Now I've said too much

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Perdendo religioni

Prometto che non vi annoierò - stavolta - con ricordi che sicuramente non sono più interessanti dei vostri. Colgo soltanto l'occasione per condividere un curioso fenomeno sul quale rifletto da tempo, senza aver mai trovato il coraggio di scriverci sopra tre o trecento righe. Ma oggi è un giorno particolare, è il primo giorno senza REM da trent'anni a questa parte, e i REM erano uno dei gruppi americani più popolari in Italia. Ora, mi dispiace dover sempre generalizzare; purtroppo non esistono statistiche e fonti attendibili per questo genere di dati, e così uno naviga a vista, pensando di galleggiare sulla contemporaneità, mentre magari ha in mente solo la sua classe di liceo. Però secondo voi qual è la canzone dei REM più famosa? La più programmata in radio? Quella – avete presente? – che più facilmente rischia di passare inosservata quando te la ritrovi in sottofondo su una pubblicità di pellicce in un canale privato, perché ormai è parte del paesaggio e ha perso ogni sapore, ogni referenzialità originale, come l'immagine della Gioconda su una tazza di caffè? Qual è quella canzone dei REM che nessuno ascolta più, perché ormai è veramente consumata dall'uso e dall'abuso, come Imagine dopo che l'adottarono i Tories della Thatcher; il pezzo che neanche sparandocelo in cuffia a massimo volume riusciremmo a sentire davvero, con quel groppo al gola e quella gioia di ballare storpi allo Spirity di Ponte Motta all'aria fresca delle tre del mattino, scusate, avevo detto niente ricordi? Qual è la canzone dei REM che conosciamo veramente tutti e non ascoltiamo più? Magari mi sbaglio.

Ma secondo me è Losing my religion.

E non ha senso. Cioè, è veramente un mistero. Io non sono un fanatico dei REM, massimo rispetto, ma li ho sempre trovati un po' legnosi, americani: professionali ma un po' troppo seriali, in trent'anni devono avere fatto il doppio di album degli U2. Che in tutto questo tempo abbiano scritto centinaia di volte più o meno la stessa canzone lo trovavo inevitabile, era già un problema con le prime cassettine che mi facevo prestare da Gianluca, ma è un po' come prendersela perché Andy Wharol aveva una fissa con le conserve. In realtà ho proprio smesso di seguirli, non saprei dire quando, più o meno una trentina di videoclip fa. Però sono pronto a mettere una mano sul fuoco sul fatto che abbiano scritto quaranta, cinquanta canzoni migliori di Losing my religion, prima e dopo Losing my religion. E più orecchiabili, più (non so se si dica ancora) “commerciali”. Perché LMR non era neanche così commerciale: un pezzo in minore con un mandolino e senza un vero ritornello, io nei panni del discografico mi sarei preoccupato.

Non so se abbia venduto più di Everybody Hurts. Non so se sia passata in radio più volte di Orange Crush. Di sicuro Ligabue non ha sentito l'impellente necessità di coverizzarla – anche se sono fermamente convinto che non sarebbe stato lo stesso Ligabue, senza LMR. E sono abbastanza sicuro di aver ascoltato Michael Stipe cantare That's me in the spotlight come sottofondo di qualche spogliarello di telefonista erotica, in un qualsiasi momento dei profondi anni '90. Quando già LMR era stata masticata e rimasticata fino a perdere ogni ricordo di sapore. Va bene. Ma perché proprio Losing My Religion? In quel periodo i REM ci stavano provando sul serio, a diventare mainstream. Avevano scritto cose talmente orecchiabili da risultare scandalose per i fan del tempo (molto più refrattari ai compromessi di quelli di adesso). Avevano fatto Stand, che per capirci è un giro di do. Nello stesso disco di LMR era stata sparsa abbondante melassa, in particolare in quel duetto imbarazzante con la cantante dei B52's, (che poi in realtà a me è sempre piaciuto, ammazzatemi) Shiny Happy People. Tutte quelle hit potenziali restarono potenziali, e i REM sfondarono con un brano in la minore quasi senza ritornello, registrato in un giorno, impreziosito da un mandolino scolastico (per ammissione di Peter Buck, che stava ancora imparando a tenerlo in mano), e io ancora oggi mi domando il perché. Fu il video immaginifico e un po' pretenzioso? In realtà era una fase di stanca per i clip, qui da noi: Dee Jay Television aveva chiuso, Videomusic era in crisi e MTV ancora al di là dell'orizzonte. E allora, insomma, cos'è che ci prese così tanto? Non ci crederete mai, ma io ho una teoria.

La prendo un po' alla lontana. A voi piace cantare? Anche le canzoni in inglese? A me piace. Certo, c'è sempre il problema delle parole. Specie con le canzoni della nostra prima adolescenza, che magari amiamo di più, ma a quel tempo non sapevamo l'inglese e quindi non le abbiamo veramente imparate. Se le ripeschiamo dalla memoria profonda, ci vengono in mente costruzioni insensate, parole inventate, tutto un borborigmo che riproduceva i suoni che sentivamo. Donseva preffor minau: sevi fordemor ninaffe.

Più in alto, nel carotaggio della nostra memoria, troviamo le canzoni che abbiamo amato in un periodo relativamente più recente, quando eravamo già abbastanza grandi per conoscere un po' di inglese, ma avevamo ancora amore e memoria da investire sulle canzoni. Quelle le cantiamo quasi senza vergogna. Magari non ricordiamo tutte le parole; sicuramente ogni tanto prendiamo cantonate imbarazzanti ma chissenefrega, mica passa la Soncini. Ecco, secondo voi qual è la prima di queste canzoni? Ognuno ovviamente ha la sua. Young teacher, the subject of schoolgirl fantasy. One man come in the name of love. Relax, don't do it. I was born in the USA.

Però, se allarghiamo il campione, se sovrapponiamo migliaia di esperienze, se cerchiamo di individuare la prima canzone in lingua inglese che abbiamo cantato in coro, assieme, conoscendo le parole o credendo di conoscerle, anche equivocando il significato, forse, chissà, scopriremmo che questa canzone è Losing My Religion. Che non è orecchiabile, non è divertente, non è neanche particolarmente commovente: è poco più di una lagna, ma ha un testo semplice che è messo in evidenza.

Ovviamente è un testo che non abbiamo mai davvero capito. Per anni siamo stati convinti che parlasse di religione. Ecco, quel che mi affascina del successo italiano (ma anche mondiale, forse) di LMR, è che è basato sul fraintendimento. “Losing my religion” è un'espressione che a quanto pare significa perdere la calma, la ragione, ma noi non lo sapevamo (e il video faceva tutto il possibile per mantenere l'equivoco). Eravamo sicuri che Stipe avesse perso la sua religione, che ce lo stesse raccontando, e la cosa ci risuonava dentro, toccava le corde giuste. Sono convinto che Ligabue lo abbia capito, anche solo a livello preconscio: non si doveva per forza cantare di birrerie e amori sfortunati, anche la religione poteva vendere dischi. Bastava affrontarla in controluce, come una cosa che bisogna lasciarsi alle spalle per diventare grandi. Stavamo appunto diventando grandi e avevamo sempre meno voglia di alzarci presto alla domenica: volevamo perdere la nostra religione e Stipe ci mostrava una via elegante. Con qualche etto di eleganza in meno, cantando Libera nos a malo, tre mesi dopo Ligabue avrebbe inaugurato il suo filone anti-Dio, abbastanza prolifico ma del tutto assente dal primo disco. Magari era solo Zeitgeist, ogni tanto ci sono periodi in cui tutti si mettono a cantare che Dio è morto. Poi passa. Ma no, a noi non è mai veramente passata. Losing my religion non è mai stata una gran canzone. Non era la più bella di quel disco, né di quel gruppo, né di quell'anno. Ma forse è stata la prima canzone che abbiamo avuto l'impressione di capire, senza bisogno di consultare le infedeli edizioni Arcana. E non importa che in realtà non avessimo capito nulla, e che quella risata misteriosa non provenisse nelle intenzioni dell'autore da un Dio distratto e indifferente. L'importante è che abbiamo avuto l'impressione di farcela, di capire: forse potevamo davvero imparare quella lingua arcana e maledetta che a scuola dopo anni di dialoghetti ci era rimasta intimamente aliena. Varrebbe la pena di essere riconoscenti a Stipe e soci anche solo per questo.
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