55. Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia
10-07-2022, 00:43Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara, oggi molto difficile per me, con due tra i miei brani preferiti di Battiato e nessuno dei due è Up Patriots to Arms].
1974: Da oriente a occidente (#147)
Padre, fammi partire. Tutto ciò che resta di un abbozzo di concept album su una civiltà che vive nel cono di un vulcano sopravvive nell'ultimo brano di Sulle corde di Aries, un pezzo che ancora una volta si inserisce felicemente nell'immaginario prog-rock dei primi anni '70 (mondi immaginari tra medioevo e futurismo, viaggi fantastici) ma tradisce anche il vissuto del cantautore emigrato al nord, qui impegnato in uno scontro immaginario col padre che resta un unicum nella sua produzione ("mi appare in sogno Venere, tu padre, che ne sai?"). Di solito non ci facciamo caso, ma l'Italia ha una sagoma in gran parte diagonale: quel viaggio che siamo portati a definire da sud a nord, è anche un viaggio da oriente a occidente. Probabilmente è il più riuscito tra i brani in cui la ricerca musicale di Battiato si rivolge a un passato ancestrale, qui più vicino al medioevo mediterraneo che all'Asia: non solo gli strumenti tradizionali (tabla, mandolino), ma anche e soprattutto il synth suona come un arcano strumento del passato. Poche canzoni cominciano con un verso bello quanto "riduci le stelle in polvere".
1980: Up Patriots to Arms (#19)
Alla riscossa stupidi, che i fiumi sono in piena! Potete stare a galla! Può darsi che sia tutto dipeso da una mera congiuntura economica, ovvero: a fine anni Settanta la gente compra sempre più 33 giri. Più ne stampi più la gente li compra, stava succedendo in tutto l'Occidente. C'è mercato per tutto, per la disco e per il punk e per lo yacht rock e per qualsiasi cosa che ti venga in mente di proporre, bisogna farsi venire in mente idee alla svelta, qualsiasi idea, bisogna vegliare alla stazione perché in qualsiasi momento può passare quel treno carico di frutti. Alcuni passavano di lì per caso, sono saliti al volo e sono ancora lì dopo quarant'anni che non credono al culo che hanno avuto. Altri erano farabutti senza arte né parte, gente alla ricerca di soldi facili e non solo riuscirono a farli, ma incisero anche dischi decenti, talvolta geniali, era un periodo così (c'erano anche ottimi musicisti cresciuti negli anni del prog in grado di lasciare impronte indelebili negli arrangiamenti). Altri erano onesti lavoratori che dopo anni di gavetta, finalmente coglievano il frutto del loro meritato eccetera – altri avevano passato buona parte del decennio immersi in cose non chiare nemmeno a loro, avanguardie artistiche, meditazione e/o esoterismi e/o musica elettronica, e però se c'era un momento in cui persino loro avrebbero potuto mettersi sul mercato e far soldi, quello era il momento, e Franco Battiato lo azzeccò.
Per questo Up Patriots to Arms mi fa un po' incazzare, come quando leggi i classici di qualche perduta età dell'oro e ti accorgi che non fanno che lamentarsi anche loro del tramonto dei costumi e dell'imbecillità dei giovani. Il Battiato che canta "la musica contemporanea mi butta giù" sta vivendo negli anni più vivaci della storia della musica italiana. Il momento in cui da avanguardista con velleità stockhauseniane si ritrova a sbancare le classifiche e vincere Sanremo (da autore) è lo stesso in cui Dalla da interprete diventa cantautore, De Andrè da cantautore assurge a nume tutelare della world music, Paolo Conte da autore si trasforma in uno spettacolo d'arte varia, Lucio Battisti anche lui si evolve in qualcosa che sinceramente devo ancora capire, De Gregori da cantautore duro e puro diventa l'autore della Donna Cannone, Vasco Rossi azzera il concetto di rock italiano, i Matia Bazar, gli Skiantos, Fossati, Bennato, Finardi, Giurato, insomma tra il 1978 e il 1984 succede qualcosa di incredibile e, mi dispiace, mai più successo. È un periodo straordinario non soltanto per la quantità di talento rilevato – anzi può darsi che in altri periodi ne sia stato scoperto di più, allo stato brado – ma per il modo in cui tantissimi artisti anche di punta decidono di stravolgere la propria carriera, ognuno per una serie di motivi non sempre e del tutto chiari ma alla fine può darsi che tutto sia dipeso da una mera congiuntura economica: da qualche parte c'era un enorme mucchio di soldi che poteva piovere sul primo che azzeccava una formula diversa. Non è che fosse proprio una gara a chi arrivava primo, ma alla boa del milione di copie in ogni caso arrivò primo Battiato, pochi mesi dopo aver chiamato alle armi contro l'imbecillità dilagante. In un certo senso Up Patriots è il brano più punk che ha scritto, se vogliamo riassumere l'attitudine punk nel mostrare il dito allo status quo; è anche il brano più new wave, che ha scritto, almeno nella versione del 1980. Ma a drizzare le antenne è anche il brano più disco, è da lì che viene quella progressione Sol-La-Si tutta in maggiore (che poi riprenderà nella Stagione dell'amore e, con una variante, sul finire del ritornello di Centro di gravità). È un Battiato che ci disprezza e nello stesso momento le sta provando tutte per piacerci, e allo stesso tempo se ne rende conto e si disprezza a sua volta. Per dirlo con parole sue (che non sono affatto sue, ma lo diventano nel suo più geniale cut-up): chi vi credete che noi siamo, con i capelli che portiamo? Noi siamo delle lucciole che stanno nelle tenebre. Molto prima che Sgalambro lo convincesse a usare in una canzone la parola "puttana", Battiato lo aveva chiarito a modo suo: chi credete che io sia, coi miei modi da profeta? Avanti patrioti, alzate le barricate. Armatevi e partite.
2000: The age of hermaphrodites (#238)
L'abisso originale, l'autonomia dell'infertile. The age of hermaphrodites è il brano di Campi magnetici che più facilmente si imprime nella memoria dell'ascoltatore. In parte per l'efficacia del collage rumorista della prima parte, con cori campionati e disturbi elettrostatici. In parte per la melodia centrale, che sorge dal silenzio del rumore come un carillon e ci ricorda per la prima volta che quello che stiamo ascoltando sarebbe un balletto. Nei sei minuti di The age ritroviamo sovrapposte le numerose incarnazioni del Battiato compositore, al punto che se qualcuno avesse solo sei minuti per spiegare che musica faceva Battiato quando non cantava, non si potrebbe consigliare una traccia più esauriente di questa. Ci si sente il rumorismo di Clic, i collage sonori di Za. i cori di Juke Box, il minimalismo dell'Egitto, persino una vaghissima traccia di quell'impulso alla tarantella che venava i primi dischi prog.
2012: Caliti junku (Battiato/Sgalambro, #110)
Milioni di anni luce, la legge che esprime si illumina di cielo. Mindfulness, la forma è sostanza, la forma è sostanza, mentre il vento mi porta improvvise allegrie.
Cosa sta dicendo?
Quello che sto per scrivere potrebbe essere sgradevole. Chi ha familiarità con l'alzheimer a volte ha questa sensazione, che più che una sindrome si tratti di un destino. C'è quel tipo di persona che per anni ti ha incantato per la sua intelligenza scoppiettante, per come sapeva passare da un aneddoto a un ricordo a una teoria scientifica a una canzone sempre tirando un filo che riusciva a non perdere mai, ecco, è orribile, proprio quel tipo di persona a un certo punto il filo lo smarrisce, o vede fili dappertutto, i racconti si ingarbugliano e il presente scompare. Può succedere molto, molto tempo prima che arrivi una diagnosi. Caliti junku parte dalla celeberrima aria Che farò senza Euridice di Christoph Willibald Gluck; Prosegue confrontando due proverbi; uno è per aspera ad astra, l'altro è cinese o tibetano ma potrebbe essere anche arabo o siciliano e dice così: chinati giunco, che passa la piena. Chinati giunco, da sera a mattina. Non è che tutto questo non abbia un senso. Non è che Battiato e Sgalambro non ci abbiano già abituato a spettacolari salti dal palo alla frasca. Battiato si è sempre espresso in modo frammentario e apodittico, ha sempre giocato a cortocircuitare i significati accostando manufatti culturali diversissimi. Cos'è cambiato quindi? Niente, o poco, appena una sensazione, o forse siamo cambiati noi, siamo diffidenti e abbiamo paura della nostra stessa diffidenza, abbiamo paura di voltarci e scoprire che Battiato non è più lucido, che Euridice non c'è più. Nella seconda strofa esplode tutto, e il brano diventa la cosa più rock di tutto Apriti Sesamo, con l'intervento di Chiara Vergati che canta all'unisono con Battiato, in inglese. Si lamentano dei tempi violenti. Rifugiamoci nella vuota essenza, dicono.
54. Il giorno della fine non ti servirà l'inglese
09-07-2022, 00:42Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, dove scopriremo che Sgalambro disprezza le foreste, Battiato non esclude, in una vita precedente, di essere stato un mantello, Strauss in quattro quarti non è comunque ballabile e il re del mondo ci tiene prigioniero il cuore – di quest'ultima cosa avevate già più che un sospetto, credo].
1979: Il re del mondo (Battiato/Pio, #51)
Un giorno in cielo fuochi di Bengala: la pace ritornò. È un ricordo? Battiato è nato un mese prima della Liberazione. La guerra, per la sua generazione, è un ricordo ancestrale, di figli della catastrofe, molto spesso ricostruito a posteriori e rivissuto con uno strano senso di appartenenza. Battiato ha davvero sentito gli aerei angloamericani rombare sulla piana di Catania? Senz'altro li ha sentiti nel dopoguerra, Sigonella è vicinissima a Jonia. Quanto al "re del mondo", è una suggestione ripresa da René Guénon, nello stesso disco in cui Battiato aveva sentito la necessità di prendere le distanze dall'"esoterismo di René Guénon": l'ipotesi di un'autorità cosmica che regola le nostre vite e forse ci impedisce di godercele pienamente.
Battiato andava molto orgoglioso del Re del mondo. Ancora anni dopo raccontava che "molti poeti" lo avevano chiamato per congratularsi per il distico iniziale: strano come il rombo degli aerei da caccia un tempo stonasse con il suono dei gerani sui balconi. Come aveva fatto questo ex cantante ex musicista sperimentale a uscirsene all'improvvisto con un testo tanto profondo e tanto riuscito? È più o meno lo stesso enigma che due anni prima aveva posto agli ascoltatori Lucio Dalla col suo primo disco da cantautore, Com'è profondo il mare. Sia Battiato che Dalla per molti anni avevano scritto ben poche parole: verso la fine dei Settanta all'improvviso si ritrovano autori di alcuni testi di grandissimo valore, senza capire bene come sia successo. "Io rispondevo che le frasi erano venute così, senza particolare rovello. Senza impegno metodologico". Che forse è anche il motivo per cui sia Dalla sia Battiato non riusciranno a replicare il miracolo: continueranno a scriversi i testi ma Dalla non supererà mai l'exploit di Corso Buenos Aires, e anche Battiato forse non ha più scritto qualcosa come "sulle biciclette verso casa la vita ci sfiorò".
Una prova della predilezione di FB per il brano è la decisione di reinciderlo nel 1985 in Mondi lontanissimi, nella versione per tastiere Roland e orchestra che in quel periodo stava approntando per i dischi in inglese e spagnolo. La decisione lascia supporre che Battiato non condividesse del tutto le scelte operate nel 1979 dalle maestranze di Alberto Radius, chiamato dalla EMI per risollevare il destino commerciale dell'Era del cinghiale bianco. Eppure una delle ragioni del fascino del Re del mondo stava proprio nella linea di basso di Julius Farmer, obliqua e ipnotica, che nella versione del 1985 non si sente più. Le successive versioni live hanno parzialmente corretto l'errore, riconoscendo il contributo di Farmer.
1995: Moto browniano (Battiato/Sgalambro, #206)
Stavo giusto riflettendo di come la battiatistica sia una branca del sapere in teoria già piuttosto sviluppata – in una buona biblioteca ci sono già abbastanza volumi da tenere una mensola, e continuano a uscirne, ad esempio quest'anno ne ha scritto uno Scanzi, il che fa riflettere, perché è stato un anno piuttosto ricco di avvenimenti ma lui comunque ha preferito uscire con un suo studio su Battiato (l'ho trovato in libreria e ho aperto su una pagina a caso. Parlava di Scanzi). E malgrado questo ho la sensazione che siamo ancora alla superficie, ad esempio si può essere veri battiatisti senza aver letto Gurdjeff? E Thomasson? E Sgalambro? No, non si può – e tuttavia la vita è così breve, la civiltà occidentale ha i giorni contati, nel giorno della fine avremo veramente bisogno di una battiatistica così sofisticata? Non lo so, ma a volte ho la sensazione di scrivere sciocchezze che nessuno comunque è abbastanza competente da correggermi. Per esempio, qui Battiato confessa: Provo sdegno verso alberi e fogliami, foreste onnipossenti. E già ci immaginiamo uno Sgalambro-Nonno-Simpson che alza il bastone sul povero boschetto innocente. Ma sarà tutta colpa del filosofo? Nel suo "aforisma" (perché lui scrive aforismi, capite, mica pensierini), in realtà Sgalambro scrive "Porto un certo sdegno verso alberi, verdi fogliami, foreste onnipossenti e festose". Ok, è simile, ma non è proprio la stessa cosa. E se gran parte dell'umorismo involontario che m'impedisce di ascoltare le canzoni di sgalambro non derivasse dalla prosa di costui, ma dalle scelte che Battiato compie sui suoi testi? Non lo so, non mi pare, ma per verificarlo dovrei veramente leggermi tutti quegli adelphini che francamente pure Nietszche impacchettato in quel modo m'indisponeva, non credo che ne sarei in grado. E temo che nemmeno Scanzi sia in grado. Quindi? Siamo veramente competenti per capire quel che cercavano di fare questi due matti con Moto browniano? No, forse no. Ci lasciamo sedurre dal titolo, ci pare che il modo di salmodiare di Battiato su un tema sfuggente non si allontani molto dal moto browniano delle particelle; rileviamo l'amore per i "paesaggi lunari, spugnosi, dove la massa pietrosa giace inerte", in anticipo su Tabula Rasa Elettrificata, insomma tra Sgalambro e Ferretti c'era una convergenza insospettabile. E Fabio Zuffanti nota verso il secondo minuto una scala che si sentiva anche nel terzo movimento del live del Telaio magnetico, ecco se dovete scegliervi un battiatologo direi che Zuffanti fin qui non teme rivali (di sicuro non teme Scanzi).
1998: Il mantello e la spiga (Battiato/Sgalambro, #78)
E fosti pure un'ape delicata, il gentile mantello che coprì le spalle di qualcuno. No, aspetta, come sarebbe a dire il gentile mantello? Cioè adesso ci reincarniamo anche negli oggetti? Oppure era un mantello di pelliccia di un animale, ma quando è morto l'animale non funziona che l'anima si reincarna subito in qualcos'altro, un insetto o un filosofo talattico?, cioè capisco che non bisogna schiacciare la formica che potrebbe essere mio zio, ma adesso che faccio, devo stare attento anche ai mantelli e ai capi di vestiario in generale?
Non c'entra necessariamente molto, ma riascoltando Il mantello e la spiga mi viene in mente quella storia di Giovanni Lindo Ferretti che torna dalla Mongolia con tante idee per un disco etnico, poi va a vedere cosa stanno preparando i restanti CSI e li trova da qualche parte in una cascina o in una malga che stanno suonando del rock peso neanche fosse il '91, sicuramente non il '77, e sulle prime resta scettico, cioè secondo voi adesso io dovrei mettermi a urlare al microfono dei ritornelli rock? Ormai ci ho un'età. In effetti aveva già passato i 45 anni. Battiato ne aveva almeno dieci di più. Il mantello è uno dei tutto sommato pochi suoi brani che risentono chiaramente dell'influenza dei CSI, vuoi perché quella Tabula Rasa uscita l'anno prima gli era piaciuta molto, vuoi per una convergenza evolutiva che attraverso percorsi diversi portava artisti di generazioni diverse allo stesso punto, e il punto era un rock lento, sferragliante e monocorde. Certo, molti ci sono affezionati, più o meno quelli che avevano dai 25 anni in su in quel momento. Ed esclusivamente in Italia; globalmente la musica leggera stava prendendo altre direzioni, il rock si stava prendendo una grossa pausa tra il grunge e un ritorno di fiamma negli anni Zero. Battiato, che in tutta la sua carriera al rock si era concesso poco, era più aggiornato quando ascoltava i Prodigy o gli Underworld. Ma in Italia nel '97 i CSI si erano presi il primo posto in classifica (ok, in agosto), la causa o il primo effetto di un bizzarro anticiclone in cui si fece coinvolgere anche FB. Forse un equivoco: per tre o quattro anni abbiamo deciso che la musica del futuro non sarebbe poi suonata molto diversa da quella della nostra infanzia. Non aveva senso da nessun punto di vista, né commerciale né esistenziale né estetico. Una vague in controtempo che forse rifletteva la difficoltà di una generazione a uscire di casa: alla fine tutti i protagonisti avevano più di trent'anni.
Fare il verso ai CSI, comunque, non era difficile: bastava salmodiare su una nota sola, rallentare il tempo e alzare il volume alla chitarra, Battiato ne era senza dubbio in grado. Lo stesso Sgalambro consegna un testo ferrettiano senza apparente sforzo – quel "Lascia tutto e seguiti" così lapidario anche se poi alla fine cosa vuol dire? Niente, quello che deve accadere accade, chi è stato è stato e chi non è non è, e così via. Sembrava saggezza, vabbe', eravamo giovani. No, non eravamo nemmeno così giovani.
2002: Beim Schlafengehen (Richard Strauss, #179)
Può darsi che il primo volume di Fleurs sia stato uno di quei colpi di genio e fortuna così imprevisti che finiscono per danneggiarti. Dopo aver inciso con relativa rapidità e facilità uno dei suoi lavori migliori (e più venduti), Battiato potrebbe essersi fatto tentare dalla possibilità di riprovarci pochi anni dopo riducendo ulteriormente gli sforzi. In fondo che ci voleva? Basta scegliere nelle canzoni, cantarle con cura, e un disco si fa. Massima resa per minima spesa. Questo spiegherebbe come mai il secondo volume di Fleurs appaia un lavoro così sbrigativo, in cui si accumulano una serie di scelte che è difficile non definire sciatterie – che ci fa la drum machine in questo Lied, per esempio, cosa porta di interessante? Alla fine dell'album, quando come di consueto arrivano i brani più eccentrici, Battiato vuole dimostrare che anche Richard Strauss può funzionare con un bel quattro quarti ballabile? Se l'idea era trasformare completamente il Lied in un pezzo elettronico, magari techno, deve essersene stancato, lasciando il progetto a metà: sembra ancora un Lied, ma con questa traccia di batteria da discount che indispone dal primo secondo (e che no, non lo rende ballabile)
53. Le mie mani diventano squame!
08-07-2022, 00:14Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con quattro titoli in cinque lingue diverse e molto impero romano].
1973: Plancton (#142)
I miei capelli diventano alghe! Amare Battiato, si fa presto a dire amare Battiato, ma a che punto? Al punto in cui ti mettevi a letto con la cassettina di Feedback nel walkman sotto le lenzuola e quando i capelli diventavano alghe ti venivano i brividi? Perché questo, per esempio, è amare Battiato. Pollution è il disco maggiormente combattuto tra le due anime dei primi '70, prog e sperimentale. La sperimentazione non si è ancora (del tutto) ammantata di quelle istanze metapsichiche e intellettualoidi che interverranno in seguito: è ancora basata sull'esplorazione di mezzi tecnici che Battiato sta imparando a manipolare. Il prog nel 1973 in Italia è già un genere codificato, con un suo mercato: non è (sempre) roba raffinata per palati fini, c'è un pubblico vuole essere suggestionato da testi fantascientifici e musiche arcane, è una musica che guarda al futuro ma si carica anche di una gran voglia di riscoprire gli incanti del passato, un'estetica pagana o medievalista che di lì a pochi anni trasformerà Angelo Branduardi in una recalcitrante rockstar da stadio. Battiato a Milano quest'aria la respira, molti anni dopo riprenderà con affetto Impressioni di settembre della PFM, che era il lato B di un altro pezzo di ambientazione medievale, La carrozza di Hans. Insomma l'idea di inserire sonorità arcane e patinate di antico in un disco fantascientifico come Pollution in quel periodo sembrava quasi ovvia ed è il felice paradosso che rende ancora straordinariamente ascoltabile il secondo lato di questo disco strambo: il synth non è un magico congegno che suona qualsiasi cosa tu pretendi, ma un strumento arcano a cui l'artigiano deve strappare faticosamente qualcosa di ascoltabile. Prima FB crea l'atmosfera con chitarre arpeggiate e voci riverberate; poi canta le due strofette inquietanti (che sono davvero la cosa più 'prog italiano' che ha scritto), e infine trasforma la canzone una ipnotica tarantella in cui strumenti tradizionali e sperimentali si sovrappongono senza mescolarsi. Se la riascolto in cuffia a tarda ora, un brivido tuttora mi coglie.
1993: Delenda Carthago (#115)
Ecco una canzone di Battiato che avrebbe potuto assolutamente scrivere Sgalambro: e invece a quanto pare ai tempi di Caffè de la Paix i due ancora non si conoscevano. Eppure i legami tra questo disco e il successivo Ombrello sono talmente forti che non ci resta che considerare lo Sgalambro lirico una specie di evoluzione/involuzione del Battiato lirico. C'è già il riutilizzo del passato con funzionalità metaforiche (l'imperialismo Romano come figura di quello che Bush padre aveva guidato in Iraq nella prima guerra del Golfo); ma a distoglierci dal quattro complessivo c'è il gusto per i dettagli preziosi (il vino fruscia in calici screziati). Davvero, lo si direbbe un testo di Sgalambro, non fosse che quando Sgalambro di cimenterà con lo stesso argomento riuscirà a fare di peggio (vedi il brano qui sotto). Bizzarra per gli standard battiateschi la scelta di impostare tutta la canzone su una progressione di quattro accordi ascendenti, col risultato di farci aspettare per tre minuti una risoluzione che non arriva (i barbari?)
1996: Decline and Fall of the Roman Empire (Battiato/Sgalambro, #243)
1999: La canzone dei vecchi amanti (La chanson des vieux amants, Brel/Jouannest, Del Prete, #14)
52. Hai mai veduto a Borgopanigale un'aurora simile alla boreale
07-07-2022, 00:48Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, ma anche delle canzoni di Manlio Sgalambro, di Giusto Pio, con qualche incursione occasionale delle canzoni di Jacques Dutronc, di Ennio Morricone, perfino delle canzoni di Maurizio Costanzo].
1967: Il mondo va così (Buffoli, Dutronc, Lanzmann, Pagani, #222)
Il mondo va così (da non confondere con Ecco com'è che va il mondo) è una delle cover più interessanti non solo del Battiato anni Sessanta, ma di Battiato in generale. Nel 1966 Jacques Dutronc aveva scalato le classifiche francesi a sorpresa con Et moi et moi et moi, una simpatica canzoncina di sapore boris-viannesco che esprimeva il senso di vertigine dei borghesi francesi della prima generazione postcoloniale: il mondo sta diventando immenso, i cinesi sono addirittura "settecento milioni", e noi e noi e noi con le nostre macchinine e i nostri cagnolini, che aspettiamo l'assegno a fine mese "comme un con de parisien". E qui si vede come sia più complicata di quel che sembra, l'arte di tradurre una canzone in un altra lingua: la canzone nasce dal senso di frustrazione di un ex impero che si riscopre al margine del mondo, ma noi italiani in quel margine ci siamo sempre stati (e se avevamo un impero lo abbiamo completamente rimosso). Un'altra cosa quasi impossibile da trasporre in italiano è l'attitudine di Dutronc, quel "ci penso e poi me ne dimentico, c'est la vie", non a caso blasé e nonchalance sono parole che non traduciamo. A questo punto un'opzione può essere: prendere la musica e scrivere un testo completamente diverso – si ottiene così ad esempio E voi e voi e voi di Gene Guglielmi. Herbert Pagani e Vittorio Buffoli optano per una soluzione diversa, che si adatta così tanto alla sensibilità di Battiato che viene da pensare che quest'ultimo abbia avuto qualche responsabilità (anche se non poteva risultare autore perché non ancora iscritto alla Siae). Tutt'altro che blasé, Battiato assume lo stesso atteggiamento savonarolesco già intravisto nel primo singolo, La torre, con quel "non finisce qui" che a noi italiani ricorda facilmente il "Verrà un giorno" di fra Cristoforo. Perché alla fine il giorno viene: l'altra novità rilevante rispetto all'originale di Dutronc è la prospettiva apocalittica. È una sfumatura espressa non soltanto con le ultime parole del testo ("il mondo va così, forse finisce qui"), ma soprattutto con la musica: la canzone di Dutronc era statica, una serie di strofe ognuna uguale all'altra come i giorni del parigino medio. La versione di Battiato è incalzante come un mondo che ci sta cambiando sotto i piedi: il ritmo accelera, la tonalità sale, quando il livello si fa insostenibile un intermezzo swingeggiante riporta la canzone al punto di partenza, ma dura solo il tempo di prendere fiato. C'è già Franco Battiato, in questa canzone: c'è la sua vocazione a complicarsi la vita prendendo una filastrocca semplice e trasformandola in un'opera di due minuti, che troviamo in tutti i 45 giri degli anni Sessanta tranne nell'unico che riuscì a piazzare in classifica (È l'amore). C'è il dito puntato su una civiltà al tramonto, e l'ammissione di non potersi chiamare fuori. Nel frattempo i cinesi sono più o meno raddoppiati, e Il mondo va così suona ancora più attuale.
1980: Frammenti (Battiato/Pio, #94)
Perché, bella ragazza padovana, ti vuoi fare una comune giù in Toscana? A volte mi domando se Patriots non sia il disco fondamentale non dico per "capire Battiato" (il presupposto sarebbe che non c'è poi molto da capire), ma per interpretarlo in senso postmoderno. In Patriots Battiato gioca ancora allo scoperto, in seguito sarà più sgamato; però se conosci questo disco i successivi li ascolti in un modo diverso: sai di avere davanti un manipolatore, un interpolatore, uno che sta giocando. In Patriots ritorna quel procedimento di cut-up che aveva adottato a partire da Clic, quando i suoi dischi cominciarono a somigliare a un flusso di trasmissioni radiofoniche captate a caso, anche se stavolta il collage è confinato al livello testuale (la musica, nel caso di Frammenti, è il solido rock che Radius ha portato nel progetto con l'Era del cinghiale bianco, sporcato appena dai synth ancora analogici di Battiato). Tutto è citazione, brandello strappato da un palinsesto, che accanto ad brandelli lascia intendere barlumi di significato probabilmente illusori ("i cipressi che a Bolgheri alti e schietti vanno da San Guido in duplice filar hanno veduto una cavalla storna riportare colui che non ritorna"). La cultura è il più delle volte scolastica, c'è Proust ma più spesso Carducci ed è tutto mescolato a banalità colloquiali ("che gran comodità le segretarie che parlano più lingue"). Non è che Battiato non abbia niente da dire, ma è notevole come riesca a dirlo con le parole altrui, anche lise dall'uso.
1996: Memorie di Giulia (Battiato/Sgalambro, #163)
La mia memoria trae fuori i ricordi da un cappello, senza che io sappia perché questo e non quello. Memorie di Giulia è uno dei primi brani composti per L'imboscata (era già pronto nel maggio 1996, quando Battiato lo eseguì sul sagrato del Duomo di Noto). È uno dei più simili ai brani dell'Ombrello, ovvero la musica per quanto ispirata è concepita in funzione del testo di Sgalambro. Il quale testo, purtroppo, è terribile: la classica miscela sgalambriana di immagini un po' kitsch, vecchia scuola ma efficaci ("O memoria perché mi inganni, perché come se fossi vento mi butti questa polvere negli occhi") e comicità involontaria ("accarezzavo le tue ginocchia e il tuo semplice cuore era contento"). Il tutto rifacendosi a Leopardi, come se fosse facile, e in effetti è facile rifarsi a Leopardi e rendersi ridicoli. Probabilmente non è né il tempo né il luogo, ma prima o poi dovremo affrontare questo aspetto: Sgalambro è un cattivo poeta. Ce ne sono sempre stati, ma a volte mi domando se non sia inevitabile trovarne sempre di più, man mano che la tradizione letteraria diventa più pesante da portare sulle spalle, ovvero, mettetevi nei suoi panni: ti è morta un'amica adolescente. Ne vuoi parlare. Giusto, in effetti la poesia serve a questo. Il problema è appunto che in mezzo c'è Leopardi. Puoi far finta di non aver mai letto A Silvia? No, non puoi. Puoi citare Leopardi senza sembrare un piccione su un monumento? Nemmeno. E quindi che fai? La maggior parte di noi smette di scrivere poesie, è andata, ormai gli ultimi posti sono stati presi, Sereni, Zanzotto, Sanguineti, capolinea. Chi rimane? Gli ignoranti veri, gli imbecilli e gli incoscienti. Sgalambro non era affatto ignorante e nemmeno imbecille. Probabilmente Battiato amava la sua incoscienza. Dovrei amarla anch'io, ogni tanto ci provo. In attesa dei barbari che distruggano tutto e poi si può ricominciare da capo con la poesia, la musica, ecc. (Molti barbari non sanno di esserlo, credono anzi di essere sulla frontiera ad aspettarli, tipo Stilicone, o Baricco. O Sgalambro, appunto).
2015: Se telefonando (Costanzo/De Chiara/Morricone, #35)
"Ho voluto rendere giustizia a quella canzone. Quando venne pubblicata io lavoravo in corso Vittorio Emanuele, a Milano. La sentii e ne rimasi sconvolto e affascinato. E fui molto deluso quando scoprii che era sparita dalle classifiche poco dopo essere entrata soltanto al quindicesimo posto. Una vera ingiustizia". Vedi come mille soddisfazioni nella vita non riusciranno mai a ripagarti di un singolo torto subito nella giovinezza? Voglio dire, come si fa nel 2015 a essere arrabbiati perché nel 1966 Se telefonando non aveva venduto molto? E non importa cos'è successo dopo – le mille volte che l'abbiamo sentita in radio e a techetechté, le ottocentomila cover tutte di successo (quella di Battiato sta tra i Delta Vu e Nek, e funziona come richiamo all'ordine: no, non è un ballabile, è un Lied, un capolavoro minimalista di tre note, una strofa e due ritornelli). Ma non importa, nel 1966 non piaceva abbastanza e questa cosa cinquant'anni dopo è ancora per Battiato una vergogna. Forse ogni uomo di successo continua a struggersi per una rabbia patita da ragazzino? Forse nello stesso Battiato, celebrato maestro, continuava a scalciare il fattorino che consegnava i pacchi di Nuova Enigmistica Tascabile, con allegato i 45 giri incisi da lui.
(Se telefonando è un paradosso, una persona che grida a un'altra persona la sua impossibilità di comunicare con lui, l'istantanea di un pusillanime che non ha il coraggio di lasciare una persona neanche al telefono, una canzone che è impossibile non immaginare rivolta a sé stessi, perché la persona a cui è destinata non è previsto che l'ascolti. L'esatto opposto della protagonista di Insieme a te non ci sto più, che ti lascia col sorriso in faccia e vuole pure convincerti che non ti sta facendo male. Battiato ha cantato meglio Insieme a te, ma è più facile immaginarselo mentre non ti telefona e si strugge dentro).
51. E ciascuna ragion mi pare torto
06-07-2022, 01:13Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato. Oggi andiamo alla ricerca delle radici e troviamo, tra le altre cose, Bandiera Gialla, un lirico sodomita del Duecento, Alan Sorrenti e il Fatto Quotidiano].
1967: Triste come me (Medini, Buffoli, Alicata, #227)
Triste come me è il lato B del secondo singolo di Battiato (Il mondo va così), l'ultimo con l'etichetta Jolly che malgrado il sostegno di Gaber questi dischi non riusciva proprio a venderli. È una delle canzoni meglio riuscite a FB negli anni Sessanta: abbandonato il maledettismo della Torre e delle Reazioni, non ancora abbracciato il sentimentalismo stagionale dei successivi 45 giri targati Philips, qui il cantante è semplicemente triste perché gli amici lo hanno tradito, e lo racconta in una canzone non troppo complicata che si gioca tutto sulla variazione dinamica tra strofa (in tre quarti) e un ritornello che 'esplode' (in 4/4): un trucco che Battiato continuerà a eseguire anche nei singoli successivi, ma con meno leggerezza. Peraltro non è detto che il brano sia suo: tra gli autori non è accreditato in quanto non ancora iscritto alla Siae. Chiunque l'abbia scritto probabilmente conosceva The Pied Piper di Crispin St. Peters (1966): questo almeno spiegherebbe come mai nel 1967, l'anno di Bandiera gialla (che era una cover di The Pied Piper) Battiato si ritrovi a cantare una canzone tematicamente tanto diversa e melodicamente così simile.
1999: Medievale (Battiato, Dietaiuti, Sgalambro, #99)
In qualsiasi album del periodo sgalambriano, Medievale sarebbe uno dei vertici. Probabilmente non sembrerebbe fuori posto nemmeno in quei dischi che sul sito ufficiale battiato.it vengono definiti "discografia classica", un Gilgamesh o un Telesio: ne condivide almeno uno stilema, la sovrapposizione di voce naturale e voce impostata (Battiato si fa doppiare dal sopranista Simone Bartolini). Seminascosto verso la fine di Fleurs, sembra un falso indizio: chi sta coverizzando Battiato stavolta? L'autore originale è un oscuro poeta fiorentino, Bondie Dietaiuti, contemporaneo di Dante e allievo dello stesso maestro: Brunetto Latini. Com'è noto Dante, pur mantenendo un grande rispetto per il maestro, lo colloca all'Inferno tra i sodomiti. Anche Bondie in Amor quando mi membra, sembra alludere all'amore per un ragazzo. La canzone comincia con una cornice idilliaca: Battiato è "sdraiato su un'amaca a prendere il sole leggendo un libro di poesia medievale". Il pianoforte segnala l'inizio della "poesia medievale", forse rivissuta in sogno. Tra le strofe di Dietaiuti, Sgalambro ne inserisce una sua, come un sussulto di veglia tra un sogno e l'altro. Per quanto eccentrica, Medievale contiene in nuce tutto il concetto di Fleurs, e in generale del Battiato liederista, insofferente per i compartimenti stagni della cultura e deciso a sfondarli. La lirica toscana del Duecento, la canzone napoletana dell'Ottocento, i Trenet, i Rolling Stones: tutto è puro a chi è puro, tutto suona bene e non troppo dissimile sull'amaca in cui Battiato medita o sonnecchia.
2002: Le tue radici (Sorrenti, #158)
Può darsi che con Alan Sorrenti FB sentisse di avere una pendenza da saldare. Ai tempi della sua prima vera invettiva, Bandiera bianca, era riuscito a mantenersi nel vago, puntando il megafono contro "stupide galline", "idioti dell'orrore", "abusi di potere", "programmi demenziali con tribune elettorali", tutto un fondale indistinto di imbecillità in cui nessuno poteva riconoscersi. Nessuno tranne uno, e quest'uno era proprio il povero Alan. "Siamo figli delle stelle", cantava Battiato, "pronipoti di sua maestà il denaro" e la frecciata era chiarissima, la capivo persino io che avevo nove anni e alla radio ascoltavo solo il GR2 ma Siamo figli delle stelle la conoscevo e la trovavo un po' troppo commerciale persino io. (Chissà poi come potevo rendermene conto). (No sul serio, il fenomeno di repulsione nei confronti della discomusic è qualcosa che andrebbe studiato; negli USA ovviamente è diventata una manifestazione di razzismo, così come qualsiasi altro fenomeno, ma anche da noi a un certo punto quei violini e quei bassi sono diventati vecchi tutti d'un tratto e senza remissione, e deve essere successo in tempi rapidissimi, una stagione o al massimo due). La vita a volte è ironica, perché La voce del padrone avrebbe finito per vendere un milione di dischi ben prima di Figli delle stelle, dimostrando che il moralismo in Italia è un'industria più solida della disco. Sorrenti poi anche a causa di guai con la giustizia non sarebbe riuscito a staccarsi da quella pagina della storia della musica leggera che eravamo ansiosissimi di voltare (anche se poi la riapriamo spesso), una specie di Disco Stu in carne e ossa italiane. Ma prima del declino inglorioso, lui e Battiato avevano avuto due carriere parallele: entrambi avevano pubblicato una stupefacente opera prima nel 1972 (Sorrenti Aria, Battiato Fetus). Entrambi avevano picchiato il ferro finché era caldo: Battiato con Pollution, Sorrenti con Come un vecchio incensiere). Entrambi avevano avuto la sensazione di smarrirsi intorno al 1974; da questa crisi Sorrenti era uscito quasi per caso attraverso un corridoio stretto che portava alla carriera di artista pop di successo. Battiato aveva preso un corridoio più tortuoso, ma anche lui alla fine si era ritrovato lì. Nel momento in cui decide di pagare un tributo al collega/rivale, è chiaro che sarebbe stato più divertente vederlo cimentarsi proprio con Figli delle stelle, che in fondo ha un testo di cui FB avrebbe saputo rimarcare la dimensione mistica. Ma le pochissime cover che Battiato ha eseguito degli anni Settanta sono quasi esclusivamente canzoni dimenticate, tracce ormai cancellate di percorsi interrotti che forse avrebbero portato in un continente diverso che nessuno ha scoperto. La musica muore di Camisasca, La realtà non esiste di Rocchi, Le tue radici di Sorrenti, sono come i relitti che potrebbero attestare l'esistenza di un'Atlantide musicale, una civiltà di cantautori sapienziali affondata dal diluvio degli anni Ottanta. Purtroppo il relitto di Le tue radici viene dissepolto in Fleurs 3, un disco poco meditato in cui Battiato a volte si accontenta di realizzare una base e cantarci sopra. Sorrenti Le tue radici l'aveva incisa due volte: la prima in un singolo del 1975, ancora decisamente in formato cantautorale; la seconda più ritmata negli anni Ottanta (la cosiddetta "London Version"). Battiato sembra avere in mente l'intensità della prima, ma il ritmo della seconda.
2009: Inneres Auge (#30)
La linea orizzontale ci spinge verso la materia. Quante volte dal suo appartamento milanese, o dalla sua amaca siciliana, questo signore apparentemente nelle nuvole è riuscito ad azzeccare lo Zeitgeist con precisione millimetrica? È un aspetto, questo, che rischia di non essere colto dall'ascoltatore postumo: il modo in cui Pollution prevedeva le ansie dei primi Settanta, Aria di rivoluzione sapeva già di anni di piombo, Bandiera bianca sventolava il segnale del Riflusso, Povera patria praticamente prevedeva Mani Pulite. Anche Inneres Auge, a riascoltarla oggi può fare l'effetto di un'accozzaglia di cose messe assieme nella speranza di intercettare un pubblico più vasto possibile; c'è l'escatologia sgalambriana ("Come un branco di lupi che scende dagli altipiani ululando..."), l'invettiva populista (quella che appare più datata, oggi che Berlusconi è un anziano politico tra i più ragionevoli del centrodestra), una tirata anti-denaro ("Di cosa vivrebbero ciarlatani e truffatori..."), una lezione di meditazione, un sereno auto-invito ad astrarsi dalle bruttezze della contemporaneità e a rifugiarsi nello studio di opere che ci riconcilino col Creato. Tutto questo cantato sulla cassa più dritta mai battuta in una canzone di Battiato – e c'è perfino l'autotune, Battiato nel 2009 usava già l'autotune, Sfera Ebbasta non aveva ancora la patente.
È chiaro che il futuro storico della musica si gratterà il capo perplesso: cosa voleva fare Battiato con Inneres Auge? Si era rincoglionito, cominciava una cosa e poi si metteva a fare qualcos'altro, mentre alla consolle Pinaxa cercava di rendere il tutto commerciabile? A questo futuro storico potrebbe essere utile una nozione: Inneres Auge uscì nel 30 ottobre 2009, e per l'occasione Battiato rilasciò un'intervista al Fatto Quotidiano, un giornale che esisteva da appena un mese, il cui successo di vendite stava rendendo visibile un enorme bacino di lettori il cui odio per Berlusconi ormai era tracimato sugli oppositori politici di Berlusconi, colpevoli di non averlo fronteggiato né in parlamento né in piazza (né nei tribunali). Era una comunità transgenerazionale e transclassista che aspettava che qualcuno la trasformasse in un movimento di opinione: alla fine in mancanza di meglio si accodarono a Grillo, ma Battiato con Inneres Auge li aveva radiografati. Condividevano foschi scenari apocalittici; consideravano Berlusconi un parassita; covavano idee pseudoscientifiche sull'economia che avrebbero preso le forme dell'italexit e dei minibot; praticavano forme di spiritualità di matrice new age e conservavano un'idea della cultura come arcadia accessibile solo ai puri di spirito. Magari non ballavano tutti sulla cassa dritta, ma insomma Battiato, che si era tenuto a prudente distanza dalla politica per tutta la sua carriera, nel 2009 si trova senza preavviso in un movimento che ancora non ha un nome, e ne stila con Inneres Auge un manifesto di una precisione impressionante.
50. Eiacula precocemente l'impero
05-07-2022, 01:20Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la cinquantesima giornata della Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con sarcofagie ed ermeneutiche. Portate pazienza, mangiate molta verdure, non uscite nelle ore più calde, ovvero sempre].
1991: Plaisir d'amour (Martini, #67)
Il piacere d'amore non dura che un momento; la pena d'amore dura tutta la vita. Battiato raccontava di aver selezionato accuratamente e ponderatamente i quattro Lied sul secondo lato di Come un cammello... sarà anche vero per gli altri tre, ma Plaisir d'amour non credo che abbia fatto nemmeno cinque minuti di anticamera. Il pezzo di Martini era un suo pallino da sempre, credo che a un certo punto si senta anche in qualche collage degli anni Settanta (non riesco a ricordare dove); senz'altro lo riascoltiamo da un grammofono gracchiante durante Shakleton. Ma soprattutto Plaisir nel 1983 era diventato l'oggetto di uno dei pazzi esperimenti della ditta Battiato/Pio, che ne avevano arrangiato una versione completamente elettronica per Sibilla, la meno fortunata tra le artiste con cui lavorarono. Che Plaisir avesse potenzialità commerciali era un'ipotesi già abbozzata a inizio anni '60 dagli autori di Elvis, che ne avevano preso in prestito il ritornello per Can't Help Falling in Love.
Eppure al festival di Fermo del 1991, quando Battiato la presenta in un'orchestrazione fortemente debitrice di quella romantica di Hector Berlioz, riesce a scandalizzare più di Elvis, più di Sibilla, semplicemente per la scelta di sostituirsi a un soprano o a un tenore con la propria voce "pop". È una scelta di cui è difficile misurare il coraggio, che va a mettere in discussione un assioma fondamentale della musica classica: se qualcuno canta, deve avere una voce impostata. Sì, ma storicamente l'arte di impostare le voci nasce dalla necessità di sovrastare l'orchestra in un teatro. Nel momento in cui anche i tenori superstar cantano microfonati negli stadi, quale necessità c'è di impostare ancora la voce in quei modi che al profano risultano così innaturali? Battiato non detesta affatto le voci impostate: le ha portate nel pop con gli interventi dei madrigalisti nella Voce del padrone; le ha utilizzate nelle sue opere e in Ferro Battuto lotterà per poter usare un campionamento della Callas, invano. Ma quello che per molti ascoltatori ormai è una questione identitaria (la musica classica richiede voci impostate), per lui non ha senso. Non solo non è un compositore classico convertitosi cantante pop, ma non è nemmeno il contrario: in fondo nella sua traiettoria l'approfondimento dei classici è venuto di pari passo con la scelta di comporre canzoni di successo, tra 1978 e 1979. Non sono due mondi inconciliabili: non sono nemmeno due mondi. Battiato pensa che il pubblico dei suoi concerti pop sia pronto per ascoltare qualche Lied sette-ottocentesco; non c'è poi tutta questa differenza. Non si tratta più di scopiazzare Beethoven, Wagner o Martini: si può mandarli in classifica, basta svecchiarli un po', ma neanche tanto (purtroppo le cose sono andate nel modo opposto: Beethoven e Martini in classifica non ci sono andati; in compenso le voci impostate sono tracimate nel pop: fenomeno sul quale Battiato non ha mai voluto esprimere un parere).
2002: Sarcofagia (Battiato/Plutarco/Sgalambro, #195)
"Come può la vista sopportare l'uccisione di esseri che vengono sgozzati e fatti a pezzi? Non ripugna il gusto berne gli umori e il sangue? Le carni agli spiedi crude... E c'era come un suono di vacche. Non è mostruoso desiderare di cibarsi di un essere che ancora emette suoni?" I vegetariani ci odiano. La maggior parte non lo dà a vedere. Non sono più ragazzini, sanno che ostentare la loro repulsione nei nostri confronti sarebbe controproducente. Così ci sorridono e se siamo al ristorante a volte si scusano persino per le loro stravaganze – mentre ci maledicono in silenzio, noi carnivori cannibali, assassini di massa. Battiato negli anni Zero sembra ormai avere abbandonato le invettive: il personaggio pubblico che gli si è modellato addosso è quello di un amabile maestro di vita che rilascia interviste sempre più generose e sorridenti. Da qualche parte li sotto covava ancora l'antico disprezzatore dei nostri usi e costumi, ma per tirarlo fuori erano necessari espedienti tortuosi. Per esempio in Sarcofagia Sgalambro risale fino al Plutarco acerbo di Sul mangiare carne e ne dà una sua versione, ovviamente un po' sbilenca ("c'era come un suono di vacche"?) Il doppio schermo – Battiato che canta Sgalambro che cita Plutarco – consente a FB di esprimere con una certa franchezza lo schifo che gli facciamo noi carnivori. È il brano più 'rock' di Ferro battuto, ma sembra un'idea di rock più astratta di quella di Gommalacca, meno debitrice alle maestranze della scena alternativa italiana – che nel frattempo si stava sgonfiando.
2004: Ermeneutica (Battiato/Sgalambro, #190)
Gli stati servi si inchinano a quella scimmia di presidente. Quando si riascolta Ermeneutica bisogna sempre avere l'accortezza di ricordare che il presidente-scimmia era Bush Figlio, non il successivo. Sì in effetti è passato molto tempo, ed è passato con velocità variabili: certi dischi sembrano già molto lontani, mentre tutto sommato Dieci stratagemmi non dimostra i suoi diciottanni, mioddio, sono già trascorsi cinque mandati presidenziali negli USA. Quando uscì, Ermeneutica prometteva veramente bene. Era decisamente Battiato, ma sembrava il Battiato più pazzo e futurista da un sacco di tempo in qua. Per Fabio Zuffanti, che ormai posso dirlo, è il Battiatologo più preparato ed enciclopedico: si tratta del brano "musicalmente più complesso mai scritto da Battiato. Pressoché impossibile decifrare infatti la scansione ritmica che si muove su un tempo scomposto che accompagna un tema di sintetizzatore nel quale si staglia la voce del nostro". Il tema in questione è frastornante: sembra oscillare tra maggiore e minore senza riguardo per la nostra basica educazione musicale occidentale. Il testo, ispirato dalla Guerra infinita post 11 settembre, è uno spassionato compianto del tramonto della civiltà, né ci aspettavamo di meno da Sgalambro: ma due o tre immagini le azzecca. Forse Battiato avrebbe dovuto scrivere più follie del genere.
2012: Un irresistibile richiamo (Battiato/Sgalambro, #62)
49. E gira tutto intorno alla stanza
04-07-2022, 09:28Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, oggi molto combattuta perché... ma a chi la racconto, oggi in lizza c'è Voglio vederti danzare e altre tre povere canzoni senza speranza].
1969: Sembrava una serata come tante (Battiato/Logiri, #254)
1972: Meccanica (#126)
Nel secondo lato di Fetus distinguere le tracce comincia a essere complicato. Più di un brano è composto da movimenti diversi e giustapposti, che svelano l'aspetto più sperimentale nel puro senso della parola (FB sta veramente imparando a suonare il nuovissimo synth VCS3) tra cui si distinguono i primi tentativi di trovare un leitmotiv. In Meccanica debuttano alcuni stilemi del Battiato '70: ad esempio il momento in cui il riff elettronico si trasforma in una specie di tarantella. E soprattutto c'è il primo collage di oggetti trovati, anche questo ancora embrionale ma promettente: una discussione tra astronauti montata sul sottofondo dell'Aria sulla Quarta Corda di Bach. La mia ipotesi è che ascoltando Fetus il cervello di qualche funzionario Rai abbia fatto una specie di clic, creando un'associazione inconscia tra il mondo della scienza a quell'Aria che per tutti noi italiani in seguito è diventata in effetti la Sigla di Quark di Piero Angela.
La voce del padrone terminava con un brano che celebrava l'eros in tutte le sue forme; il disco successivo termina con la canzone che celebra la danza. Voglio vederti danzare è la terza canzone più ascoltata di Battiato, almeno su Spotify. È la canzone su cui poggia la fortuna commerciale dell'Arca di Noè (gli altri brani non passavano molto in radio; del resto non uscirono singoli); è un brano che parla di danza ma senza batteria, e nel ritornello si permette persino di sospendere i quattro quarti. Riascoltandola saltuariamente rimango sempre stupito di quanto sia tutto sommato minimale l'arrangiamento, che nella memoria invece è popolato di strumenti e di colpi di scena; può darsi che Voglio vederti avrebbe meritato un'orchestrazione più sontuosa, come quelle della Voce del padrone, e che abbia sofferto dell'insofferenza di Battiato che aveva per le mani una hit pulitissima e ha fatto quanto ha potuto per sporcarla, per mascherarla da pezzo etnico (prima che la world music andasse di moda), per dissuadere i dj dal trasmetterla in radio – come lo spaventi un dj? Di punto in bianco fai partire un valzer che non c'entra niente, se non c'è un valzer adatto lo fai scrivere a Giusto Pio. Voglio vederti danzare è Battiato che balla intorno al feticcio di sé stesso. Avremmo dovuto capirlo e bruciare il feticcio; invece ci siamo messi a ballare pure noi. A nostra parziale discolpa, un brano così cantabile Battiato non l'avrebbe più scritto – odio usare l'aggettivo solare, ma davvero qui Battiato ci sta mostrando un mondo in cui tutti ballano a modo loro. Come altro reagire, se non mettendosi a girare per tutta la stanza? Ci sarebbe stato poi tempo di vergognarci per le nostre piroette sudate, ma in fondo a tutto il nostro imbarazzo restava il segreto orgoglio di sapere che la vita è danza, e che se danzava Battiato anche noi potevamo. Grazie Battiato, sei stato il nostro eroe e il nostro ballerino preferito.
[Tra persone educate non è consentito discutere del remix di Prezioso. Esso non è mai esistito, tra l'altro uno dei motivi per cui sono educate è che hanno paura di andare all'inferno. L'inferno se lo immaginano più o meno come il nostro mondo, ma non puoi spegnere la radio e il dj è Prezioso].
2012: Apriti sesamo (#131)
48. Viva la gioventù, che fortunatamente passa
03-07-2022, 00:22Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa, cosa pensate che sia? Non siate paranoici, nessuno vi guarda, nessuno deduce il vostro destino dalla curva del vostro naso, nessuno stabilisce quale funzione avete nel mondo, se siate giovani animali notturni o anziani amanti della luce. Questa comunque è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, cosa pensavate che fosse? Avevate dei dubbi? E perché li avevate?]
1972: Paranoia (#215)
Un giorno usciremo per le strade, cambieremo i semafori e le luci. Offriremo cipolle agli amici, dormiremo insieme in calde stanze tutte rosa. Romperemo l'asfalto con dei giardini colorati! Paranoia è forse l'episodio che più si avvicina all'idea di Battiato che aveva il suo management tra 1972 e 1973: un personaggio enigmatico e fuori dalle righe che il pubblico dovrebbe seguire con la curiosità con cui si osserva una curva pericolosa in cui da un momento all'altro potrebbe verificarsi un incidente. A riascoltarla oggi, sembra completamente avulsa da quello che stava facendo Battiato sia immediatamente prima (Fetus), sia immediatamente dopo (Pollution), sia durante (La convenzione, di cui Paranoia era il lato B). Il punto è proprio questo: è esistito un Battiato diverso in quegli anni, che ha lasciato più tracce visive che sonore: è il Battiato conciato con la maschera d'argilla, il Battiato che fa a pezzi la croce di legno ai concerti, un'idea folle di rockstar che coincide cronologicamente con l'invenzione di Ziggy Stardust, soprattutto nel concetto: una rockstar inventata a tavolino, che si comporta come tale ed esorta il pubblico a trattarla come tale. Quanto alla musica, non la conosciamo più di tanto: sappiamo che era molto più violenta di quanto le tracce salvate su Pollution lascino immaginare, e non la troviamo incisa sui dischi perché Battiato a un certo punto ne provò una genuina repulsione, tale da fargli abbandonare il personaggio proprio quando cominciava a funzionare. "Man mano che il ritmo cresceva ci scatenavamo tutti, ed era qualcosa di spaventosamente incontrollabile. Non era solo la gente che si lanciava le sedia in testa. Una sera il tastierista saltò addosso al violinista. Un'altra io ero talmente preso che mi accorsi solo a fine serata che mi ero ustionato la schiena con un cavo elettrico". Paranoia da un punto di vista formale è molto meno innovativa anche dei brani di Fetus; alla fine è una progressione di tre accordi e i tre accordi sono quelli del finale scatenato di Occhi d'or, ovvero di Hey Jude. È una via italiana al glam rock: prima dell'ingresso finale del sintetizzatore, la componente avanguardista del brano poggia tutta sulla prestazione vocale di Battiato, che deve fare il matto e ci riesce, anche se con qualche rigidità. Questo approccio teatrale alla canzone è una cosa che Battiato da qui in poi eviterà attentamente di fare, anche quando gli capiterà di riprendere canzoni di cantanti-attori come Brel o Lauzi (mentre dal repertorio cantante-attore italiano per eccellenza, Gaber si terrà sempre a distanza malgrado la lunga amicizia). È qualcosa che lo ripugnava.
1974: Ti sei mai chiesto quale funzione hai? (#170)
Certo Battiato che me lo sono chiesto – e a quest'ora mi sono anche risposto – ma grazie per la domanda. Quando scrivo che certe cose di Pollution soffrono l'età, mi riferisco ad esempio il finale, che nelle intenzioni doveva essere qualcosa di maestoso e solenne, una cantata di Bach rallentata (Laß fürstin laß noch einen strahl) accompagnato dal rumore di un pianto che in interviste successive Battiato definisce come "dirotto", "una premonizione del futuro dell'umanità, sui gravi disastri a cui saremo andati incontro". E nel 1973 poteva davvero suonare così (non male, l'idea di chiudere con un pianto un disco così liquido). Riascoltato più tardi, è difficile accettare che FB sia così mortalmente serio. Gli effetti del synth tradiscono una certa obsolescenza, il ricorso al solito Bach sembra un espediente per allungare il brodo di un disco interessante ma già piuttosto breve, il "pianto dirotto" sembra più un singhiozzo prolungato e artefatto, come se in vista de funerale dell'umanità FB si preparasse per il ruolo di prefica.
1988: Fisiognomica (#42)
Fisiognomica non dà solo il titolo all'album del 1988, ma contiene anche la chiave necessaria a capire la copertina. A un primo livello di lettura, si tratta semplicemente di una foto ritratto di Battiato bambino, prima che un incidente calcistico non gli conferisse la peculiare conformazione nasale che forse nella sua carriera di cantante ha avuto qualche importanza. (Questo in effetti è un buon argomento contro la fisiognomica: i nostri lineamenti non sono il nostro destino, se l'ambiente li può cambiare). A un livello più profondo, la copertina rimanda a un'altra che nel 1988 era completamente scomparsa dai negozi di dischi: Sulle corde di Aries. Non era così facile capirlo a quel tempo, ma Battiato stava temporaneamente tornando sui suoi passi: il nuovo disco cominciava con un ritmo di tabla che al tempo suonava abbastanza inedito, ma si rifaceva proprio al disco di 15 anni prima. La strofa di Fisiognomica è libera e salmodiante come quella di Sequenze e frequenze o No U Turn. Assomiglia anche un po' a un recitativo – Battiato in fondo ha appena finito di comporre la Genesi e quando si rimette a scrivere è convinto di lavorare a un'altra opera: non sa che quello che sta per venire fuori è un nuovo disco di canzoni. Un'altra cosa imprevista è la spiritualità della canzone, più ambigua del solito, che valse a Battiato un invito in Vaticano: nella strofa Battiato descrive con generosi vocalismi un'arte della divinazione basata sui tratti somatici; nel ritornello tutto improvvisamente si smorza, ai suoni orchestrali subentra un umile organetto e Battiato, su note più basse, riconosce che contro il dolore questo tipo di sapienza è vana: bisogna rivolgersi al Signore. "Credimi, siamo niente. Dei miseri ruscelli senza fonte". Se non è un'apertura al cristianesimo (e un tradimento del paganesimo), non fa nessuno sforzo per non sembrare tale.
2012: Quand'ero giovane (Battiato/Sgalambro, #87)
47. Quattro passi a piedi fino alla frontiera
02-07-2022, 00:21Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con un'improvvisazione nel duomo di Monreale, un secondo imbrunire, una passeggiata fino al muro di Berlino e altre nuvole nere, ma noi siamo pronti a ogni evenienza]
1975: Canto fermo (#234)
Se ho capito bene il Cantus firmus è la melodia che viene usata come base per una composizione polifonica. Come tale a volte viene anteposta alla composizione, e in effetti sul secondo lago di Mme "Le Gladiator", il Canto fermo precede Orient Effects. Anche se di melodico ha ben poco; e del resto anche Orient non è che sia tutta questa polifonia. Si tratta di due parti dell'improvvisazione condotta da Battiato sul titanico organo del duomo di Monreale, prima che il canonico si spaventi e lo cacci via. In Canto fermo Battiato dà veramente la sensazione di voler provare i tasti per saggiare la potenza dello strumento di cui si è temporaneamente impadronito con l'inganno (si era fatto presentare da Camisasca come un compositore americano in vacanza nei luoghi della sua famiglia). Siccome in Canto fermo non succede nulla di diversissimo dalla composizione successiva, è impossibile scacciare il dubbio che si tratti di un brano appiccicato per tappare il buco lasciato da un'altra composizione che Battiato aveva preparato ma non è riuscito a incidere per motivi facili da intuire. Da un articolo pubblicato nel giugno del 1975 su "Nuovo Sound" sappiamo che si doveva chiamare Temporary Road e che era composta da un "collage di vecchi 45 giri degli anni '60 (Ruby Tuesday, Like a Rolling Stone ecc.) e da una chitarra basso filtrata al VCS3". Più che la Temporary Road pubblicata 10 anni dopo su Mondi lontanissimi sembra un'anticipazione di Cuccurucucù (del resto secondo "Nuovo Sound" il nuovo disco di Battiato si sarebbe chiamato CHI CHI RI CHI). Poi qualcuno deve avere spiegato a Battiato che ottenere i diritti per tutti quei proto-campionamenti sarebbe stato molto complicato; rimane l'enorme curiosità per un brano che chissà quanto assomigliava alla Cuccurucucù definitiva (probabilmente pochissimo) e che chissà se qualcuno conserva ancora.
Invece ci tocca ascoltare Canto fermo. Cosa dire di Canto fermo? Carlo Boccadoro ammette che all'inizio Battiato stia letteralmente prendendo a pugni le tastiere, ma ci sente comunque tracce di Ligieti e Messiaen, anticipazioni di Morton Feldman. Su Youtube i commentatori si dividono: chi lo trova geniale, chi sente i passi del gatto sulla tastiera, chi dice vergognatevi a parlare così del maestro Battiato, prima di capirlo bisogna studiare. Al che uno risponde: "Io sono organista da 27 anni; ciò non mi da competenza in musica organistica (anche se ho alle spalle diversi anni di studio); di "musicale" ci trovo veramente poco in un insieme di rumori come questo, tuttavia la musica è l'intreccio sonoro atto ad esprimere i propri sentimenti e stati d'animo. Probabilmente era un periodo difficile e complesso per Battiato..." Non saprei che altro aggiungere – ah, sì: il brano è dedicato a Riccardo Mondadori, figlio dell'editore Bruno, morto trentaquattrenne nel 1975 dopo anni complicati. "A lui la vita non è stata tolta, ma solo trasformata", scrive FB nelle note di copertina.
46. Ma l'uomo non è pietra di tungsteno
01-07-2022, 02:33Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi anche delle mutazioni di Franco Battiato, da feto avanguardista a interprete di Gino Paoli, passando per lo swing e le strade dell'est].
1972: Mutazione (#183)
Fetus era anche, in qualche modo, un concept album, con una storia che aveva a che fare con un feto (o più di uno) e un viaggio interstellare. Nell'ultimo brano il feto si risveglia appunto dopo migliaia di anni e avverte le vibrazioni di non ulteriormente specificati "corpi di pietra" che stanno per arrivare. Potrebbero essere anche i "motori" di cui parlava all'inizio dell'album ("sarò una cellula / tra i motori") e quindi la storia tratterebbe di un eterno ritorno. Anche da un punto di vista musicale Mutazione è più simile a una canzone tradizionale e termina con un coro cantato sull'ennesima scala discendente – FB le usa tantissimo su Fetus, per scelta o perché gli vengono spontanee. È una soluzione un po' naif, ma ricordiamo sempre che è ancora poco più che un embrione.
1979: Strade dell'est (Battiato/Pio, #55)
Ho scoperto soltanto in questi giorni che il condottiero citato in Strade dell'est, Mustafa Barzani, era morto appena sei mesi prima a Washnigton, dov'era scappato quando il regime dell'Ayatollah Khomeini (che per molti è santità) aveva ritirato l'appoggio ai guerriglieri del Kurdistan iracheno. Avevo sempre pensato che si trattasse di un personaggio storico, ma il Vicino Oriente evocato da Battiato non è passato, è presente (e futuro: "Da qui la fine" profetizza, dieci anni prima di Zai Saman). È la meta dei viaggi che Battiato improvvisava sui pullman che negli anni Settanta portavano i fricchettoni in India o in qualche altro esotico Altrove. Di Strade dell'est conosciamo un documento straordinario: la prima versione arrangiata da Battiato e Pio per quel demo che convinse i discografici dell'Emi a stravolgere il progetto, coinvolgendo Alberto Radius. È una canzone completamente diversa, affidata a strumenti che possono rimandare a un generico oriente. La ritmica avviata dal pianoforte è quella martellante, iperattiva, che Pio infondeva a brani come Adieu o L'era del cinghiale bianco. Radius, Tullio De Piscopo e Julius Farmer ripartono da zero, costruendo la base di quello che diventa il brano più rock del Cinghiale bianco. Solo il brio di De Piscopo ricorda vagamente un tam tam primordiale: il compito di evocare coi suoni l'oriente posa del tutto sui melismi della voce di Battiato, che cerca di ricordare l'inflessione di un muezzin. Radius invece ha in mente orizzonti molto più occidentali e pentatonici, e riesce persino a infilarci un assolo veramente poco orientale, ma siamo onesti: la sua Strade dell'est è molto più godibile della prima versione; e in generale la freschezza dei dischi pop di Battiato dal 1979 al 1982 deve molto ai suoi interventi, che nei dischi successivi saranno meno appariscenti ma sempre fondamentali.
2001: Scherzo in minore (Battiato/Sgalambro, #202)
Ecco una canzone che mi ispira un'irrazionale diffidenza. Non è che non mi piaccia, anzi forse è questo il punto: ho la sensazione che potrebbe piacermi, che stia cercando di piacermi, e questo mi rende sospettoso. Battiato non prova mai a piacermi – che scherzo mi sta tirando? Ma è soprattutto il riff iniziale a lasciarmi sospettoso. Somiglia a qualcosa che a un certo punto deve avermi infastidito, ma non ricordo più esattamente cosa. Per quanto cerchi, mi viene in mente solo un brano che ha con Scherzo una somiglianza vaghissima: la cover di Sex Bomb a opera di Max Raabe & Das Palast Orchester, che nel 2001 era relativamente fresca di stampa, quella classica cosa che al primo ascolto dici ah, divertente, e al terzo basta, basta, per favore, vi dirò dov'è nascosto Bin Laden ma basta. Ora si dà il caso che in Italia diventò la colonna sonora di uno spot pubblicitario molto pervasivo, per cui andammo molto, molto oltre il terzo ascolto. Può darsi che Battiato avesse in mente uno "scherzo" del genere mentre campionava su una base hip-hop la leggendaria chitarra Django Reinhardt (a proposito, quando diventa "leggendario" Reinhardt? Accordi e disaccordi di Woody Allen è del 1999, in Italia arriva nel 2000). Sex Bomb probabilmente non c'entra nulla, ma a suo modo è il capostipite di una cosa che in quegli anni ci titillava gli orecchi e non era ancora diventata così pervasiva da suscitare repulsione: le cover lounge. Qui Battiato sembra voler realizzare una specie di remix un po' lounge un po' danzereccia di una sua classica canzone del periodo, con gli ormai canonici rimpianti d'amore sgalambriani che stavolta è davvero impossibile prendere sul serio ("Mi risvegliavi un'innocenza preadamitica"). FB fa effettivamente un paio di cose che non l'abbiamo mai sentito fare e che giustificano il titolo Scherzo: lo swing, addirittura lo scat verso la fine, ma anche la base un po' funky drummer è una cosa inedita per lui. Forse sta semplicemente giocando con luoghi comuni musicali tipici di quel periodo, con una giocosità che avremmo voluto vedere in lui più spesso (e che forse non abbiamo notato in altri episodi: mi viene in mente Le aquile non volano a stormi, una canzone realizzata smontando un brano di world music orientale molto vicino allo stereotipo del genere).
2002: Il cielo in una stanza (Paoli, #74)
Questo soffitto viola no, non esiste più (i soffitti viola, negli anni Cinquanta, erano plausibili solo nelle case di tolleranza: non è un segreto, chi poteva capire capiva già al tempo; una delle più riuscite canzoni d'amore italiane è dedicata a una prostituta). Abbiamo già visto come il secondo volume di Fleurs capovolga il metodo del primo: invece di trasformare le canzonette in Lied, ora si tratta di prendere canzoni già classiche e attualizzarle. Il rischio di trasformarsi in un Delta V dei boomer è scongiurato dal senso della misura che impedisce a Battiato di schiaffare una batteria su qualsiasi canzone gli venga in mente. Il cielo in una stanza è la canzone più facile, e quindi più difficile del repertorio di chiunque: è un giro di do senza ritornelli, il testo stesso impedisce al cantante di tirare il fiato più di tanto tra un verso e l'altro, è chiaro che dall'orchestra ci si aspetta un crescendo e anche Battiato lo organizza senza strafare. Poi, certo, parte la batteria: ma un po' più tardi, in coda. Et voilà, Il cielo in una stanza è stato attualizzato. Non di tanto. Ma senza grossi incidenti. Se ne sentiva il bisogno? No, ma è sempre una bella canzone.