Pirla Power
17-04-2008, 00:28Bossi, cattiva politica, lotta di classePermalink
Insomma, la notizia non è che gli operai votino lega (da quindici anni, più o meno): semmai possiamo interrogarci sul perché continuino a farlo dopo quindici anni di prese per il culo. La Lega è il più antico partito dell'arco costituzionale, e non ha mai fatto nessun tentativo di maquillage. Mentre tutti tentano disperatamente di apparire più giovani e persino intelligenti o capaci, Maroni e Borghezio dimostrano che si può serenamente far carriera politica senza provarci nemmeno. I leader della Lega non temono l'età: il ricambio non è generazionale, ma dipende dalle simpatie e antipatie del Capo; costui poi con gli anni si è trasformato in un enigma in vecchio stile, quasi sovietico: è ancora in sé o recita soltanto frasi registrate? Per esempio, l'ultima boutade sui fucili non aveva veramente senso, sembra presa di peso da certi sermoni del '93. Gli fanno recitare vecchi discorsi a memoria? Ma poi diciamolo: cosciente o no, fa molta differenza? Per incarnare il leader della Lega un cervello è sprecato, un midollo spinale più che sufficiente: in fondo non si tratta che di reagire a stimoli involontari (via-i-clandestini, federalismo-fiscale, dazi-alla-Cina, ecc ecc)
È da anni che siamo convinti che la campagna elettorale si faccia al 90% in tv, eppure... c'è qualcosa di meno telegenico di un dirigente leghista? Basta fissarli anche per pochi attimi: leghista operaio o piccolo proprietario, sii sincero, lo compreresti un aspirapolvere da Maroni? Ti faresti rimettere a posto la faccia da Calderoli? E a proposito, ti faresti rimettere a posto la legge elettorale da Calderoli? Il fatto è che l'elettore leghista probabilmente non guarda i politici in tv, e non lo biasimo: nemmeno io.Questo è interessante: che un vecchio Partito di vecchie facce (brutte) abbia successo, mentre gli altri sperimentano invano nuovi apparentamenti, cambi di nome e di guardia, e qualsiasi tipo di lifting.
La Lega, dunque, come Vecchio-che-Avanza: un partito che irride lo strapotere dei Media e si radica nel territorio, che organizza ancora le feste con la porchetta e ha sezioni nei quartieri... aspetta, aspetta, questo sarà vero in qualche provincia del lombardoveneto, ma in generale è un mito. Per quanto sia indubbiamente un partito di attivisti, la Lega non è mai riuscita nemmeno a organizzare una marcia sul Po decente. Niente di paragonabile alla forza della vecchia DC nel Veneto di qualche anno prima, e alla macchina organizzativa un po' arrugginita ma ancora funzionante dei DS tra Arno e Po. Anche quando le energie della base ci sono, l'organizzazione territoriale della Lega si scontra con un limite strutturale della sua classe dirigente, il fatto cioè che tale classe dirigente sia sostanzialmente una manica di pirla. In modo che le energie vive di attivisti sinceri, ai quali va tutto il mio rispetto, si incanalano in progetti demenziali come il Parlamento di Mantova, le camicie verdi, il “quotidiano” Padania e… il Credieuronord. Ecco, un partito che sopravvive a uno scandalo come quello di Credieuronord, che ne mise in luce non tanto la disonestà dei dirigenti, quanto la loro totale incompetenza (troppo pirla persino per rubare) ha veramente qualcosa di soprannaturale.
Ma se in tv non funzionano, e sul territorio sono più pasticcioni che altro, com’è che vincono i leghisti? La risposta è abbastanza facile, basta guardare i manifesti. La campagna elettorale di PD e PDL era tutta giocata sul riscatto: Yes we can, risvegliati Italia, dai che ce la facciamo, possiamo risolvere tutti i problemi, ecc. ecc. Niente di nuovo, Berlusconi prometteva un Nuovo Miracolo Italiano già 14 anni fa, e Veltroni si è accodato. Del resto cosa dovrebbe promettere un politico, se non riscatti e speranze? Cosa dovrebbe fare, se non rassicurare e incitare a guardare avanti? Ecco, i leghisti non lo fanno. Loro preferiscono seminare paure. Confesso di aver sottovalutato il manifesto del Pellerossa. Mi sembrava la solita trovata demenziale di quattro subumani al bar. Trovavo francamente assurdo il nuovo gemellaggio storico: dopo i comuni medievali, i Celti e Braveheart, gli indiani d’america. Insomma, come fai a lamentarti tutto il santo giorno perché nel tuo quartiere sono arrivati i Rom e poi giocare sulla compassione per un popolo nomade abbruttito dalla piaga dell’alcoolismo?
Poi ho capito che l’identificazione non ha a che vedere con l’etnia (i leghisti sanno benissimo di non essere una razza pura), ma con qualcosa di meno astratto e allo stesso tempo immateriale, che potremmo chiamare… sfiga. I leghisti si possono identificare nel pellerossa, perché è un perdente. Un uomo senza speranza. Il leghista non si ferma al colore della pelle o ai vestiti esotici, ma ha fiuto per la disperazione annidata in quelle rughe. Lui non crede ai sorrisi di Berlusconi o alle rassicurazioni di Walter: ha risparmiato una vita per prendersi la casa che non vale più niente perché il condominio di fianco è caduto in mano ai magrebini. Sa benissimo che suo figlio non diventerà Kennedy né sua figlia una ballerina, o viceversa. Nei leghisti si riconosce. Sono brutte facce, come i pellerossa, e in fondo come lui: gente che va al bar a spararle grosse. Possono diventare uomini di potere, ma non diventeranno mai uomini di successo. Proprio come lui. Il contrario del Berlusconismo; o meglio, il suo complementare. Berlusconi incanta una buona fascia della popolazione con il mito del self-made man; i leghisti si occupano di quelle fasce di scettici che in quel mito non possono più credere o non crederanno mai, e che si arroccano in quel poco di benessere acquisito.
Man mano che la società depone le sue velleità progressiste e si rimodella sull’ideale selvaggio della lotta per il successo, la fabbrica si popola di Perdenti: in una jungla di individui tormentati dallo spettro del fallimento, i Perdenti sono quelli che si chiamano fuori dalla lotta sin dall’inizio. Ciò che per gli altri è un incubo (il fallimento), per loro è un destino evidente sin dai primi anni di scuola, e persino confortevole: i perdenti se la prendono calma, di crescere e finire in fabbrica non c’è nessuna fretta. Certo, in fabbrica fino a vent’anni fa avrebbero trovato solidarietà di classe, persino un ideale politico e sociale: oggi no, e forse questo rende le fabbriche ambienti molto più opprimenti che in passato, malgrado i nuovi capannoni siano molto più ariosi. Alcuni reagiscono briatorizzandosi nel week end: con qualche sforzo dopotutto possono permettersi belle macchine, accessori e sostanze. Ma in fin dei conti è una recita, e lo sanno. Tanti altri hanno lasciato perdere in partenza, proprio come ai tempi dei banchi di scuola: si rincagnano nei bar e se la prendono con gli extra. Che magari sono più poveri di loro, eppure… hanno un orizzonte più vasto: loro alla Lotta per il Successo ci stanno giocando ancora, anche se in una serie minore.
Probabilmente il leghismo operaio è tutto qui. Nel senso che ricette nuove per gli operai i leghisti non ne hanno, se non di recente quel mito tremontiano dei dazi, che presto o tardi qualcuno dovrà incaricarsi di sfatare. Ma che bisogno c’è di proporre qualcosa, quando è sufficiente dare aria alle solite paure? I leghisti hanno bisogno di sentirsi minacciati da un’invasione di stranieri o rifiuti. In questo modo la loro mediocrità assume un valore quasi epico: il giorno che gli invasori se ne andranno (e man mano che l’Italia sprofonda, se ne andranno), saranno costretti a inventarseli. Ma è un giorno ancora lontano.