Scouting for Gays

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"Statevi parati"
(Il pezzo è stato modificato in seguito a una puntualizzazione dell'assessore di Jerzu, vedi i commenti)


Come non sciogliere i nodi

La scorsa settimana, proprio mentre mi stavo domandando se esiste ancora in Italia qualcuno che si possa definire cattolico e progressista, è scoppiato un vespaio sugli atti di un convegno degli scout cattolici in cui si parlava di omosessualità: e non se ne parlava in modo molto progressista, diciamo. Quello dell'omosessualità nello scoutismo italiano (cattolico) è un nodo che prima o poi sarebbe venuto al pettine: mi dispiace che sia successo in questo modo. Per esempio vorrei manifestare tutta la mia solidarietà per gli scout di Jerzu (Update: non ci sono scout a Jerzu, avevo capito male: vedi la replica dell'assessore), un paese dell'Ogliastra che non fa 4000 abitanti, che per quanto ne so non hanno mai discriminato un omosessuale, ai quali tuttavia dall'oggi al domani un assessore ha tolto i locali per le attività: e glieli ha tolti sulla base di quel che ha letto su Repubblica, ovvero che l'Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani (da qui in poi AGESCI) avrebbe diramato "linee guida" omofobe. Il che non è vero, è un'invenzione, tra le altre, di un giornalista. Non uno qualunque: quello che se non sei d'accordo con lui ti dà dell'antisemita sull'homepage di Repubblica, si mette a insinuare che tu faccia lezioni antisemite ai tuoi studenti finché un altro assessore, o un sottosegretario, non ti manda gli ispettori. Per dire l'eterogenesi dei fini: il giornalista ha scritto un pezzo prendendo per "linee guida da condividere con i 177mila soci" gli atti di un convegno che non sono "linee guida"; a centinaia di chilometri un assessore di Jerzu ci ha creduto e adesso gli scout non hanno più i loro locali per fare attività. In un paesino sardo di meno di 4000 abitanti che immagino sia pieno di svaghi per il tempo libero di bambini e adolescenti.

Ma probabilmente a voi non frega nulla dei paesini di meno di 4000 abitanti, o perlomeno ritenete che sconfiggere l'omofobia sia una priorità di fronte alla quale gli adolescenti di Jerzu (etero e omo) possono anche temporaneamente andare a farsi fottere. Qui devo fare coming out: io sono nato in un paesino di meno di 4000 abitanti e il mio giudizio sulla faccenda ne è probabilmente influenzato. Già che ci sono faccio un ulteriore coming out: sono stato uno scout cattolico per tantissimo tempo, perché nel mio paesino era di gran lunga la cosa più fica che ci fosse. Per la verità c'era anche suonare chitarre distorte in un garage, e ho fatto entrambe le cose, ma sulla distanza lo scoutismo mi ha dato di più. Per dire, il mestiere che faccio adesso, se so farlo (sottolineo se) è grazie alla formazione Agesci, certo non grazie alla non-formazione professionale che non ho mai ricevuto. Più in generale, è stato negli scout che ho imparato a conoscere le persone, a viverci insieme. Tra queste persone c'erano anche dei gay, com'era statisticamente necessario. Almeno uno ha fatto coming out diversi anni dopo, altri non lo hanno mai fatto e infatti è una mia idea che loro siano gay, magari loro non sono d'accordo, non lo so, non sto parlando di te, va bene? Sto parlando di un altro, dai, hai capito benissimo. Ecco. Nel mio gruppo scout nessuno ha mai fatto coming out. Secondo voi ciò è successo perché dall'alto qualcuno ci imponeva di non vivere la nostra sessualità? O perché recepivamo linee guida da chicchessia, preti o cardinalesse? No. Nessuno ha mai fatto coming out perché il nostro era un paesino di provincia di meno 4000 abitanti negli anni Ottanta, e nessuno era pronto. Non eravamo nemmeno omofobi, secondo me, magari eravamo peggio: del tutto omoignari, omoinconsapevoli. Non sapevamo quasi nulla del mondo, ma di buono c'era che ci guardavamo intorno. A farci guardare intorno sono stati gli scout. Se un assessore ci avesse chiuso i locali, non saremmo diventati improvvisamente più tolleranti. Ci saremmo incarogniti e basta. Questa è la mia piccola e locale esperienza; magari i paesini sardi brulicano di vita e iniziative ed esperienze, non lo so.

Questo lo scrivo anche per gli ex scout o tuttora-scout che in questi giorni hanno difeso l'Associazione dicendo: Ma guardate che l'Agesci non è mica così, i miei migliori compagni di tenda sono gay, io sono gay e me ne vanto in Comunità Capi, facciamo più educazione sessuale di tutti e la facciamo sul campo, abbiamo il distributore di preservativi nella sede associativa eccetera: piano. Dipende. I gruppi scout sono fatti da persone, e le persone vivono in ambienti diversi. Ci sono scout smaliziati di periferia, scout fighetti di centro, scout ingenui di campagna (presente!) Le "linee guida" su questo argomento non le fa nessun convegno, per il semplice motivo che le "linee guida" in un gruppo scout le fanno le persone, compreso il prete, che però tra gli scout non ha spesso l'ultima parola. Io posso anche immaginare che la maggior parte dei gruppi scout italiani siano intolleranti nei confronti di educatori o adolescenti omosessuali, non in base a un documento leggiucchiato in rete, ma semplicemente perché la maggior parte della popolazione italiana è tuttora intollerante nei confronti dell'omosessualità: omofoba o, più spesso, omoignara.

Poi ci saranno realtà molto più avanzate, e lo spero: il più delle volte saranno realtà urbane. Però a me le città interessano fino a un certo punto. Mi interessano di più i paesini, perché, sbaglierò, ma è nei paesini che lo scoutismo ti salva la vita. A me capita a volte di accompagnare preadolescenti in montagna - mica tutti poveri, eh - e scoprire con raccapriccio che non ne hanno mai vista una: a 12 anni non sanno com'è fatta una montagna. Io a otto anni lo sapevo. Senza gli scout probabilmente sarei diventato un bambino grassoccio e incapace di relazionarmi con gli altri e le altre. Non è andata esattamente così, grazie al cielo - no, grazie a persone che spesso non avevano neanche dieci anni più di me e mi hanno portato dappertutto, e mi hanno insegnato a fare i nodi, a cantare e a parlare in pubblico, e a voler bene alla gente prima di giudicarla. Non è solo una questione di montagne: c'è un modo di mettersi in gioco, di imparare a lavorare a contatto con persone più giovani, coetanei e anziani, che lo scoutismo ti insegna a diciott'anni. Non ci sono molti ambiti in Italia dove a 18 ti investono già di tanta responsabilità. Fuori danno tutti per scontato che tu sia inutile, decorativo, e che debba spendere molti soldi tentando o fingendo di divertirti. Negli scout a 18 sei già un adulto, anche nel senso che puoi commettere guai enormi.

Io non sono più scout da un pezzo e probabilmente, viste le mie posizioni, non sono nemmeno più definibile come cattolico; resto convinto che l'Agesci sia l'associazione cattolica più progressista in Italia. Non lo dico in base alle mie limitate esperienze, ma sulla base di un fatto semplice: l'Agesci è l'unica associazione laica che pur lavorando nelle parrocchie, a stretto contatto con i preti, non fa capo alla gerarchia ecclesiastica, ma ha una sua struttura, ramificata dal paesino al vertice nazionale, totalmente democratica. Dove i preti, se contano, contano un voto, come tutti gli altri. Gli associati potranno anche decidere che gli educatori omosessuali non devono fare coming out (non lo hanno ancora deciso, checché ne scriva un giornalista su Repubblica), ma lo faranno democraticamente: spero che non lo facciano, spero che i membri della più importante associazione cattolica presente sul territorio abbiano nel complesso una posizione più avanzata di quella della CEI (ci vuol poco) e di quella espressa nei famigerati atti del convegno. Spero insomma che in Italia ci sia ancora un cattolicesimo laico più progressista di quello che la CEI pretenderebbe. Spero.

Però alla fine non mi posso sempre aspettare che lo scout del paesino, e lo scout del quartiere, e lo scout del centro, abbiano mediamente idee più avanzate dell'abitante del paesino, dell'abitante del quartiere, dell'abitante del centro. Se l'Italia è ancora omofoba, mi sembra abbastanza sciocco prendersela con gli scout, che sono educatori non professionisti (e non remunerati). Come se nel paesino, ma anche nel quartiere, ma anche nel centro, la maggioranza dei genitori non vedesse l'ora di affidare i propri frugoletti a educatori non professionisti omosessuali. L'Agesci ha fatto molto per cambiare la società italiana, anche se molti non lo sanno: è stata la prima associazione scoutistica al mondo ad aprire gruppi misti, maschi con femmine, nel lontano 1974. Però non è che possa fare tutto: una cosa per esempio che non può fare è cambiare la testa dei genitori, degli adulti. Nei paesini, soprattutto.

Un altro motivo per cui insisto sui paesini è che secondo il censimento 50 milioni di persone vivono in centri con meno di 100.000 abitanti. L'Italia non è fatta di metropoli, ma di paesini e paesoni: di solito chi non lo capisce ha difficoltà a capire Berlusconi, difficoltà a capire la Lega, difficoltà a capire cosa siano le province, e di solito è nato o si è trasferito in una di quelle città dal mezzo milione in su. Sbaglierò, ma ho la sensazione che facciano parte della stessa categoria coloro che qualche giorno fa si sono svegliati e hanno scoperto che un'associazione cattolica basata nelle parrocchie dei paesini non consiglia ai propri educatori di fare coming out. Come se invece negli stessi paesini un sacco di gente facesse coming out, specie tra gli educatori dei bambini e degli adolescenti. Ecco, questo improvviso indignarsi perché in posti come Jerzu, Ogliastra, i gay non sono rispettati come a Londra o in alcuni quartieri non periferici di Milano, mi chiedo che senso abbia. Forse è una cosa da social network, l'esigenza di indignarsi a intervalli regolari, che dopo un po' partorisce dei mostri. Ma lo sapete che per la Chiesa cattolica un omosessuale non casto è in peccato mortale? No, perché secondo me un buon 80% degli italiani lo sa, senza essere andato all'università. Sono cose che nei paesini si sanno. Per l'80% dei paesini italiani gli atti di quel convegno sono un'apertura persino dirompente - per me no, ma sono convinto che se c'è una strada che può portare all'accettazione dell'omosessualità tra i cattolici, quella strada passa dall'Agesci, che è un'associazione democratica: perché è la democrazia che ti obbliga a recepire le spinte della società. E dei paesini.

Io non biasimo chi se ne va dai paesini - me ne sono andato anch'io - però se ve ne andate da un contesto omofobo, il contesto non diventa meno omofobo. Ve ne siete andati, pace: non prendetevela con chi resta, non date per scontato che siano in grado di combattere le battaglie che voi, quand'eravate lì, non avete vinto. Molto spesso in questi casi si cita Rosa Parks. Mi sembra un esempio sbagliato per molti versi - un'altra volta magari tenterò di spiegare perché - tra l'altro tutte queste Rose Parks, in Italia, non le vedo (magari non guardo dalla parte giusta, non lo so). In particolare, inneggiare a Rosa Parks su un social network non crea nessuna Rosa Parks. Chiudere un locale a un'associazione giovanile non crea molte Rose Parks. Un educatore cattolico che in un paesino facesse coming out e ne sopportasse le conseguenze sarebbe per certi versi assimilabile a Rosa Parks (e per altri no: ad esempio, non andrebbe in galera perché il coming out non è vietato in Italia, come lo era per un afroamericana sedersi su certi seggiolini in Alabama). Quell'educatore farebbe un passo importante, e avrebbe senz'altro il mio sostegno, e spero anche il vostro. Ma non è che nel frattempo si possano insultare sui social network tutti gli educatori cattolici che non se la sentono. Cioè, si può fare, ma questo non sposta di un millimetro il fronte della battaglia per il riconoscimento dei diritti GLBT. Non è che Martin Luther King andasse in giro a insultare le afroamericane che non avevano il fegato di sedersi sui seggiolini per bianchi.

Quando è uscito il pezzo su Repubblica, molta gente che lo scoutismo non lo conosce si è sentita in dovere di commentare, attingendo al repertorio dei luoghi comuni: bambini vestiti da cretini eccetera. Si è sentita un'intolleranza, una voglia di arrivare subito alle conclusioni, che secondo me non fanno bene a nessuna causa. Insultare persone che non si conoscono, chiudere locali pubblici, sono azioni che non contrastano nessun tipo di omofobia: procurano soltanto una soddisfazione immediata a chi si sente in guerra, a chi si diverte a starci, perché in guerra tutto è concesso, anche sputare a nemici che non si conoscono. Di solito a comportarsi così sono quelli che la guerra non la vogliono nemmeno veramente finire, neanche a costo di vincerla.
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