58. Tornerà la moda dei vichinghi
13-07-2022, 03:24Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con una batteria di canzoni da meditazione. Scegliete la vostra preferita come l'adepto si sceglie il tappetino, ohm].
1983: Tramonto occidentale (Battiato/Jaeggy, #59)
Friedrich Nietzsche era vegetariano: scrisse molte lettere a Wagner, ed io mi sento un po' un cannibale e non scrivo mai a nessuno. La decadenza è anche questo: quando cerchi di evocare il ciclo dei Nibelunghi e senza volere ti esce Semplice di Gianni Togni – rarissimo caso di plagio inconsapevole, perché davvero non riesco a immaginarmelo Battiato che pensa: adesso per ottenere il correlativo musicale della decadenza nel ritornello passo in maggiore e così l'ascoltatore si renderà conto che quella che sembrava un pezzo di sinfonia elettronica e apocalittica è in realtà Semplice di Gianni Togni (sia la canzone di Togni sia quella di Battiato devono poi qualcosa a Follow You Follow Me dei Genesis). Tra i tanti lamenti per la fine della civiltà che Battiato ha messo sui solchi, Tramonto occidentale si segnala perché è forse l'unico caso in cui il cantautore non osserva la decadenza da qualche astratto piedistallo, ma la vede procedere in sé stesso: è lui che non ha voglia di leggere o studiare, "solo passeggiare sempre avanti e indietro lungo il Corso o in Galleria". È lui che mentre constata che "la famiglia è in crisi da generazioni per mancanza di padri" ammette di essere un solitario, incapace di disciplina, e di divertirsi a osservare i suoi concittadini che sventolano le bandiere "fuori dalle macchine all'uscita dello stadio", con la voluttà di ingaglioffarsi che a volte prendeva Nanni Moretti nei film di quegli anni. È lui che non riesce nemmeno ad ammettere la dipendenza dal tabacco. Non so quanto questo aspetto di Tramonto occidentale – che me la rende molto più simpatica di tante altre sue canzoni sullo stesso tema – dipenda dal testo di partenza di Fleur Jaeggy: non lo so perché non ho idea dell'originale, nessun battiatologo per ora l'ha individuato, e abbiamo già visto che molto spesso Battiato interviene su testi già pubblicati, non necessariamente in versi, sforbiciandoli di molto.
1991: Gestillte Sehnsucht (Brahms, #187)
Desiderio placato. La predilezione di Battiato per Johannes Brahms – più volte dichiarata nelle interviste – trova finalmente uno spazio per esprimersi nel 1991 sul secondo famigerato lato di Come un cammello in una grondaia: in questo caso oltre a cantare Battiato si prende cura anche dell'orchestrazione, purtroppo lasciandoci un senso di insoddisfazione: dopo aver giocato più volte nella sua carriera con Beethoven, Bach, Ciajkovskij, quando finalmente decide di affrontare Brahms si comporta forse in modo troppo rispettoso per ottenere qualcosa di memorabile. Non so se capiti anche voi qualche volta di svegliarsi con in testa una melodia che non è la solita canzone per l'estate, ma un brano di musica lirica o classica (dipende soprattutto da cosa si ascolta di giorno). Ecco, in questi casi a volte qualcosa ci frena, ci impedisce di canticchiare o fischiettare a cuor leggero quelle che alla fine sono comunque splendide melodie. È il rispetto che si deve alla musica colta, o forse quel senso di distanza che danno le voci impostate. Canticchiando il suo Brahms, Battiato intendeva soprattutto mostrarci che questa distanza è colmabile, abbattere il muro tra la musica fischiettabile e quella non fischiettabile. Non importa che la sua Gestillte Sehnsucht non sia la migliore Gestillte Sehnsucht (ci mancherebbe altro): l'importante è che si possa fare: il Cammello segnalava che lo steccato era caduto, avremmo potuto cantare qualsiasi musica del passato senza vergogna. Quel che è successo è purtroppo l'opposto di quello che auspicava Battiato, ovvero i cantanti d'opera si sono messi a fare dischi pop.
1993: Lode all'inviolato (#70)
Ne abbiamo attraversate di tempeste. Me la sono cercata: l'altro giorno commentando Delenda Carthago scrivevo: bizzarra per gli standard battiateschi la scelta di impostare tutta la canzone su una progressione di quattro accordi ascendenti. Non avevo notato che in Lode all'inviolato succede più o meno la stessa cosa: Mi-, Fa, Sol, La-. A mia discolpa, la scala è parzialmente dissimulata dal fatto che la voce parte sul La-, dando la sensazione che la progressione cominci sull'accordo più alto. Tra questo e il Mi-, che è il più basso, si protende la scala naturale discendente suonata nell'introduzione dal pianoforte e poi dai violini. Musicalmente, Lode all'inviolato è poi tutta qui: un ciclo breve e quasi ipnotico sul quale Battiato è libero di salmodiare senza fissarsi su nessuna melodia. Persino se non capissimo le parole (e non è che le capiamo proprio tutte) avremmo comunque la sensazione di trovarci più davanti a una preghiera che a una canzone. Non solo una lode, ma anche (e soprattutto) una professione di fede: Battiato rifiuta il male, i "personaggi inutili" che ammette di avere indossato, e indica una via che attraverso la saggezza arriva alla gioia. Tutto molto mistico ma io in quegli anni ero convinto di averlo perso e rimpiangevo soprattutto i personaggi inutili che non indossava più.
2004: Conforto alla vita (Battiato/Sgalambro, #198)
Ah, quanto fumo si levò che non fu fiamma. A volta Battiato in Dieci stratagemmi dà la sensazione di voler ripassare in alcuni punti meno noti del suo catalogo, come a dire: ricordatevi che facevo anche questo tipo di cose. Conforto alla vita ad esempio sembra, da lontano, uno di quei brani un po' salmodianti del periodo di Caffè de la Paix (vedi sopra Lode all'inviolato), quelli di cui nessuno parla male anche se quasi tutti preferiscono ascoltare qualcos'altro. È una somiglianza solo superficiale, in realtà tante cose sono cambiate, ad esempio la musica è ancora più libera e sfuggente e nel reparto parole c'è Sgalambro che a quanto pare sta maneggiando citazioni scelte da Johann Gottfried Herder, pensatore settecentesco in realtà interessantissimo e molto peculiare (inventò lo storicismo, chiacchierando con Goethe imbastì in sostanza la traccia per il romanticismo tedesco, nel tempo libero litigava su Kant sulla Ragion Pura) che però nelle sapienti mani del nostro filoffo talattico preferito diventa un Budda qualsiasi, un erogatore di massime aspirazionali ("Sii forte e sereno anche nei giorni dell'avverso fato", ok).
57. E sommersi soprattutto da immondizie musicali
12-07-2022, 07:19Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, che ne ha scritte più o meno 250. Qui trovate il tabellone aggiornato].
1969: Marciapiede (#251)
Quando ti ho conosciuta, un anno fa, solo per poche lire davi te: ora sei una signora, già si sa: eri sul marciapiede e sei con me. Con Marciapiede finisce, abbastanza ingloriosamente, l'avventura canzonettistica di Battiato: è il lato B del suo ultimo singolo (Vento caldo) ed è anche la prima canzone completamente firmata da lui (che fino al 1967, ricordiamo, non poteva firmarle perché non iscritto alla Siae). I lati B com'è noto servivano a sperimentare cose un po' meno formalizzate; qui invece la musica è abbastanza semplice, in compenso l'argomento è per i tempi piuttosto scandaloso: la storia di un amore che dovrebbe redimere una prostituta di strada – ma Battiato essendo già Battiato, l'amore è destinato a finire e la ragazza a tornare sul marciapiede. Un soggetto da cui Brel o Brassens avrebbero potuto trarre romanze in dieci strofe, purtroppo viene affrontato dal giovane paroliere con espressioni di una banalità sconfortante. Battiato, che nei dischi della maturità abbandonerà la metrica tradizionale, qui vi si muove impettito come in un colletto troppo inamidato, limitandosi alle rime tronche ("sa/già, te/me"). Sembra veramente crederci poco: e del resto racconta la storia dalla parte dell'innamorato che non ci crede più, nel momento in cui la passione cede il passo alla repulsione. Il disco non arrivò nemmeno nei negozi: Battiato aveva già rescisso il contratto con la Polygram, ne furono pubblicate soltanto copie promozionali per la stampa. Lui ci aveva anche provato, a innamorarsi della Canzonetta, ma troppo spesso aveva visto la Canzonetta baciare qualcun altro per continuare a illudersi sulla di lei moralità.
1981: Bandiera bianca (#6)
Siete come sabbie mobili: tirate giù (uh uh uh). C'è un genere di canzone che gli italiani adorano, anche se non lo sanno. Chi lo sa preferisce mantenere il segreto, altrimenti poi gli italiani cominciano a perseguitarti perché vogliono sentire solo quelle. Guccini ha scritto ballate epiche, canzoni buffe, scorci esistenziali, poi una sera s'è incazzato con un critico e ha scritto l'Avvelenata, pentendosene probabilmente nel giro di poche ore, ma l'ha incisa ugualmente e tuttora gliela chiedono, c'è gente che gliela suonerà sulla tomba, salirà a Pavana apposta per rompere i coglioni alla salma. L'Avvelenata è un'invettiva. Gli italiani adorano le invettive, adorano il momento in cui al cantautore saltano i nervi e comincia a puntare il dito contro Alfredo, contro Vincenzo, ma meglio ancora contro di lui, contro gli italiani in generale. A chiunque riesca a capire la cosa è garantito più di un quarto d'ora di gloria, l'anno scorso è capitato ai Maneskin e qualche anno fa a Gabbani con una specie di frullato pseudobattiatesco, una combo Bandiera Bianca + Magic Shop.
Battiato dal canto suo non ci ha vinto Sanremo (lo ha vinto con una canzone di disamore sviluppata da un riff di Beethoven, a orecchio un'impresa più difficile), però forse il segreto della sua improvvisa esplosione nel 1981/82 è proprio l'arrivo in radio di Bandiera bianca, l'invettiva battiatesca per eccellenza. Una variazione sul tema di Up Patriots to Arms, ma la retorica patriottarda cede il passo a un senso di resa magistralmente recuperato da una lirica risorgimentale così brutta che fa piangere di commozione, L'ultima ora di Venezia di Giovanni Berchet. Non è una delle migliori canzoni di Battiato, ma nel suo genere credo sia un capolavoro: posso ascoltarla nel 2021 e pensare che stia parlando dei social network. Battiato inforca gli occhiali neri e, qualsiasi cosa stia davvero dicendo, non possiamo pensare che non stia fissando proprio noi. Come faceva nei primi anni Ottanta a benedire già il razzismo che non gli faceva guardare "quei programmi demenziali con tribune elettorali"?, cioè come faceva a sapere già che il talk show demenziale avrebbe invaso i palinsesti di network tv che nel 1981 nemmeno esistevano; e come faceva a sapere che solo il razzismo nei nostri stessi confronti ci avrebbe salvato dallo specchiarci ogni sera in un Ferrara o un Funari o un Giordano?
Molti suoi fan di qualsiasi età scoprono Battiato così: un predicatore col megafono, desolato dell'iniquità contemporanea. La sua più grande astuzia (che i Gabbani successivi non sempre comprenderanno) è non disperdere i suoi strali sul popolo bue, ma concentrarli su un non meglio precisato manipolo di individui, gli "squallidi figuri che attraversano il Paese". Ovviamente tutti abbiamo in mente qualcuno che rientra nell'insieme, e finché non si fanno nomi e cognomi possiamo andare tutti d'accordo e riconoscere in Battiato il nostro profeta. Per fortuna Battiato si era già stancato del ruolo, sia lodata sempre la sua scarsa applicazione in tal senso. Bandiera bianca è la sua Like a Rolling Stone: lo trasforma in un profeta e lo investe di una missione per la quale non si sente all'altezza: non dissimilmente da Dylan, passerà molti anni cercando di convincere il pubblico che lui non è quello lì, lui è un artista, al limite un mistico, ma non un predicatore. E alla fine, in uno dei momenti più opachi della sua carriera, cederà al pubblico che rischiava di dimenticarlo e inciderà Povera patria.
Quel che seguirà sarà meno interessante: più intrigante secondo me è capire come ha fatto Battiato nel 1981 ad azzeccare un brano atipico come Bandiera bianca, a capire che avrebbe funzionato. Qual era il suo modello? Ovviamente non posso che pensare a Gaber, che aveva passato gli anni Settanta in giro per i teatri a perfezionare invettive sempre più crudeli. Quando è moda è moda è del 1978: in quel periodo Gaber si era stancato del solito accompagnamento chitarra-basso-batteria e aveva chiesto a Battiato e Giusto Pio di curare gli arrangiamenti del suo spettacolo, Polli d'allevamento. Nel 1980 poi era uscito su un 12 pollici Io se fossi Dio, un quarto d'ora in cui Gaber sparava a zero su tutti, compreso chi una dose di pallottole l'aveva già presa non metaforicamente (sì, Aldo Moro). Io se fossi Dio è un'invettiva troppo precisa, che finisce per rovesciarsi su sé stessa e autodenunciare il delirio di onnipotenza dell'attore-cantante. Battiato impara molto da Gaber, ma anche dai suoi errori.
1988: Il mito dell'amore (#134)
1996: ...ein Tag aus dem Leben des kleinen Johannes (#123)
"Genug, Tony, Genug". Cos'è il Kitsch? Potrei citare due o tre definizioni di Apocalittici e integrati, oppure linkare un brano dall'Imboscata, provo a fare entrambe le cose ma non so se il montaggio funzionerà, al massimo creerò un Kitsch al quadrato.
"[Il brano] tende a proporsi come opera d'arte proprio perché ostentatamente impiega modi espressivi che, per tradizione, si è soliti vedere impiegati in opere d'arte riconosciute come tali dalla tradizione [quindi continuiamo a citare frasi tedesche che fa 100 punti intellettuale, ma relativamente facili da tradurre ed estratte da un libro ben riconoscibile che sta in tutte le buone biblioteche borghesi]. Il brano riportato è Kitsch non solo perché stimola effetti sentimentali, ma perché tende continuamente a suggerire l'idea che, godendo di questi effetti, il lettore stia perfezionando una esperienza estetica privilegiata..."
"...definiremo, in termini strutturali, il Kitsch come lo stilema avulso dal proprio contesto, inserito in un altro contesto la cui struttura generale non ha gli stessi caratteri di omogeneità e di necessità della struttura originaria [una pagina di Thomas Mann in un disco pop anni '90, con un solista mongolo in sottofondo e Ferretti che fa un atto di presenza completamente inutile], mentre il messaggio viene proposto – in grazie dell'indebita inserzione – come opera originale e capace di stimolare esperienze inedite..."
"Kitsch è l'opera che, per farsi giustificare la sua funzione di stimolatrice di effetti, si pavoneggia con le spoglie di altre esperienze, e si vende come arte senza riserve".
56. Quel paese che ti somiglia tanto
11-07-2022, 02:17Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, oggi con un collage steampunk, una grande incompiuta, una versione di Baudelaire che fa un po' ridere e un'altra che assomiglia inopinatamente a Come on baby light my fire. Certo che non ci si annoia con le canzoni di Battiato].
1974: Rien ne va plus: andante (#211)
Lo steampunk è "un filone della narrativa fantastica, e più nel dettaglio di quella fantascientifica, che introduce una tecnologia anacronistica all'interno di un'ambientazione storica". In un certo senso Rien ne va plus è il brano steampunk di Battiato: è una Ethika Fon ethica ambientata a fine Ottocento, quasi Nove, come se qualcuno al tempo avesse inventato un registratore di suoni decente e fosse andato in giro per i boulevard, intrufolandosi nel primo salotto che trovava per captare tracce sonore di concerti, lezioni di danza, applausi e risatine. Benché da nessuna parte vi sia un richiamo a Proust, è l'unico autore di quel periodo che Battiato ha mai citato: se si tratta di un omaggio, è davvero il meno retorico che gli potesse rendere. È un brano a cui Battiato deve aver lavorato molto (non era così facile montare dei rumori in quegli anni) per ottenere un risultato che ancora oggi possiamo scambiare per un'intercettazione ambientale: una specie di viaggio del tempo sonoro. Magari è il motivo per cui decise di includerlo nell'antologia Feedback, un disco della collezione economica Ricordi che per molto tempo sarebbe stato l'unico segno tangibile del Battiato anni '70 nei negozi di dischi.
1998: Stage Door (Battiato/Sgalambro, #174)
1999: Invito al viaggio (Battiato, Baudelaire, Sgalambro, #83)
Rovinò lungo la china. Solo chi ha un destino rovina. Niente è come sembra è uno di quei singoli del tardo Battiato che somigliano a qualcosa ma non riesco a capire cosa (un altro esempio è Tutto l'universo ubbidisce all'amore). La sensazione è probabilmente causata dal fatto che assomigliano a 'tante' cose: il ritornello di Niente è come sembra in particolare è imbastito su quella cadenza IV-V-I tipica di così tanti brani che diventa ozioso isolarne uno: Il cielo è sempre più blu? Light My Fire? Quest'ultima, oltre al ritornello replicato tre volte, ha anche la strofa che comincia bizzarramente sull'accordo di sesta in minore, proprio come Niente è come sembra, il che forse spiega perché ogni volta che mi metto a pensare a cosa mi ricorda questo brano così traboccante di saggezza orientale, mi si piazza davanti Jim Morrison che si struscia la patta contro l'asta del microfono. Ma sono sicuro che c'è una canzone molto più somigliante – cercare i plagi musicali è come cercare la lettera rubata di Poe, è inutile frugare nei minimi angoli, è molto più probabile che si tratti di qualcosa di evidentissimo, qualcosa che ti sfugge proprio da tanto che è evidente. E forse alla fine l'ho trovata. Mi ha messo sulla pista giusta il brano finale dello stesso album, Stati di gioia, che negli ultimi secondi cita i Beatles: She loves you yeah yeah yeah. No, Niente è come sembra non assomiglia a She Loves You, neanche per sbaglio. Ma è una canzone che dice anche Niente è reale... ricorda qualcosa? Era Lennon a cantare "Nothing is real", in Strawberry Fields Forever. E anche in Strawberry nel ritornello compare la cadenza IV-V-I, anche se non è il momento in cui canta "Nothing is real" . Questa ipotesi, mi rendo conto, è inficiata dal fatto che prima di glossare le canzoni di Battiato ho passato due anni a glossare le canzoni dei Beatles e questo mi ha impedito di scoprire altri mondi musicali da cui magari Battiato ha preso la stessa cadenza. In fondo niente è come sembra.
55. Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia
10-07-2022, 00:43Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara, oggi molto difficile per me, con due tra i miei brani preferiti di Battiato e nessuno dei due è Up Patriots to Arms].
1974: Da oriente a occidente (#147)
Padre, fammi partire. Tutto ciò che resta di un abbozzo di concept album su una civiltà che vive nel cono di un vulcano sopravvive nell'ultimo brano di Sulle corde di Aries, un pezzo che ancora una volta si inserisce felicemente nell'immaginario prog-rock dei primi anni '70 (mondi immaginari tra medioevo e futurismo, viaggi fantastici) ma tradisce anche il vissuto del cantautore emigrato al nord, qui impegnato in uno scontro immaginario col padre che resta un unicum nella sua produzione ("mi appare in sogno Venere, tu padre, che ne sai?"). Di solito non ci facciamo caso, ma l'Italia ha una sagoma in gran parte diagonale: quel viaggio che siamo portati a definire da sud a nord, è anche un viaggio da oriente a occidente. Probabilmente è il più riuscito tra i brani in cui la ricerca musicale di Battiato si rivolge a un passato ancestrale, qui più vicino al medioevo mediterraneo che all'Asia: non solo gli strumenti tradizionali (tabla, mandolino), ma anche e soprattutto il synth suona come un arcano strumento del passato. Poche canzoni cominciano con un verso bello quanto "riduci le stelle in polvere".
1980: Up Patriots to Arms (#19)
Alla riscossa stupidi, che i fiumi sono in piena! Potete stare a galla! Può darsi che sia tutto dipeso da una mera congiuntura economica, ovvero: a fine anni Settanta la gente compra sempre più 33 giri. Più ne stampi più la gente li compra, stava succedendo in tutto l'Occidente. C'è mercato per tutto, per la disco e per il punk e per lo yacht rock e per qualsiasi cosa che ti venga in mente di proporre, bisogna farsi venire in mente idee alla svelta, qualsiasi idea, bisogna vegliare alla stazione perché in qualsiasi momento può passare quel treno carico di frutti. Alcuni passavano di lì per caso, sono saliti al volo e sono ancora lì dopo quarant'anni che non credono al culo che hanno avuto. Altri erano farabutti senza arte né parte, gente alla ricerca di soldi facili e non solo riuscirono a farli, ma incisero anche dischi decenti, talvolta geniali, era un periodo così (c'erano anche ottimi musicisti cresciuti negli anni del prog in grado di lasciare impronte indelebili negli arrangiamenti). Altri erano onesti lavoratori che dopo anni di gavetta, finalmente coglievano il frutto del loro meritato eccetera – altri avevano passato buona parte del decennio immersi in cose non chiare nemmeno a loro, avanguardie artistiche, meditazione e/o esoterismi e/o musica elettronica, e però se c'era un momento in cui persino loro avrebbero potuto mettersi sul mercato e far soldi, quello era il momento, e Franco Battiato lo azzeccò.
Per questo Up Patriots to Arms mi fa un po' incazzare, come quando leggi i classici di qualche perduta età dell'oro e ti accorgi che non fanno che lamentarsi anche loro del tramonto dei costumi e dell'imbecillità dei giovani. Il Battiato che canta "la musica contemporanea mi butta giù" sta vivendo negli anni più vivaci della storia della musica italiana. Il momento in cui da avanguardista con velleità stockhauseniane si ritrova a sbancare le classifiche e vincere Sanremo (da autore) è lo stesso in cui Dalla da interprete diventa cantautore, De Andrè da cantautore assurge a nume tutelare della world music, Paolo Conte da autore si trasforma in uno spettacolo d'arte varia, Lucio Battisti anche lui si evolve in qualcosa che sinceramente devo ancora capire, De Gregori da cantautore duro e puro diventa l'autore della Donna Cannone, Vasco Rossi azzera il concetto di rock italiano, i Matia Bazar, gli Skiantos, Fossati, Bennato, Finardi, Giurato, insomma tra il 1978 e il 1984 succede qualcosa di incredibile e, mi dispiace, mai più successo. È un periodo straordinario non soltanto per la quantità di talento rilevato – anzi può darsi che in altri periodi ne sia stato scoperto di più, allo stato brado – ma per il modo in cui tantissimi artisti anche di punta decidono di stravolgere la propria carriera, ognuno per una serie di motivi non sempre e del tutto chiari ma alla fine può darsi che tutto sia dipeso da una mera congiuntura economica: da qualche parte c'era un enorme mucchio di soldi che poteva piovere sul primo che azzeccava una formula diversa. Non è che fosse proprio una gara a chi arrivava primo, ma alla boa del milione di copie in ogni caso arrivò primo Battiato, pochi mesi dopo aver chiamato alle armi contro l'imbecillità dilagante. In un certo senso Up Patriots è il brano più punk che ha scritto, se vogliamo riassumere l'attitudine punk nel mostrare il dito allo status quo; è anche il brano più new wave, che ha scritto, almeno nella versione del 1980. Ma a drizzare le antenne è anche il brano più disco, è da lì che viene quella progressione Sol-La-Si tutta in maggiore (che poi riprenderà nella Stagione dell'amore e, con una variante, sul finire del ritornello di Centro di gravità). È un Battiato che ci disprezza e nello stesso momento le sta provando tutte per piacerci, e allo stesso tempo se ne rende conto e si disprezza a sua volta. Per dirlo con parole sue (che non sono affatto sue, ma lo diventano nel suo più geniale cut-up): chi vi credete che noi siamo, con i capelli che portiamo? Noi siamo delle lucciole che stanno nelle tenebre. Molto prima che Sgalambro lo convincesse a usare in una canzone la parola "puttana", Battiato lo aveva chiarito a modo suo: chi credete che io sia, coi miei modi da profeta? Avanti patrioti, alzate le barricate. Armatevi e partite.
2000: The age of hermaphrodites (#238)
L'abisso originale, l'autonomia dell'infertile. The age of hermaphrodites è il brano di Campi magnetici che più facilmente si imprime nella memoria dell'ascoltatore. In parte per l'efficacia del collage rumorista della prima parte, con cori campionati e disturbi elettrostatici. In parte per la melodia centrale, che sorge dal silenzio del rumore come un carillon e ci ricorda per la prima volta che quello che stiamo ascoltando sarebbe un balletto. Nei sei minuti di The age ritroviamo sovrapposte le numerose incarnazioni del Battiato compositore, al punto che se qualcuno avesse solo sei minuti per spiegare che musica faceva Battiato quando non cantava, non si potrebbe consigliare una traccia più esauriente di questa. Ci si sente il rumorismo di Clic, i collage sonori di Za. i cori di Juke Box, il minimalismo dell'Egitto, persino una vaghissima traccia di quell'impulso alla tarantella che venava i primi dischi prog.
2012: Caliti junku (Battiato/Sgalambro, #110)
Milioni di anni luce, la legge che esprime si illumina di cielo. Mindfulness, la forma è sostanza, la forma è sostanza, mentre il vento mi porta improvvise allegrie.
Cosa sta dicendo?
Quello che sto per scrivere potrebbe essere sgradevole. Chi ha familiarità con l'alzheimer a volte ha questa sensazione, che più che una sindrome si tratti di un destino. C'è quel tipo di persona che per anni ti ha incantato per la sua intelligenza scoppiettante, per come sapeva passare da un aneddoto a un ricordo a una teoria scientifica a una canzone sempre tirando un filo che riusciva a non perdere mai, ecco, è orribile, proprio quel tipo di persona a un certo punto il filo lo smarrisce, o vede fili dappertutto, i racconti si ingarbugliano e il presente scompare. Può succedere molto, molto tempo prima che arrivi una diagnosi. Caliti junku parte dalla celeberrima aria Che farò senza Euridice di Christoph Willibald Gluck; Prosegue confrontando due proverbi; uno è per aspera ad astra, l'altro è cinese o tibetano ma potrebbe essere anche arabo o siciliano e dice così: chinati giunco, che passa la piena. Chinati giunco, da sera a mattina. Non è che tutto questo non abbia un senso. Non è che Battiato e Sgalambro non ci abbiano già abituato a spettacolari salti dal palo alla frasca. Battiato si è sempre espresso in modo frammentario e apodittico, ha sempre giocato a cortocircuitare i significati accostando manufatti culturali diversissimi. Cos'è cambiato quindi? Niente, o poco, appena una sensazione, o forse siamo cambiati noi, siamo diffidenti e abbiamo paura della nostra stessa diffidenza, abbiamo paura di voltarci e scoprire che Battiato non è più lucido, che Euridice non c'è più. Nella seconda strofa esplode tutto, e il brano diventa la cosa più rock di tutto Apriti Sesamo, con l'intervento di Chiara Vergati che canta all'unisono con Battiato, in inglese. Si lamentano dei tempi violenti. Rifugiamoci nella vuota essenza, dicono.
54. Il giorno della fine non ti servirà l'inglese
09-07-2022, 00:42Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, dove scopriremo che Sgalambro disprezza le foreste, Battiato non esclude, in una vita precedente, di essere stato un mantello, Strauss in quattro quarti non è comunque ballabile e il re del mondo ci tiene prigioniero il cuore – di quest'ultima cosa avevate già più che un sospetto, credo].
1979: Il re del mondo (Battiato/Pio, #51)
Un giorno in cielo fuochi di Bengala: la pace ritornò. È un ricordo? Battiato è nato un mese prima della Liberazione. La guerra, per la sua generazione, è un ricordo ancestrale, di figli della catastrofe, molto spesso ricostruito a posteriori e rivissuto con uno strano senso di appartenenza. Battiato ha davvero sentito gli aerei angloamericani rombare sulla piana di Catania? Senz'altro li ha sentiti nel dopoguerra, Sigonella è vicinissima a Jonia. Quanto al "re del mondo", è una suggestione ripresa da René Guénon, nello stesso disco in cui Battiato aveva sentito la necessità di prendere le distanze dall'"esoterismo di René Guénon": l'ipotesi di un'autorità cosmica che regola le nostre vite e forse ci impedisce di godercele pienamente.
Battiato andava molto orgoglioso del Re del mondo. Ancora anni dopo raccontava che "molti poeti" lo avevano chiamato per congratularsi per il distico iniziale: strano come il rombo degli aerei da caccia un tempo stonasse con il suono dei gerani sui balconi. Come aveva fatto questo ex cantante ex musicista sperimentale a uscirsene all'improvvisto con un testo tanto profondo e tanto riuscito? È più o meno lo stesso enigma che due anni prima aveva posto agli ascoltatori Lucio Dalla col suo primo disco da cantautore, Com'è profondo il mare. Sia Battiato che Dalla per molti anni avevano scritto ben poche parole: verso la fine dei Settanta all'improvviso si ritrovano autori di alcuni testi di grandissimo valore, senza capire bene come sia successo. "Io rispondevo che le frasi erano venute così, senza particolare rovello. Senza impegno metodologico". Che forse è anche il motivo per cui sia Dalla sia Battiato non riusciranno a replicare il miracolo: continueranno a scriversi i testi ma Dalla non supererà mai l'exploit di Corso Buenos Aires, e anche Battiato forse non ha più scritto qualcosa come "sulle biciclette verso casa la vita ci sfiorò".
Una prova della predilezione di FB per il brano è la decisione di reinciderlo nel 1985 in Mondi lontanissimi, nella versione per tastiere Roland e orchestra che in quel periodo stava approntando per i dischi in inglese e spagnolo. La decisione lascia supporre che Battiato non condividesse del tutto le scelte operate nel 1979 dalle maestranze di Alberto Radius, chiamato dalla EMI per risollevare il destino commerciale dell'Era del cinghiale bianco. Eppure una delle ragioni del fascino del Re del mondo stava proprio nella linea di basso di Julius Farmer, obliqua e ipnotica, che nella versione del 1985 non si sente più. Le successive versioni live hanno parzialmente corretto l'errore, riconoscendo il contributo di Farmer.
1995: Moto browniano (Battiato/Sgalambro, #206)
Stavo giusto riflettendo di come la battiatistica sia una branca del sapere in teoria già piuttosto sviluppata – in una buona biblioteca ci sono già abbastanza volumi da tenere una mensola, e continuano a uscirne, ad esempio quest'anno ne ha scritto uno Scanzi, il che fa riflettere, perché è stato un anno piuttosto ricco di avvenimenti ma lui comunque ha preferito uscire con un suo studio su Battiato (l'ho trovato in libreria e ho aperto su una pagina a caso. Parlava di Scanzi). E malgrado questo ho la sensazione che siamo ancora alla superficie, ad esempio si può essere veri battiatisti senza aver letto Gurdjeff? E Thomasson? E Sgalambro? No, non si può – e tuttavia la vita è così breve, la civiltà occidentale ha i giorni contati, nel giorno della fine avremo veramente bisogno di una battiatistica così sofisticata? Non lo so, ma a volte ho la sensazione di scrivere sciocchezze che nessuno comunque è abbastanza competente da correggermi. Per esempio, qui Battiato confessa: Provo sdegno verso alberi e fogliami, foreste onnipossenti. E già ci immaginiamo uno Sgalambro-Nonno-Simpson che alza il bastone sul povero boschetto innocente. Ma sarà tutta colpa del filosofo? Nel suo "aforisma" (perché lui scrive aforismi, capite, mica pensierini), in realtà Sgalambro scrive "Porto un certo sdegno verso alberi, verdi fogliami, foreste onnipossenti e festose". Ok, è simile, ma non è proprio la stessa cosa. E se gran parte dell'umorismo involontario che m'impedisce di ascoltare le canzoni di sgalambro non derivasse dalla prosa di costui, ma dalle scelte che Battiato compie sui suoi testi? Non lo so, non mi pare, ma per verificarlo dovrei veramente leggermi tutti quegli adelphini che francamente pure Nietszche impacchettato in quel modo m'indisponeva, non credo che ne sarei in grado. E temo che nemmeno Scanzi sia in grado. Quindi? Siamo veramente competenti per capire quel che cercavano di fare questi due matti con Moto browniano? No, forse no. Ci lasciamo sedurre dal titolo, ci pare che il modo di salmodiare di Battiato su un tema sfuggente non si allontani molto dal moto browniano delle particelle; rileviamo l'amore per i "paesaggi lunari, spugnosi, dove la massa pietrosa giace inerte", in anticipo su Tabula Rasa Elettrificata, insomma tra Sgalambro e Ferretti c'era una convergenza insospettabile. E Fabio Zuffanti nota verso il secondo minuto una scala che si sentiva anche nel terzo movimento del live del Telaio magnetico, ecco se dovete scegliervi un battiatologo direi che Zuffanti fin qui non teme rivali (di sicuro non teme Scanzi).
1998: Il mantello e la spiga (Battiato/Sgalambro, #78)
E fosti pure un'ape delicata, il gentile mantello che coprì le spalle di qualcuno. No, aspetta, come sarebbe a dire il gentile mantello? Cioè adesso ci reincarniamo anche negli oggetti? Oppure era un mantello di pelliccia di un animale, ma quando è morto l'animale non funziona che l'anima si reincarna subito in qualcos'altro, un insetto o un filosofo talattico?, cioè capisco che non bisogna schiacciare la formica che potrebbe essere mio zio, ma adesso che faccio, devo stare attento anche ai mantelli e ai capi di vestiario in generale?
Non c'entra necessariamente molto, ma riascoltando Il mantello e la spiga mi viene in mente quella storia di Giovanni Lindo Ferretti che torna dalla Mongolia con tante idee per un disco etnico, poi va a vedere cosa stanno preparando i restanti CSI e li trova da qualche parte in una cascina o in una malga che stanno suonando del rock peso neanche fosse il '91, sicuramente non il '77, e sulle prime resta scettico, cioè secondo voi adesso io dovrei mettermi a urlare al microfono dei ritornelli rock? Ormai ci ho un'età. In effetti aveva già passato i 45 anni. Battiato ne aveva almeno dieci di più. Il mantello è uno dei tutto sommato pochi suoi brani che risentono chiaramente dell'influenza dei CSI, vuoi perché quella Tabula Rasa uscita l'anno prima gli era piaciuta molto, vuoi per una convergenza evolutiva che attraverso percorsi diversi portava artisti di generazioni diverse allo stesso punto, e il punto era un rock lento, sferragliante e monocorde. Certo, molti ci sono affezionati, più o meno quelli che avevano dai 25 anni in su in quel momento. Ed esclusivamente in Italia; globalmente la musica leggera stava prendendo altre direzioni, il rock si stava prendendo una grossa pausa tra il grunge e un ritorno di fiamma negli anni Zero. Battiato, che in tutta la sua carriera al rock si era concesso poco, era più aggiornato quando ascoltava i Prodigy o gli Underworld. Ma in Italia nel '97 i CSI si erano presi il primo posto in classifica (ok, in agosto), la causa o il primo effetto di un bizzarro anticiclone in cui si fece coinvolgere anche FB. Forse un equivoco: per tre o quattro anni abbiamo deciso che la musica del futuro non sarebbe poi suonata molto diversa da quella della nostra infanzia. Non aveva senso da nessun punto di vista, né commerciale né esistenziale né estetico. Una vague in controtempo che forse rifletteva la difficoltà di una generazione a uscire di casa: alla fine tutti i protagonisti avevano più di trent'anni.
Fare il verso ai CSI, comunque, non era difficile: bastava salmodiare su una nota sola, rallentare il tempo e alzare il volume alla chitarra, Battiato ne era senza dubbio in grado. Lo stesso Sgalambro consegna un testo ferrettiano senza apparente sforzo – quel "Lascia tutto e seguiti" così lapidario anche se poi alla fine cosa vuol dire? Niente, quello che deve accadere accade, chi è stato è stato e chi non è non è, e così via. Sembrava saggezza, vabbe', eravamo giovani. No, non eravamo nemmeno così giovani.
2002: Beim Schlafengehen (Richard Strauss, #179)
Può darsi che il primo volume di Fleurs sia stato uno di quei colpi di genio e fortuna così imprevisti che finiscono per danneggiarti. Dopo aver inciso con relativa rapidità e facilità uno dei suoi lavori migliori (e più venduti), Battiato potrebbe essersi fatto tentare dalla possibilità di riprovarci pochi anni dopo riducendo ulteriormente gli sforzi. In fondo che ci voleva? Basta scegliere nelle canzoni, cantarle con cura, e un disco si fa. Massima resa per minima spesa. Questo spiegherebbe come mai il secondo volume di Fleurs appaia un lavoro così sbrigativo, in cui si accumulano una serie di scelte che è difficile non definire sciatterie – che ci fa la drum machine in questo Lied, per esempio, cosa porta di interessante? Alla fine dell'album, quando come di consueto arrivano i brani più eccentrici, Battiato vuole dimostrare che anche Richard Strauss può funzionare con un bel quattro quarti ballabile? Se l'idea era trasformare completamente il Lied in un pezzo elettronico, magari techno, deve essersene stancato, lasciando il progetto a metà: sembra ancora un Lied, ma con questa traccia di batteria da discount che indispone dal primo secondo (e che no, non lo rende ballabile)
53. Le mie mani diventano squame!
08-07-2022, 00:14Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con quattro titoli in cinque lingue diverse e molto impero romano].
1973: Plancton (#142)
I miei capelli diventano alghe! Amare Battiato, si fa presto a dire amare Battiato, ma a che punto? Al punto in cui ti mettevi a letto con la cassettina di Feedback nel walkman sotto le lenzuola e quando i capelli diventavano alghe ti venivano i brividi? Perché questo, per esempio, è amare Battiato. Pollution è il disco maggiormente combattuto tra le due anime dei primi '70, prog e sperimentale. La sperimentazione non si è ancora (del tutto) ammantata di quelle istanze metapsichiche e intellettualoidi che interverranno in seguito: è ancora basata sull'esplorazione di mezzi tecnici che Battiato sta imparando a manipolare. Il prog nel 1973 in Italia è già un genere codificato, con un suo mercato: non è (sempre) roba raffinata per palati fini, c'è un pubblico vuole essere suggestionato da testi fantascientifici e musiche arcane, è una musica che guarda al futuro ma si carica anche di una gran voglia di riscoprire gli incanti del passato, un'estetica pagana o medievalista che di lì a pochi anni trasformerà Angelo Branduardi in una recalcitrante rockstar da stadio. Battiato a Milano quest'aria la respira, molti anni dopo riprenderà con affetto Impressioni di settembre della PFM, che era il lato B di un altro pezzo di ambientazione medievale, La carrozza di Hans. Insomma l'idea di inserire sonorità arcane e patinate di antico in un disco fantascientifico come Pollution in quel periodo sembrava quasi ovvia ed è il felice paradosso che rende ancora straordinariamente ascoltabile il secondo lato di questo disco strambo: il synth non è un magico congegno che suona qualsiasi cosa tu pretendi, ma un strumento arcano a cui l'artigiano deve strappare faticosamente qualcosa di ascoltabile. Prima FB crea l'atmosfera con chitarre arpeggiate e voci riverberate; poi canta le due strofette inquietanti (che sono davvero la cosa più 'prog italiano' che ha scritto), e infine trasforma la canzone una ipnotica tarantella in cui strumenti tradizionali e sperimentali si sovrappongono senza mescolarsi. Se la riascolto in cuffia a tarda ora, un brivido tuttora mi coglie.
1993: Delenda Carthago (#115)
Ecco una canzone di Battiato che avrebbe potuto assolutamente scrivere Sgalambro: e invece a quanto pare ai tempi di Caffè de la Paix i due ancora non si conoscevano. Eppure i legami tra questo disco e il successivo Ombrello sono talmente forti che non ci resta che considerare lo Sgalambro lirico una specie di evoluzione/involuzione del Battiato lirico. C'è già il riutilizzo del passato con funzionalità metaforiche (l'imperialismo Romano come figura di quello che Bush padre aveva guidato in Iraq nella prima guerra del Golfo); ma a distoglierci dal quattro complessivo c'è il gusto per i dettagli preziosi (il vino fruscia in calici screziati). Davvero, lo si direbbe un testo di Sgalambro, non fosse che quando Sgalambro di cimenterà con lo stesso argomento riuscirà a fare di peggio (vedi il brano qui sotto). Bizzarra per gli standard battiateschi la scelta di impostare tutta la canzone su una progressione di quattro accordi ascendenti, col risultato di farci aspettare per tre minuti una risoluzione che non arriva (i barbari?)
1996: Decline and Fall of the Roman Empire (Battiato/Sgalambro, #243)
1999: La canzone dei vecchi amanti (La chanson des vieux amants, Brel/Jouannest, Del Prete, #14)
52. Hai mai veduto a Borgopanigale un'aurora simile alla boreale
07-07-2022, 00:48Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, ma anche delle canzoni di Manlio Sgalambro, di Giusto Pio, con qualche incursione occasionale delle canzoni di Jacques Dutronc, di Ennio Morricone, perfino delle canzoni di Maurizio Costanzo].
1967: Il mondo va così (Buffoli, Dutronc, Lanzmann, Pagani, #222)
Il mondo va così (da non confondere con Ecco com'è che va il mondo) è una delle cover più interessanti non solo del Battiato anni Sessanta, ma di Battiato in generale. Nel 1966 Jacques Dutronc aveva scalato le classifiche francesi a sorpresa con Et moi et moi et moi, una simpatica canzoncina di sapore boris-viannesco che esprimeva il senso di vertigine dei borghesi francesi della prima generazione postcoloniale: il mondo sta diventando immenso, i cinesi sono addirittura "settecento milioni", e noi e noi e noi con le nostre macchinine e i nostri cagnolini, che aspettiamo l'assegno a fine mese "comme un con de parisien". E qui si vede come sia più complicata di quel che sembra, l'arte di tradurre una canzone in un altra lingua: la canzone nasce dal senso di frustrazione di un ex impero che si riscopre al margine del mondo, ma noi italiani in quel margine ci siamo sempre stati (e se avevamo un impero lo abbiamo completamente rimosso). Un'altra cosa quasi impossibile da trasporre in italiano è l'attitudine di Dutronc, quel "ci penso e poi me ne dimentico, c'est la vie", non a caso blasé e nonchalance sono parole che non traduciamo. A questo punto un'opzione può essere: prendere la musica e scrivere un testo completamente diverso – si ottiene così ad esempio E voi e voi e voi di Gene Guglielmi. Herbert Pagani e Vittorio Buffoli optano per una soluzione diversa, che si adatta così tanto alla sensibilità di Battiato che viene da pensare che quest'ultimo abbia avuto qualche responsabilità (anche se non poteva risultare autore perché non ancora iscritto alla Siae). Tutt'altro che blasé, Battiato assume lo stesso atteggiamento savonarolesco già intravisto nel primo singolo, La torre, con quel "non finisce qui" che a noi italiani ricorda facilmente il "Verrà un giorno" di fra Cristoforo. Perché alla fine il giorno viene: l'altra novità rilevante rispetto all'originale di Dutronc è la prospettiva apocalittica. È una sfumatura espressa non soltanto con le ultime parole del testo ("il mondo va così, forse finisce qui"), ma soprattutto con la musica: la canzone di Dutronc era statica, una serie di strofe ognuna uguale all'altra come i giorni del parigino medio. La versione di Battiato è incalzante come un mondo che ci sta cambiando sotto i piedi: il ritmo accelera, la tonalità sale, quando il livello si fa insostenibile un intermezzo swingeggiante riporta la canzone al punto di partenza, ma dura solo il tempo di prendere fiato. C'è già Franco Battiato, in questa canzone: c'è la sua vocazione a complicarsi la vita prendendo una filastrocca semplice e trasformandola in un'opera di due minuti, che troviamo in tutti i 45 giri degli anni Sessanta tranne nell'unico che riuscì a piazzare in classifica (È l'amore). C'è il dito puntato su una civiltà al tramonto, e l'ammissione di non potersi chiamare fuori. Nel frattempo i cinesi sono più o meno raddoppiati, e Il mondo va così suona ancora più attuale.
1980: Frammenti (Battiato/Pio, #94)
Perché, bella ragazza padovana, ti vuoi fare una comune giù in Toscana? A volte mi domando se Patriots non sia il disco fondamentale non dico per "capire Battiato" (il presupposto sarebbe che non c'è poi molto da capire), ma per interpretarlo in senso postmoderno. In Patriots Battiato gioca ancora allo scoperto, in seguito sarà più sgamato; però se conosci questo disco i successivi li ascolti in un modo diverso: sai di avere davanti un manipolatore, un interpolatore, uno che sta giocando. In Patriots ritorna quel procedimento di cut-up che aveva adottato a partire da Clic, quando i suoi dischi cominciarono a somigliare a un flusso di trasmissioni radiofoniche captate a caso, anche se stavolta il collage è confinato al livello testuale (la musica, nel caso di Frammenti, è il solido rock che Radius ha portato nel progetto con l'Era del cinghiale bianco, sporcato appena dai synth ancora analogici di Battiato). Tutto è citazione, brandello strappato da un palinsesto, che accanto ad brandelli lascia intendere barlumi di significato probabilmente illusori ("i cipressi che a Bolgheri alti e schietti vanno da San Guido in duplice filar hanno veduto una cavalla storna riportare colui che non ritorna"). La cultura è il più delle volte scolastica, c'è Proust ma più spesso Carducci ed è tutto mescolato a banalità colloquiali ("che gran comodità le segretarie che parlano più lingue"). Non è che Battiato non abbia niente da dire, ma è notevole come riesca a dirlo con le parole altrui, anche lise dall'uso.
1996: Memorie di Giulia (Battiato/Sgalambro, #163)
La mia memoria trae fuori i ricordi da un cappello, senza che io sappia perché questo e non quello. Memorie di Giulia è uno dei primi brani composti per L'imboscata (era già pronto nel maggio 1996, quando Battiato lo eseguì sul sagrato del Duomo di Noto). È uno dei più simili ai brani dell'Ombrello, ovvero la musica per quanto ispirata è concepita in funzione del testo di Sgalambro. Il quale testo, purtroppo, è terribile: la classica miscela sgalambriana di immagini un po' kitsch, vecchia scuola ma efficaci ("O memoria perché mi inganni, perché come se fossi vento mi butti questa polvere negli occhi") e comicità involontaria ("accarezzavo le tue ginocchia e il tuo semplice cuore era contento"). Il tutto rifacendosi a Leopardi, come se fosse facile, e in effetti è facile rifarsi a Leopardi e rendersi ridicoli. Probabilmente non è né il tempo né il luogo, ma prima o poi dovremo affrontare questo aspetto: Sgalambro è un cattivo poeta. Ce ne sono sempre stati, ma a volte mi domando se non sia inevitabile trovarne sempre di più, man mano che la tradizione letteraria diventa più pesante da portare sulle spalle, ovvero, mettetevi nei suoi panni: ti è morta un'amica adolescente. Ne vuoi parlare. Giusto, in effetti la poesia serve a questo. Il problema è appunto che in mezzo c'è Leopardi. Puoi far finta di non aver mai letto A Silvia? No, non puoi. Puoi citare Leopardi senza sembrare un piccione su un monumento? Nemmeno. E quindi che fai? La maggior parte di noi smette di scrivere poesie, è andata, ormai gli ultimi posti sono stati presi, Sereni, Zanzotto, Sanguineti, capolinea. Chi rimane? Gli ignoranti veri, gli imbecilli e gli incoscienti. Sgalambro non era affatto ignorante e nemmeno imbecille. Probabilmente Battiato amava la sua incoscienza. Dovrei amarla anch'io, ogni tanto ci provo. In attesa dei barbari che distruggano tutto e poi si può ricominciare da capo con la poesia, la musica, ecc. (Molti barbari non sanno di esserlo, credono anzi di essere sulla frontiera ad aspettarli, tipo Stilicone, o Baricco. O Sgalambro, appunto).
2015: Se telefonando (Costanzo/De Chiara/Morricone, #35)
"Ho voluto rendere giustizia a quella canzone. Quando venne pubblicata io lavoravo in corso Vittorio Emanuele, a Milano. La sentii e ne rimasi sconvolto e affascinato. E fui molto deluso quando scoprii che era sparita dalle classifiche poco dopo essere entrata soltanto al quindicesimo posto. Una vera ingiustizia". Vedi come mille soddisfazioni nella vita non riusciranno mai a ripagarti di un singolo torto subito nella giovinezza? Voglio dire, come si fa nel 2015 a essere arrabbiati perché nel 1966 Se telefonando non aveva venduto molto? E non importa cos'è successo dopo – le mille volte che l'abbiamo sentita in radio e a techetechté, le ottocentomila cover tutte di successo (quella di Battiato sta tra i Delta Vu e Nek, e funziona come richiamo all'ordine: no, non è un ballabile, è un Lied, un capolavoro minimalista di tre note, una strofa e due ritornelli). Ma non importa, nel 1966 non piaceva abbastanza e questa cosa cinquant'anni dopo è ancora per Battiato una vergogna. Forse ogni uomo di successo continua a struggersi per una rabbia patita da ragazzino? Forse nello stesso Battiato, celebrato maestro, continuava a scalciare il fattorino che consegnava i pacchi di Nuova Enigmistica Tascabile, con allegato i 45 giri incisi da lui.
(Se telefonando è un paradosso, una persona che grida a un'altra persona la sua impossibilità di comunicare con lui, l'istantanea di un pusillanime che non ha il coraggio di lasciare una persona neanche al telefono, una canzone che è impossibile non immaginare rivolta a sé stessi, perché la persona a cui è destinata non è previsto che l'ascolti. L'esatto opposto della protagonista di Insieme a te non ci sto più, che ti lascia col sorriso in faccia e vuole pure convincerti che non ti sta facendo male. Battiato ha cantato meglio Insieme a te, ma è più facile immaginarselo mentre non ti telefona e si strugge dentro).
51. E ciascuna ragion mi pare torto
06-07-2022, 01:13Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato. Oggi andiamo alla ricerca delle radici e troviamo, tra le altre cose, Bandiera Gialla, un lirico sodomita del Duecento, Alan Sorrenti e il Fatto Quotidiano].
1967: Triste come me (Medini, Buffoli, Alicata, #227)
Triste come me è il lato B del secondo singolo di Battiato (Il mondo va così), l'ultimo con l'etichetta Jolly che malgrado il sostegno di Gaber questi dischi non riusciva proprio a venderli. È una delle canzoni meglio riuscite a FB negli anni Sessanta: abbandonato il maledettismo della Torre e delle Reazioni, non ancora abbracciato il sentimentalismo stagionale dei successivi 45 giri targati Philips, qui il cantante è semplicemente triste perché gli amici lo hanno tradito, e lo racconta in una canzone non troppo complicata che si gioca tutto sulla variazione dinamica tra strofa (in tre quarti) e un ritornello che 'esplode' (in 4/4): un trucco che Battiato continuerà a eseguire anche nei singoli successivi, ma con meno leggerezza. Peraltro non è detto che il brano sia suo: tra gli autori non è accreditato in quanto non ancora iscritto alla Siae. Chiunque l'abbia scritto probabilmente conosceva The Pied Piper di Crispin St. Peters (1966): questo almeno spiegherebbe come mai nel 1967, l'anno di Bandiera gialla (che era una cover di The Pied Piper) Battiato si ritrovi a cantare una canzone tematicamente tanto diversa e melodicamente così simile.
1999: Medievale (Battiato, Dietaiuti, Sgalambro, #99)
In qualsiasi album del periodo sgalambriano, Medievale sarebbe uno dei vertici. Probabilmente non sembrerebbe fuori posto nemmeno in quei dischi che sul sito ufficiale battiato.it vengono definiti "discografia classica", un Gilgamesh o un Telesio: ne condivide almeno uno stilema, la sovrapposizione di voce naturale e voce impostata (Battiato si fa doppiare dal sopranista Simone Bartolini). Seminascosto verso la fine di Fleurs, sembra un falso indizio: chi sta coverizzando Battiato stavolta? L'autore originale è un oscuro poeta fiorentino, Bondie Dietaiuti, contemporaneo di Dante e allievo dello stesso maestro: Brunetto Latini. Com'è noto Dante, pur mantenendo un grande rispetto per il maestro, lo colloca all'Inferno tra i sodomiti. Anche Bondie in Amor quando mi membra, sembra alludere all'amore per un ragazzo. La canzone comincia con una cornice idilliaca: Battiato è "sdraiato su un'amaca a prendere il sole leggendo un libro di poesia medievale". Il pianoforte segnala l'inizio della "poesia medievale", forse rivissuta in sogno. Tra le strofe di Dietaiuti, Sgalambro ne inserisce una sua, come un sussulto di veglia tra un sogno e l'altro. Per quanto eccentrica, Medievale contiene in nuce tutto il concetto di Fleurs, e in generale del Battiato liederista, insofferente per i compartimenti stagni della cultura e deciso a sfondarli. La lirica toscana del Duecento, la canzone napoletana dell'Ottocento, i Trenet, i Rolling Stones: tutto è puro a chi è puro, tutto suona bene e non troppo dissimile sull'amaca in cui Battiato medita o sonnecchia.
2002: Le tue radici (Sorrenti, #158)
Può darsi che con Alan Sorrenti FB sentisse di avere una pendenza da saldare. Ai tempi della sua prima vera invettiva, Bandiera bianca, era riuscito a mantenersi nel vago, puntando il megafono contro "stupide galline", "idioti dell'orrore", "abusi di potere", "programmi demenziali con tribune elettorali", tutto un fondale indistinto di imbecillità in cui nessuno poteva riconoscersi. Nessuno tranne uno, e quest'uno era proprio il povero Alan. "Siamo figli delle stelle", cantava Battiato, "pronipoti di sua maestà il denaro" e la frecciata era chiarissima, la capivo persino io che avevo nove anni e alla radio ascoltavo solo il GR2 ma Siamo figli delle stelle la conoscevo e la trovavo un po' troppo commerciale persino io. (Chissà poi come potevo rendermene conto). (No sul serio, il fenomeno di repulsione nei confronti della discomusic è qualcosa che andrebbe studiato; negli USA ovviamente è diventata una manifestazione di razzismo, così come qualsiasi altro fenomeno, ma anche da noi a un certo punto quei violini e quei bassi sono diventati vecchi tutti d'un tratto e senza remissione, e deve essere successo in tempi rapidissimi, una stagione o al massimo due). La vita a volte è ironica, perché La voce del padrone avrebbe finito per vendere un milione di dischi ben prima di Figli delle stelle, dimostrando che il moralismo in Italia è un'industria più solida della disco. Sorrenti poi anche a causa di guai con la giustizia non sarebbe riuscito a staccarsi da quella pagina della storia della musica leggera che eravamo ansiosissimi di voltare (anche se poi la riapriamo spesso), una specie di Disco Stu in carne e ossa italiane. Ma prima del declino inglorioso, lui e Battiato avevano avuto due carriere parallele: entrambi avevano pubblicato una stupefacente opera prima nel 1972 (Sorrenti Aria, Battiato Fetus). Entrambi avevano picchiato il ferro finché era caldo: Battiato con Pollution, Sorrenti con Come un vecchio incensiere). Entrambi avevano avuto la sensazione di smarrirsi intorno al 1974; da questa crisi Sorrenti era uscito quasi per caso attraverso un corridoio stretto che portava alla carriera di artista pop di successo. Battiato aveva preso un corridoio più tortuoso, ma anche lui alla fine si era ritrovato lì. Nel momento in cui decide di pagare un tributo al collega/rivale, è chiaro che sarebbe stato più divertente vederlo cimentarsi proprio con Figli delle stelle, che in fondo ha un testo di cui FB avrebbe saputo rimarcare la dimensione mistica. Ma le pochissime cover che Battiato ha eseguito degli anni Settanta sono quasi esclusivamente canzoni dimenticate, tracce ormai cancellate di percorsi interrotti che forse avrebbero portato in un continente diverso che nessuno ha scoperto. La musica muore di Camisasca, La realtà non esiste di Rocchi, Le tue radici di Sorrenti, sono come i relitti che potrebbero attestare l'esistenza di un'Atlantide musicale, una civiltà di cantautori sapienziali affondata dal diluvio degli anni Ottanta. Purtroppo il relitto di Le tue radici viene dissepolto in Fleurs 3, un disco poco meditato in cui Battiato a volte si accontenta di realizzare una base e cantarci sopra. Sorrenti Le tue radici l'aveva incisa due volte: la prima in un singolo del 1975, ancora decisamente in formato cantautorale; la seconda più ritmata negli anni Ottanta (la cosiddetta "London Version"). Battiato sembra avere in mente l'intensità della prima, ma il ritmo della seconda.
2009: Inneres Auge (#30)
La linea orizzontale ci spinge verso la materia. Quante volte dal suo appartamento milanese, o dalla sua amaca siciliana, questo signore apparentemente nelle nuvole è riuscito ad azzeccare lo Zeitgeist con precisione millimetrica? È un aspetto, questo, che rischia di non essere colto dall'ascoltatore postumo: il modo in cui Pollution prevedeva le ansie dei primi Settanta, Aria di rivoluzione sapeva già di anni di piombo, Bandiera bianca sventolava il segnale del Riflusso, Povera patria praticamente prevedeva Mani Pulite. Anche Inneres Auge, a riascoltarla oggi può fare l'effetto di un'accozzaglia di cose messe assieme nella speranza di intercettare un pubblico più vasto possibile; c'è l'escatologia sgalambriana ("Come un branco di lupi che scende dagli altipiani ululando..."), l'invettiva populista (quella che appare più datata, oggi che Berlusconi è un anziano politico tra i più ragionevoli del centrodestra), una tirata anti-denaro ("Di cosa vivrebbero ciarlatani e truffatori..."), una lezione di meditazione, un sereno auto-invito ad astrarsi dalle bruttezze della contemporaneità e a rifugiarsi nello studio di opere che ci riconcilino col Creato. Tutto questo cantato sulla cassa più dritta mai battuta in una canzone di Battiato – e c'è perfino l'autotune, Battiato nel 2009 usava già l'autotune, Sfera Ebbasta non aveva ancora la patente.
È chiaro che il futuro storico della musica si gratterà il capo perplesso: cosa voleva fare Battiato con Inneres Auge? Si era rincoglionito, cominciava una cosa e poi si metteva a fare qualcos'altro, mentre alla consolle Pinaxa cercava di rendere il tutto commerciabile? A questo futuro storico potrebbe essere utile una nozione: Inneres Auge uscì nel 30 ottobre 2009, e per l'occasione Battiato rilasciò un'intervista al Fatto Quotidiano, un giornale che esisteva da appena un mese, il cui successo di vendite stava rendendo visibile un enorme bacino di lettori il cui odio per Berlusconi ormai era tracimato sugli oppositori politici di Berlusconi, colpevoli di non averlo fronteggiato né in parlamento né in piazza (né nei tribunali). Era una comunità transgenerazionale e transclassista che aspettava che qualcuno la trasformasse in un movimento di opinione: alla fine in mancanza di meglio si accodarono a Grillo, ma Battiato con Inneres Auge li aveva radiografati. Condividevano foschi scenari apocalittici; consideravano Berlusconi un parassita; covavano idee pseudoscientifiche sull'economia che avrebbero preso le forme dell'italexit e dei minibot; praticavano forme di spiritualità di matrice new age e conservavano un'idea della cultura come arcadia accessibile solo ai puri di spirito. Magari non ballavano tutti sulla cassa dritta, ma insomma Battiato, che si era tenuto a prudente distanza dalla politica per tutta la sua carriera, nel 2009 si trova senza preavviso in un movimento che ancora non ha un nome, e ne stila con Inneres Auge un manifesto di una precisione impressionante.
50. Eiacula precocemente l'impero
05-07-2022, 01:20Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la cinquantesima giornata della Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con sarcofagie ed ermeneutiche. Portate pazienza, mangiate molta verdure, non uscite nelle ore più calde, ovvero sempre].
1991: Plaisir d'amour (Martini, #67)
Il piacere d'amore non dura che un momento; la pena d'amore dura tutta la vita. Battiato raccontava di aver selezionato accuratamente e ponderatamente i quattro Lied sul secondo lato di Come un cammello... sarà anche vero per gli altri tre, ma Plaisir d'amour non credo che abbia fatto nemmeno cinque minuti di anticamera. Il pezzo di Martini era un suo pallino da sempre, credo che a un certo punto si senta anche in qualche collage degli anni Settanta (non riesco a ricordare dove); senz'altro lo riascoltiamo da un grammofono gracchiante durante Shakleton. Ma soprattutto Plaisir nel 1983 era diventato l'oggetto di uno dei pazzi esperimenti della ditta Battiato/Pio, che ne avevano arrangiato una versione completamente elettronica per Sibilla, la meno fortunata tra le artiste con cui lavorarono. Che Plaisir avesse potenzialità commerciali era un'ipotesi già abbozzata a inizio anni '60 dagli autori di Elvis, che ne avevano preso in prestito il ritornello per Can't Help Falling in Love.
Eppure al festival di Fermo del 1991, quando Battiato la presenta in un'orchestrazione fortemente debitrice di quella romantica di Hector Berlioz, riesce a scandalizzare più di Elvis, più di Sibilla, semplicemente per la scelta di sostituirsi a un soprano o a un tenore con la propria voce "pop". È una scelta di cui è difficile misurare il coraggio, che va a mettere in discussione un assioma fondamentale della musica classica: se qualcuno canta, deve avere una voce impostata. Sì, ma storicamente l'arte di impostare le voci nasce dalla necessità di sovrastare l'orchestra in un teatro. Nel momento in cui anche i tenori superstar cantano microfonati negli stadi, quale necessità c'è di impostare ancora la voce in quei modi che al profano risultano così innaturali? Battiato non detesta affatto le voci impostate: le ha portate nel pop con gli interventi dei madrigalisti nella Voce del padrone; le ha utilizzate nelle sue opere e in Ferro Battuto lotterà per poter usare un campionamento della Callas, invano. Ma quello che per molti ascoltatori ormai è una questione identitaria (la musica classica richiede voci impostate), per lui non ha senso. Non solo non è un compositore classico convertitosi cantante pop, ma non è nemmeno il contrario: in fondo nella sua traiettoria l'approfondimento dei classici è venuto di pari passo con la scelta di comporre canzoni di successo, tra 1978 e 1979. Non sono due mondi inconciliabili: non sono nemmeno due mondi. Battiato pensa che il pubblico dei suoi concerti pop sia pronto per ascoltare qualche Lied sette-ottocentesco; non c'è poi tutta questa differenza. Non si tratta più di scopiazzare Beethoven, Wagner o Martini: si può mandarli in classifica, basta svecchiarli un po', ma neanche tanto (purtroppo le cose sono andate nel modo opposto: Beethoven e Martini in classifica non ci sono andati; in compenso le voci impostate sono tracimate nel pop: fenomeno sul quale Battiato non ha mai voluto esprimere un parere).
2002: Sarcofagia (Battiato/Plutarco/Sgalambro, #195)
"Come può la vista sopportare l'uccisione di esseri che vengono sgozzati e fatti a pezzi? Non ripugna il gusto berne gli umori e il sangue? Le carni agli spiedi crude... E c'era come un suono di vacche. Non è mostruoso desiderare di cibarsi di un essere che ancora emette suoni?" I vegetariani ci odiano. La maggior parte non lo dà a vedere. Non sono più ragazzini, sanno che ostentare la loro repulsione nei nostri confronti sarebbe controproducente. Così ci sorridono e se siamo al ristorante a volte si scusano persino per le loro stravaganze – mentre ci maledicono in silenzio, noi carnivori cannibali, assassini di massa. Battiato negli anni Zero sembra ormai avere abbandonato le invettive: il personaggio pubblico che gli si è modellato addosso è quello di un amabile maestro di vita che rilascia interviste sempre più generose e sorridenti. Da qualche parte li sotto covava ancora l'antico disprezzatore dei nostri usi e costumi, ma per tirarlo fuori erano necessari espedienti tortuosi. Per esempio in Sarcofagia Sgalambro risale fino al Plutarco acerbo di Sul mangiare carne e ne dà una sua versione, ovviamente un po' sbilenca ("c'era come un suono di vacche"?) Il doppio schermo – Battiato che canta Sgalambro che cita Plutarco – consente a FB di esprimere con una certa franchezza lo schifo che gli facciamo noi carnivori. È il brano più 'rock' di Ferro battuto, ma sembra un'idea di rock più astratta di quella di Gommalacca, meno debitrice alle maestranze della scena alternativa italiana – che nel frattempo si stava sgonfiando.
2004: Ermeneutica (Battiato/Sgalambro, #190)
Gli stati servi si inchinano a quella scimmia di presidente. Quando si riascolta Ermeneutica bisogna sempre avere l'accortezza di ricordare che il presidente-scimmia era Bush Figlio, non il successivo. Sì in effetti è passato molto tempo, ed è passato con velocità variabili: certi dischi sembrano già molto lontani, mentre tutto sommato Dieci stratagemmi non dimostra i suoi diciottanni, mioddio, sono già trascorsi cinque mandati presidenziali negli USA. Quando uscì, Ermeneutica prometteva veramente bene. Era decisamente Battiato, ma sembrava il Battiato più pazzo e futurista da un sacco di tempo in qua. Per Fabio Zuffanti, che ormai posso dirlo, è il Battiatologo più preparato ed enciclopedico: si tratta del brano "musicalmente più complesso mai scritto da Battiato. Pressoché impossibile decifrare infatti la scansione ritmica che si muove su un tempo scomposto che accompagna un tema di sintetizzatore nel quale si staglia la voce del nostro". Il tema in questione è frastornante: sembra oscillare tra maggiore e minore senza riguardo per la nostra basica educazione musicale occidentale. Il testo, ispirato dalla Guerra infinita post 11 settembre, è uno spassionato compianto del tramonto della civiltà, né ci aspettavamo di meno da Sgalambro: ma due o tre immagini le azzecca. Forse Battiato avrebbe dovuto scrivere più follie del genere.
2012: Un irresistibile richiamo (Battiato/Sgalambro, #62)
49. E gira tutto intorno alla stanza
04-07-2022, 09:28Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, oggi molto combattuta perché... ma a chi la racconto, oggi in lizza c'è Voglio vederti danzare e altre tre povere canzoni senza speranza].
1969: Sembrava una serata come tante (Battiato/Logiri, #254)
1972: Meccanica (#126)
Nel secondo lato di Fetus distinguere le tracce comincia a essere complicato. Più di un brano è composto da movimenti diversi e giustapposti, che svelano l'aspetto più sperimentale nel puro senso della parola (FB sta veramente imparando a suonare il nuovissimo synth VCS3) tra cui si distinguono i primi tentativi di trovare un leitmotiv. In Meccanica debuttano alcuni stilemi del Battiato '70: ad esempio il momento in cui il riff elettronico si trasforma in una specie di tarantella. E soprattutto c'è il primo collage di oggetti trovati, anche questo ancora embrionale ma promettente: una discussione tra astronauti montata sul sottofondo dell'Aria sulla Quarta Corda di Bach. La mia ipotesi è che ascoltando Fetus il cervello di qualche funzionario Rai abbia fatto una specie di clic, creando un'associazione inconscia tra il mondo della scienza a quell'Aria che per tutti noi italiani in seguito è diventata in effetti la Sigla di Quark di Piero Angela.
La voce del padrone terminava con un brano che celebrava l'eros in tutte le sue forme; il disco successivo termina con la canzone che celebra la danza. Voglio vederti danzare è la terza canzone più ascoltata di Battiato, almeno su Spotify. È la canzone su cui poggia la fortuna commerciale dell'Arca di Noè (gli altri brani non passavano molto in radio; del resto non uscirono singoli); è un brano che parla di danza ma senza batteria, e nel ritornello si permette persino di sospendere i quattro quarti. Riascoltandola saltuariamente rimango sempre stupito di quanto sia tutto sommato minimale l'arrangiamento, che nella memoria invece è popolato di strumenti e di colpi di scena; può darsi che Voglio vederti avrebbe meritato un'orchestrazione più sontuosa, come quelle della Voce del padrone, e che abbia sofferto dell'insofferenza di Battiato che aveva per le mani una hit pulitissima e ha fatto quanto ha potuto per sporcarla, per mascherarla da pezzo etnico (prima che la world music andasse di moda), per dissuadere i dj dal trasmetterla in radio – come lo spaventi un dj? Di punto in bianco fai partire un valzer che non c'entra niente, se non c'è un valzer adatto lo fai scrivere a Giusto Pio. Voglio vederti danzare è Battiato che balla intorno al feticcio di sé stesso. Avremmo dovuto capirlo e bruciare il feticcio; invece ci siamo messi a ballare pure noi. A nostra parziale discolpa, un brano così cantabile Battiato non l'avrebbe più scritto – odio usare l'aggettivo solare, ma davvero qui Battiato ci sta mostrando un mondo in cui tutti ballano a modo loro. Come altro reagire, se non mettendosi a girare per tutta la stanza? Ci sarebbe stato poi tempo di vergognarci per le nostre piroette sudate, ma in fondo a tutto il nostro imbarazzo restava il segreto orgoglio di sapere che la vita è danza, e che se danzava Battiato anche noi potevamo. Grazie Battiato, sei stato il nostro eroe e il nostro ballerino preferito.
[Tra persone educate non è consentito discutere del remix di Prezioso. Esso non è mai esistito, tra l'altro uno dei motivi per cui sono educate è che hanno paura di andare all'inferno. L'inferno se lo immaginano più o meno come il nostro mondo, ma non puoi spegnere la radio e il dj è Prezioso].
2012: Apriti sesamo (#131)