Viaggio nell'Italia della Mala accoglienza

Nella primavera del 2019 erano appena entrate in vigore i due famigerati decreti "Sicurezza. Questa è l'inchiesta sui suoi effetti nelle politiche di accoglienza che ho scritto per la Campagna LasciateCIEntrare


Marche, la frontiera è nel porto

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Una pentola in ebollizione, ma da dove l’acqua potrebbe ancora fuoriuscire. Simona Martolini, attivista dell’Ambasciata dei Diritti di Ancona, descrive così la situazione dell’accoglienza nella sua Regione dopo l’entrata in vigore del decreto Salvini.
“Il sistema d’accoglienza, pur con tutti i suoi limiti, non ha subito gli effetti nefasti del decreto sicurezza. Perlomeno non ancora. Neppure si sono verificate reazioni di protesta o di intolleranza, vere o costruite ad arte, che le cronache dei giornali hanno riportato per altre città d’Italia. Io, ad esempio, vivo nel quartiere più multietnico di Ancona, dove la percentuale di stranieri è intorno al 50 per cento. Per lo più sono persone che lavorano o che gestiscono attività in proprio ma che non sono state toccate dal clima di odio che è stato creato in altre città della penisola e della regione (vedi il caso di Macerata)”.
A parte due alberghi situati nella zona di Senigallia che ospitano attorno ai cento migranti l’uno e ad altri centri nell’ascolano, nella Marche si è scelto uno stile di accoglienza diffusa (spesso i richiedenti sono ospitati in appartamenti) attraverso lo Sprar e piccoli Cas che ha favorito l’inclusione sociale. L’ultimo bando della Prefettura ha registrato il passaggio della gestione di una buona fetta del mercato dell’accoglienza da una storica cooperativa ad un’altra, senza peraltro che questo abbia comportato grandi sconvolgimenti. “Le rette giornaliere per persona non sono state ancora abbassate – continua Simona – ed i servizi fondamentali come le scuole di italiano e i corsi di preparazione dei colloqui per affrontare la commissione, continuano ad essere erogati. Licenziamenti di personale? Sicuramente dei posti di lavoro si sono persi ma ci sono state anche dimissioni volontarie di operatori che sono passati da una cooperativa all’altra”.
Per quanto riguarda l’anagrafe, Ancona – retta da una giunta targata centrosinistra – ha subito deciso per la non retroattività del decreto Sicurezza e ha concesso il documento a tutti coloro che ne avevano fatto richiesta prima dell’entrata in vigore della legge. Per i nuovi arrivati invece sta adottando le nuove norme discriminatorie volute dalla legge Salvini. “Contro questi provvedimenti abbiamo già depositato i primi ricorsi ed attendiamo con speranza un esito positivo. Ma Comuni come Jesi hanno deciso di concedere l’iscrizione all’anagrafe comunque senza bisogno di ricorso in tribunale. Praticamente, su questo tema, ogni amministrazione va per conto suo. E questo già la dice lunga sulla legalità e sull’efficacia del decreto Sicurezza!”.
Una particolarità di Ancona sta nell’alta percentuale di dinieghi emessi dalla commissione per l’asilo e la protezione sussidiaria che, negli ultimi due anni ha sfiorato il 70 per cento. “Una media alta anche per la media nazionale ma bisogna sottolineare che nessuno dei ragazzi ‘diniegati’ è stato buttato fuori dal sistema d’accoglienza e continua a godere della protezione in attesa dei successivi ricorsi, almeno per ora”.
Capitolo a parte, la situazione del porto. L’area portuale di Ancona – così come per la maggior parte dei porti italiani di frontiera – è stata militarizzata. “Hanno alzato reti dappertutto e non si entra più senza biglietto. Quello che accade dentro, non lo sa nessuno. L’Italia ha stipulato con la Grecia una convenzione di Riammissione (per altro non più in vigore). I migranti sorpresi nei traghetti non vengono neppure fatti sbarcare e ripartono verso il porto di partenza con la stessa nave. Il bando della prefettura di Ancona per la gestione del servizio di accoglienza presso il valico di frontiera portuale è andato negli anni sempre più a ridurre il budget, recentemente è stato vinto da una cooperativa di Pesaro che non riesce a garantire una presenza continuativa in porto che sarebbe necessaria visti i tempi stretti dei respingimenti”.
Emblematico il caso, accaduto circa tre mesi or sono, delle due donne siriane con un bambino di 3 anni al seguito che la polizia portuale stava per rispedire indietro senza dar loro nessuna possibilità di far valere i loro diritti internazionali. “In questo caso, le due donne hanno avuto la fortuna di trovare un ragazzo di origine siriana con passaporto svizzero che si è reso conto della situazione ed ha subito sollevato il classico putiferio, chiamando attivisti, avvocati e giornalisti – conclude Simona -. Così le due donne col bambino si sono salvate. Ma quanti migranti aventi diritto alla protezione, magari con minori al seguito, meno fortunati di loro, vengono rispediti arbitrariamente in Grecia, non lo possiamo sapere. Così come non possiamo sapere quanti riescono ad eludere le maglie della sicurezza e sbarcare attaccati sotto le ruote di un camion. Anche in questo caso, la notizia trapela solo quando qualcuno muore. Ma viene da chiedersi se sia questo il modo migliore di gestire le migrazioni”.
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