- uomo dell'anno, proprio io

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Big in 2006

Oddio, c’è da stappare lo spumante.
Lo avevo preso per Natale, ma a questo punto.

Non credevo di meritarmelo, davvero. Ma se insistete non posso che ringraziare tutti gli amici che mi hanno incoraggiato e spronato anche quando io stesso mi stavo stancando di cazzeggiare davanti al computer.
Credevo di rubare tempo a cose più nobili, pensate.
E invece eccomi qua: Uomo Dell’Anno. Quando lo saprà la mia mamma. Ehi, mamma, hai visto? ce l’ho fatta!

Che fare ora? Mah, direi di continuare così. Senza esagerare. O credermi chissachì. Io resto quel sano ragazzo di provincia che avete imparato ad apprezzare – e tuttavia, se al Time oltre a osannarmi mi leggessero con più attenzione, comprese le ultimissime cose che ho scritto, saprebbero che mettere uno schermo in copertina è un’operazione fortemente ambigua. E poi, che tipo di schermo, lo avete visto? In realtà è più simile a una postazione televisiva, coi comandi di YouTube. Un’incarnazione sinistra: “ok, uomo dell’anno, sei forte, hai condiviso un sacco di pensieri e commenti; ora rilassati che arrivano i video, e di qui a qualche anno saranno sempre più interessanti e professionali”.

Adesso che ci penso, tra un paio di settimane sarò l’Uomo dell’Anno Scorso.
Rimetto in frigo lo spumante.

Lo ammetto, mi imbarazza un po’. Io mi considero un uomo a tutto tondo, sapete. Non passo mica tutto il giorno davanti a uno schermo, io. Vivo in mezzo alla gente. E ok, capisco, tutto l’inviluppo dei miei rapporti umani sulla copertina di Time non ci stava, ma fotografarmi così, proprio nella situazione di massima solitudine…

Non mi va. C’è questo luogo comune, duro a morire, dell’internauta solitario e segaiolo. Si organizzano anche convegni di psicologi, molto preoccupati dalla tendenza di questi internauti a comunicare tra loro stando a casa. Per essere psicologi, bisogna dire che sono un po’ ossessionati dalla fisicità. Se la prendono con Internet perché adesso comunichiamo con Internet, ma probabilmente qualche anno fa se la sarebbero presa con il telefono. E prima ancora con l’alfabeto Morse e ancor di più coi rapporti epistolari, che incoraggiavano le persone a vivere rapporti virtuali e fittizi e gli impedivano di uscire in strada e toccarsi tra loro. Probabilmente non bisognava inventare la scrittura; maledetto il primo uomo che invece di tirare i capelli alla sua favorita ha fatto un segno sulla parete.

Sono baggianate. Noi non siamo soli. Coltiviamo un sacco di rapporti, grazie a Internet. Tutti vogliono parlare con noi, perché siamo gli Uomini dell’Anno! Per undici giorni ancora.

Vabbè, sì, dovrei essere felice, ma… è che proprio oggi ho fatto un salto su Indymedia Italia, ed era chiusa. Che tempismo, eh? Chiudere qualche settimana prima l’incoronazione del Time. E dire che prima di tante chiacchiere sul Web 2.0, c’era semplicemente l’intuizione di Indy: Don’t hate the media, become the media. Sostituire alla paranoia anti-sistema degli anni Novanta una sana pratica di controinformazione quotidiana. È quello che ha iniziato a fare Indy in Italia nel 2001. È quello che ora stanno facendo i blog (mica tutti, anzi pochi). Perché i blog sono sopravvissuti? Perché sono piccoli e personali. Indy invece aveva un’ambiguità fondamentale. Era un sito collettivo, ma chi era il collettivo? Da qualche parte c’era un “noi”; perlomeno c’era il tentativo di costruire un “noi”. Ma non era facile. Col tempo la bacheca libera a tutti (il newswire) si è rilevato uno strumento troppo grezzo. A volte un boomerang: si andava su Indymedia in cerca di sciocchezze per screditare un intero movimento. Era troppo facile e non costava nulla.

I blog invece sopravvivono. Perché sono piccoli e individuali: ognuno si prende la responsabilità del suo orticello. Io potrei mettermi a cantare le lodi di questa rivoluzione pacifica: la piccola proprietà intellettuale. Ma da qualche di tempo a questa parte sto dubitando di tutti i discorsi stile “piccolo è bello”. I blog hanno un limite strutturale.

Sono davvero siti individuali. Se siete curiosi di queste cose potete andarvi a vedere le mappe di BlogBabel pubblicate dal Sole 24 Ore (e da Qix). Descrivono un universo corpuscolare. Solitudine no, assolutamente: anzi, milioni di relazioni; ma tra corpuscoli. Indymedia veniva davvero da un mondo diverso. Vi ricordate la parola tormentone del movimento nel 2001-02? voi no, io sì: era “moltitudine”. Il movimento cercava di federare, inglobare, associare persone diverse; sotto sotto c’era ancora la vecchia ambizione novecentesca di vederli sfilare compatti. E qualche volta è successo: abbiamo sfilato compatti. Ma ormai sono cose che lasciamo ai berlusconidi.

Siamo polvere di stelle; molto bene; e abbiamo intenzione di diventare qualcos’altro? Non lo so. Per quanto mi riguarda, può darsi che il blog sia il mio limite strutturale. Non riesco a fare nulla di meglio. Non riesco a dire nulla che non passi dal mio “Io”; non sono affatto solo, conosco un sacco di gente, ma con nessuno tento più di costruire un “noi”. Sarà anche pigrizia da parte mia. Invecchio, sapete. Ma ero grande, nel 2006.
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