Le canzoni dei Beatles (#224-215)
03-10-2019, 16:01beatles, Il Post, musicaPermalink(Cinquant'anni fa usciva Abbey Road, il disco dei Beatles che avrebbe venduto più copie. Da qualche giorno John aveva annunciato ai soci che voleva un "divorzio", usò proprio quella parola; i compagni lo avevano pregato di non dirlo ai bambini e ai giornalisti ancora per qualche mese; avevano appena rinegoziato il contratto americano con la Capitol e c'erano milioni in ballo, e almeno un film e un altro disco di inediti, insomma, i Beatles avrebbero fatto finto di esistere ancora un po'. Cinquant'anni dopo stiamo ripassando le loro 250 canzoni dalla meno conosciuta alla più apprezzata, a che punto siamo? Più o meno al 220, coraggio).
Le 250 migliori canzoni dei Beatles (#254-235)
Le 250 migliori canzoni dei Beatles (#234-225)
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224. Like Dreamers Do (Lennon-McCartney, provino Decca, 1/1/1962, ora in Anthology 1).
You, you came just one dream ago... Produttore della Decca, chiunque tu sia, fammi un favore, fatti un favore. Questo ragazzino che canta ancora con un vocione alla Elvis, guardalo bene. Ti sembra un po' nervoso? Due notti fa suonava a Liverpool, poi si è fatto dieci ore di pullman per fare questo provino. Hai notato che mentre canta solista suona il... basso? E canta bene, e suona abbastanza a tempo, conosci molti altri che alla sua età ne sarebbero capaci? La canzone magari non ti sembra molto originale, in effetti è il tipico sottoprodotto che poteva realizzare un professionista di Tin Pan Alley negli anni '30-'40, salvo che l'ha scritta proprio questo ragazzo a quindici anni in un sobborgo di Liverpool, senza saper leggere una nota sullo spartito. Poi si è intruppato in una rock'n'roll band, eppure, lo vedi? Riesce lo stesso a imporre il suo materiale fuori dal tempo; in qualche modo riesce a rendere credibile una canzone del genere. Produttore della Decca, andiamo. Se non riconosci un talento in Paul McCartney, in chi?
Ok, è facile col senno del poi. Bisognerebbe trovarcisi, alla Decca, il primo gennaio del 1962, coi postumi della sbornia di capodanno e un certo pregiudizio verso la teppa di Liverpool che si ostina a suonare musica americana con le chitarre – lo sanno tutti che le chitarre hanno fatto il loro tempo. Eppure. L'hai sentita quell'intro? È probabilmente la prima cosa che hanno suonato quel mattino, ancora intontiti e terrorizzati dalla luce rossa che segnala in sala che il registratore sta incidendo. Riavvolgi il nastro. Dan-dan-dan-dan-dan-dan-dan... che accordi sono? Hai mai sentito una canzone cominciare così? Lo capisci quanto coraggio hanno questi ragazzi che tra qualche ora ripartiranno sul loro pullman scassato e non li rivedrai più? (Due anni dopo, quando ormai qualsiasi cosa firmata Lennon/McCartney spariva dai negozi di dischi in poche ore, la Decca fece incidere Like Dreamers Do a un gruppo di ex scout di un sobborgo di Birmingham, gli Applejacks. Per sicurezza tolsero l'intro fulminante e aggiunsero un ottuso riff di piano, e così furono gli unici a non entrare in top10 con un brano dei Beatles).
223. Mailman Bring Me No More Blues (Buddy Holly; incisa dai Beatles nel gennaio 1969, ora in Anthology 3).
Di quanti personaggi si dice "senza di lui non sarebbero esistiti i Beatles", beh, Buddy Holly è uno di pochi per cui possiamo esserne sicuri. La sua influenza su Lennon e McCartney non sta tanto nelle sue intuizioni musicali (che tendevano comunque verso la stessa sintesi di rock e pop che avrebbe fatto la loro fortuna), quanto nella sua immagine pubblica. Il primo nerd del rock'n'roll, con occhiali dalla montatura spessa, un'aria da bravo ragazzo bianco del sud e un approccio sperimentale agli arrangiamenti. Buddy Holly dimostrava che si poteva produrre un rock credibile senza scimmiottare gli afroamericani e senza assumere pose machiste. E soprattutto, Buddy Holly si scriveva le canzoni da solo: nessun altro lo faceva, Lennon e McCartney cominciarono a provarci.
Premesso questo, è un peccato che i Beatles non abbiano prodotto un'interpretazione davvero memorabile di un pezzo di Holly. Quando suonano Mailman durante le sedute del progetto Get Back!, nel gennaio del '69, non ci stanno nemmeno provando. Forse devono semplicemente scaldarsi le dita, gli studi sono freddi e un blues è sempre la prima cosa che viene loro in mente. L'originale di Holly è una canzone più spensierata e radiofonica, ma i Beatles a inizio 1969 hanno questo problema, tipico di chiunque si metta a frugare nel solaio in caccia di vecchi reperti del passato: vogliono i ricordi, ma non sono pronti ad accettarne gli aspetti più sdolcinati e puerili. Rivogliono l'infanzia, ma senza lo zucchero.
222. Rip It Up / Shake Rattle and Roll / Blue Suede Shoes (medley di brani suonati dai Beatles agli Apples Studio il 26/1/1969, ora in Anthology 3).
Qui per esempio ci sono tre istantanee prese da un giorno di prove agli Apple Studios, montate assieme trent'anni dopo in un unica foto ricordo. Sappiamo che quel giorno in particolare stavano frugando nel loro repertorio delle origini, forse nel tentativo di ritrovare il bandolo del progetto Get Back. Oppure lo stavano sabotando e questi vecchi r'n'r erano l'unica cosa che riuscivano a suonare senza litigare, in favore della cinepresa. Queste canzoni per John e Paul sono familiari come le preghiere del mattino e della sera: magari all'inizio le prime parole stentano a saltar fuori, ma basta attaccare e tutto viene da sé.
221. If You've Got Trouble (Lennon-McCartney, febbraio 1965, sessioni di Help!, ora in Anthology 2).
"Se hai dei problemi, tu hai meno problemi dei miei". Solo Ringo poteva dire una cosa del genere. E magari non l'ha mai detta, ma avrebbe potuto cantarla. Ma in realtà non aveva nemmeno una gran voglia di farlo. Eppure If You've Got Trouble non è lo scarto orribile che tutti dicono che sia, secondo me. Mi rendo conto di non essere in buona compagnia, anzi in totale solitudine: If You've Got Trouble non è gradita nemmeno dai più pazienti degustatori tra i beatologi. Non piace a Mark Lewisohn. Non piace a Ian MacDonald ("l'unico disastro senza mezzi termini in tutto il catalogo Lennon/McCartney"). Non piaceva a George Harrison, che la trovava assurda e pacchiana. Non piaceva a Ringo, che la canta con scarsa convinzione ("rock on anybody!"), e dire che la canzone era concepita come un veicolo per il suo personaggio: un testo tipicamente lagnoso, affidato a poche note e facili. Non piaceva né a Lennon né a McCartney, che alla fine la accantonarono permettendo a Ringo di incidere su Help! l'ennesimo numero di Carl Perkins, Act Naturally. Invece a me If You've Got Trouble un po' piace. Sincero. La canticchio ogni tanto, del resto ognuno ha i suoi problemi (e i tuoi sono meno dei miei).
Sono convinto che sarebbe diventata una buona canzone, se qualcuno ci avesse creduto un po'. O forse no, forse è una buona canzone proprio perché nessuno riusciva a crederci, e così hanno iniziato a giocarci, a rovinarla montandoci sopra un riff di chitarra così spigoloso e insistito che nel 1965 doveva risultare oltre il limite dell'ascoltabile, e invece oggi suona quasi new wave. Per tacere di quel minuscolo coretto, appena un cenno di assenso, "ah-ah", che parte da una quarta e scivola di un semitono, qualcosa che forse non si era ancora sentito in un pezzo rock. Il testo è uno dei primi a collocarsi fuori dal limitatissimo beatleverso delle canzoni pre-Rubber Soul, popolato esclusivamente da teenager innamorati. Stavolta Ringo è tartassato da una ragazza di buona famiglia che pretende regali, "money and things", ma i milioni non hanno tolto a Ringo il buon senso e quel briciolo di coscienza di classe: tu ci provi gusto a comportarti male, dice, con tutti i privilegi che hai avuto su di me. Probabilmente non avrebbe reso Help! un disco molto migliore, ma è una canzone che getta un lampo di luce sulle frustrazioni di quattro proletari-milionari immersi in un bel mondo di ricchi veri che fingono di avere più problemi di loro. Probabilmente è di John, che non l'ha mai reclamata.
220. How Do You Do It? (Mitch Murray, incisa a Abbey Road nel settembre 1962; ora in Anthology 1).
Ma come fai a fare le cose che mi fai? Se sapessi come fai te le farei. ReSettima! Una volta messi a contratto i Beatles, George Martin si era messo a cercare un brano adatto a loro, che li mandasse più in alto possibile in classifica. Tutto quel che aveva trovato era How Do You Do It? di tale Mitch Murray, un compositore abbastanza conosciuto nell'ambiente. Il brano che era già stato scartato per esempio dai Tremeloes (il gruppo che la Decca aveva preferito ai Beatles, probabilmente per una considerazione logistica: vivevano più vicino a Londra). Per Martin How Do You Do It avrebbe fatto il botto, i Beatles la odiavano. Il nonsense lievemente malizioso del testo non li intrigava. Come facciamo a tornare a Liverpool dopo aver inciso un brano così, pensava Paul. Avevano suonato pezzi anche più mielosi al provino della Decca, e altri ne avrebbero suonati di lì a poco, ma in quel preciso momento How Do You Do It sembrava davvero troppo teenpop per loro.
Alla fine, com'è noto, George Martin si lasciò convincere dai Beatles a incidere il loro materiale, e in particolare Please Please Me; una decisione che permise a Lennon e McCartney di diventare i compositori di sé stessi, cambiando la storia della musica leggera. Quel che è meno noto, è che prima di abbandonare How Do You Do It i Beatles fecero di tutto per farsela piacere. Non la rispedirono al mittente come bambini capricciosi; tentarono di trasformarla in qualcosa che potevano suonare senza perdere la dignità, aggiungendo le armonie vocali che Murray non aveva previsto, e soprattutto quell'accordo, spiazzante e riconoscibilissimo, che tutte le fonti definiscono un Re7 ma potrebbe già essere qualcosa di più dissonante, a interrompere la placida e banale progressione anni '50 della strofa ("I'd do it to you. Re7!"). Lo senti già nell'introduzione ed è davvero il punctum di tutto il brano, quello che te lo fa riconoscere al primo colpo e che lo distingue da centinaia di altri brani quasi uguali. Murray quell'accordo nel demo non l'aveva previsto: ha tutta l'aria di una trovata di John, una virgoletta aperta a mezz'aria che trasforma tutta la canzone in una presa in giro di sé stessa. George Martin aveva visto giusto: How Do You Do It, scartata dai Beatles e affidata a Gerry and the Pacemakers sarebbe arrivata in cima alla classifica inglese dei singoli. Ma anche la versione dei Pacemakers riprende l'arrangiamento escogitato dai Beatles, con quel Re7 un po' meno evidente ma ancora fondamentale. Solo i Beatles sapevano come fare le cose che sapevano fare.
Le 250 migliori canzoni dei Beatles (#254-235)
Le 250 migliori canzoni dei Beatles (#234-225)
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224. Like Dreamers Do (Lennon-McCartney, provino Decca, 1/1/1962, ora in Anthology 1).
You, you came just one dream ago... Produttore della Decca, chiunque tu sia, fammi un favore, fatti un favore. Questo ragazzino che canta ancora con un vocione alla Elvis, guardalo bene. Ti sembra un po' nervoso? Due notti fa suonava a Liverpool, poi si è fatto dieci ore di pullman per fare questo provino. Hai notato che mentre canta solista suona il... basso? E canta bene, e suona abbastanza a tempo, conosci molti altri che alla sua età ne sarebbero capaci? La canzone magari non ti sembra molto originale, in effetti è il tipico sottoprodotto che poteva realizzare un professionista di Tin Pan Alley negli anni '30-'40, salvo che l'ha scritta proprio questo ragazzo a quindici anni in un sobborgo di Liverpool, senza saper leggere una nota sullo spartito. Poi si è intruppato in una rock'n'roll band, eppure, lo vedi? Riesce lo stesso a imporre il suo materiale fuori dal tempo; in qualche modo riesce a rendere credibile una canzone del genere. Produttore della Decca, andiamo. Se non riconosci un talento in Paul McCartney, in chi?
Ok, è facile col senno del poi. Bisognerebbe trovarcisi, alla Decca, il primo gennaio del 1962, coi postumi della sbornia di capodanno e un certo pregiudizio verso la teppa di Liverpool che si ostina a suonare musica americana con le chitarre – lo sanno tutti che le chitarre hanno fatto il loro tempo. Eppure. L'hai sentita quell'intro? È probabilmente la prima cosa che hanno suonato quel mattino, ancora intontiti e terrorizzati dalla luce rossa che segnala in sala che il registratore sta incidendo. Riavvolgi il nastro. Dan-dan-dan-dan-dan-dan-dan... che accordi sono? Hai mai sentito una canzone cominciare così? Lo capisci quanto coraggio hanno questi ragazzi che tra qualche ora ripartiranno sul loro pullman scassato e non li rivedrai più? (Due anni dopo, quando ormai qualsiasi cosa firmata Lennon/McCartney spariva dai negozi di dischi in poche ore, la Decca fece incidere Like Dreamers Do a un gruppo di ex scout di un sobborgo di Birmingham, gli Applejacks. Per sicurezza tolsero l'intro fulminante e aggiunsero un ottuso riff di piano, e così furono gli unici a non entrare in top10 con un brano dei Beatles).
223. Mailman Bring Me No More Blues (Buddy Holly; incisa dai Beatles nel gennaio 1969, ora in Anthology 3).
Di quanti personaggi si dice "senza di lui non sarebbero esistiti i Beatles", beh, Buddy Holly è uno di pochi per cui possiamo esserne sicuri. La sua influenza su Lennon e McCartney non sta tanto nelle sue intuizioni musicali (che tendevano comunque verso la stessa sintesi di rock e pop che avrebbe fatto la loro fortuna), quanto nella sua immagine pubblica. Il primo nerd del rock'n'roll, con occhiali dalla montatura spessa, un'aria da bravo ragazzo bianco del sud e un approccio sperimentale agli arrangiamenti. Buddy Holly dimostrava che si poteva produrre un rock credibile senza scimmiottare gli afroamericani e senza assumere pose machiste. E soprattutto, Buddy Holly si scriveva le canzoni da solo: nessun altro lo faceva, Lennon e McCartney cominciarono a provarci.
Premesso questo, è un peccato che i Beatles non abbiano prodotto un'interpretazione davvero memorabile di un pezzo di Holly. Quando suonano Mailman durante le sedute del progetto Get Back!, nel gennaio del '69, non ci stanno nemmeno provando. Forse devono semplicemente scaldarsi le dita, gli studi sono freddi e un blues è sempre la prima cosa che viene loro in mente. L'originale di Holly è una canzone più spensierata e radiofonica, ma i Beatles a inizio 1969 hanno questo problema, tipico di chiunque si metta a frugare nel solaio in caccia di vecchi reperti del passato: vogliono i ricordi, ma non sono pronti ad accettarne gli aspetti più sdolcinati e puerili. Rivogliono l'infanzia, ma senza lo zucchero.

Qui per esempio ci sono tre istantanee prese da un giorno di prove agli Apple Studios, montate assieme trent'anni dopo in un unica foto ricordo. Sappiamo che quel giorno in particolare stavano frugando nel loro repertorio delle origini, forse nel tentativo di ritrovare il bandolo del progetto Get Back. Oppure lo stavano sabotando e questi vecchi r'n'r erano l'unica cosa che riuscivano a suonare senza litigare, in favore della cinepresa. Queste canzoni per John e Paul sono familiari come le preghiere del mattino e della sera: magari all'inizio le prime parole stentano a saltar fuori, ma basta attaccare e tutto viene da sé.
221. If You've Got Trouble (Lennon-McCartney, febbraio 1965, sessioni di Help!, ora in Anthology 2).
"Se hai dei problemi, tu hai meno problemi dei miei". Solo Ringo poteva dire una cosa del genere. E magari non l'ha mai detta, ma avrebbe potuto cantarla. Ma in realtà non aveva nemmeno una gran voglia di farlo. Eppure If You've Got Trouble non è lo scarto orribile che tutti dicono che sia, secondo me. Mi rendo conto di non essere in buona compagnia, anzi in totale solitudine: If You've Got Trouble non è gradita nemmeno dai più pazienti degustatori tra i beatologi. Non piace a Mark Lewisohn. Non piace a Ian MacDonald ("l'unico disastro senza mezzi termini in tutto il catalogo Lennon/McCartney"). Non piaceva a George Harrison, che la trovava assurda e pacchiana. Non piaceva a Ringo, che la canta con scarsa convinzione ("rock on anybody!"), e dire che la canzone era concepita come un veicolo per il suo personaggio: un testo tipicamente lagnoso, affidato a poche note e facili. Non piaceva né a Lennon né a McCartney, che alla fine la accantonarono permettendo a Ringo di incidere su Help! l'ennesimo numero di Carl Perkins, Act Naturally. Invece a me If You've Got Trouble un po' piace. Sincero. La canticchio ogni tanto, del resto ognuno ha i suoi problemi (e i tuoi sono meno dei miei).
Sono convinto che sarebbe diventata una buona canzone, se qualcuno ci avesse creduto un po'. O forse no, forse è una buona canzone proprio perché nessuno riusciva a crederci, e così hanno iniziato a giocarci, a rovinarla montandoci sopra un riff di chitarra così spigoloso e insistito che nel 1965 doveva risultare oltre il limite dell'ascoltabile, e invece oggi suona quasi new wave. Per tacere di quel minuscolo coretto, appena un cenno di assenso, "ah-ah", che parte da una quarta e scivola di un semitono, qualcosa che forse non si era ancora sentito in un pezzo rock. Il testo è uno dei primi a collocarsi fuori dal limitatissimo beatleverso delle canzoni pre-Rubber Soul, popolato esclusivamente da teenager innamorati. Stavolta Ringo è tartassato da una ragazza di buona famiglia che pretende regali, "money and things", ma i milioni non hanno tolto a Ringo il buon senso e quel briciolo di coscienza di classe: tu ci provi gusto a comportarti male, dice, con tutti i privilegi che hai avuto su di me. Probabilmente non avrebbe reso Help! un disco molto migliore, ma è una canzone che getta un lampo di luce sulle frustrazioni di quattro proletari-milionari immersi in un bel mondo di ricchi veri che fingono di avere più problemi di loro. Probabilmente è di John, che non l'ha mai reclamata.
220. How Do You Do It? (Mitch Murray, incisa a Abbey Road nel settembre 1962; ora in Anthology 1).
Ma come fai a fare le cose che mi fai? Se sapessi come fai te le farei. ReSettima! Una volta messi a contratto i Beatles, George Martin si era messo a cercare un brano adatto a loro, che li mandasse più in alto possibile in classifica. Tutto quel che aveva trovato era How Do You Do It? di tale Mitch Murray, un compositore abbastanza conosciuto nell'ambiente. Il brano che era già stato scartato per esempio dai Tremeloes (il gruppo che la Decca aveva preferito ai Beatles, probabilmente per una considerazione logistica: vivevano più vicino a Londra). Per Martin How Do You Do It avrebbe fatto il botto, i Beatles la odiavano. Il nonsense lievemente malizioso del testo non li intrigava. Come facciamo a tornare a Liverpool dopo aver inciso un brano così, pensava Paul. Avevano suonato pezzi anche più mielosi al provino della Decca, e altri ne avrebbero suonati di lì a poco, ma in quel preciso momento How Do You Do It sembrava davvero troppo teenpop per loro.
Alla fine, com'è noto, George Martin si lasciò convincere dai Beatles a incidere il loro materiale, e in particolare Please Please Me; una decisione che permise a Lennon e McCartney di diventare i compositori di sé stessi, cambiando la storia della musica leggera. Quel che è meno noto, è che prima di abbandonare How Do You Do It i Beatles fecero di tutto per farsela piacere. Non la rispedirono al mittente come bambini capricciosi; tentarono di trasformarla in qualcosa che potevano suonare senza perdere la dignità, aggiungendo le armonie vocali che Murray non aveva previsto, e soprattutto quell'accordo, spiazzante e riconoscibilissimo, che tutte le fonti definiscono un Re7 ma potrebbe già essere qualcosa di più dissonante, a interrompere la placida e banale progressione anni '50 della strofa ("I'd do it to you. Re7!"). Lo senti già nell'introduzione ed è davvero il punctum di tutto il brano, quello che te lo fa riconoscere al primo colpo e che lo distingue da centinaia di altri brani quasi uguali. Murray quell'accordo nel demo non l'aveva previsto: ha tutta l'aria di una trovata di John, una virgoletta aperta a mezz'aria che trasforma tutta la canzone in una presa in giro di sé stessa. George Martin aveva visto giusto: How Do You Do It, scartata dai Beatles e affidata a Gerry and the Pacemakers sarebbe arrivata in cima alla classifica inglese dei singoli. Ma anche la versione dei Pacemakers riprende l'arrangiamento escogitato dai Beatles, con quel Re7 un po' meno evidente ma ancora fondamentale. Solo i Beatles sapevano come fare le cose che sapevano fare.
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