Il fifone di Canterbury
27-05-2025, 01:43anglistica, santiPermalink![]() |
Quel che resta a Canterbury dell'Abbazia originale |
Come abbiamo avuto modo di notare, una leggenda di santi per funzionare davvero ha sempre bisogno di trovare nel suo soggetto qualche difetto. Del monaco Agostino, grande evangelizzatore degli Angli, si ama ad esempio raccontare che in un primo momento non avesse tutta questa voglia di evangelizzarli. Anzi, giunto all'altezza di Aix-en-Provence (cioè nemmeno a metà strada), dopo aver sentito qualche notizia un po' allarmista sui costumi di questi recenti invasori della Gran Bretagna, se ne sarebbe tornato dritto a Roma con tutta la sua delegazione di quaranta monaci, che erano parecchi anche per la fine del sesto secolo. Lì avrebbe ritrovato il suo superiore, papa Gregorio Primo, che nessuno avrebbe soprannominato Magno se non avesse dimostrato, in questo e altri frangenti, una notevole testardaggine: per cui invece di rassegnarsi al fallimento della missione, o almeno nominare a capo di essa un monaco più risoluto, decise che la delegazione andava bene così e che Agostino l'avrebbe guidata fino alla Britannia (che qualcuno cominciava a chiamare Angle-Terra). Anzi nell'occasione decise di nominare Agostino abate, il che può lasciarci perplessi: cioè alla prima vaga difficoltà scappi a casa, e il boss invece di prenderti a pedate ti promuove? Magari Gregorio sperava che il rango superiore lo responsabilizzasse (e lo rendesse più autorevole agli occhi degli Angli che lo avrebbero accolto).
La situazione in effetti era favorevole: il re anglo-sassone del Kent, Etelberto, aveva sposato Martha, una principessa merovingia: ovvero franca, ma soprattutto cristiana; e sembrava interessato ad approfondire la conoscenza di questa nuova religione che avrebbe accresciuto la sua sfera di influenza sia nell'Isola che nel continente. E per quante chiacchiere Agostino avesse potuto sentire ad Aix, gli Angli non erano affatto quei barbari crudeli e incivili di cui si favoleggiava: perlomeno gli schiavi angli che Gregorio aveva conosciuto a Roma lo avevano colpito per la gentilezza e la bellezza: veri angeli. E insomma non sappiamo che dose di blandizie e minacce Gregorio abbia applicato nell'occasione: fatto sta che funzionò, Agostino ripartì per il Kent, fu sistemato da Etelberto a Canterbury, e nel giro di un anno aveva già battezzato diecimila anglo-sassoni: un successo probabilmente causato dalla tolleranza con cui Agostino accettava gli usi e i costumi del popolo che lo ospitava. Agostino non fu il primo evangelizzatore dell'Isola – i Britanni erano già stati convertiti secoli prima, secondo le leggende addirittura da San Paolo – ma le invasioni anglo-sassone avevano spazzato via la cultura britanna al punto che anche in parte delle zone occidentali come il Galles, dove i britanni di cultura celtica si erano rifugiati, il cristianesimo era stato parzialmente dimenticato. Ecco perché tuttora quella di Canterbury è la prima sede vescovile di Inghilterra: anche dopo lo scisma di Enrico VIII, è al successore di Agostino sulla cattedra di Canterbury che spetta incoronare il re. Agostino avrebbe anche fondato le diocesi di Londra, York e Rochester, prima di morire nel 604. La sua biografia in effetti sarebbe fin troppo lineare – il papa lo incarica di evangelizzare gli Angli, lui ci riesce e poi muore – non fosse per l'episodio di Aix, quella romanzesca esitazione che ricorda un po' la vicenda di Giona.
(È curioso che dovendo scegliere un'ambientazione per l'episodio, una nuova Tarsis, l'agiografo abbia scelto, di tutti i luoghi in Europa, proprio Aix. Ci siete mai stati? È una bella città, ma se ci arrivate in macchina, vi sembra di non essere più da nessuna parte. È al centro della Francia meridionale, ovvero equidistante da qualsiasi cosa. Non si sente più l'Italia – anche se è ancora Provenza – e per quanto sia vicina la Camargue, non si sente ancora nemmeno la Spagna. Dovunque vogliate arrivare, quando passate da Aix sapete che siete ancora troppo lontani. A meno che non vogliate andare a Marsiglia. In quel caso siete praticamente arrivati. Ma se siete diretti a Marsiglia, ad Aix nemmeno vi fermate. Le cose stanno così oggi, quando Aix si trova al centro di un complicato groviglio autostradale. Immaginate come doveva sentirsi il viandante del sesto secolo, che arrivando ad Aix doveva avere la sensazione di essere arrivato agli estremi confini del mondo conosciuto. E invece no, era arrivato appena ad Aix. Neanche a metà strada, di solito).
Se non si dà eroe senza battaglia, l'anonimo agiografo deve essersi posto il problema: che battaglia avrebbe vinto Agostino? Quella contro sé stesso, contro le sue paure: è perfino possibile la coscienza in letteratura nasca così, un espediente per trovare un conflitto anche in vicende dove non risulta nessun avversario esterno; non resta che dichiarare guerra a sé stessi, inventandosi uno spazio interiore. Sarebbe interessante capire quando gli eroi comincino a trionfare non contro nemici esterni (o Dei che li sviano) ma contro i propri dubbi e le proprie paure; in via provvisoria vale la pena di annotare quanti antieroi si annidino tra le pagine delle agiografie. A partire dallo stesso Gesù Cristo, che almeno in un paio di occasioni sembra a disagio col suo destino di martire; per seguire con gli apostoli, primo tra tutti quel Pietro che quando capisce che è giunta la sua ora prova persino a scappare. Lo stesso Agostino prendeva il nome di un illustre padre della Chiesa, che al suo destino di santità aveva cercato a lungo di sottrarsi.