In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Una “barcheggiata” per ribadire il No alle Grandi Navi in laguna

Buttate fuori dalla porta – quella del bacino di San Marco -, le Grandi Navi sono rientrate dalla finestra – quella dei cinque approdi “provvisori” di Marghera e terraferma. Ma, sempre e comunque, dentro una laguna che non è fatta per il gigantismo navale rimangono. I due decreti legislativi e le sentenze della magistratura hanno sottolineato l’incompatibilità di queste enormi ”villaggi turistici galleggianti” con il delicato sistema idrogeologico della laguna, sposando le tesi sostenute dagli ambientalisti in oltre un decennio di lotte. Come se non bastasse, i recenti incidenti avvenuti alle navi da crociera dirette a Marghera – incidenti più che prevedibili in quanto il canale dei Petroli non ha la larghezza sufficiente a governare lo scarroccio della nave in caso di vento sostenuto – dovrebbe aver dimostrato ancora una volta che il gigantismo navale ha chiuso con la laguna. Sembra che se ne siano resi conto le stesse compagnie di navigazione i cui amministratori hanno dichiarato in un articolo del Sole24ore che sono intenzionati ad escludere Venezia dagli itinerari delle loro crociere. Non è certo una presa posizione, la loro, dettata da motivazioni di tutela ambientale, quanto dalla semplice constatazione che un conto è accogliere i turisti alla Stazione Marittima di Venezia e fargli far passerella davanti a San Marco, ed un altro dirottarli a Marghera lungo il canale dei Petroli col serio rischio di finire in secca al primo sventolare di scirocco!

Eppure, la battaglia non è ancora vinta perché la strada delle “soluzioni provvisorie” ha stimolato gli interessi speculativi su queste aree di attracco ed hanno messo in moto finanziamenti da milioni di euro. E così, invece di pensare ad alternative praticabili che vagano le navi fuori della laguna ecco che nel dibattito politico appaiono soluzioni che sono peggiori del male: scavare altri canali, allargare quelli esistenti, realizzare grande strutture di attracco in aree che da decenni attendono, a contrario, progetti di bonifica. 

Proprio per questo il comitato Grandi Navi ha indetto una “due giorni” di mobilitazione ed ha annunciato un esposto alla Procura contro queste soluzioni “provvisorie “ che minacciano di diventare definitive e di trasformare la laguna in un “porto diffuso”. Venerdì pomeriggio, in mezzo al campo San Tomà (non c’è da pensare che il Comune conceda una sala ai No Navi) si è svolta una partecipata assemblea cittadina in cui è stato ribadito che la soluzione al problema delle Grandi Navi, oggi come dieci anni fa, è sempre la stessa: devono starsene fuori dalla laguna. 

Oggi, il comitato ha organizzato una “barcheggiata” verso l’approdo “provvisorio” (continuiamo a scrivere il termine virgolettato) di Fusina.

“Questa soluzione dovrebbe essere temporanea – hanno dichiarato gli ambientalisti -, ma a guardare quanti soldi si stanno investendo per sistemare tali aree e banchine sembrerebbe il contrario, nonostante nei giorni scorsi abbiamo visto quanti disagi e problematiche implica attraccare a Porto Marghera. Ma anche Marghera è laguna e noi le navi le vogliamo fuori da tutta la laguna”.

Donne e clima. Perché la battaglia per l’uguaglianza di genere è anche quella contro i cambiamenti climatici

 

Sono le donne a pagare il prezzo più alto dei cambiamenti climatici. Sono le donne a dover subire per prime le conseguenze delle inondazioni, della siccità e anche delle violenze e della guerre che la crisi climatica trascina inevitabilmente con sé. E sono sempre le donne, e in particolare quelle che vivono nei Paesi del sud del mondo, a dover fronteggiare in prima persona la scarsità di risorse alimentari di ecosistemi sempre più malati ed impoveriti per l’aumento della temperatura globale. 

“Sono molti i modi in cui il cambiamento climatico incide sulla vita di donne e ragazze – si legge in una ricerca dell’onlus Cesvi – . A cominciare dalla violenza di genere1 che aumenta nelle emergenze come cicloni, siccità, inondazioni o sfollamenti, e in contesti di risorse scarse: il compito di procurare alla famiglia acqua e legna infatti è affidato tipicamente alle donne e questo accresce esponenzialmente il rischio2. Anche le spose bambine sono un effetto collaterale del cambiamento climatico. Le famiglie ricorrono al matrimonio delle figlie ancora piccole come meccanismo di sopravvivenza3“.

Circa il 40% della popolazione mondiale, per un totale di oltre 3,3 miliardi di persone – si legge nell’ultimo rapporto dell’Ipcc – vive in Paesi altamente vulnerabili al cambiamento climatico.  Entro il 2030, l’aumento della temperatura globale potrebbe spingere sotto la soglia della povertà estrema altri 122 milioni4.

L’impatto dei cambiamenti climatici però non è lo stesso per gli uomini e per le donne – continua la ricerca del Cesvi – Queste ultime rappresentano il 70% dei poveri del mondo, 1,3 miliardi di persone, e dipendono in misura maggiore per il proprio sostentamento dalle risorse naturali5Nei Paesi a basso reddito il 50% delle donne è impiegato nel settore agricolo ma meno del 15% possiede la terra che lavora6“.

Non a caso, la stessa Un Women, il comparto dell’Onu dedicato alla parità di genere, ha voluto inserire questo 8 marzo nel più ampio ampio contesto della crisi climatica globale, sottolineando come la battaglia per fermare l’aumento delle temperatura non possa essere dissociata da quella per la parità di genere. 

La crisi climatica infatti, ha avuto come primo effetto quello di marginalizzare ancora di più le donne nei processi sociali. “Le donne nutrono il mondo eppure restano in gran parte escluse dai processi decisionali, dall’accesso a credito, servizi e tecnologie”, conclude la ricerca che ha raccolto una ricca serie di testimonianze di donne ai quattro angoli del mondo. 

Testimonianze come quella di Veronica Nerupe, allevatrice del villaggio di Nasuroi, in Kenya: ”Le bambine di 10, al massimo 12 anni, vengono promesse come spose a uomini adulti in cambio di bestiame. Le collane che portano al collo rappresentano la promessa della famiglia al futuro marito. Spesso una bocca in meno da sfamare è l’unica soluzione per salvare la figlia e il resto della famiglia dalla fame”

Foto Credits Roger Lo Guarro

1 – Climate Change and Gender based violence

2 –Why climate change fuels violence against women

3 – Addressing child marriage in humanitarian settings

4 – Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability,

5 – Women…In The Shadow of Climate Change

6 –Garantire sistemi alimentari sostenibili dipende dalla parità di genere

Storie di radio libere e indipendenti: dall’etere al digitale

EventiSeconda edizione a Padova del Gemini festival: tre giorni di incontri, workshop con il mondo delle emittenti. Un network che vuole essere sperimentazione di rete e condivisione di saperi

La radio con tutte le sue sfaccettature, dal podcast alla musica live, dalla diretta giornalistica al talk show, sarà la protagonista della seconda edizione del Gemini Festival che si svolgerà a Padova negli spazi del Centro Sociale Pedro da oggi a domenica 21. A far gli onori di casa, sarà la storica Radio Sherwood, fondata nel 1976, all’epoca dell’esplosione del fenomeno delle radio libere e alternative per dar voce alla contestazione. Quarantacinque anni dopo, Radio Sherwood non solo è sopravvissuta agli anni del cosiddetto «reflusso» ma si e ritagliata un ruolo sempre più da protagonista nella scena politica e culturale del nordest organizzando manifestazioni come lo Sherwood Festival.

DOPO LA PRIMA EDIZIONE svoltasi lo scorso settembre a Perugia, ospite di Lautoradio, il Gemini Festival farà quindi tappa a Padova con un programma ancora più ricco, forte di un crescente supporto di radio indipendenti che si sono aggiunte alle otto fondatrici del Gemini Network: Radio Sonar, Radio No Border, Radio Roarr, Radio Città Aperta, Radio Senza Muri, Radio Ciroma oltre alle già citate Lautoradio e Sherwood, che garantiscono la presenza di una sorta di «redazione diffusa» capace di coprire dal sud al nord l’intero territorio italiano, intrecciando storie ed esperienze. Il nome del festival e del network è stato scelto in ricordo di Corrado Gemini, attivista politico e teorico del copyleft e delle licenze Creative Commons sulle opere intellettuali. «Al contrario di quando credono alcune persone, oggi la radio è più viva che mai – ha spiegato Antonio Pio Lancellotti, direttore del sito Global Project, tra gli organizzatori del Gemini Festival – Il web ha spalancato nuovi spazi alle diffusione dei nostri contenuti. I nuovi strumenti digitali, come il podcasting, hanno allargato quegli orizzonti che prima erano confinati nell’etere. Un processo questo, che è in continua evoluzione ma che si sta dimostrando capace di aprire nuovi canali alternativi non solo di narrazione, ma anche di fruizioni di contenuti, di confronto e di organizzazione».

LA PANDEMIA e le conseguenti chiusure, hanno avuto un ruolo importante nell’accelerare questo processo. Non è un caso che la prima edizione perugina si sia svolta subito dopo la fine del primo lockdown. Ma se la prima edizione si era posta l’obiettivo di dare un segnale forte verso la ricerca di nuove forme di comunicazione in un momento difficile, l’edizione di quest’anno si colloca in una fase diversa, e per certi versi più contraddittoria della precedente. «Oggi ci troviamo in un momento in cui la comunicazione è completamente polarizzata – spiega Lancellotti -, e la stessa idea di “ripartenza” lascia meno margini a progetti come il nostro che fanno dell’indipendenza il proprio manifesto. Per questa ragione, le radio che si riconoscono nel Gemini Festival ribadiscono l’importanza di non fermarsi al singolo evento, ma di far emergere in esso l’espressione del lavoro che tutti i giorni, il Network svolge. Perché Gemini Network è innanzitutto sperimentazione di rete, vale a dire un costante scambio di competenze, condivisione di saperi, messa in circolo di pratiche ed di esperienze».

IL PROGRAMMA di questa edizione è ricco di eventi che spaziano dai laboratori ai dibattiti e alla musica dal vivo. La giornata odierna sarà dedicata al workshop sulla narrazione della crisi ecologica curato da Marco Stefanelli di Guide Invisibili. La sera appuntamento clou con le attiviste di Fem.In di Cosenza, che racconteranno le battaglie per il diritto alla salute vista da una prospettiva femminista e radiofonica. Sabato saranno due gli appuntamenti principali. Il primo con il dibattito sul diritto d’autore che avrà come protagonisti il giurista Simone Aliprandi e il fondatore di Patamu, Adriano Bonforti. Patamu è un registro online che genera una «prova d’autore» per qualsiasi opera creativa, tutelando gli autori e consentendo loro di pubblicare e condividere in sicurezza i propri lavori. Il secondo appuntamento avrà come tema l’identità della radio all’interno della cosiddetta «Era dei podcast». Tra i relatori Andrea Borgnino di Radio Rai e Jonathan Zenti di Internazionale.
Chiusura domenica con l’assemblea plenaria plenaria della rete di radio indipendenti per disegnare il percorso del Gemini Network e proporre i prossimi appuntamenti. Per accedere agli incontri sarà necessario il Green Pass o comunque un tampone negativo che potrà essere effettuato a prezzo di costo in una area predisposta del centro sociale.

Perché Bolsonaro voleva andare al Santo e perché era necessario rovinargli lo show

Secondo gli ultimi sondaggi raccolti in Brasile, la popolarità di Jair Messias Bolsonaro nell’ultimi 12 mesi è precipitata dal quasi 40 a sotto il 30%. Le cause di questo rapido e, ci auguriamo, irreversibile declino sono imputabili a due fattori principali: la gestione criminale della pandemia e la crisi economica che ha gettato in miseria fasce di cittadinanza che, sino a qualche tempo fa, si potevano considerare benestanti.

Per quanto riguarda la pandemia, il presidente brasiliano si è barcamenato sin dall’inizio dal negazionismo complottista ai famosi “trattamenti precoci” basati sull’uso di farmaci come l’idrossiclorochina e l’ivermectina. Trattamenti considerati inutili se non addirittura pericolosi dall’Oms e dalla comunità scientifica internazionale. Il risultato è che lo stesso rapporto sulla gestione della pandemia stilato dalla speciale commissione del parlamento brasiliano ha stimato che circa 606 mila brasiliani sono morti per una gestione definita criminale del Covid. Il senatore Renan Calheiros, tra i conduttori dell’inchiesta, ha dichiarato espressamente: "ho trovato le impronte del presidente nel malaffare” e Bolsonaro è stato ufficialmente incriminato per nove pesanti reati tra i quali figurano anche i crimini contro l’umanità. Come se non bastasse, Bolsonaro è ufficialmente indagato anche per altri due scandali relativi all’acquisto di vaccini, così come risultano indagati alcuni membri della sua famiglia ai quali il presidente, all’insegna del più puro nepotismo, aveva assegnato importanti incarichi.

La crisi sanitaria ha incentivato la profonda crisi economica che era già in atto ed ha causato un aumento dei prezzi che, su base annua, è stato stimato attorno al 10%. Intere fasce di cittadini che prima campavano con lavori precari o gestivano piccole aziende familiari, sono finiti ad ingrossare le file dei senza tetto.

Tutto questo ha infangato l’immagine di un presidente eletto in base alla promessa che, con l’aiuto di dio e di sant’Antonio avrebbe trasformato in nababbi tutti i brasiliani. Per non parlare del sostegno di una campagna di fake news come neppure Trump era riuscito a condurre. Cosa che, proprio come con l’ex presidente statunitense, ha portato ad una vera e proprio guerra tra lui ed i social, tanto che è stato approvato un decreto - non ancora convertito in legge - con l’intento di impedire la cancellazione dei suoi post sulle piattaforme che hanno accettato di moderare i contenuti col fact-checking.

È in questo contesto di profonda perdita di credibilità che Bolsonaro è venuto in Europa con l’intento di partecipare al G20 romano e successivamente alla Cop di Glasgow.

Per dirla come va detta, a Jair Messias del G20 non gliene poteva fregare di meno. E della Cop sul clima, meno del meno. Il vero motivo della sua comparsata europea era quello di recuperare credibilità nel suo Paese toccando i temi ai quali i brasiliani sono più sensibili come la migrazione e la religiosità. Per architettare l’operazione, Bolsonaro si è affidato all’amico Luis Roberto Lorenzato, deputato italiano eletto nella circoscrizione brasiliana (eh sì! L’Italia che è quel Paese dove non ti danno la cittadinanza e non ti fanno votare anche se ci risiedi e ci paghi le tasse da 10 anni, ma fanno eleggere onorevoli a gente che non parla neppure la nostra lingua ma ha un bisavolo italiano).

Tutto era stato orchestrato come la sceneggiatura di un film. Il presidente si fa vedere a braccetto con i “grandi” della terra, poi a spasso per le strade di Roma con la gente - migranti brasiliani ma anche cittadini italiani - che lo osannano come un campione olimpico. Le Tv brasiliane sparano questa spazzatura su tutti i canali. Nei social ufficiali del Governo, spopolano i post di Jair - che torna da vincitore nel Paese dal quale era partito, povero in canna, il suo bisnonno. Ai poster e alle consuete “mascherine” dedicate ai vari canali internet col presidente che sorride accanto alla scritta “il Brasile sopra tutto, dio sopra tutti” viene aggiunto: “L’Italia nel cuore”.

A questo punto, mancava solo la cittadinanza ad honorem. Per fargliela avere, Lorenzato si è affidato ad un altro deputato leghista eletto nel Veneto, Dimitri Coin, che si è fatto carico di perorare il conferimento dell’onorificenza all’amministrazione comunale di Anguillara. Incarico facile, perché il Comune è in mano alla Lega.
E proprio qui, arriva qualcuno a rovinargli la festa, al nostro Jair! E non è il presidio con tanto di sventolio di bandiere rosse in piazza De Gasperi, perché era già pronto a far da comparsa, nei pressi del municipio, un capannello di fedelissimi bolsonariani per permettere alle tv di filmare la “calorosa accoglienza” del ritorno a casa di Jair.

A rovinare lo show sono state solo e soltanto le attiviste e gli attivisti di Rise Up 4 Climate Justice che venerdì scorso hanno letteralmente smerdato la scena in cui il presidentissimo doveva esibirsi! Solo per questo la cerimonia non è stata svolta dove doveva svolgersi: nella sede del Comune di Anguillara. Bolsonaro e il suo seguito han dovuto saltare la tappa e passare direttamente al pranzo in una villa blindata. Nemmeno una passeggiata per una foto ricordo alla casa del bisnonno, ha potuto fare il "nostro" Jair!

E se l'avventura italiana è cominciata male, è finita ancora peggio. Il presidio indetto dal centro sociale Pedro e da altre realtà padovane a Prato della Valle, resistendo alle violente cariche ed agli idranti, ha completato l’opera, impedendo a Bolsonaro di entrare in un luogo famoso e venerato in tutto il Sudamerica come la basilica di Sant’Antonio che, ricordiamolo, è il veneratissimo patrono del Brasile! Anche i frati del Santo, va detto, ci hanno messo del loro, rifiutandosi di incontrare Bolsonaro e sottolineando in un comunicato “le strumentalizzazioni della religione, le devastazione ambientali e l’aggravarsi di una grave crisi sanitaria” imputabili al presidente brasiliano, ospite sgradito.

Una bella botta per un uomo che ha fatto della religione e di sant’Antonio i cardini della sua azione politica per giustificare, in nomine dei, il sacco dell’Amazzonia e il conseguente genocidio dei popoli originari! E dire che Bolsonaro ha espressamente evitato la Cop di Glasgow - dove pure era atteso - proprio per non essere contestato!

Non c’è che dire: il ritorno di Jair Messias Bolsonaro in terra patria sarà il ritorno di uno sconfitto. Tenuto anche presente che, intanto lui che cercava inutilmente di mettere piede in basilica per implorare l’aiuto del Santo, in Scozia i delegati brasiliani cedevano alle pressioni internazionali e firmavano l’accordo per mettere fine alle deforestazioni. Sì, certo, è il solito “bla, bla, bla” nel più puro e consolidato stile delle Cop, ma ai suoi amici latifondisti questa nuova presa di posizione non ha fatto piacere. Jair aveva promesso loro ben altro. Ma si vede che stavolta a sant’Antonio son girate le scatole!

Bolsonaro non è gradito, in Veneto show annullato

La visita. Ad Anguillara il presidente brasiliano costretto a disertare il comune. La cittadinanza onoraria della sindaca leghista consegnata in un ristorante. E poi va Padova senza farsi vedere

 

Niente passeggiata commemorativa per le strade del paesello che ha dato i natali a suo bisnonno Vittorio, emigrato in Sudamerica nel lontano 1888, per Jair Messias Bolsonaro. Il presidente del Brasile ha deciso all’ultimo momento di rinunciare alla cerimonia di conferimento della cittadinanza, prevista nella sede del Municipio di Anguillara Veneta, per evitare di transitare in mezzo ad una piazza pronta a contestarlo.

GIÀ ALLE DIECI DI MATTINA, nonostante il freddo e la pioggia battente di una regione in allarme giallo, almeno 200 manifestanti si erano radunati in piazza De Gasperi per attendere l’ospite non gradito. Bandiere di Europa Verde, Cgil, Rifondazione, Anpi e anche tante bandiere dei Sem Terra e del Brasile, sventolate dai migranti provenienti dal Paese sudamericano. Dietro ad un grande striscione con la scritta «Bolsonaro vergogna del Veneto» che ribaltava quello dietro al quale si erano fatti immortalare i consiglieri regionali leghisti «Bolsonaro orgoglio veneto» nei giorni della sua elezione a presidente anche una rappresentanza di consiglieri dell’opposizione.
Senza bandiere e senza striscioni, ma non per questo meno rilevante, la partecipazione di alcuni frati comboniani che hanno ricordato i loro martiri come padre Ezechiele Ramin e don Ruggero Ruvoletto, assassinati per aver difeso le popolazioni originarie d’Amazzonia. Quella stessa Amazzonia che Bolsonaro ha consegnato ai latifondisti e alle multinazionali dei fossili, facendo degli indigeni carne da macello. «Conferire la cittadinanza a uno come Bolsonaro che proprio pochi giorni fa è stato deferito per crimini contro l’umanità da una commissione parlamentare del suo stesso Paese, è uno schiaffo ai valori della giustizia ecologica e sociale ha urlato Paolo Perlasca, portavoce di Europa Verde -. Soltanto con la sua gestione della pandemia, tra negazioni, false cure a base di idrossiclorochina e ritardi nella vaccinazione degli indigeni, ha causato 606 mila vittime! Magari la cittadinanza gliela potevano conferire domani (oggi, ndr) che è il giorni dei morti!».

IL PRESIDENTE BRASILIANO col suo seguito personale e i deputati leghisti Dimitri Coin e Luis Roberto Lorenzato, gli artefici dell’operazione, si è recato direttamente al ristorante di Villa Arca del Santo dove ha pranzato con la sindaca di Anguillara, Alessandra Buoso, e alcuni discendenti della famiglia Bolsonaro, suoi lontani parenti. Qui, «felice e onorato per l’onore ricevuto», Jair Bolsonaro ha ringraziato la sindaca per la cittadinanza e un gruppo di suoi entusiasti fedelissimi che lo hanno osannato davanti ai cancelli di Villa Arca.

Niente osanna per il presidente a Padova dove, nel primo pomeriggio, circa 500 attiviste ed attivisti dei centri sociali e di altre realtà cittadine, si sono dati appuntamento a Pra’ della Valle con l’intenzione di raggiungere il sagrato della Basilica del Santo dove Bolsonaro aveva annunciato che si sarebbe recato per pregare Sant’Antonio, patrono del Brasile. Il corteo è stato fermato da un cordone di forze dell’ordine. Manganellate, idranti, cariche violente, scene da guerriglia urbana e unattivista fermata è il bilancio degli scontri.

FREDDA COME L’ACQUA degli idranti, l’accoglienza che il presidente ha ricevuto dalle autorità civili e religiose della Città del Santo. Il sindaco, Sergio Giordani (a capo di un’amministrazione di centrosinistra), ha fatto sapere che aveva «altro da fare». Il vescovo Claudio Cipolla e il rettore della


basilica francescana, Antonio Ramina, hanno diffuso un comunicato in cui, proprio in virtù del forte legame costruito dai migranti che dalla terra veneta sono andati in Brasile, e «per la presenza missionaria diocesana e di diverse famiglie religiose che vivono il loro servizio in quel Paese, non possiamo dimenticare le testimonianze pagate con il sangue e neppure la sintonia e l’amicizia personale ed ecclesiale con i vescovi del Brasile, che proprio in questi mesi stanno denunciando a gran voce violenze, soprusi, strumentalizzazioni della religione, devastazione ambientali». La protesta trasversale di Padova costringe così il presidente brasiliano, che ieri ha snobbato l’apertura di Cop26 preferendo lo show veneto, a visitare la Basilica solo nel tardo pomeriggio e in forma riservatissima, entrando da un ingresso secondario per non essere visto.

Frati, centri sociali e ambientalisti: «Fora Bolsonaro»

Italia/Brasile. Cittadinanza onoraria e sant'Antonio: il presidente brasiliano lunedì ad Anguillara Veneta e Padova. Ma ad accoglierlo c’è solo la Lega, che lo considera «orgoglio veneto». La mobilitazione è già partita



Anguillara Veneta, paese di poco più di 4mila abitanti sprofondato nella Bassa Padovana, si è trovata ieri mattina con il municipio ricoperto di vernice e con qualche carrellata di sterco davanti alla porta.

L’azione è stata rivendicata dalle attiviste e gli attivisti della rete Rise Up 4 Climate Justice che hanno tappezzato il paese di scritte «Fora Bolsonaro!». Un modo diretto e colorito per spiegare al presidente brasiliano che la sua visita, prevista per la mattinata di lunedì 1 novembre, non è affatto gradita a chi combatte i cambiamenti climatici.

E anche per far capire alla sindaca leghista del paese, Alessandra Buoso, che non era il caso di concedere la cittadinanza ad honorem a un politico contro cui è in atto alla Corte internazionale dell’Aja un procedimento per istigazione al genocidio delle popolazioni indigene dell’Amazzonia.

La notizia del conferimento della cittadinanza di Anguillara paese di nascita del bisnonno del presidente a un discusso uomo politico come Jair Bolsonaro ha sollevato il classico vespaio di proteste, non solo nel Veneto ma anche in tutta Europa.
La stessa sindaca ha cercato di smorzare le polemiche attenuando i toni entusiastici dei primi comunicati. «Conferendo la cittadinanza al presidente Bolsonaro ha spiegato Buoso intendiamo conferire idealmente questo onore a tutti i nostri migranti che hanno preso la via del Brasile».

Una lettura subito smentita dalle opposizioni in consiglio comunale che hanno fatto notare come nella delibera non si faccia nessun accenno ai nostri emigrati ma si citi solo ed esclusivamente Bolsonaro.

D’altra parte, l’esaltazione della Lega per il presidente brasiliano, bisnipote di un veneto doc, si è manifestata sin dal giorno delle sua elezione, quando i consiglieri regionali del Carroccio si sono fatti immortalare felici e contenti mentre reggevano uno striscione con la scritta «Bolsonaro orgoglio veneto» sullo sfondo del Canal Grande.

Orgoglio che oggi soltanto i leghisti continuano imperterriti a manifestare, rilanciando il tweet preparato dal loro deputato Luis Roberto Lorenzato, non a caso eletto nella circoscrizione estera del Sudamerica, che ritrae un Bolsonaro sorridente accanto alla scritta «L’Italia nel cuore, il Brasile sopra tutto, dio sopra tutti».

Lorenzato è il vero artefice di questa operazione mediatica che gioca sulle emozioni del ritorno alla terra degli avi e sulla fede religiosa.

Dopo Anguillara, il primo cittadino brasiliano raggiungerà Padova per pregare nella Basilica di sant’Antonio, santo di lingua portoghese molto venerato in Brasile. Ma, nonostante le pressioni di Lorenzato e dei consiglieri leghisti in Regione, l’amministrazione di centrosinistra di Padova ha già fatto sapere che considera il presidente un ospite poco gradito e che non sarà ricevuto in Comune.


Non solo. Anche i frati francescani hanno annunciato che, pur non potendo impedire a Bolsonaro di pregare nella basilica, non hanno la minima intenzione di accoglierlo, né in forma ufficiale né privata, e che, per dirla tutta, loro stanno dalla parte degli indigeni.

In Prato della Valle insomma, ad attendere il presidente brasiliano ci sarà solo la Lega. La Lega e gli attivisti degli spazi sociali del nord est, ma con fini radicalmente opposti. «Perché contestiamo Bolsonaro? spiega Rolando Lutterotti Perché è una sintesi perfetta di tutti i mali contro cui lottiamo: ha consentito le aggressioni agli indigeni, ha incendiato e deforestato l’Amazzonia consegnandola alle multinazionali del legno e dei fossili, nega i cambiamenti climatici, si dichiara razzista e omofobo, e come se non bastasse, la sua gestione della pandemia ha causato almeno 600mila morti in Brasile. Ce n’è a sufficienza, mi pare, per contestare questo Hitler del nostro secolo».

In piazza anche Europa Verde che lunedì mattina sarà ad Anguillara per distribuire volantini informativi sui crimini compiuti da Bolsonaro verso l’ambiente e le popolazioni indigene.

«La cittadinanza a un personaggio come Bolsonaro è uno schiaffo alla memoria delle molteplici vittime dell’azione politica spregiudicata di questo politico spiega l’ambientalista Paolo Perlasca -. Europa Verde è pronta a ricorrere in Tribunale per annullare questa decisione».

Droni, telecamere e riconoscimento facciale. L’intelligenza artificiale alla prova della democrazia

L’intelligenza artificiale e le tecnologie che la supportano, se da un lato migliorano le nostre vite offrendoci soluzioni insospettabili sino a pochi anni fa, dall’altro mettono in serio pericolo i valori fondamentali della democrazia e della libertà, rischiando di compromettere diritti come quello di espressione, di riunione, dia associazione e della tutela dei dati personali. Un tema questo, non soltanto di difficile soluzione ma anche complesso da inquadrare, in quanto la tecnologia procede ad un passo talmente spedito da lasciare indietro non soltanto la legislazione, che risulta quasi sempre obsoleta, ma anche il dibattito politico ed etico. Un esempio pratico di come il tema sia di complicato d trattare sono le cosiddette “telecamere intelligenti” che molte città moderne hanno installato per monitorare il flusso di persone che passa per le strade, rivelandone l'età, il sesso e addirittura la reazione facciale davanti a determinati contesti, oltre alla marca delle scarpe ed al colore dei vestiti. In tutto il mondo ne sono state installate, sino ad ora, 245 milioni al costo medio di soli 20 euro l’una.
Algoritmi intelligenti analizzano i dati raccolti da milioni di sensori, generando informazioni in grado di rendere efficiente qualsiasi città. In Spagna, alcune città queste telecamere hanno ottimizzato la raccolta dei rifiuti e migliorato la qualità dell’aria. Los Angeles grazie ai sensori intelligenti, ha ridotto del 15% il tempo di percorrenza in auto, applicando una diversa gestione dei semafori, diminuendo il traffico ed abbattendo l’inquinamento. Nei Paesi Bassi, le lampade intelligenti possono prevedere lo scoppio di una rissa analizzando i movimenti delle persone e il livello di “rumore” della folla.
Le stesse identiche tecnologie, tutto sommato molto economiche, però, possono essere applicate anche a scopi commerciali o per fini illeciti e consentire un facile controllo di massa diffuso.
“Ogni volta che un utente crea un account Facebook, aumenta esponenzialmente il valore della rete. La tutela dei dati personali, il diritto alla riservatezza, il diritto di espressione e di associazione pacifica e di riunione sono alcuni dei settori quotidianamente maggiormente coinvolti dall'arrivo dei sistemi di IA - spiega l’avvocata Maria Stefania Cataleta, legale accreditata alla Corte penale internazionale e specializzata nella difesa dei diritti umani -. Pertanto, una serie di diritti vengono messi in discussione online. Quando trasmettiamo informazioni sui nostri movimenti o abitudini tramite un telefono cellulare, il nostro diritto alla privacy viene messo in discussione. Quando partecipiamo a dibattiti pubblici online, esprimendo la nostra opinione, esercitiamo la nostra libertà di espressione. Quando utilizziamo un'applicazione per accettare di partecipare a una manifestazione pubblica, esercitiamo il nostro diritto all'assemblea pacifica. In tutti questi casi sono in gioco i diritti umani”.

Maria Stefania Cataleta ha affrontato la questione nel suo ultimo libro, “Diritti umani e algoritmi”, edito da Nuova Editrice Universitaria. “Il diritto alla privacy è tutelato da diversi strumenti internazionali - spiega l’avvocata - ma questo diritto è costantemente minato dall'uso di Internet, che viene alimentato da un numero sempre maggiore di informazioni. Questi possono essere forniti con il nostro consenso ma anche estratti in modo fraudolento e utilizzati da reti criminali per estorcerci denaro, dai governi per effettuare controlli di massa o attraverso modi più banali come ad esempio dalle aziende per modellare i loro annunci pubblicitari in base al nostro profilo personale”.

Un campo questo, in cui legiferare è difficile. Da un lato, l’Europa si è dotata delle legislazione più protettiva al mondo per la protezione e la difesa della privacy dei suoi cittadini, ma dall’altro, proprio in virtù di questa legislazione rischia di trasformarci in una “colonia digitale” di Paesi come gli Usa o la Cina i cui governi sono quantomeno riluttanti ad approvare leggi o regolamenti che limitino l’uso di tecnologie legate all’Intelligenza artificiale.

“Gli Stati Uniti usano i loro prodotti naturali del capitalismo, Wall Street e Silicon Valley, per guidare la carica nel progresso dell’Intelligenza artificiale. Diverso l'approccio della Cina, che supporta la ricerca in questi campi con larghi finanziamenti pubblici, ma non sembra prestare attenzione al diritto fondamentale alla privacy individuale”.

Un esempio sono i nuovissimi droni equipaggiati con telecamere di riconoscimento facciale. Un campo questo, in cui l'intelligenza artificiale sta compiendo passi importanti. La Cina, in particolare, legge nel riconoscimento facciale un vantaggio strategico da esportare in tutto il mondo, ma senza tener conto dei rischi per i diritti umani legati a questa tecnica che consento il tracciamento completo di ogni cittadino. Non solo negli spostamenti, ma anche nelle abitudini e nelle reazioni di fronte a tutte le situazioni.

Gli scenari che si prospettano sono degni dei più famosi e angoscianti romanzi dispotici. E senza bisogno di regimi esplicitamente totalitari in stile “Grande Fratello”, perché, grazie alla rete, il capitalismo sta trasformando in merce anche la nostra stessa libertà e la nostra privacy sta diventando un prodotto da mettere nel mercato come una saponetta o un paio di pantaloni. E, per di più, col nostro stesso consenso, come si dice, “informato”!

“Oggi le persone offrono i propri dati personali volontariamente - conclude l’avvocata Cataleta -. Se in passato l'obiettivo era quello di tutelare il privato cittadino dall'ingerenza dello Stato e dagli abusi di potere, la tutela contro l'abuso di informazioni personali oggi mette in discussione il ruolo dei soggetti che offrono volontariamente i propri dati personali a società private in cambio di vantaggi. Gli utenti di Internet, infatti, rendono possibile, volenti o nolenti, la ricostruzione del proprio profilo individuale attraverso i cookie, il tracciamento, ed il consenso alla vendita dei propri dati. I diritti umani perdono il loro significato, nel caso della privacy, dove il loro uso può essere scambiato come qualsiasi altra merce in cambio di denaro o altri vantaggi. La libera vendita della privacy finisce per consentire il controllo totalitario da parte di chi gestisce queste informazioni per conoscere, pilotare e guidare, perché gli strumenti di apprendimento automatico hanno la capacità crescente non solo di prevedere le scelte, ma anche di influenzare emozioni e pensieri”. Che è come dire, la fine della democrazia.

A Milano un Climate Camp per la giustizia climatica

Torna a fine settembre il Climate Camp, il campeggio delle attiviste e degli attivisti per la giustizia climatica. Dalla laguna, il Camp si sposta quest’anno a Milano per svolgersi in contemporanea con la Pre-COP sul clima, evento preparatorio della vera e propria Conferenza sul Clima che si terrà a Glasgow dal primo al 12 novembre 2021. “In 27 anni di esistenza, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici non è mai riuscita a imporre un netto cambio di rotta in termini di emissioni climalteranti e contrasto alla crisi climatica - si legge nell’appello lanciato dalla Climate Justice Plateform -. Di fronte ai limiti della Conferenza delle Parti, abbiamo deciso di costruire uno spazio alternativo alla Youth COP e alla Pre-COP milanesi, un Climate Camp che si terrà a Milano dal 30 settembre al 3 ottobre”.
Il programma definitivo degli incontri, sarà diffuso in un’assemblea in programma domenica 12 settembre. A chiusura del Camp, sabato 2 ottobre, si svolgerà sempre a Milano una mobilitazione chiamata Climate March, alla quale parteciperanno “tutte le realtà impegnate nella lotta politica, ecologica, transfemminista e per la giustizia sociale”.

L’obiettivo della mobilitazione è quello di contribuire a costruire dal basso quelle azioni che i Governi intendono applicare solo a parole, evitando di affrontare l’unico cambiamento reale e necessario richiesto dalla situazione che stiamo vivendo: rinunciare cioè a quell’assurdità fisica che è il paradigma della “crescita infinita” e costruire una nuova economia sostenibile capace di portarci oltre il modello capitalista.

Un esempio tutto nostrano di questo agire ipocrita e gattopardesco, è il nostro cosiddetto Ministero della Transizione Ecologica. Ministero che di “ecologico” ha solo il nome. Proprio oggi, Roberto Cingolani in un suo intervento alla scuola di formazione di Italia Viva, ha definito gli ambientalisti dei “radical chic” che “sono parte del problema, peggio della catastrofe climatica”. Un insulto inaccettabile rivolto a tutto il pur variegato arcipelago ambientalista che ci ricorda tanto una divertente battuta della serie americana dei Simpson - “Maledetti ambientalisti! Sono loro che hanno rovinato l’ambiente!” - soltanto che quella del ministro non era una battuta.


A questo link, potete leggere l’appello del Climate Camp. Per prenotare il vostro posto in campeggio, cliccate qui.


A questo link si può prenotare il posto in campeggio. 

La Riforma della Giustizia è un colpo di spugna per i reati ambientali

L'appello delle associazioni per inserire l'ambiente nella lista dei reati che non possono essere oggetto di prescrizione come quelli di mafia

Cominciamo subito con qualche esempio. Se la cosiddetta “riforma della giustizia” fosse già stata tramutata in legge, un procedimento penale tutt’oggi aperto come quello sui Pfas che hanno avvelenato le acque di mezzo Veneto non sarebbe neppure cominciato. Ugualmente potremmo affermare per processi come quelli delle tante discariche tossiche trovate in Campania, come la Resit di Giugliano. Oppure quello denominato dalla stampa “Ambiente Svenduto” che ha portato alla condanna di eminenti esponenti della politica e dell’imprenditoria pugliese per i fatti dell’ex Ilva di Taranto. La lista sarebbe ancora lunga, ma ci fermiamo qua. Velocizzare i tempi della Giustizia ponendo tempistiche stringenti in materia di prescrizione in casi come i processi ambientali che, per loro stessa natura, implicano attente ed approfondite analisi tecniche e scientifiche, non di rado molto complesse, su dati e rilevazioni che non sempre si possono ottenere in tempi limitati significa, in poche parole, concedere l’improcedibilità a tutti - o quasi - i reati connessi all’inquinamento. Un bel regalo per le mafie ambientali, questo promosso dal Governo Draghi!
Il problema di base di questa pretestuosa riforma della Giustizia è che pretende di velocizzare i tempi dei processi senza affrontare il vero motivo che è causa di questa lentezza. Ovvero la scarsità di personale e di magistrati. Per non parlare del bassissimo livello di informatizzazione di questi uffici dove si procede ancora a timbri. Nel caso dei reati ambientali, questa deficienza è ancora più grave perché il nostro Paese non si mai dotato di un apparato logistico e scientifico davvero in grado di valutare i danni e le conseguenze dei tanti episodi di inquinamento, e di portare a giudizio gli inquinatori. Non ci fossero state le Mamme No Pfas a rivelare quanto accadeva nel vicentino ed organizzare presidi, manifestazioni ed a raccogliere puntuali dossier di denuncia, la Miteni, o chi per lei, sarebbe ancora là a riversare i suoi veleni nelle nostre falde acquifere.

Un appello al Governo perché inserisca nella Riforma anche i reati ambientali tra quelli che non possono essere oggetto di prescrizione, come i reati di mafia, di terrorismo, di traffico di stupefacenti e di violenza sessuale, è stato lanciato da Legambiente, Libera Contro le Mafie, Wwf Italia e Greenpeace. “La storia del nostro Paese è segnata da disastri ambientali che soltanto dopo l'introduzione nel Codice penale del delitto 452 quater (quello concernente il reato di disastro ambientale. ndr) sono oggi al centro di importanti processi - si legge nell’appello -. Per queste ragioni e per la complessità delle inchieste necessarie ad accertare la verità, chiediamo al governo Draghi e alle forze politiche che lo sostengono di inserire il disastro ambientale tra i reati per cui non sono previsti termini che ne determinino l'improcedibilità. Sarebbe una scelta di civiltà, fatta con la consapevolezza che ad essere in gioco sono l'ambiente in cui viviamo, la salute delle persone e la credibilità stessa della giustizia”.

Tra le forze politiche, a denunciare questo che hanno definito “un colpo di spugna per i crimini ambientali”, sono rimasti solo i Verdì che hanno sottoscritto l’appello delle quattro associazioni sopra citate. “I processi che riguardano i disastri ambientali e sanitari sono odiosi come quelli di mafia e non possono portare a una prescrizione senza che prima ne siano state accertate le responsabilità - ha dichiarato Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi-. Rischiamo un clamoroso passo indietro nella difesa dell’ambiente e di cancellare, nei fatti, il reato di disastro ambientale”.

Nessuna risposta è ancora arrivata dal Governo.

La protesta dei lavoratori-schiavi in prefettura

CaporalatoDopo aver incontrato una delegazione della commissione parlamentare sulle condizioni di lavoro, il prefetto di Padova, Raffaele Grassi, ha ricevuto nel pomeriggio una rappresentanza dei lavoratori che manifestavano sotto le sue finestre

Sono scesi tutti in piazza, probabilmente per la prima volta in vita loro, a reclamare diritti e dignità. Una trentina di lavoratori ha pacificamente manifestato ieri mattina in piazza Antenore, davanti alla sede della Prefettura di Padova, sostenuti dagli attivisti dell’Adl Cobas. Sono i lavoratori schiavizzati dalla cooperativa BM Services: pakistani per di più, ma anche qualche somalo ed eritreo. Lavoratori senza stipendio, costretti a lavorare per 12 ore al giorno all’interno degli stabilimenti di Grafica Veneta di Trebaseleghe o di Barizza International di Loreggia.

Due colossi, il primo in particolare, nel campo dell’editoria internazionale che utilizzavano i lavoratori schiavi messi a contratto dalla BM Services. L’inchiesta che ha portato all’arresto di 11 persone, tra i quali l’amministratore delegato Giorgio Bertan e il responsabile della sicurezza Giampaolo Pinton di Grafica Veneta, è partita dopo il ritrovamento di un lavoratore pakistano picchiato, derubato e abbandonato legato ai bordi di una strada dai connazionali della BM Services. «Questi lavoratori non potevano neppure protestare perché la BM teneva in ostaggio i loro documenti e li ricattava trattandoli come schiavi ha spiegato Stefano Pieretti di Adl Cobas Oggi finalmente hanno potuto fare sentire per la prima volta le loro voci».

Dopo aver incontrato una delegazione della commissione parlamentare sulle condizioni di lavoro, il prefetto di Padova, Raffaele Grassi, ha ricevuto nel pomeriggio una rappresentanza dei lavoratori che manifestavano sotto le sue finestre. «Abbiamo spiegato al prefetto che la proposta avanzata dalla proprietà è irricevibile spiega Pieretti -. Queste persone che hanno lavorato per anni, sfruttati e sottopagati, negli stabilimenti di Grafica Veneta non possono essere liquidate con un contratto a tempo di sei mesi ed un bonus di un migliaio di euro per gli stipendi non ricevuti».

L’Adl Cobas ha chiesto, sia per i 21 lavoratori delle Grafiche che per i 14 della Barizza, un contratto a tempo indeterminato e una liquidazione di 1500 euro per il mese di luglio che, a causa degli arresti che hanno praticamente azzerato la Bm Services, non gli è stato retribuito. «Abbiamo anche lanciato una sottoscrizione per consentire a questi lavoratori che sono letteralmente alla canna del gas di poter mangiare fino a che la loro situazione lavorativa non sarà stabilizzata. Teniamo presente che molti di loro si troveranno senza un tetto perché la BM non ha più pagato l’affitto della casa in cui li costringeva a vivere venti alla volta».

Una situazione, questa del caporalato diffuso nel mondo del lavoro che l’Adl Cobas ha denunciato i più occasioni. «Se il lavoro sporco del caporalato viene sempre lasciato ad altri, in questo caso la BM, non ci vengano a raccontare che i vertici delle aziende coinvolte non ne sapevano nulla! conclude Pieretti Grafica Veneta aveva stipulato un contratto da 270 mila euro all’anno con la BM per 21 lavoratori. Basta fare due conti ed appare evidente che questo non poteva significare altro che una retribuzione da 4 euro l’ora al massimo. Un bel risparmio per una azienda di punta nel campo dell’editoria che lo scorso anno ha fatturato un ricavo di 158 milioni di euro e che certo non si può definire in crisi».

Vedi gli articoli precedenti
Stacks Image 16