Il glande di Papa Sisto

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Va volutamente a casaccio.

Ieri su Repubblica si sono incrociati due fenomeni che da qualche anno seguo con una certa attenzione, non so nemmeno io perché: il dibattito sull'abolizione delle province e la prosa di Francesco Merlo. Il risultato lo definirei clamoroso, ma forse per riuscire a cogliere l'infinita assurdità del tutto bisogna essere dei maniaci come me.

Comunque provo a spiegare. La parola "provincia", come tante parole della nobile ma non ricchissima lingua italiana, ha diversi significati. Ogni vocabolario ne riporta almeno tre o quattro, ma i più importanti sono i primi due. Vedi ad esempio il Sabatini Colletti:
  • 1 Circoscrizione territoriale amministrativa in cui si suddividono le regioni dello stato italiano e che raggruppa insieme più comuni limitrofi; (anche con iniziale maiusc.) ente amministrativo con competenza su tale territorio:presidente della p.; sede di tale ente: andare in P.
  • 2 In contrapposizione alla capitale o ai grandi centri urbani, il complesso delle città e dei paesi minori: abitare in p. || fig. di p., tranquillo, monotono, oppure retrogrado, ristretto (con riferimento a una presunta arretratezza sociale e culturale della p.): vita, mentalità di p.
Ora, quando il governo anticipa che ha intenzione di abolire e accorpare delle "province", il contesto dovrebbe rendere chiaro oltre ogni possibilità di dubbio che il significato della parola è il numero 1: circoscrizioni territoriali amministrative, di cui possono far parte sia grandi e grandissimi centri, sia la campagna disabitata. Secondo alcuni di queste circoscrizioni ne esistono troppe (anche secondo me) e quindi ridurle potrebbe portare a un risparmio senza una riduzione significativa dei servizi offerti. Io poi da anni continuo a notare che chi ne discute ha spessissimo scarsa nozione di cosa sia questo tipo di circoscrizione e che tipo di servizi offra al cittadino. Però questo non è il problema di Merlo.

Merlo è oltre. Merlo ieri su Repubblica ha scritto una paginata sul significato numero 2. Per tre colonne ha continuato a strascicare l'equivoco; ha chiesto al lettore di sospendere la credibilità e di assumere che Mario Monti volesse abolire "il complesso delle città e dei paesi minori", "con riferimento a una presunta arretratezza sociale e culturale della p.": basta con il tedio di vivere in provincia, tutti metropolitani d'ora in poi. Per capirsi, è come se di fianco alla notizia di un restauro della cappella sistina un editorialista scrivesse tre colonne sul glande di un pontefice del Rinascimento. E per favore non traducete più "inquinamento" con "polluzione", anche se i vocabolari lo consentono, perché se Merlo se ne accorge ti fa una pagina sui sogni bagnati della sua, della nostra ruggente pubertà.

Poi uno si domanda: perché crollano le vendite dei giornali? Perché? Io ieri su Repubblica ho letto un titolo, ho visto una cartina, sembrava che Monti volesse abolire la mia pur ricca e popolosa e vasta provincia. Leggo sotto e scopro che non è proprio così: può darsi che si vada a un accorpamento con un'altra provincia, anche lei ricca e popolosa e tra l'altro ci ho dei parenti,e in generale mi sembra gente con la testa quadra sulle spalle, quindi non è un dramma; però a quel punto cosa vorrei da un quotidiano? Vorrei che mi spiegasse perché un accorpamento di questo tipo conviene. Non solo delle informazioni, che tutto sommato ho trovato, ma degli scenari: come potrebbero cambiare i confini? Conviene far gestire le scuole superiori a livello comunale o regionale? Secondo me no, ma discutiamone. Tutto questo io vorrei da un quotidiano, e su Repubblica queste cose un po' ci sono, ma in poco spazio. Di fianco però c'è una paginata di Merlo sul glande di Papa Sisto. No, in realtà sul provincialismo come fenomeno dell'italianità (il severgninometro s'impenna): ma non è che faccia molta differenza. Alla fine Merlo potrebbe parlare di qualsiasi cosa, non è per la sua attinenza ai fatti del giorno che lo leggiamo.

Lo leggiamo perché ormai ci offre scorci inediti, lussureggianti, sulla cultura di un intellettuale che dorme. Senza offesa, non voglio dire che Merlo stia dormendo quando scrive, però il modo in cui si concatenano le immagini, nel suo flusso di incoscienza, ti dà l'impressione di un sogno. Il sogno di una persona che ha letto molto, che conosce tante cose, e di notte se le ripassa saltabeccando da qua a là per associazione di idee, se le conta come le pecorelle, cos'è la provincia per Merlo? C'è dentro Sciascia, Keynes, Jimmy Fontana, Pasolini, Giorgio Bocca, il latte di capra, le melanzane, e ho letto soltanto le prime dieci righe. Però io ormai ho un'età, qualche riferimento insomma riesco a coglierlo: mi domando che effetto possa fare tutta questa roba a un lettore di venti - io ne avevo meno quando cominciai a leggere Repubblica - uno a cui gli immortali versi di Jimmy Fontana non dicono niente, uno che Keynes vorrebbe prima sapere chi era, non è che si possa andare su google ogni tre righe. O meglio: se costringi il tuo lettore ad andare su google ogni tre righe, lui va a finire che su google ci rimane, scopre il tasto "news" e smette di comprarti. Secondo me. Poi fate voi.

A un certo punto c'è un inciso commovente: mentre prosegue in una burchiellesca lista di provinciali di successo (che avrebbero avuto successo anche se le circoscrizioni territoriali di cui si stava parlando fossero state disegnate in un altro modo), Merlo lo scrive: "vado volutamente a casaccio". Ecco.
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