green banana republic

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Cosa abbiamo fatto di male

Onorevole Rutelli,
ci sono state senz'altro cose più gravi su cui discutere, in questi giorni: e tuttavia prima o poi, dovremo anche cominciare a parlare di come hai speso i nostri soldi.
Sto parlando naturalmente di Italia.it, il portale di cui i turisti di tutto il mondo non potevano fare a meno. Sulla qualità e l’accessibilità del sito ti lascio nelle mani di esperti, e auguri. Io mi fermo al marchio.
Probabilmente a quest’ora hai già sentito dire che non piace a nessuno. Eh, son cose che capitano. Però fan male, capisco. Uno fa il possibile per mettersi al riapro da figure del genere: chiama i professionisti, non bada a spese, e poi? Perché, perché succedono queste cose?

E il solito problema dei grafici. Tutte brave persone, prese individualmente: ma come categoria, una manica di stronzi.
Hai senz’altro presente il tipo. Un giorno hanno venduto la madre per pagare un mutuo e da allora non si danno pace. Professionisti frustrati che avrebbero dovuto fare gli artisti, e si ritrovano a riposizionare il brand di un fustino di detersivo. La stessa psicosi dei pubblicitari, degli scrittori di fiction, degli editorialisti del Giornale: odiano l’umanità che non li ha capiti, e sono ben decisi a fargliela pagare.
In questo caso la squadra di grafici che hai scelto era reduce da imprese come la “brand identity revitalization” della sottiletta Kraft: cosa ti aspettavi? Questo logo, onorevole, non è soltanto brutto. È un logo minaccioso: trasuda odio. Vediamo dove e perché.

Font. Come a dire: i caratteri di stampa. È vero, quando cominci a usare il computer ti accorgi che ce ne sono tantissimi. E passi giorni interi a giocarci. Dopo un po’ però smetti, perché il bel gioco dura poco, e impari ad apprezzare i pregi della sobrietà. Un grafico adulto, di solito, cambia i font soltanto quando sia assolutamente indispensabile. Se può, evita di mescolare due font diversi nello stesso marchio. Se invece ne usa tre per una parola di sei lettere, evidentemente odia i suoi clienti, odia il suo lavoro, odia l’universo mondo e il suo cliente (l’Italia) in modo particolare.
Insomma, è chiaro? No? Facciamo così: gli adulti non mescolano i font. I font rimescolati fanno pensare ai bambini che giocano col PC di papà: non è andata così, vero? Non è che hai subappaltato il marchio Italia a qualche figlio di amici tuoi che ha vinto una tombola a una festa di compleanno, vero? Non vuoi che la gente pensi questo di te e del tuo Paese, no? Dal nepotismo al nipotinismo, povera Italia.
Ci sono due I, in quel logo, scritte in due modi diversi. Ti rendi conto? Come presentarsi a una riunione coi calzini spaiati.
I font rimescolati fanno pensare alle lettere anonime che si facevano una volta, quelle con tante lettere di giornale incollate una vicina all’altra. Fanno pensare ai delatori, agli infami, ai sequestratori, ai ricattatori, agli psicopatici, se va bene fanno pensare a Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols, hai presente? Bel disco, eh, per carità, ma hai presente? Questo marchio non è un marchio: è la lettera minatoria di un grafico malvagio che ricatta l’intera nazione: dammi più soldi o ti posiziono un’immagine di merda. E io pago.

Si scrive Italia, con la I maiuscola
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Per un po’ ho cominciato a sperare che si fossero estinti. I grafici anni’70, intendo, quelli che avevano abolito le maiuscole perché… mah, probabilmente perché erano imperialiste e arroganti. Gente che non si è mai ripresa da un 6 politico al liceo. Con questi vezzi finto-razionalisti hanno già reso un danno incalcolabile all’ortografia italiana: fu negli anni Ottanta, al tempo dei cartelli bianchi che indicavano i nomi delle strade tutti in minuscolo. Vaglielo poi a spiegare, a un bambino nato in via filippo turati, che sul tema deve scrivere Filippo Turati. Sul serio, lamentati perché a scuola non insegnano l’ortografia. Nelle città del nord ormai li hanno tolti tutti, ma quanti soldi sprecati. Si sperava almeno che avessimo imparato l’errore. E invece no! Il rivitalizzatore del fustino Bolt non poteva perdere l’occasione di mettere un bel pallino rosso sulla i d’italia! Metafora del sole, del pomodoro, del semaforo, della passione… con cui questa gente ci odia. Ci odia al punto da ficcare subliminalmente il vessillo giapponese nel logo Italia.

La T verde cosa sarebbe?
Richiama la forma della penisola, dicono. Beh, veramente no. Ma neanche un po’. Ci voleva dell’impegno per disegnare una t verde che non richiamasse la forma della penisola, ma il creativo del fustino c’è riuscito. In compenso, come hanno notato molti, la silhouette ha un che di fallico. Insomma è ufficiale: siamo il Paese del C…. attenzione, però: non solo è un fallo eretto, ma è pure rovesciato. Non so esattamente questo cosa voglia dire – bisognerebbe chiedere a un analista bravo – ma da quando l’ho notato non riesco a guardarlo senza contrarre qualcosa. Un pene eretto, in quella posizione, ha qualcosa di terribilmente sbagliato. Farebbe male. Fa male il solo guardarlo. Voltatelo, per l’amor di Dio. Altro che riferimenti al design, al futuro. Chi disegna un fallo così, odia tutti i falli del mondo.

I colori… Le ciarle sui colori, te le raccomando. Il nero esprime stabilità, il rosso passione (ma dai?), il verde, “secondo le nostre ricerche”, avrebbe un valore naturalistico. Insieme, fanno un totale di tre colori, più l’obbligo morale di usare uno sfondo bianco, perché altrimenti il logo non funziona. Qui l’odio è più sottile: è rivolto a tutti i colleghi che dovranno trovare un modo per infilarlo nei dépliant o nei manifesti. È chiaro che uno che ama i suoi clienti e i suoi lavori, il logo cerca di farlo in un colore solo, e facilmente appicicabile dovunque: anzi, se possibile cerca di svincolarlo dal colore, in modo che lo si possa usare con qualsiasi tinta o qualsiasi sfondo. Un logo che entra dappertutto e non dà noia: come una Panda. Ma per centomila euro non ti potevano mica vendere una Panda. Ti dovevano rifilare la fiat Barchetta…

Ma che idea, IT
… nella conferenza stampa il portavoce dei fustini, visibilmente imbarazzato, riconosce che è tutto cominciato da questa idea: It è il pronome neutro, in inglese. Come dire: per farci venire idee sull’Italia dobbiamo come minimo usare una lingua straniera. Perché la lingua italiana la odiamo! Non ci suggerisce niente. L’inglese è l’unica cosa che ci tira su il morale, quando arriviamo in ufficio e ci tocca fare un Perfumed Soaps Packaging. Che in italiano sarebbe rifare la carta alle saponette. E poi ti domandi perché ci odiano.

La frittata è fatta. Ora per qualche anno ci dobbiamo tenere la banana verde. Ma meno la stampigliamo in giro meglio è. Tra qualche anno, quando ce la saremo dimenticata, faremo magari un concorso nelle scuole. Da qualche parte in qualche scuola ci sarà ancora qualche studente dotato, ma troppo giovane per provare odio nei confronti del suo Paese. Sono sicuro che uno, da qualche parte ancora c’è. E disegnerà un brutto logo, ma meno brutto di questo qua. E andrà bene comunque: dopotutto abbiamo campato 60 anni con una stella a 5 punte incastrata in un ingranaggio, tra una foglia di ulivo e una di quercia.
E nessuno si è mai lamentato. Perché, vuoi sapere una verità? I loghi fatti bene, non li nota nessuno. Scivolano via. I grafici lo sanno, e ci odiano per questo. E si vendicando vendendoci loghi brutti, e facendoceli pagare salati. Ora lo sai, Onorevole.
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