La Santa Oliva, che forse è a Tunisi

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10 giugno: Sant'Oliva di Palermo, vergine e martire (V secolo). 

La moschea dell'ulivo, a Tunisi

Che i siciliani venerino una Santa Oliva non è così bizzarro, così come non risulta bizzarro che si tratti di una martire dalla vicenda particolarmente evanescente: non si capisce nemmeno chi l'abbia martirizzata, se i Vandali o, molto dopo, i Saraceni. A questo punto il mio buon lettore sta già sviluppando una congettura: il martirio sarebbe una leggenda posticcia, celante un'origine pagana: altro che martire, i siciliani veneravano l'Oliva in Quanto Tale! La sua preziosità organolettica, la sua centralità economica, la sua duttilità gastronomica: tutte qualità decisamente venerabili. E come l'Oliva per dare olio deve essere spremuta, in modo analogo Sant'Oliva doveva essere stata flagellata, scarnificata sull'eculeo, e immersa in una caldaia di olio bollente: così perlomeno nella Vita più antica, che antica non è affatto (è già del Quattrocento)  Congettura interessante, mio buon lettore (ti parlo al singolare, tanto ormai); e tuttavia fa a pugni col semplice fatto che Sant'Oliva si è sempre festeggiata in giugno, ovvero decisamente fuori dalla stagione della raccolta e della spremitura.

Oliva è una santa che non piace agli agiografi. Non si fidano, è come se fiutassero aria di paganesimo, o anche solo puzza di fritto. Il Martirologio romano la snobba; il nome compare per la prima volta in un breviario gallo-siculo di epoca normanna; la Vita come abbiamo visto è molto più tarda; Agostino Amore, che ne curò la scheda per la Bibliotheca Sanctorum, la definisce senza molta diplomazia un racconto "evanescente e fantasioso", "degno di essere annoverato tra le passiones della peggiore specie". Sembra in effetti scritta col pilota automatico: secoli prima che le Intelligenze Artificiali cominciassero a colonizzare la parola scritta, molti agiografi apparivano già tormentati dal rischio di apparire anche solo vagamente originali, e dovendosi inventare una storia di martirio sembravano decisi di non aggiungere un solo dettaglio che non fosse uguale a decine di altre Vitae: dunque ecco la fanciulla di buona famiglia che a tredici anni subisce la vocazione; ecco il miracolo (restituisce la vista a due ciechi; non sfuggirà la connessione tra occhi e olive, il cui olio veniva usato anche nella cosmesi e nell'oftalmologia popolare), l'esilio nel deserto, l'arresto e la sequela di torture, come al solito culminante nella decapitazione. L'unico dettaglio che non suoni copia di mille riassunti è l'ambientazione: benché siciliana, Oliva sarebbe stata martirizzata a Tunisi. Il che forse serviva a spiegare l'assenza di reliquie importanti per una santa che comunque godeva di una certa popolarità: celebrata tra l'altro ad Alcamo, a Termini Imerese, e invocata a Palermo anche prima che il culto per Rosalia prendesse piede. E per quanto questi e altri comuni se ne disputassero i natali, nessuno reclamava di custodirne i resti. Come mai? Esiste più di una leggenda: forse sono nascoste nella vecchia chiesa che un tempo portava il suo nome (ma adesso è dedicata a Francesco di Paola). Forse sono in fondo a un pozzo. Forse quando verranno trovate scateneranno un'età dell'oro; e forse sono al di là del mare. Quest'ultima idea era così convincente che nel 1402 il re Martino I di Aragona (detto l'Umano) chiese ufficialmente la restituzione dei resti al califfo Abu Faris Abd al-Aziz II; il quale avrebbe ben potuto nell'occasione mettere in un cofanetto qualche osso sbeccato e far contento Martino; non sarebbe nemmeno stato il primo califfo a ingraziarsi un re cristiano con qualche patacca, ma a quanto pare non lo fece. Forse era troppo onesto, o forse non voleva darsi la pena di ingraziarsi il re di Aragona. 

Duomo di Palermo. Foto di
© José Luiz Bernardes Ribeiro,

Sia come sia, in quel periodo nasce la diceria che il corpo di Oliva sia davvero custodito in una piccola moschea a Tunisi, vicino alla Grande Moschea che è chiamata, appunto, "dell'ulivo" (Gami-az-zaytum). Se si chiama così, è probabilmente perché lì accanto sorgeva un vecchio ulivo; ma nulla impedisce ai cristiani di fantasticare che prima della Moschea lì sorgesse una chiesa dedicata a Sant'Oliva; e che il califfo non volesse restituirne il corpo perché ne era geloso. In una scheda di Santiebeati attribuita a un tale Ugo Russo si legge che "ancora oggi i tunisini, presso i quali è ancora oggi venerata, credono che la loro religione e la loro dominazione tramonterà quando scomparirà il Corpo della Vergine Oliva". Questa nozione, che se fosse vera sarebbe sconvolgente (musulmani sunniti che venerano il Corpo di una Vergine che è anche una santa cristiana?) non risulta altrove; il che non impedisce Gemini di ricamarci sopra, da brava AI di Google che non vuole contraddire nessuno.

La frase "la loro religione e la loro dominazione tramonterà quando scomparirà il Corpo della Vergine Oliva" è una credenza popolare in Tunisia, dove è venerata Sant'Oliva di Palermo, e in particolare tra i sunnitiSecondo questa credenza, la scomparsa del corpo di Sant'Oliva segnerà la fine della loro fede e del loro potere. Questa credenza si basa sulla venerazione che i tunisini nutrono per Sant'Oliva, la quale è considerata un'importante figura religiosa e un simbolo di protezione.                                                                                                             
Maccosa Gemini vai a casa sei ubriaco
In sostanza, la frase esprime la convinzione che la presenza del corpo di Sant'Oliva è fondamentale per il mantenimento della loro fede e del loro potere. La scomparsa di questo corpo, quindi, segnerebbe un evento catastrofico, con la fine della loro religione e del loro dominio. 
Ma di che dominio stai parlando, Gemini.
Questa credenza è un esempio di come le tradizioni religiose possono influenzare la visione del mondo e la comprensione della storia. La figura di Sant'Oliva, in particolare, è un simbolo di resistenza e di speranza per i tunisini, e la sua presenza è vista come un fattore cruciale per la loro sopravvivenza come comunità. 

Cioè davvero ora tocca togliere internet agli studenti.   

Grazie a questa diceria, Oliva è diventata anche la patrona della (piccola) comunità cristiana di Tunisi; questo malgrado la storia non abbia molto senso, in qualsiasi periodo si voglia collocare la vicenda; in teoria sarebbe avvenuta nel quinto secolo, durante le scorrerie dei Vandali che si erano stabiliti intorno a Tunisi e per quanto potessero essere ostili, in quanto ariani, ai cristiani ortodossi, non si capisce perché avrebbero dovuto punire Oliva con l'esilio nelle loro terre. L'autore della Vita dà piuttosto la sensazione di immaginare i carnefici di Oliva come Saraceni musulmani; i quali in effetti avevano controllato la Sicilia per un secolo, ma anche loro non risulta che deportassero in Africa i cristiani – o che li venerassero dopo averli ammazzati. 

Confesso che un po' mi dispiace: qualsiasi storia che ci facesse sentire Tunisi un po' più vicina alla Sicilia (e all'Italia), credo che varrebbe la pena continuare a raccontarla. In fondo siamo più o meno gli stessi esseri umani – e raccogliamo più o meno le stesse olive. Oliva meritava agiografi migliori. Ma forse c'è ancora tempo.

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