Dalle stalle al sacro soglio

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30 aprile: San Pio V (1504-1572), pontefice e inquisitore

C'è chi scambia la democrazia per una semplice questione di pari opportunità: ovvero l'importante è che a tutti sia data la possibilità di comandare, dopodiché vediamo chi se la merita – qualcuno ci crede davvero a questa cosa, non sono tutti lacchè del potente di turno (o impiegati nella sua Fondazione), qualcuno è in buona fede. A costoro bisogna purtroppo far notare che sono proprio gli umili, appena gli dai tutto il potere, a usarlo in modo più feroce: che se il Novecento è stato il secolo terribile che è stato, ciò è successo proprio perché una maggior mobilità sociale ha consentito di raggiungere posizioni di potere a gente che in altri periodi storici non avrebbe conosciuto altro destino che zappare la terra: i genitori di Stalin erano contadini, quelli di Mao pure (anche se forse se la cavavano un po' meglio), il padre di Mussolini era un fabbro, quello di Hitler un doganiere. In altri secoli il fenomeno era meno osservabile, ma già evidente: Pio V ad esempio (al secolo Antonio Ghislieri, nato a Bosco Marengo, oggi provincia di Alessandria) era di famiglia umilissima, anche se in seguito pensò di nobilitarsi acquisendo lo stemma nobiliare di un'omonima casata bolognese decaduta ma nobile: nel sedicesimo secolo nessuno ancora rivendicava di venire dalla campagna. Eppure furono soltanto le sue facoltà intellettuali e la sua voglia di studiare a consentirgli di trovare protettori e sponsor che gli permisero di fare carriera nei frati domenicani, all'università di Pavia e poi nell'Inquisizione: finché dopo aver patito qualche incomprensione col papa Pio IV che lo aveva mandato a fare il vescovo a Mondovì, non riuscì a farsi eleggere suo successore al conclave del 1566. 

Ghisleri partecipò al conclave quasi per caso: l'ostilità di Pio IV era ormai evidente. Forse a trattenerlo a Roma fu davvero la notizia che i mobili che aveva spedito a Mondovì erano andati perduti; inoltre lo stato di salute non era tale da raccomandargli di mettersi in strada, e così scelse di restare a Roma a suo rischio e pericolo: dopodiché ad ammalarsi e morire fu il papa, e Ghisleri entrò in conclave benché malaticcio: che molto spesso è un vantaggio. In quel momento gli tornò utile il dossier che da decenni stava raccogliendo su uno dei cardinali più papabili, il cardinal Morone, vescovo di Modena e più illustre rappresentante di una fazione che, se non cercava il dialogo coi protestanti, perlomeno non riteneva necessario imprigionarli e torturarli; e per questo motivo era stato lui stesso prima espulso dall'Inquisizione e poi imprigionato, durante il pontificato di Paolo IV – un papa talmente intransigente che anche Ghisileri in quel periodo aveva rischiato di cadere in disgrazia. Alla morte di Paolo IV Morone era stato riabilitato, al punto che Pio IV lo aveva inviato a Trento a dirigere le ultime sessioni del concilio. Si trattava dunque di un ottimo candidato al Soglio, che dopo due pontificati molto intransigenti avrebbe potuto dare una svolta dialogante, tanto più che il lungo processo intentato contro di lui si era risolto con una completa assoluzione che ne metteva nero su bianco la condotta integerrima, eppure... eppure in qualche armadio doveva esserci ancora uno scheletro; Ghisleri lo aveva trovato e al momento giusto probabilmente lo usò. (Non sappiamo di cosa si trattasse: a quel punto i conclave si facevano sul serio a porte chiuse, tuttora se ci sono verbali vengono bruciati). Un altro grande papabile era ovviamente Carlo Borromeo. Filippo di Spagna lo spingeva apertamente; ma Carlo preferiva regnare a Milano che diventare una pedina degli spagnoli a Roma; fu lui a proporre Ghisleri. Tra i due c'era stima e concordanza di vedute, eppure all'inizio la nomina sembrò un ripiego; il cardinale aveva una brutta cera, tipica dei papi di transizione. Dopo l'incoronazione, come a volte accade, la salute migliorò. Non fu comunque un papato lungo: appena otto anni. Ma si può dire che lasciarono il segno. 

Oltre a scomunicare la regina Elisabetta, spronare il re di Spagna e la regina di Scozia all'invasione dell'Inghilterra, il re di Francia a farla finita con gli Ugonotti, l'imperatore a una maggiore intransigenza coi luterani, il re di Sicilia a eliminare i Valdesi di Calabria, Pio V sciolse la confraternita degli Umiliati e decise di confinare gli ebrei di Roma in un quartiere che sul modello veneziano prese il nome di ghetto, obbligandoli ad ascoltare regolarmente le prediche dei suoi confratelli domenicani: una tortura che secondo i suoi disegni avrebbe presto portato alla conversione dell'intera comunità (e in effetti è difficile capire come non sia successo: se non è la prova dell'esistenza di un Dio, diciamo che è un forte indizio in tal senso). Ma il massimo successo nella sua carriera di fomentatore di stragi religiose è sicuramente la battaglia navale di Lepanto del 1571, da lui fortemente voluta anche se bisogna riconoscergli che l'espansionismo ottomano nel Mediterraneo era una minaccia reale. Siccome all'indomani della vittoria l'ammiraglio genovese Andrea Doria se ne attribuiva il merito grazie alla sua finta ritirata – mentre per i veneziani non era stata affatto una finta – Pio V risolse la questione attribuendo il merito della vittoria all'intercessione della Madonna e ai fedeli che l'avevano sollecitata in tal senso con la preghiera più efficace, forse perché la più assillante: la mitragliatrice delle preghiere, il Santo Rosario. Un po' di gloria ricadde comunque su di lui, tanto che quando morì, l'anno successivo, a causa di una prostatite che forse trovava indecente curarsi, cominciò a spargersi la voce che fosse un santo. Il che non era affatto scontato, anzi, dopo il secolo IX i papi venerati come santi erano piuttosto rari; il più recente, Celestino V, era morto quasi trecento anni prima ed era comunque un papa piuttosto irregolare. Anche dopo Ghisleri, per trovare un papa canonizzato dobbiamo aspettare Pio X, già nel secolo scorso (Pio IX per ora è soltanto beato). Su di lui si raccontavano miracoli che gli agiografi moderni omettono, o registrano con un certo fastidio, eppure per secoli furono discretamente popolari. Il più famoso era il crocefisso avvelenato; un non precisato eretico infatti aveva ben pensato di avvelenare i piedi del crocefisso a cui Pio V rivolgeva le preghiere della sera, ben sapendo che dopo la preghiera era solito dargli un bacetto. Doveva trattarsi di un eretico veramente esperto della vita privata del papa, un eretico che aveva le chiavi di camera sua, insomma non è difficile capire perché la Bibliotheca Sanctorum, dopo aver dedicato a Pio V quattro fitte pagine, ammette l'episodio soltanto alla voce iconografia, senza spiegarci quando sia successo e chi sia il mandante. Comunque la leggenda dice che il crocefisso, piuttosto di avvelenare il Santo Padre, avrebbe spostato i piedi: e quindi se trovate un quadro in cui un pontefice cerca di dare un bacino a un crocefisso coi piedi storti, non potete sbagliarvi: anche il quadro che ho riportato qua sopra, che sembra fatto da un'AI, invece è un Giovanni Capretti originale, di inizio Settecento. 

L'episodio riecheggia alla lontana l'attentato di cui fu vittima Borromeo a Milano. E come nel caso di Borromeo, bisogna ammettere che isolare il mandante è abbastanza difficile. Avrebbe potuto essere chiunque, un protestante o un cardinale estromesso dai giochi o un ebreo inferocito perché costretto ad ascoltare le prediche dei domenicani. Un turco, un ugonotto, un umiliato, Pio V aveva nemici in tutte le direzioni, e non se ne curava. Era figlio di pastori piemontesi e non faceva sconti a nessuno.
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