Il notebook del nonno

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Alcuni amici del nonno si erano trattenuti nella camera ardente oltre le undici. Arno non aveva trovato le parole giuste per congedarli. Alla fine era stata sua madre, esausta, a stringere loro le mani un'ennesima volta e a spingerli fisicamente verso la porta.

"Ora andrò a letto", annunciò, dopo averla richiusa. "E anche tu dovresti".
"Potrei tornare al campus".
"A quest'ora? Che assurdità. Domattina devi essere di nuovo qui. Dormirai qua sopra".
"Nella sua stanza?"
"L'ho preparata oggi".
"Ma è la sua stanza".
"Ti spaventa? Non ci dormiva da mesi. C'è anche un notebook, se vuoi lavorare".
"Sarà protetto".
"La password è scritta sul coperchio".

(Questo pezzo  partecipa alla Grande Gara degli Spunti! - prosegue la traccia di Tutto quello che sai è veroSe vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

Arno in realtà non aveva nessuna intenzione di "lavorare". Aveva in testa un lungo messaggio da inviare a Viole - composto mentalmente nelle ore in cui era rimasto in quella stanza, a fare arredamento. Ma l'idea di scriverlo sullo strumento del nonno lo ripugnava.

Per quanto fosse una buona macchina. Dieci terabyte di memoria fissa. Processore di ultima generazione - per "ultima" si intendeva quella realizzata ottant'anni prima, che in teoria aveva raggiunto il limite atomico di miniaturizzazione. Da lì in poi la ricerca e l'industria si erano concentrate su altri aspetti - la robustezza, il risparmio energetico. L'Olidata del nonno di Arno aveva un'autonomia di una settimana. La marca era l'unico dettaglio un po' originale, una concessione alle origini italiane del nonno. Arno conosceva vagamente la storia dell'Olivetti, e sapeva che di italiano quella macchina aveva soltanto il nome. Ma per quanto poteva ricordarsi, sapeva che il nonno aveva sempre usato prodotti Olidata. Era peraltro impossibile che quello fosse il modello su cui da piccolo gli aveva mostrato i primi cortometraggi Pixar - uno dei ricordi più vividi della sua infanzia. Ma era più o meno lo stesso modello. Lo stesso che attendeva Arno sulla sua scrivania al campus. Si distrasse un attimo a contemplare la pergamena della laurea. Scienze della comunicazione. Come sua madre. Come lui. Stessi gusti, stesse scelte, stessi risultati. Ottenuti battendo gli stessi tasti degli stessi notebook.

La password era ___ARNO___33

La lacrima che non era riuscito a esibire per tutto il giorno scese in un attimo, senza preavviso. A quel punto doveva entrare. Immaginò che si trattasse di un account per gli ospiti, senz'altro suo nonno non lasciava spalancato il suo computer su... no. Il desktop era pieno di appunti. Il più recente era di quattro mesi prima, quando era andato in clinica per una visita di controllo e... e non l'avevano dimesso più.

Una spia avvertiva che era disponibile l'ultimo film ordinato: Terminator 2. Arno sorrise, la vecchia saga di Schwarzenegger era una passione comune in famiglia. Arno ricordava diversi reboot e sequel, ma non aveva mai visto uno dei film originali, finché non era uscito nelle sale quattro mesi prima, in un edizione restaurata per il Bicentenario. Era stato indeciso se portarci la madre o Viole, alla fine aveva scelto Viole. Pessima scelta, lei preferiva Stallone.

"Ma hai mai veramente visto un film di Stallone?"
"No, ma mi piace il franchise".

La Fox continuava a fare uscire film su Rambo e Rocky, interpretati da attori che assomigliavano all'originale. "Stallone" era diventato un genere, apprezzato anche da chi ignorava l'origine del nome. Mentre pensava a tutto questo, Arno continuava a sfogliare sovrappensiero il notebook del nonno. Doveva ormai aver dimenticato che non era il suo, perché a un certo punto digitò sul browser le prime lettere del blog di una pornostar che consultava pigramente a tarda ora, nel dormitorio. Era una specie di buonanotte che si concedeva al termine dei giorni più difficili.

Fu questione di un istante. Non digitò più di due lettere: B,R.

Il browser completò l'indirizzo in automatico.

Brigid@Love non aveva aggiornato il blog. In compenso Arno aveva scoperto di avere un'altra cosa in comune col nonno. Va bene, e quindi? Doveva sentirsi scandalizzato? Turbato? O commuoversi per tanta familiarità? Tutto era in realtà spaventosamente normale. Arno amava gli stessi film del nonno, aveva studiato le stesse cose del nonno, usando gli stessi strumenti del nonno. Arno era suo nonno. Così andavano le cose, così dovevano andare.

Ma non era sempre andato così. Secoli prima era esistito un processo tecnologico. C'erano state epoche di intensa elaborazione creativa. Un decennio in cui non c'era ancora Rambo, e poi improvvisamente era arrivato Rambo, e all'inizio nessuno probabilmente si rendeva conto di trovarsi di fronte a qualcosa che avrebbe continuato a riempire le sale per secoli. Cosa era successo. Cosa stava succedendo.

Arno aveva studiato la storia dei supporti musicali, e conosceva bene la particolarità del supporto fisico più amato, il disco in vinile: ogni facciata del disco conteneva la musica su una traccia a spirale. Il disco veniva fatto ruotare su un piatto; la puntina leggeva il solco dall'esterno verso l'interno. Arno aveva sentito dire che certe puntine difettose, specie verso la fine, si incantavano sullo stesso solco, ed era così che era nato il concetto musicale di loop. Arno aveva la sensazione di trovarsi in un loop del genere: tra poche ore avrebbe assistito al suo stesso funerale.

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