non ancora completamente deformato dagli spiriti animali. Draghi alla fine resterà disponibile, se abbiamo capito la sceneggiata del meeting di Rimini. Il centrodestra vuole vincere la gara elettorale, è programmato per farlo (tanto quanto il Pd di Letta è programmato per perderla). Il fatto che l'Italia sia nella situazione più complessa e indecifrabile dal 1943 non è che gli sfugge, ma per gente come la Meloni o Salvini è un dettaglio: devono vincere, tutti glielo chiedono da anni, è il traguardo della carriera, della vita, poi magari a governare chiameranno qualcuno del mestiere. Lo stesso Berlusconi alla fine vorrebbe solo un riscatto, che tutti se lo ricordassero come il nonno della patria al Quirinale e non come il satiro di palazzo Grazioli. Mi viene in mente quel periodo in cui i ragazzini si erano convinti che il mondo sarebbe finito nel 2012 (gli adulti li avevano convinti, per vendergli libri e film). Ce ne fu uno che mentre cercavo di spiegare che era tutta una sciocchezza, mi chiese: ma io entro il 2012 faccio in tempo a prendere il patentino? L'importante era riuscire a mettersi tra le gambe in tempo un motorino, dopodiché il mondo poteva benissimo perire. Salvini, Aa Meloni, Berlusconi mi ricordano un poco quel ragazzo. 

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124. Al suono di cavigliere del Katakali

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1981: Bandiera bianca (Battiato/Pio, #6)

1982: Voglio vederti danzare (Battiato/Pio, #3)

Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato (si vota qui) – più precisamente al quarto quarto. Anche qui, come nel primo quarto, non sussistono più anomalie: è andato tutto proprio come previsto dal ranking, il che ci può lievemente sorprendere se ricordiamo quanto trascurabile fosse la metrica su cui suddetto ranking si basava: il numero di ascolti su Spotify. In effetti, non è così strano che Voglio vederti danzare sia il terzo brano più ascoltato, e che Bandiera bianca sia il sesto – a sorprendermi se mai è la sopravvivenza di quest'ultimo, senz'altro uno dei brani di Battiato che ha sempre goduto di maggior attenzione (specie radiofonica), ma da un punto di vista estetico, mi sento di dire, decisamente non tra le sue otto canzoni più belle. Anzi da alcune testimonianze traiamo il sospetto che Battiato l'avesse concepita come un pezzo di musica deliberatamente brutto, specchio dello spirito dei tempi che in quel periodo in particolare lo disgustava (non che in seguito gli sia mai apparso uno spirito dei tempi più  simpatico) (si è semplicemente addolcito lui, con l'età e soprattutto col successo); (uh com'è difficile restare giovani e severi quando i palazzetti si riempiono e le mamme ti abbracciano). Ricordiamo che nessuna canzone della Voce del padrone, fin qui, è mai stata battuta da una canzone che non fosse della Voce del padrone: l'exploit potrebbe riuscire stavolta a Voglio vederti danzare, che sopravanza Bandiera bianca nel ranking, nella popolarità, e poi in generale è proprio una canzone meglio, dai.     

Cos'hanno in comune i due brani? Entrambi furono le bandiere dei rispettivi album: in particolare Bandiera bianca fu l'unico singolo estratto dalla Voce, anche se fu in seguito superato in popolarità almeno da Centro di gravità e Cuccurucucù (le quali a quanto pare non uscirono su 45giri: ecco perché il 33 vendette come il pane). Neanche Voglio vederti danzare uscì come singolo, ma era di gran lunga il brano più radiofonico di quel lavoro non altrettanto vendibile che si chiamava L'arca di Noè. Entrambe si prendono, strana coincidenza, una licenza ritmica nel ritornello, dove il 4/4 va a farsi benedire proprio nel momento in cui il galateo radiofonico ci terrebbe di più. 

Che cos'hanno di diverso? C'è una certa complementarità, in effetti: Bandiera bianca è il brano più disarmonico dell'album più commerciale (ma servì proprio a cementare il carisma, il sintomatico mistero del personaggio); Voglio vederti danzare è il brano più compromissorio di un disco molto meno compromissorio. Diciamo che all'inizio del 1981 Battiato doveva ancora assumere un atteggiamento di altera alienità che alla fine del 1982 rischiava di danneggiarlo: Voglio vederti danzare significa anche Voglio rassicurare la Emi che anche questo disco lo vendiamo. La prima è un'indignata osservazione della miseria morale contemporanea, la seconda una rapita contemplazione della bellezza che l'umanità è in grado di sprigionare, quando danza (purché siano danze tradizionali e radicate nei rispettivi territori) (va bene qualsiasi territorio, dall'Irlanda alla Romagna all'Albania, purché non siano i ritmi angloamericani ormai egemoni anche nell'hit parade italiana). Voterete Bandiera se vi piace il Battiato/Savonarola che punta il dito sulle nequizie occidentali; voterete Voglio vederti danzare se lo preferite rapito dall'incanto per la danza e per le culture pre-industriali. In ogni caso dovete votare a partire da oggi; il sondaggio scade la mezzanotte del 31 agosto.   

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123. Con le regole assegnate a questa parte di universo

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1981: Summer on a Solitary Beach (Battiato/Pio, #7)

1981: Gli uccelli (Battiato/Pio, #15)

Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato (si vota qui) – a che punto siamo? Siamo ai quarti, in particolare nell'angolo in alto a destra del tabellone, quello che ha visto l'unico vero terremoto dei pronostici: la favorita del settore (La cura, secondo posto nel ranking) ha ceduto nei sedicesimi contro Segnali di vita, la quale poi negli ottavi ha ceduto il passo agli Uccelli, ed ecco spiegata la presenza tra le prime otto del brano col ranking più basso (Gli uccelli è appena quindicesima). Ha già partecipato a un derby della Voce del padrone, e oggi si ritrova invischiato nel secondo. Noto en passant che nessuna canzone della Voce, fin qui, è stata sconfitta da una canzone di un altro album.     

Cos'hanno in comune i due brani? Beh, sono stati scritti nello stesso periodo da due compositori al top della forma. Sono due brani che in qualsiasi momento uno li ritrovi, riescono immediatamente a creare un incanto particolare – questo è il motivo forse per cui cerchiamo di non ritrovarli troppo spesso, almeno io ho passato anni interi senza ascoltarli e da questo forse dipende anche quel senso di sorpresa che provo quando le ritrovo. Sono proprio ben fatte, con soluzioni di arrangiamento che sfidano il tempo: alcune davvero sofisticate (la complessità ritmica di Summer), altre di commovente semplicità artigianale (il rumore delle ali che si aprono negli Uccelli, ottenuto dispiegando un foglio di giornale). Non sono tra i brani più conosciuti dell'album, ma ne dimostrano la qualità media altissima.

Che cos'hanno di diverso? Da un punto di vista armonico, sono due canzoni agli antipodi: Summer è la dimostrazione di come si possa fare una canzone molto bella con due soli accordi; Gli uccelli contiene forse il maggior numero di accordi che Battiato abbia mai deciso di inserire in una canzone, con cambi di chiave mai banali che diventano, è stato già notato, il correlativo oggettivo dei voli imprevedibili degli uccelli. In effetti cosa c'è di più statico di un pomeriggio al sole, cosa c'è di più dinamico del volo dei pennuti; potrebbero essere due canzoni dedicate ai due elementi, Aria e Acqua (nel qual caso Sentimiento nuevo potrebbe essere il Fuoco e Centro di gravità la Terra).Voterete Summer se naufragar vi è dolce in un mare di memorie estive; voterete Gli uccelli se invidiate loro le ascese velocissime, codici di geometria esistenziali. In ogni caso dovete votare a partire da oggi; il sondaggio scade il mezzogiorno del 31 agosto.   

Si vota qui – il tabellone

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122. Per carnevale suonavo sopra i carri in maschera

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1979: L'era del cinghiale bianco (Battiato/Pio, #12)

1981: Cuccurucucù (Battiato/Pio, #4)

Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato (si vota qui) – oggi con il secondo quarto, che vede un'indiscussa favorita battersi contro il più eccentrico dei brani superstiti. L'era del cinghiale bianco in effetti è il titolo più antico ancora in circolazione (gli altri stanno tutti in un sottile intervallo tra 1981 e 1983); addirittura non può essere considerato da un punto di vista cronologico "anni '80", anche se è la canzone con cui Battiato entra, piuttosto bruscamente, in un decennio nuovo e nella fase più popolare della sua carriera. L'era piacque subito, anche se all'inizio il bacino di ascolto era molto ristretto (fu Lucio Dalla a informare Battiato che i ragazzi lo cantavano in coro il ritornello in piazza Maggiore): è curioso perché apparentemente non contiene le caratteristiche del brano pop, che per fortuna in quegli anni erano ancora in fase di codifica; in compenso metteva in evidenza un virtuosismo violinistico negli anni in cui la gente li ascoltava volentieri.    

Cos'hanno in comune i due brani? Una certa sveltezza, che nell'Era si comunica attraverso il fraseggio violinistico di Pio: una delle doti che Battiato portava alla new wave era la disponibilità di questo ex orchestrale ad aprire cascate di note dovunque FB ne sentisse la necessità. Quanto a Cuccurucucù, il pop italiano non aveva mai pulsato così velocemente. Il dialogo sulle corde basse tra Radius e Donnarumma ci sommuove il sistema nervoso e ci predispone alla commozione che FB solletica pescando madeleines da una vecchia collezione di 45 giri. Sono anche due brani nostalgici, a modo loro.

Che cos'hanno di diverso? La nostalgia del Cinghiale è privata (nelle strofe) e politica (nel ritornello): Battiato ricorda certe vacanze d'antan in Nordafrica e auspica il ripristino di un'Era della Saggezza; tra questi due momenti non sembra esserci un vero collegamento, potrebbero essere due canzoni diverse separate dal segmento violinistico. Cuccurucucù è l'opera di un compositore pop assai più maturo e consapevole del mezzo: non c'è quasi un verso che non rientri nel concetto di fondo, e il concetto di fondo è che noi siamo la musica che suoniamo e ascoltiamo. Persino quel melodrammatico "da quando sei andata via non esisto più", se lo immagini riferito alla Musica, non suona più così esagerato. Voterete il Cinghiale se vi piace il Battiato più enigmatico, quello che non risolve i suoi indovinelli e lascia il campo aperto a un universo di suggestioni; voterete Cuccurucucù se da quando Battiato non c'è più avete sensazione di esistere un po' di meno. In ogni caso dovete votare a partire da oggi; il sondaggio scade la mezzanotte del 30 agosto.   

Si vota qui – il tabellone

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121. Ancora un altro entusiasmo ti farà pulsare il cuore

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1981: Centro di gravità permanente (Battiato/Pio, #1)

1983: La stagione dell'amore (#8)

Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato – cominciamo oggi coi quarti di finale, e in particolare dal quarto più regolare. Tutti gli incidenti di percorso sono stati assorbiti e le due canzoni che si affrontano nell'angolo in alto a sinistra del tabellone sono esattamente quelle previste dal ranking: la #1 contro la #8. Ricordo che il ranking è interamente basato su una metrica non così rilevante, ovvero il numero di ascolti su Spotify – in fondo chi è che ascolta Battiato su Spotify? Eppure, almeno per un quarto, la metrica ci ha azzeccato, mettendo contro due brani separati da poco più di due anni: né si tratta di una grande coincidenza, visto che gli otto qualificati risulteranno tutti pubblicati tra il 1979 e il dicembre 1983: La stagione dell'amore è appunto il più recente. È anche l'unico del mazzo a non essere accreditato anche a Giusto Pio, probabilmente perché nella maggior parte dei casi il contributo di Pio era riferito all'arrangiamento e all'orchestrazione (il fatto che Battiato lo ritenesse un contributo così rilevante da accreditarlo co-autore è l'ennesima prova della sua generosità). La versione '83 della Stagione è uno dei casi in cui Battiato ritiene di non avere più bisogno di orchestrazioni, né di arrangiamenti che non siano quelli da lui composti sugli strumenti digitali che sta adoperando. È una decisione di cui, come abbiamo visto, si pentirà presto. 

Cos'hanno in comune i due brani? Più di quanto si possa intuire al primo ascolto. Una componente parodica, quasi ludica, che in Centro si sfoga nel ritornello (il più classico dei giri di Do, negli anni in cui a Sanremo era quasi obbligatorio) e nella Stagione dell'amore si esprime nel fraseggio della tastiera elettronica (i due famigerati accordi in levare, una trovata più Righeira che Battiato). E a un certo punto in entrambi i brani succede qualcosa di simile: una scala ascendente di accordi dal sapore vagamente 'disco' che in Centro fa da rampa tra il ritornello e la strofa ("Over and over again...": Re/Mib/Sol) mentre nella Stagione costituiscono l'inciso ("Ancora un altro entusiasmo...": Sib/Do/Re).

Che cos'hanno di diverso? Centro è una canzone sul mascheramento, sulla necessità di sembrare diversi da quello che si è (più accomodanti, più popolari); La stagione è il primo brano in cui FB si pone il problema dell'invecchiamento, anche solo per negarlo e per prometterci nuove estati di passione. Voterete Centro se vi siete affezionati al Battiato essoterico (con due s), quello che scende nell'arena del pop per farci parte del suo universo di insegnamenti preziosi che forse non meritiamo; voterete La stagione se lo considerate più un compagno di viaggio, uno che ci esortava a non guardare indietro, a vivere ogni istante come il più importante ecc.. In ogni caso dovete votare a partire da oggi; il sondaggio scade la mezzanotte del 29 agosto.   

Si vota qui – il tabellone

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120. E avete voglia di mettervi profumi e deodoranti

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato – oggi col secondo derby della Voce del padrone: la canzone più arrabbiata contro la canzone più eccitata].

Si vota qui – il tabellone

1981: Bandiera bianca (Battiato/Pio, #6)

Mister Tamburino non ho voglia di scherzare: rimettiamoci la maglia, i tempi stanno per cambiare. La prima volta che ho sentito Mr Tambourine Man, io sapevo già che era una canzone importante perché l'aveva citata Battiato in Bandiera bianca. Ovvero non bisogna sottolineare che qualsiasi opera citazionistica degli adulti, i giovani negli anni dell'apprendistato la tratteranno comunque come un'enciclopedia. Pure Achille Lauro, pure i Maneskin, per voi sono rifritture di cose già sentite: per loro sono la porta di accesso alle stesse cose.

Bandiera bianca rientra in un insieme buffissimo di canzoni italiane ispirate da Dylan, ma che assolutamente non sono cover di Dylan, anzi ci assomigliano proprio poco. Questo insieme comprende [Se sei bello ti tirano le] Pietre di Ricky Gianco (ispirata a Rainy Day Women), Tropicana del Gruppo italiano (ispirata a Black Diamond Bay), forse Un'overdose d'amore di Zucchero (Shot of Love), ci metterei anche Buonanotte fiorellino di De Gregori la cui somiglianza con Winterlude è appunto più concettuale che melodica.  In quasi tutti questi casi, Dylan non è scopiazzato e nemmeno citato; è poco più di una reminiscenza (ancora più eccentrico il caso di Vedendo la foto di Bob Dylan di Pippo Franco). In Bandiera bianca Battiato sembra ricorrere a Dylan in un senso antifrastico, o almeno così l'ho sempre voluto intendere: è finita l'era dell'impegno politico, i tempi sono cambiati, siamo nel riflusso, sul ponte sventola bandiera bianca. C'è poi da aggiungere che il montaggio citazionista che Battiato sfoggia tra Patriots e La voce del padrone non è una pratica sconosciuta allo stesso Dylan, che vi ricorreva già ai tempi di Highway 61 e Blonde On Blonde: nel momento in cui si rimise a scrivere canzoni Battiato potrebbe essersi ispirato a certi frullati di parole di Dylan. E da Dylan Battiato potrebbe anche aver preso la disponibilità a cambiar pelle all'improvviso: da acustico a elettrico a country nel giro di sei anni, un esempio illustre di come ci si può reinventare continuamente e rimanere in qualche modo fedeli a sé stessi. Di Dylan ripescherà altri due titoli di successo in quella gita alla collezione di dischi in soffitta che è la coda di Cuccurucucù: Just Like a Woman e Like a Rolling Stone. E poi basta, non ne parlerà più, non lo citerà più. Tornerà sugli Stones e sui Doors nella sua versione di La musica muore; tornerà ai Beatles in Stati di gioia. Su Dylan non tornerà più.  

1981: Sentimiento nuevo (Battiato/Pio, #11)


Dopo averne letti un po' e dopo averci riflettuto bene, mi pare che i testi più utili per capire un po' di Battiato siano quelli di Fabio Zuffanti, a cui le mie glosse devono parecchio. Tra i battiatisti Zuffanti non solo è il più esperto da un punto di vista musicale, ma è anche quello che più si danna nella ricerca di significati per certi astrusi grumi di parole che lo stesso Battiato avrebbe avuto difficoltà a giustificare. E di solito è una ricerca fruttuosa – segnalo uno dei rari casi in cui mi trovo in disaccordo, ovvero secondo Zuffanti "il senso del possesso che fu prealessandrino" è un riferimento al "verso alessandrino", il doppio settenario che s'impose in Francia nel Cinquecento e divenne il verso standard del teatro francese nel secolo successivo. Ora, potrebbe anche avere ragione, ma per me è più semplice considerare "pre-alessandrino" nel senso di "pre-ellenista", ovvero precedente a quella precoce globalizzazione degli usi e dei costumi imposta da Alessandro e dai suoi successori. Considerando che tutte le pratiche erotiche menzionate nella canzone sono fiorite in terre conquistate da Alessandro (anche se lo "shivaismo tantrico", ammesso che esista, è nato ben dopo), Battiato a mio parere sta parlando di sensibilità sessuali classiche o arcaiche, e non di metriche rinascimentali. Sempre ricordando che la sua priorità era scrivere un testo abbastanza alla svelta per una canzone scritta all'ultimo momento. Che poi questo testo sia diventato uno dei suoi più famosi è cosa che, abbiamo visto, stupiva lui per primo.  

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119. Abbocchi sempre all'amo

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato – oggi la canzone che ha vinto il sedicesimo con più margine contro quella che l'ha spuntata per tre voti. E nessuna delle due (ormai è sorprendente) sta nella Voce del padrone].

Si vota qui – il tabellone

1980: Up Patriots to Arms (Battiato/Pio, #19)


Giusto per una manciata di voti, Up Patriots ha sconfitto Il re del mondo e devo prenderne atto proprio oggi, mentre tra le notizie c'è questa cosa di un partito postfascista che distribuisce nelle spiagge "la settimana enigmistica dei patrioti". Da cui potrebbe derivare l'ennesimo slancio di mani avanti: è vero, Battiato indulgeva nell'uso di termini che già ai tempi indicavano una certa destrorsità, come appunto "patria", però lo faceva in modo assolutamente ironico o comunque non ideologico (e magari persino inconsapevole); è vero, attingeva da un serbatoio culturale che ai tempi veniva etichettato "nuova destra", ma poi ci sono state destre talmente più nuove (o più vecchie) che oggi quella "nuova destra" è praticamente centrosinistra avanzato, insomma è più facile immaginare un Letta con un Adelphi in mano, di un Salvini. È vero, almeno una volta si è trovato a suonare a una festa di Alleanza Nazionale, ma non se ne stava rendendo conto e... ma perché sento l'esigenza di scrivere queste cose? Mi accorgo che sto reagendo da militante: Battiato è morto e io sto vegliando sul cadavere, cerco di spaventare gli avvoltoi, ma "io" chi sono? Non sarò per caso pure io uno sciacallo, uno che è geloso e lo vuole tutto per sé? Perché insisto tanto sulla componente postmoderna e fingo di non vedere che in Battiato c'è sempre stato tanto altro che non poteva piacermi? 

In parte lo faccio per rispetto del defunto, che in vita rifiutò qualsiasi etichettatura che sapesse di destra, anche perché in quegli anni poteva portargli soltanto dei danni: non è escluso per esempio che la famosa recensione di Manfredi sulla Stampa non gliene abbia portati (l'Arca vendette bene ma la metà del disco precedente). Rileggendo ci si accorge che a quei tempi "nuova destra" significava Calasso e Cacciari, insomma designava (dispregiativamente) una zona molto meno angusta di quella pattugliata oggi dai Marcello Veneziani di turno o dai ragazzini intelletto-dissidenti (non è che quella cricca particolare non esistesse già, ma nessuno vi avrebbe fatto affidamento, specie se di mestiere voleva vendere due o tremila dischi).

Però in quella zona culturale ci stava benissimo, meglio di qualsiasi altro cantautore e non soltanto perché citava René Guénon o Nietzsche. Battiato ci stava perché era un critico della modernità (come siamo tutti); un mitologo della propria infanzia (come siamo siamo tutti); e vedeva la Storia come una Caduta da uno stato di innocenza primigenio, e quando credi in questa cosa non puoi che avere in uggia ogni forma di progresso sociale. Se sei di buon umore la irridi, se sei di cattivo umore ti scappa l'invettiva accigliata, e a Battiato scappavano e non erano incidenti. Dietro gli stratagemmi avanguardistici covava un reazionario, e adesso cosa pretendo di fare? Separare l'avanguardia dalla reazione? Raccontarmi che ho smesso di ascoltare Battiato perché invecchiando questo suo aspetto diventava preponderante? Ma non è vero, e Battiato ho smesso di ascoltarlo per altri motivi. Il vero problema non ce l'ho col Battiato reazionario, ma col Battiato kitsch.


1982: Voglio vederti danzare (Battiato/Pio, #3)

Poiché Nevski ha trovato sul suo cammino Cuccurucucù e Radio Varsavia si è ritrovata La stagione dell'amore, questa sfida è anche l'estremo spareggio tra Patriots e L'arca di Noè, i due dischi liminari al capolavoro: bisogna decidere quale dei due porterà almeno un pezzo agli ottavi. 
Per quanto riguarda Voglio vederti, abbiamo avuto modo di notare nel brano il ritorno di quella cadenza che a partire dalla Voce (e almeno fino a Mondi lontanissimi) è una vera e propria segnatura di FB: Tonica, dominante, sopratonica (I-V-ii). Il motivo per cui FB è riuscito a infilarla in tante canzoni senza dare mai la sensazione di ripetersi sta nel fatto che non l'ha mai usata ossessivamente, ma sempre come punto di partenza per costruire qualcosa di diverso. Qui ad esempio completa il primo giro con la sopradominante, (vi) ("...nel deserto"): la stessa soluzione tornerà nell'Animale, ma con un esito diverso perché nel secondo giro ("Con candelabri in testa") Battiato decide di disfarsi di tutti gli accordi in minore, e optare per il più semplice e solare I-IV-V (Twist and shout!) che produce un senso di ascensione trionfale: "o come le balinesi nei giorni di festa". A questo punto siamo pronti per celebrare un ritornello che ci aspettiamo il più festoso possibile, e FB non ci delude, anzi ci apparecchia la progressione che in quegli anni stava diventando la più popolare in assoluto e forse lo è rimasta: il responsabile, almeno per l'Italia, potrebbe essere stato Bob Marley con No Woman No Cry. Si tratta insomma della I-V-vi-IV (la stessa anche di Nomadi, e che abbiamo sentito così mirabilmente variata negli Uccelli), che funziona bene da qualsiasi parte uno la cominci, ma in Voglio vederti danzare comincia forse dall'accordo meno intuitivo, il quarto ("E gira...") così da mimare il capogiro di chi sta realmente girando in tutta la stanza, ma soprattutto creare come la necessità che il giro si ripeta su sé stesso fino a un completamento che ci sfugge sempre. Del resto dopo due giri Battiato ingrana la marcia e salta di tonalità: espediente che nel brano ripete ben tre volte. Il risultato è un brano inimitabile, che per quanto prenda qualcosa da tanti altri, non somiglia davvero a nessuno. 

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118. Via, via, via da queste sponde

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[Buongiorno dalla Gara delle canzoni di Franco Battiato – oggi col derby dell'estate].

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1981: Summer on a Solitary Beach (Battiato/Pio, #7).

Battiato, un cantante per l'estate (ve lo sareste immaginato, un torneo come la Gara, in un'altra stagione?) Se non gli è successo, come alla collega Giuni Russo, di rimanere bloccato in una definizione del genere, è forse semplicemente perché dagli artisti di sesso maschile ci si aspettava una maggiore duttilità. E in effetti a guardar bene il catalogo, le stagioni le ha cantate tutte (anche se per l'inverno si è affidato a De André). Non c'è dubbio che però, delle quattro, l'estate sia stata il suo destino. La prima competizione in cui trovò successo: il Disco per l'Estate. L'argomento di tante sue canzonette del periodo (non necessariamente scritte da lui): ti devo lasciare per l'estate / ti devo lasciare perché è finita l'estate. La sua prima canzone autobiografica, Sequenze e frequenze; e dopo la fase sperimentale, il suo primo successo da autore: Il vento caldo dell'estate. (E il secondo: Un'estate al mare). (Il terzo non so se si possa definire successo: Cocco fresco cocco bello di Ombretta Colli). Persino i brani della Voce del padrone cominciarono a circolare intensamente nei mesi estivi del 1982, quando ormai FB aveva un altro album in canna. Quest'aura estiva era giustificata dal brano d'apertura, in cui Battiato riprendeva le atmosfere di Sequenze e frequenze (compresa l'irruzione finale del sax di Aries). È come se il successo, inseguito o conseguito, coincidesse con l'arrendersi all'estate, alle sue statiche epifanie.  


1984: I treni di Tozeur (Battiato/Cosentino/Pio, #10)

Potete ascoltare per decenni Tozeur – perlomeno a me è successo – senza far caso alla bislacchità di quel primo verso: le strade vedono passare i treni. Insomma non c'è anima viva che li guardi quei treni, nemmeno una lucertola, un insetto, nessuno: ma esiste un treno se nessuno lo guarda passare? Ma siccome il treno effettivamente esiste, stabiliamo che lo guardino passare le strade. Tutto questo, a cercare di spiegarlo, prende righe su righe di circonlocuzioni ridicole, mentre per anni il significato subliminale era penetrato con chiarezza: i treni passano e per strada non c'è nessuno. Battiato procede per immagini incongrue come miraggi nel deserto (le astronavi nelle chiese abbandonate, di nuovo, una delle cose più insensate e più suggestive che ha scritto).

Ripeterò un'altra cosa sul duetto: in un paio di occasioni, Battiato comincia un verso "i treni..." e Alice lo completa ("...di Tozeur"). Come se fosse un solo cantante. È un miraggio anche questo, volendo: e funziona quasi soltanto se la voce femminile è quella di Alice. 

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117. Lo spazio cosmico si sta ingrandendo

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[Arieccoci con la Gara delle canzoni di Franco Battiato – oggi col primo derby della Voce del padrone].

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1981: Gli uccelli (Battiato/Pio, #15)

Che La voce del padrone fosse l'album da battere, era chiaro sin dall'inizio. Quel che sinceramente non m'aspettavo è che portasse tutte e sette le sue canzoni agli ottavi (sì, sette canzoni su sedici sono della Voce del padrone). Compresa quella che Battiato aveva scritto 'brutta apposta' (Bandiera bianca). Compresa quella scritta all'ultimo momento per raggiungere la mezz'ora (Sentimiento nuevo). Compresa la canzone del disco meno ascoltata su Spotify (Segnali di vita), che oggi si batte con la seconda canzone meno ascoltata dell'album: Gli uccelli. Si tratta insomma teoricamente dei due pezzi più deboli della Voce del padrone e... sono due capolavori che Battiato ha raramente eguagliato, il vero fulcro di un album che tutti associano al citazionismo postmoderno (molto meno presente che in Patriots) e all'invettiva di Bandiera bianca, ma che contiene quasi per metà canzoni che di ironico non hanno niente e viceversa insistono sulle atmosfere, sulla contemplazione dell'universo e la speculazione sulle regole che lo reggono. Gli uccelli, ne abbiamo già parlato, potrebbe essere la canzone più "Battiato" in assoluto, in quanto sintesi quasi miracolosa di numerosi stilemi: l'orchestrazione liederistica, quel marchio di fabbrica che è la cadenza I-V-ii, le invenzioni lessicali pseudotecniche ma felicissime ("geometrie esistenziali"), la sensibilità per la natura e soprattutto per i cambiamenti di stagione: tutte queste cose Battiato le ripeterà tante volte nel corso della carriera, ma mai tutte assieme e così bene amalgamate.  


1981: Segnali di vita (Battiato/Pio, #31)

Abbiamo visto come dei brani della Voce, Segnali di vita fosse di gran lunga quello col ranking più basso, tanto da farci sospettare un boicottaggio di Spotify. Eppure proprio a Segnali di vita è riuscito l'exploit fin qui più eroico del torneo: sconfiggere La cura, il brano col ranking più alto (#2!) tra quelli non facenti parte della Voce del padrone. Il che non è che ci dica molto su Battiato: in compenso ci conferma che i giurati della Gara ragionano più per album che per canzoni di successo, e ritengono che il brano più in ombra dell'album migliore sia più riuscito del brano più popolare del resto della sua carriera (un commentatore da qualche parte proponeva di rifare il torneo escludendo i brani della Voce: non avrebbe senso ma forse sarebbe più combattuto e interessante).

In Segnali di vita Battiato guarda le stelle (oltre ai cortili), come i cantautori talvolta fanno e un giorno sarebbe interessante mettere insieme un po' di canzoni dove succede questa cosa – per dire, più o meno nello stesso periodo De Gregori guarda le stelle e vede i missili detonare bombe N. Dalla è molto meno pessimista e anche Battiato, qui e poi in Via Lattea, vede nel cielo stellato le possibilità per una nuova evoluzione. Poi col tempo ho l'impressione che l'universo in espansione sia diventato una prospettiva sempre più deprimente, un argomento sempre a portata di mano ogni volta che si vuole ribadire la nostra insignificanza (mi viene in mente San Lorenzo dei Cani, ma potrebbero esserci altri esempi). 

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