14. Io t'ho amato sempre non t'...
30-05-2022, 07:35Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara, ovvero una gara di canzoni di Franco Battiato. Oggi in lizza quattro brani tra cui due di Fabrizio De André, uno degli artisti che ha più amato e interpretato].
1995: Piccolo pub (testo di Manlio Sgalambro, #201)
"Nel '43, ero malato, vidi tutta la mia vita sudato, scorreva finita". Una cosa che tendo a dimenticare è che tra Sgalambro e Battiato c'erano pur sempre 21 anni di differenza, una generazione. Se la cosa si nota meno di quanto si potrebbe è anche perché dei due è spesso l'anziano a parlare più sboccato. È tipico associare Sgalambro a quel lessico barocco che però era un marchio di fabbrica del prodotto-Battiato molto prima che i due s'incontrassero – davvero, Battiato non aveva avuto bisogno di Sgalambro per cantare "codici di geometrie esistenziali" o "lo shivaismo tantrico di stile dionisiaco". Né la lirica sgalambriana ha mai raggiunto quei livelli: in compenso dopo averlo incontrato Battiato ha incluso nel suo lessico termini come "puttana", oppure in questa canzone si è concesso una divagazione filosofica sulla pisciata nel bagno di un esercizio pubblico. "Birra e urina si scambiano le parti: la latrina è il tuo caveau. Liquido vitale scorre in entrambe". Sembrano veramente i pensieri sciolti di un filosofo alticcio alla terza pinta, che si congeda dagli amici dicendo "ci vedremo domani se la notte non fa il suo colpo stanotte": un po' ridondante ma espressivo – se FB non scegliesse di ripetere il verso tre volte nella canzone, dando una sensazione come di rincoglionimento (la musica però è buona).
1999: Amore che vieni, amore che vai (De André, #56)
Il primo Fleurs è, tra le altre cose, un prodotto piazzato con un tempismo pauroso; certo, potrebbe anche essere successo per caso, ma è un fatto che le ceneri di Fabrizio De André erano ancora calde e milioni di italiani stavano giusto scoprendo di averlo sempre amato. Si erano messi a chiamarlo per nome, anzi "Faber", come l'amico-fragile che all'improvviso rimpiangevano. Terminava un processo di canonizzazione che era iniziato una decina d'anni prima, dalle Nuvole: perché fino a quel momento De André era sempre riuscito a eludere il passaggio da solito stronzo a venerato maestro. Pochi mesi dopo Battiato sceglie per il suo primo disco di cover due classici del De André più intimista (e meno controverso): giusto in tempo per prenotarne almeno uno per il concerto-tributo che si tiene a Genova il 12 marzo dell'anno successivo. Quando arriva sul palco Battiato insomma dovrebbe trovarsi in discesa: il brano lo conosce, lo ha appena inciso, e il pubblico lo ha già ascoltato nella sua versione: cosa può andare storto? Accade invece che a Battiato, un professionista con decenni di concerti alle spalle, si mozzi il fiato a metà di un verso, in un moto di commozione così spontaneo che il pubblico lo riconosce immediatamente (e applaude). Ed ecco un'altra ipotesi su Fleurs: invecchiando si diventa sentimentali, basta una vecchia canzone per spremerci una lacrima, la gente penserà che la colleghiamo a questo o quell'amore finito ma non è necessariamente così. A volte è la semplice verità del brano, così lucida che taglia: io ti ho amato sempre, non ti ho amato mai. L'amore è pensare per tutta la vita a una persona di cui non sai più niente da anni, a questo punto potresti persino telefonarle, non sarebbe certo molestia volerla sentire una volta in trent'anni ma ti rendi conto che no, in realtà tutto quello che vorresti dire a lei non lo vuoi dire alla lei di adesso, tutto questo amore che provi ha ormai ben poco a che fare con quella lei che risponderebbe al telefono, l'hai amata sempre, non l'hai amata mai, uno poi pensa che mentre piangiamo siamo buoni ma è il contrario, si è sempre soli con le proprie lacrime, è sempre e solo per noi stessi che piangiamo.
2007: Stati di gioia (#184)
"Era l'estate del '63, un pomeriggio assolato. Da un juke-box di un bar completamente vuoto: She loves you ye ye ye. Ommmm". È un tratto comune a molti della sua generazione: l'ascolto dei Beatles come uno choc primario, qualcosa che modifica per sempre la percezione. Succede a Bob Dylan (classe 1941) e succede a FB (1945). Il primo era già un folksinger affermato, il secondo un diciottenne che nella vita avrebbe suonato tutt'altro (ma lascia perplessi che i jukebox siciliani fossero già aggiornati alle novità inglesi). Eppure per entrambi – e tanti altri – i Beatles tracciano un solco. Posto che per apprezzare Stati di gioia conviene comunque ascoltare la versione studio del Vuoto, stavolta preferisco mostrare questo video di uno spettatore che è riuscito a inquadrare Battiato da vicino mentre la canta. Non per come la canta – il fiato cominciava a mancargli – ma perché, accidenti, è felice. È una persona che ha scoperto la gioia da ragazzino ed è riuscito a non dimenticarsene, a mettere insieme gli indizi finché non l'ha ritrovata, e quando l'ha ritrovata ha cercato di spiegare a tutti come si fa. Ha a che vedere con la meditazione ma anche con una canzoncina per teen-ager. Io non so nemmeno se mi piaccia, una canzone come Stati di gioia, e in generale sui suoi ultimi dischi sospendo il giudizio, era ancora bravo, ispirato? Era felice, questo importa. Forse a un certo punto non lo ascoltavamo nemmeno più: non importava cosa cantasse, l'importante era vederlo felice, saperlo felice.
2009: Inverno (#73)
13. Coatti nella convivenza affrontiamo il progresso
29-05-2022, 07:53Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è La Gara, una competizione di canzoni di Battiato, cioè tipo che siete in cima a una torre con quattro canzoni di Battiato e dovete buttarne giù tre. Meno divertente di quel che sembra, in effetti]
1967: La torre (#248)
GABER: Ma insomma, si può sapere cosa vuoi tu?
BATTIATO: Cosa voglio? Sbattervi giù dalla torre!
La storia è ormai nota: quella sera a Diamoci del tu Caterina Caselli presentava un artista promettente, relativamente conosciuto per le canzoni che aveva scritto per l'Equipe '84, di taglio cantautorale, molto riconoscibili rispetto al resto del loro repertorio: Auschwitz, Dio è morto (quando sente i titoli il pubblico applaude). Si chiamava semplicemente Francesco, come oggi i concorrenti a X Factor, e la Caselli spiega che il suo genere è la "folksong". Ma nella stessa puntata anche Gaber, il copresentatore, aveva una sua giovane promessa da presentare: un giovanotto dinoccolato che per l'occasione deve rinunciare al suo nome di battesimo, dato che si chiamava Francesco pure lui. Da lì in poi si chiamerà Franco Battiato, anche per sua madre. A differenza dell'altro Francesco, Battiato non ha nessun titolo con cui impressionare il pubblico: gli unici dischi che ha inciso sono un paio di 45 giri di cover per una rivista enigmistica che li acclude al numero in edicola; Gaber l'ha scovato in un'osteria dove cantava canzoni siciliane spacciandole per medievali. La torre è un brano molto acerbo, che declina un certo atteggiamento scostante di marca esistenziale con un ritmo trascinante da marcetta, alla Anthony: insomma due tendenze di segno opposto, ma entrambe di provenienza francese, mescolate assieme nella speranza che funzionino e col senno del poi sembra abbastanza chiaro che no, non possono funzionare le lagne e le marcette nello stesso brano. Era un esperimento, in quegli anni le si provavano un po' tutte e anche un buco dell'acqua non era una tragedia. Battiato avrebbe potuto scomparire di lì a poco come centinaia di altri. Persino l'altro Francesco (Guccini) avrebbe potuto scomparire: malgrado gli applausi, il suo primo album da folksinger (per la Voce del padrone!) vendette 500 copie, oggi ci vai in top100 ma ai tempi erano pochissime. Conteneva tra l'altro un brano che sembra la parodia del Battiato della Torre, l'Asociale: "sono un tipo antisociale / non m'importa mai di niente / non m'importa del giudizio della gente... in un'isola deserta / voglio andare ad abitare / e nessuno mi potrà più disturbare". Cioè è davvero la stessa cosa che canta Battiato, ma senza marcette fuori luogo e con tanta ironia in più. Però il brano era già uscito su un 45 giri l'anno prima, quindi no, Guccini non stava prendendo in giro Battiato. Al massimo stava canzonando un atteggiamento, un mood che al tempo di Battiato era già un luogo comune.
1982: Radio Varsavia (#9)
L'ultimo appello è da dimenticare. Nel 1982 Battiato è letteralmente la Voce del padrone. Ha osato tanto, ha vinto il banco, ha venduto più dischi di tutti e ora può fare quel che vuole. Quel che vuole è prendere immediatamente le distanze da quel tipo di successo: gli artisti a volte fanno questo tipo di cose, all'inizio sembra un impulso autodistruttivo ma sulla media-lunga distanza ti impedisce di diventare schiavo di un trend o legato a un singolo momento della storia del costume. Il nuovo disco deve assolutamente suonare diverso dalla Voce del padrone, anche se tutto questo tempo per inventarsi cose nuove non c'è e quelle vecchie continuano a vendere e a farsi sentire in radio. Tutto questo sin dai primi subliminali istanti: La voce cominciava con un rumore di onde, L'arca col fruscio del vento nel deserto su cui incombe per un magico istante un suono di fine del mondo, forse un campionamento orchestrale del Fairlight sovrapposto a un coro dei Madrigalisti di Milano. La voce ti sparava subito un 5/4 disorientante: L'arca inchioda l'ascoltatore a un più tetragono 4/4. La voce cominciava col miraggio di un'estate infinita, l'arca con le istantanee notturne di qualcosa di un colpo di Stato: i volontari laici scendevano in pigiama per le scale per aiutare i disertori. Questa non è la Mesopotamia o Atlantide, questo è il colpo di Stato di Jaruzelski del 1981, è cronaca ancora fresca di stampa: qualcosa che i cantautori di quel periodo avevano imparato a rifuggire come la peste perché allontanava sia i clienti moderati che quelli radicali. E malgrado nella terza strofa FB rimescoli le carte cianciando di commercianti punici e di Abissinia, il senso è molto più chiaro del solito ed è ribadito alla quarta stanza: la Cina era lontana, l'entusiasmo per il movimento operaio non è più sostenibile, il comunismo ha smarrito la sua spinta propulsiva, se non nell'economia almeno nell'immaginario. Questo nel 1982 non era poi così facile da accettare: qualche anno prima Battisti si era guadagnato una nomea di cantante di destra per molto meno. La stessa nomea, puntualmente, piombò su FB, che da un punto di vista ideologico sembrava già compromesso: un lettore di Gurdjieff e Guenon, un frequentatore di Calasso, nel 1982 non poteva che appartenere alla "nuova destra". Forse anche per questo motivo l'Arca incassò molto meno, e se oggi Radio Varsavia sembra una canzone molto meno ambigua, ed è una delle sue più apprezzate (su Spotify è la nona canzone di Battiato più ascoltata in assoluto) è perché abbiamo accettato che il comunismo reale negli anni '80 era davvero una grondaia arrugginita pronta a cadere di schianto, inoltre abbiamo fatto la pace con le ambiguità ideologiche dei cantautori, e soprattutto un certo modo di abbellire le canzoni evocando souvenir delle ideologie del passato dopo Radio Varsavia ha fatto scuola: nello stesso 1982 dell'Arca di Noè compare in qualche negozio di dischi un oggetto strano, non si capisce se il gruppo si chiama CCCP o Fedeli alla linea.
1983: Gente in progresso (musica di Battiato e G. Pio, #120)
Secondo Giulia Cavaliere, Orizzonti perduti è "l’album più profondamente milanese della storia della musica italiana" e io le credo. È senz'altro un disco sospeso tra sede e fuorisede, tra "il nord" e "giù", un presente frenetico e un passato idealizzato. Alla pendolarità geografica corrisponde quella stagionale e non è un caso che Gente in progresso, la canzone più milanese del mazzo, cominci in settembre e finisca in primavera: è il calendario della gente "che lavora per avere un mese all'anno di ferie". Il mantra Hare Krishna che spunta tra un ritornello e la strofa non sconfigge quella sensazione asettica, ambulatoriale, evocata dall'arrangiamento elettronico: più di un canto di liberazione sembra la litania di qualcuno che "nelle fabbriche, nei negozi, dietro a scrivanie" cerca di lenire l'alienazione con la meditazione. In tanti altri momenti della carriera di Battiato, Gente in progresso sarebbe diventato un classico. Ma nell'83/84 non fa nemmeno uscire un singolo, e poi comunque in tv vanno i videoclip della Stagione dell'amore e di Mal d'Africa. Negletta anche dalle scalette dei concerti, Gente in progresso resta uno dei migliori risultati del Battiato elettropop che riesce a insufflarci una sottile nostalgia anche per quei settembri dolceamari in cui proviamo ogni volta a programmare un anno migliore, prima che la pioggia e la routine prendano il sopravvento.
1988: Zai saman (#137)
"Come una volta andiamo a visitare la famiglia, guarda com'è grande il ragazzo, guarda la gente come raccoglie i fiori" (traduzione del ritornello). In un disco complessivamente tranquillo e delicato come Fisiognomica (a un certo punto stava per chiamarsi L'Oceano di silenzio), Zai Saman è di gran lunga il momento più frastornante, quello in cui FB si alza dal tappeto di preghiera e ordina agli orchestrali: 1,2,3, casino. Gli orchestrali nel frattempo sono tutti cambiati e Zai Saman è forse il brano in cui più rimpiangiamo i vecchi, perché il nuovo casino non ha la brillantezza dei momenti più giocosi di Patriots o dell'Arca, e nemmeno di Mondi lontanissimi. Cambi di tempo, cambi di lingua, cori e chitarre in fiamme (ma i cori non sono più i Madrigalisti e si sente, le chitarre non sono più di Radius e si sente), ogni senso della misura è allegramento abolito e per almeno tre minuti sembriamo di nuovo in presenza del Battiato giocoso e scavezzacollo. Anche il testo non sa bene dove andare: un ricordo del passato, un ricordo dell'amore, o un compianto per la fine dell'occidente? E almeno stavolta lo ammette: sì, l'occidente soffocherà "per ingordigia e assurda sete di potere", ma dall'Oriente non aspettiamoci che "orde di fanatici".
12. Non si erano mai viste code tanto grandi, tanto lunghe
28-05-2022, 07:41Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è La Gara, questo è un torneo di canzoni di Battiato. Qualcuno ne ha sentito il bisogno. Voi no? Cliccate altrove. Se invece volete votare, si vota qui].
1973: Beta (#40)
Son felice di essere un Beta. Il mio giorno non è duro. Dentro il mare mi posso vestire, dai Gamma e dai Delta farmi ubbidire. Nel Mondo Nuovo i Beta sono gli impiegati, il ceto medio che deve convincersi di essere felice (questa cosa che sia in Orwell sia in Huxley lo Stato sia totalitario nella misura in cui mesmerizza il ceto medio meriterebbe un ulteriore approfondimento, ma non è questa la sede). Per questo i Beta vengono condizionati sin dalla culla, anche mediante l'ascolto di nastri registrati che Battiato qui tenta di riprodurre – perché i Beta alla fine sono anche il target della musica leggera anni '70, una massa di sedicenti rivoluzionari che non vedono l'ora di infilarsi nella nicchia di un posto fisso. (Qualche anno più tardi, agli stessi Beta mezzi addormentati Battiato canterà, subdolamente: sei un essere speciale e io avrò cura di te). È interessante che la prima volta che Battiato mette per iscritto un mantra, questo consista in una serie di frasi mistificanti. Poi parte una improvvisazione intorno al tema di Areknames, con basso batteria e pianoforte e Battiato che fa versi inquietanti con l'eco, una cosa che potrebbe veramente stare in Ummagamma e nessuno noterebbe una grande differenza – nessuno è previsto che rimanga sveglio mentre ascolta Ummagamma e forse anche Beta era concepito da Battiato per addormentarci e continuare a ipnotizzarci subliminalmente. Fino al recitativo finale, una domanda che mi tormenta da ancora prima che l'ascoltassi: "Dentro di me vivono la mia identica vita dei microrganismi che non sanno di appartenere al mio corpo... Io a quale corpo appartengo?"
1982: L'esodo (testo di Tommaso Tramonti (Henri Thomasson) #89)
Fine dell'imperialismo degli invasori russi, e del colonialismo inglese e americano. Dalla prima volta che ho ascoltato quella canzone formarsi all'orizzonte del mio udito (attraverso le pareti che mi separavano dal ghettoblaster di mio cugino), spuntare come dalla nebbia di quell'accordo infinito di synth, L'esodo è stata la mia canzone. Di fini del mondo Battiato ne ha scritte tante, ma questa è la più precisa e contingente, questo è come il mondo potrebbe davvero finire: non con un bang ma con una coda immensa (moltitudini, moltitudini) che si perde nella polvere, nella nebbia, nell'accordo dell'armageddon. I madrigalisti di Milano sembrano sospesi sull'arrangiamento come gli angeli dell'apocalisse in un angolo del quadro. Mamma mia che festa. Mantengo la mia posizione: L'arca di Noè è il più grande disco di Franco Battiato. Non che questo avrà importanza, nel giorno della fine.
1996: Serial Killer (#168)
No non voglio farti del male, fratello mio, non credere perché ho un coltello in mano e tu mi vedi quest'arma a tracolla e le bombe che pendono dal mio vestito come bizzarri ornamenti, collane di scomparse tribù. Non avere paura perché porto il coltello tra i denti e agito il fucile come emblema virile. Non avere paura della mia trentotto che porto qui sul petto... Allora, Sgalambro, questo è ridicolo. Cioè lo so dove vuoi andare a parare, lo capisco, posso anche apprezzare l'idea complessiva, il finalino a sorpresa e a morale (Di questo invece devi avere paura: io sono un uomo come te), però questo personaggio di sogno col coltello, e le bombe che pendono, e il coltello tra i denti, e il fucile, se uno ha una fantasia un minimo visiva come se lo deve immaginare, se non come un bozzetto di Andrea Pazienza, ma di quelli disegnati col pennarello grosso per farsi una risata? Io veramente non ci riesco, non riesco a prenderti sul serio, e nemmeno a ridere quando scherzi, e tutti questi tuoi rimandi culturali che servono a far capire che non sei un signor nessuno, che hai studiato, a mettere in soggezione l'ascoltatore, cioè me? Cioè io dovrei nutrire soggezione perché se dici "sogno pomeridiano" soggiungi subito "di un fauno"? Ma per favore: e quel che mi fa più rabbia è che la musica qui c'è, Battiato sembra in forma, si capisce che vuole fare qualcosa di complesso ma popolare, tentare nuove strade ma ascoltabili, aggirare la dittatura contemporanea della dinamica schiacciata, cominciare piano, esplodere e smorzarsi, tutto molto interessante ma non riesco ad ascoltarlo, ti giuro, per vent'anni non sono riuscito ad ascoltare L'imboscata perché le tue poesie sono stuccatissimi specchietti per allodole e io non dico di essere un'aquila, neanche un falco, ma un'allodola no. Quanta musica buona ha buttato via FB cercando di musicare le tue cianfrusaglie, non ti perdonerò mai, non me lo spiegherò mai. Scusate.
2011: Svegliami domani (con Cinzia Fontana #217)
Uno degli episodi meno noti della carriera di Franco Battiato è questo featuring del 2011 con la cantautrice padovana Cinzia Fontana, che per l'occasione sfoggia nelle strofe un timbro rauco che non può ricordare quello di Alice. Più in generale siamo davanti a un caso da scuola di Battiato-exploitation, ovvero di un brano costruito per attirare l'ascoltatore di Battiato, con una serie di stilemi che lo faranno sentire a casa. È uno stratagemma a cui FB si presta con generosità ma la canzone ha comunque qualcosa che non va – un evidente sbilanciamento tra le strofe e il reiteratissimo ritornello. Sono canzoni che vale la pena di osservare, ogni tanto, per capire quant'è difficile ottenere quell'equilibrio che quando ascolti un Battiato sembra sempre così naturale e spontaneo. Dopodiché mi sono già pentito di averla inserita, ho scartato altre canzoni molto più battiatesche (anche se non attribuite ufficialmente a lui: niente Osage Tribe, niente Genco Puro); ho scartato Joe Patti perché pur essendo un esperimento interessante è troppo spesso un doppione di cose che Battiato aveva già fatto; ho scartato cose anche pregevoli che davvero era impossibile considerare canzoni: tutto Gilgamesh, tutta la Genesi, la Messa Arcaica, tutto Cellini, tutto Telesio, e però mi sono tenuto Campi magnetici e Juke Box e l'Egitto dopo le sabbie, perché? Non c'è un vero perché, bisognava arrivare a 256 pezzi, qualcosa è entrato qualcosa no. Svegliami domani non doveva entrare, siamo d'accordo, ma era su Spotify e se l'avessi tolta avrei dovuto ricalcolare le ultime 40 posizioni, rifare tutti i gironi, insomma è andata così. Tanto il turno non lo passa, no?
11. Passano gli anni, i treni, i topi per le fogne, i pezzi in radio
27-05-2022, 07:33Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è sempre La Gara, una competizione di canzoni di Franco Battiato. Oggi abbiamo un jazz sperimentale per chitarra e violino, un rock postmoderno con Eraclito in sottofondo, una canzone d'amore barocca e un tappeto di suoni elettronici per un balletto. Poi è vero che certe volte Battiato dava la sensazione di ripetersi un po', però insomma, ecco, dai].
1972: Cariocinesi (#153)
Un nucleo si divide, l'errore lo interrompe. Il fascino particolare di certe opere prime risiede anche negli errori di percorso, in tutti gli esperimenti non riusciti e da lì in poi accantonati che ci fanno per un attimo immaginare che lo stesso artista avrebbe potuto prendere strade completamente diverse, ci è mancato pochissimo. Ad esempio Cariocinesi è un intermezzo jazz nel bel mezzo di Fetus – ok, è un jazz sui generis, una specie di swing con un violino in evidenza, e una chitarra ritmica forsennata. Non è certo il momento più innovativo di Fetus, ma è qualcosa di divertente che Battiato non tenterà (quasi) mai più: da lì in poi, pur percorrendo innumerevoli e apparentemente incompatibili universi musicali, dal jazz si terrà sempre a rispettosa distanza: anche nella fase della sua carriera più orientata all'improvvisazione, che sta per cominciare.
1996: Di passaggio (con Manlio Sgalambro, #104)
Passa la gioventù, non te ne fare un vanto. Devo confessare di avere ingiustamente detestato Di passaggio quando uscì, per un motivo abbastanza sciocco, ovvero quella citazione di Eraclito piazzata lì da Sgalambro con la mano leggera di un liceale che cerca un frontespizio ad effetto per la sua tesina di quinta. Quant'ero geloso, no? Battiato aveva sempre ficcato riferimenti culturali di seconda mano nelle sue canzoni, e non ci avevo mai trovato niente di male, avevo sempre pensato che fosse un procedimento ironico. Ma appena compare il vocione di Sgalambro, l'alibi dell'ironia sembra crollare. A riascoltarla Di passaggio è una canzone trascinante, soprattutto grazie all'epica chitarra di David Rhodes, che conferisce una credibilità rock a un riff che grida: ouverture! (davvero, immaginatelo orchestrato per violini). Il ritornello spostato di un semitono ("Siamo solo di passaggio") ci ricorda che sotto a tutto questo rock'n'roll c'è sempre il tappeto di preghiera di un guru: Di passaggio è una delle sue prime meditazioni sulla caducità dell'esistenza (ne seguiranno molte altre negli anni a venire).
1999: La canzone dell'amore perduto (Fabrizio De André, Georg Philipp Telemann, #25)
Ricordi? Sbocciavano le viole. La canzone dell'amore perduto sembra fatta apposta per Fleurs – e questo magari è un suo limite, in una raccolta che funziona in parte anche grazie all'effetto sorpresa. In ognuno di queste canzoni, Battiato cerca qualcosa di fuori del tempo, la classicità: ma è più curioso vederlo mentre le trova in brani del repertorio pop o rock piuttosto che in una canzone che alla musica classica si rifaceva già in partenza. E in effetti qui la cura di Battiato sta nell'attenuare per quanto possibile il riferimento barocco dell'originale (l'originale era arrangiato da Gian Piero Reverberi, che più tardi avrebbe inventato il Rondò Veneziano, ovvero un altro esempio di commistione tra musica classica e pop che partì proprio nello stesso periodo in cui Battiato portava il violino di Giusto Pio in classifica, e che non poteva non avere presente, se non altro per scansarlo come la peste).
2000: La corrente delle stelle (#232)
Campi Magnetici è un'uscita di Battiato che potreste esservi persi. Secondo Onda Rock è il suo "lavoro più inascoltabile", giudizio apparentemente ingeneroso se si pensa a quante cose davvero poco ascoltabili aveva realizzato nel suo periodo più oltranzista. Non solo Campi Magnetici non è una tortura per l'orecchio come Oriental Effects o Juke-box, ma in queste sere afose lo sto ascoltando più volentieri dei suoi dischi cantautorali dello stesso periodo: non dico sia migliore di Gommalacca o Ferro battuto, ma mi imbarazza meno tenerlo acceso mentre faccio altre cose. Il che ci pone più di un problema: è ancora musica d'avanguardia se la fruisco come muzak di sottofondo? E cosa è successo alle mie orecchie, quale bomba sonora li ha devastati nella jungla triphoppara degli anni Novanta perché esse possano trovare rassicurante un collage di suoni e rumori inquietanti?
10. E cominci a detestare i processi meccanici e i tuoi comportamenti
26-05-2022, 07:33Battiato, la Gara, musicaPermalinkBattiato nella sua vita da performer non è che si sia tirato indietro. Ha suonato ai festival di Re Nudo, tenendo una nota sola per minuti e minuti in mezzo ai freak, ha suonato in Iraq e all'Eurovision ma se dovessi dire la cosa più coraggiosa che gli è capitato di fare, secondo me ha duettato in tv con Massimo Ranieri. E non una canzone qualsiasi, ma un classico della canzone napoletana, Era de maggio, già incisa in Fleurs. Il duetto in sé va come era prevedibile che andasse: Battiato non era nemmeno troppo in forma e Ranieri appena entra lo distrugge, che altro può fare Massimo Ranieri? Ma il contrasto può servire per farci capire cosa stava cercando di fare in Fleurs: essiccare le canzoni, strapparle al loro contesto specifico e metterle sotto vetro; nel caso di Era de maggio denapoletanizzarle, eliminando quell'enfasi teatrale che ha senso quando una canzone deve difendersi nei vichi, ma che rischia di distrarci dalla pura bellezza di un testo e una musica, che io in effetti senza Battiato probabilmente non avrei ascoltato. È in effetti lo stesso procedimento che porta Battiato a cantare Lied con la sua voce educata ma non impostata: i puristi non ci troveranno niente di interessante; chi non si era mai interessato scopre un mondo.
9. Ne abbiamo avute di occasioni, perdendole
25-05-2022, 07:18Battiato, la Gara, musicaPermalink1967: Le reazioni (#249)
1974: No U Turn (#136)
8. L'Etica è una vittima incosciente della Storia...
24-05-2022, 07:51Battiato, la Gara, musicaPermalink1980: Venezia-Istanbul (#48)
(*) sullo spartito c'è proprio scritto "uomini" tra parentesi, me lo ricordo benissimo, ce l'aveva mio cugino.
7. In quest'epoca di bassa fedeltà e altissimo volume
23-05-2022, 08:00Battiato, la Gara, musicaPermalink6. Gli orchestrali sono uguali in tutto il mondo, simili ai segnali orari delle radio
22-05-2022, 08:00Battiato, la Gara, musicaPermalink[Benvenuti alLa Gara, un effimero torneo di canzoni di Battiato, che Battiato non avrebbe mai autorizzato ma così impara a lasciare questa ruota dolorosa che è l'esistenza sulla terra, tie'! no scusa maestro è che certe volte mi manchi così tanto].
1980: Arabian Song (#80)
L'uomo è l'animale più domestico e più stupido che c'è. Battiato tra il 1980 e il 1982 è in stato di grazia. Dopo tanto penare in cerca di musiche inascoltabili, all'improvviso ha scoperto una formula che sulla carta non potrebbe mai funzionare, e invece gira che è un piacere – a volte persino a dispetto dello stesso artista, che le prova tutte per renderla meno orecchiabile: ad esempio ci canta un ritornello nella lingua meno pop che si possa nel 1980 immaginare, l'arabo (parole quasi a caso, lo stava appena imparando), mentre le strofe sono un collage di ricordi di un'infanzia in provincia ormai completamente strappati al contesto della nostalgia, ricopiati e assemblati a caso come i frammenti di poesie scolastiche e luoghi comuni che compongono gli altri testi di Patriots. L'insieme dovrebbe risultare freddo e cervellotico, non è escluso che Battiato avesse in testa una musica più astratta e impassibile tra Krautrock Nowave e Stockhausen, ma finché alla chitarra c'è Alberto Radius che si diverte così il risultato è completamente l'opposto: una musica felice, che proietta lampi di luce sia sul grigiore del passato grigio sia sulle inquietudini del futuro. Sarà anche così stupido l'uomo, ma che musica gli scappa, a volte.
1993: Ricerca sul terzo (177)
"Mi siedo alla maniera degli antichi Egizi". Parlare di meditazione non è facile. Si dà per scontato che serva molta pratica, e di conseguenza un linguaggio iniziatico. Battiato, che quando vuole sa nascondersi dietro miraggi lessicali, qui sceglie la via inversa e cerca di spiegare come fa lui, a meditare, nel modo più semplice possibile, con le parole più chiare a disposizione. Se è stato un guru, è stato il più simpatico, quello che si è fatto pagare meno e che ha saputo disfarsi di un orpello forse non previsto dai manuali orientali: lo snobismo. Hai veramente la sensazione che potresti sederti vicino a lui e imparare qualcosa. Nel mio caso non può funzionare perché la strumentazione (il sitar, la tabla) che dovrebbe evocare l'India, non può che farmi venire in mente... George Harrison. Ricerca sul terzo sembra veramente un omaggio a Within You Without You.
1995: Tao (#208)
250 milioni di spermatozoi! In un solo orgasmo! Un solo uomo può popolare la terra! Questa cosa che per i taoisti è fondamentale eiaculare il meno possibile io la scoprii molto prima che Battiato mi ragguagliasse, su un volume che si chiamava Tao dell'amore che in qualche modo riuscii a rintracciare in casa mia benché i miei genitori lo avessero nascosto ben bene. Non so che dire, mi sembra che la civiltà occidentale abbia preso la direzione opposta: nel dubbio eiaculiamo, e dopo le cose per un attimo ci sembrano più chiare, più distanti (ma dura pochissimo). L'ombrello e la macchina da cucire è un disco difficile da apprezzare. Il ritorno all'elettronica – in relativa sintonia coi trend internazionali del periodo – avviene attraverso un linguaggio così personale e solipsistico che a volte l'ascoltatore può sentirsi di troppo, cioè forse Battiato queste canzoni le ha scritte per essere lasciato solo (solo con Sgalambro?) Sono anche brani che sfiorano pericolosamente l'autoparodia; in effetti c'è molto del Battiato che ci piace canzonare. E il video, se è davvero il video ufficiale, non ha retto l'ingiuria del tempo, mettiamola così.
2019: Torneremo ancora (#49)
Finché non saremo liberi torneremo ancora, e ancora. L'ultima canzone incisa da Franco Battiato (e cantata con una fatica percepibile, e straziante) ha un titolo solo apparentemente di buon augurio – da un punto di vista buddista, "tornare ancora" è una maledizione: occorrerebbe liberarsi, sottrarsi da questo loop infernale che è l'esistenza, ma come si fa? Battiato ci ha provato per buona parte della sua vita, complicata dal fatto che per vivere doveva comunque fare il cantante e l'autore. Anche Torneremo ancora era stata scritta pensando ad Andrea Bocelli (su istigazione di Caterina Caselli), ma non è difficile capire perché la canzone fu respinta – perlomeno è più facile di immaginare il vocione di Bocelli scandire "La luce sta nell'essere luminosi, irraggia il cosmo intero" senza farlo sembrare un recitativo. Scritta con Juri Camisasca, incisa con la Royal Philarmonic Concert Orchestra durante il breve tour che Battiato fece con loro nel giugno 2017 (ma la canzone uscì due anni più tardi), Torneremo ancora chiude la traiettoria artistica di Battiato con l'ambiguità con cui si era aperta, quel dubbio sospeso tra Occidente e Oriente: è meglio vivere o togliere il disturbo? Battiato in teoria preferiva la seconda cosa: ce lo ha scritto tante volte, lo ribadisce anche qui, ma appunto, se era così ansioso di lasciarci perché ci ha messo così tanto? perché ha continuato a fare concerti finché non si è rotto un femore a 71 anni, perché ha continuato a incidere canzoni con l'ultimo filo di voce che gli era rimasto? E quindi ce l'ha fatta a liberarsi da ogni desiderio, a raggiungere il nirvana, o anche lui tornerà ancora?
5. Vuoto di senso, senso di vuoto
21-05-2022, 08:00Battiato, la Gara, musicaPermalink[Benvenuti alLa Gara, un torneo di canzoni di Battiato. Oggi per puro caso si scontrano tre canzoni di apertura di tre dischi diversi, più un singolo che Battiato non ha nemmeno firmato].
1973: Sequenze e frequenze (#144)
Ogni tanto passava una nave. Sequenze e frequenze tra breve compirà cinquant'anni ed è ancora un brano meraviglioso che comincia con una splendida lirica, semplice ed evocativa. Nella storia artistica di Battiato rappresenta una pietra miliare meno visibile di altre ma più profonda: la scoperta del proprio passato. Fin qui il Battiato '70 era un artista completamente proiettato in un futuro di suoni sintetizzati e inquietudini fantascientifiche. Per il suo pubblico deve essere stato un certo choc ascoltare le prime parole, scandite con un timbro insolitamente opaco: "La maestra in estate ci dava ripetizioni nel suo cortile. Io stavo sempre seduto sopra un muretto a guardare il mare". Maestre, ripetizioni, cortili, muretti, tutto un crepuscolarismo di ritorno che si manifesta qui per la prima volta e da cui Battiato non si separerà più. Da un punto di vista strumentale, si sviluppa l'intuizione intravista già in Plancton: sovrapporre agli strumenti moderni (synth e chitarre elettroniche preparate) altri tradizionali se non arcaici: vibrafono, tabla, mandolino, che dialogano assieme in una coda lunghissima (16 minuti, tutto il primo lato di Sulle corde di Aries).
1978: Adieu (#241)
Mon métier, faire le musicien. Di cose strane e non del tutto spiegabili Franco Battiato & Giusto Pio ne hanno fatte tante, ma forse nessuna eguaglia quella volta che si inventarono una popstar a tavolino, "Astra", e siccome nessuno dei due intendeva impersonarla... mandarono in tv a cantare e suonare in playback il figlio di Giusto, Stefano Pio. Come ricorda quest'ultimo, più che di nepotismo fu una questione di massima resa con minima spesa, "non costavo nulla: come figlio infatti, non era contemplato un mio pagamento". Il brano è interessantissimo per vari motivi: è l'anello di congiunzione tra dischi così apparentemente diversi come Juke-box e L'era del cinghiale bianco; è la conferma che Giusto Pio aveva preso nella vita di Battiato lo stesso posto che qualche anno prima aveva il sintetizzatore VCS3, un giocattolo da maltrattare fino alle estreme conseguenze: qui Pio suona 13 note al secondo (per la disperazione di suo figlio che davanti alla telecamera avrebbe dovuto mimare una prestazione del genere). È un tappeto di note a cascata che ricorda proprio i vecchi frequenziometri di Aries e Clic, a cui Battiato fa da contrappeso con un basso ostinatamente mononota e una melodia semplice e accattivante che in seguito si sarebbe pentito di avere sprecato per un progetto tanto estemporaneo: non solo gli capitò di riciclarla due volte per due interpreti diverse, Catherine Spaak (Canterai se canterò) e Milva (Una storia inventata), ma tutto sommato la vera erede di Adieu, quella che riprende anche l'accompagnamento frenetico del violino, è Le aquile, uno dei pezzi più forti di Patriots.
2007: Il vuoto (feat. MAB, #113)
Il Battiato degli ultimi dieci anni di carriera è un commovente paradosso: tanto brontolone e querulo nei contenuti, quanto bonario e disponibile alle collaborazioni più improbabili. In questo caso per incidere l'ennesima variazione sul tema "alienazione urbana" si avvale del quartetto anglo-cagliaritano delle MAB: loro provvedono al rock (che per Battiato è la musica urbana), FB si lagna dei tempi che corrono, e a un certo punto salta anche fuori un tenore ad avvisare l'arrivo di nuovi dei non meglio specificati, insomma un pastrocchio di cose che se funzionano, se sono ascoltabili, è proprio perché a dispetto di tutto il suo orrore per i tempi che corrono Battiato nel 2007 si diverte ancora un mondo a cantare, a suonare e a far cantare e suonare la gente che ha intorno. Anche se in platea fosse rimasto solo il povero Sgalambro, vale sempre la pena di salire su quel palco, vale sempre la pena di abbracciarsi.
2008: Tutto l'universo obbedisce all'amore (con Carmen Consoli, #16)