Salvini è sempre più solo

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Per la seconda volta nel giro di un anno c'è stato un momento in cui, a un passo dal trionfo, Salvini è sembrato tentennare: allontana da me questo calice. Un anno fa un fuorionda lo catturò mentre si lasciava spaventare dai sondaggi riservati che annunciavano il crollo di Renzi: troppo presto, troppo forte. Quest'anno, dopo aver girato la penisola come un matto, un mulo, una di quelle rockstar che si scrivevano il nome del paese sulla mano per ricordarselo, a un certo punto Salvini si è come autosospeso. Non ha annullato nessuna data, ma ha smesso di cavalcare qualsiasi notizia gli convenisse - dalle mie parti un clandestino ha dato fuoco a due vecchiette e lui ha glissato. Addirittura ha liberato Tria: ha lasciato autolesionisticamente che circolasse l'idea di ritirare gli 80€ che Renzi aveva infilato nelle buste dei dipendenti. Per la seconda volta nel giro di un anno, Salvini ha avuto paura di vincere, o almeno di vincere troppo. Perché alla fine questa campagna elettorale permanente inaugurata da Berlusconi, in cui lui è cresciuto senza aver mai fatto altro nella vita, è tutto quello che ha: ma non è uno di quei giochi dalle regole ben definite come per dire il ciclismo. Qui se cominci a staccare davvero gli avversari, come fai a essere sicuro che dietro quella curva ti stiano ancora seguendo, come fai a non temere che abbiano deciso di lasciarti andare da solo al macello. Magari all'arrivo non c'è nessuna ragazza con fascia e mazzo di fiori; di sicuro c'è l'Iva al 25%, lo spread, un sacco di elettori che a questo punto la flat tax la pretende, eccetera. Non dissimilmente da Renzi qualche anno fa, Salvini è costretto a correre per restare in piedi. Forse ha più fiato, sicuramente conosce meglio il terreno; proprio per questo motivo la prospettiva di andare avanti da solo potrebbe sgomentarlo. E non ha alternative: sia M5S che Berlusconi sono spompati, con uno dei due dovrà comunque appoggiarsi ma sarà più un peso che un sostegno.

Per oggi tutto qui, ricordo a tutti che domani pomeriggio sono a Modena a presentare il magnum opus di Raffaele Alberto Ventura.

Ps: vedo che in queste ore circola un'analisi post-voto di Wu Ming che trovo allo stesso tempo condivisibile e ingenua. Analisi condivisibile, perché ricorda a tutti che i voti si contano, e che le percentuali al netto dell'astensione sono un'astrazione che conduce a errori di prospettiva che possono essere fatali (sicuramente lo furono nel caso di Renzi, quando cinque anni fa prese meno voti di Veltroni ma si convinse di rappresentare un "40%"). Analisi condivisibile, perché a ignorare l'astensionismo si fa l'errore che fu di D'Alema, e poi di Veltroni, e che oggi è di Calenda: si insiste a immaginare che le elezioni si vincano in un fantomatico Centro dove starebbero i cattolici e/o liberali in attesa del migliore offerente (in pratica Casini e i suoi famigliari, neanche tutti). Analisi ingenua, perché nel tentativo comunque lodevole di alimentare l'ottimismo della volontà, postula che nell'astensione si nasconda un esercito di riserva che prima o poi la sinistra riuscirà a riattivare. Bella idea, salvo che se fin qui non è successo evidentemente non è semplice, né inevitabile. I motivi per cui la sinistra si presenta al voto divisa sono più profondi di quanto le beghe di corridoio potrebbero suggerire. Specie se le elezioni sono europee, in un momento in cui una parte cospicua della sinistra nell'Europa sembra non credere più (e non riesco nemmeno a darle tutti i torti). Poi certo, tradizionalmente uno dei modi in cui una parte politica riesce a organizzarsi e motivare la base, anche alle urne, passa dalla costruzione di una leadership; il che lascia purtroppo fuori chi nel concetto di leadership non crede.
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1. Kyenge - 2. Honsell

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Come passa il tempo, siamo di nuovo alle Europee. Mi sarebbe piaciuto offrire un'indicazione di voto precisa, netta come cinque anni fa, ma gli anni non mi stanno precisando le idee, tutt'altro. In ogni caso gli ottimi motivi che avevo cinque anni fa per votare Cécile Kyenge sono ancora tutti lì, e quindi credo che la voterò di nuovo, malgrado la delusione che mi diede sulla questione dei copyright. (Mi sarebbe piaciuto anche riconfermare Elly Schlein – forse in assoluto il voto di cui mi sono meno pentito nella mia storia di elettore – ma lei ha fatto una scelta diversa e forse il tempo le darà ragione). La Kyenge fu la promotrice di un disegno di legge sulla cittadinanza che avrebbe significativamente migliorato la vita di tanti miei concittadini e studenti; altri l'hanno tradita, io nel mio piccolo non me la sento. A quel punto, visto che votare Kyenge implica votare PD, penso che ne approfitterò per votare Furio Honsell, che mi è simpatico e che a Bruxelles potrebbe trovarsi meno disorientato di altri.


Votare PD significa riaccostarsi a un partito che negli ultimi anni mi aveva molto deluso, e che continua a esibire in cima alla lista della mia circoscrizione un personaggio come Calenda, del quale non vorrei neanche perder tempo a parlar male: semplicemente non credo dovrebbe rappresentarmi, né me né in generale i lavoratori di classe medio-bassa e orientamento progressista. È tutto un equivoco cominciato con Berlusconi, proseguito con Grillo, che prima o poi dovremo chiarire. Nel frattempo io potrei scegliere un partito più piccolo che probabilmente non passerà la soglia di sbarramento, oppure cercare con le mie preferenze di portare il PD un po' più a sinistra. Come sempre in questi casi credo che la seconda opzione sia più opportuna. Inoltre il PD è il PSE; malgrado le tentazioni macroniane, sta mantenendo la barra verso l'Europa e credo che questa sia l'unica opzione possibile: le derive sovraniste di Mélenchon e Corbyn mi spaventano. Non è che non le capisca, finché la Commissione Europea continua a brandire un rigorismo più moralistico che scientifico; ma per me la politica è un discorso semplice, in cui due argomenti simili col passare del tempo non possono che diventare lo stesso argomento. Ovvero: non c'è spazio per un sovranismo di sinistra e uno di destra. Col tempo il secondo mangerà il primo, perché è più lineare e coerente. Se sei un sovranista rimpiangi qualcosa del passato, e se rimpiangi qualcosa del passato prima o poi finirai invischiato con chi il passato lo rivuole in blocco. Io onestamente non ho mai capito che passato l'Europa dovrebbe rimpiangere: il Congresso di Vienna? i giri di Valzer, le Triplici? Per me le nazioni sono astrazioni (a sinistra c'è un discorso molto semplice che spiegava questa cosa, già a metà Ottocento, e i discorsi molto semplici alla fine vincono). Le patrie sono catalizzatori di affetto ma voler bene ai propri genitori è solo una cosa che mi deve preparare a voler bene al mondo intero. Buon voto e se per caso siete a Modena in questi giorni, martedì c'è una presentazione dell'ultimo interessantissimo libro di Raffaele Alberto Ventura e ci sono anch'io (non so perché). A presto.
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