In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

La vergogna delle Grandi Navi in laguna entra anche in un fumetto della Bonelli

“Oh! Mamma! Che cosa è quella roba là?” E’ la domanda che Julia, la criminologa protagonista dell’omonimo fumetto edito dalla Bonelli (quella di Tex e Zagor, per intenderci) pone al suo accompagnatore mentre assiste al passaggio di una Grande Nave. L’ultimo albo della serie intitolato “Il mistero di Venezia” l’eroina ideata da Giancarlo Berardi, il papà di Ken Parker, vede l’investigatrice sosia di Audrey Hepburn visitare la città lagunare per risolvere un caso. Passeggiando per Piazza San Marco, Julia assiste al passaggio di uno di quei condomini galleggianti del tutto spropositati per l’ambiente lagunare e non manca di stupirsi. “Ma come è possibile che tutto ciò sia tollerato? I veneziani non dicono nulla?” chiede Julia. La sua guida le spiega che i veneziani protestano parecchio e che organizzano anche partecipate manifestazioni, ma che a comandare rimangono gli interessi delle multinazionali del turismo di massa. I danni alla città, alla salute dei suoi cittadini, non contano per la politica di palazzo. “Ed intanto che si discute, le Grandi Navi distruggono tutto”, conclude amaramente l’eroina della Bonelli.

Ecco alcune delle efficaci tavole tratte dal numero 254 di Julia e disegnate da Federico Antinori.






Il giorno dopo la grande mobilitazione: la rassegna stampa dell'horror

Lo confessiamo. Ieri sera, mentre scrivevamo della più grande manifestazione ambientalista della storia dell’umanità, non vedevamo l’ora che sorgesse il sole di domani per andarci a leggere i titoli di quotidiani come Libero o il Giornale. “Chissà che titolacci riusciranno ad inventarsi” pensavamo. Bisogna dargli atto di una innegabile, pure se un tantino perversa, immaginazione sulle sparate in prima pagina. Tanto di chapeau, come dicono i francesi. Certe cose nemmeno in mille anni noialtri che facciamo giornalismo e non fantascienza riusciremmo ad inventarcele. E così, prima ancora del caffè, siamo andati a spulciare sui siti che riportano le prime pagine dei quotidiani in edicola e abbiamo deciso di fare una bella rassegna stampa degli orrori su carta stampata. Di solito ce n’è da fare invidia a Stephen King e paura a Cthulhu ma stavolta, ammettiamolo, siamo rimasti un pochino delusi. 


Già, delusi. Delusi soprattutto da Libero che ci aveva regalato l’intramontabile “La rompiballe va dal papa”. La manifestazione che ha portato in piazza più di un milione di giovani in Italia e un numero incalcolabile in tutto il mondo, Libero non se l’è neppure cacata. Ci informa invece che, per il Governo, il nemico è il contante. Se intendessero la finanza o il capitale o le multinazionali, ci avrebbero pure ragione. Ma no. Ce l’anno su con gli sconti a chi usa le carte di credito. “Una rapina” secondo loro. La mobilitazione mondiale è relegata ad un box dedicato ai “disagi ovunque” portati dai ragazzi scesi in piazza e ad un botta e risposta tra studenti e automobilisti. “Ci avete rotto i polmoni” vs “ci avete rotto i maroni”. Per fortuna c’è anche un corsivo su bambini “senza sogni” uccisi in India e Nigeria che, secondo i “colleghi” di Libero, dovrebbero essere presi ad esempio. E va beh. Potevano fare di meglio. Applicatevi di più la prossima volta e rimanete sul tema del giorno. Voto: 5. Deludenti e prevedibili. 


Il titolone del Giornale ci gratifica un po’ di più. Perlomeno mette in prima la notizia della manifestazione informandoci che “Anche manifestare rovina l’ambiente”. In primo piano della foto di apertura c’è un cestino straripante di rifiuti. Sullo sfondo tre ragazzi seduti che chiacchierano. Nessun cartello, nessuna bandiera, nessun striscione. Non ci sono indicazioni su quando sia stata scattata la foto (certo non durante la manifestazione). L’ultima volta, il fake lo avevano costruito meglio. Ma allora erano stati aiutati dalla “Bestia” di Salvini che aveva fatto girare immagini taroccate come dio comanda su strade e piazze invase dalla sporcizia colpevolmente abbandonata dagli ipocriti inquinatori “gretini”. Da soli, si sono ridotti a cercare qualche immagine battendo “cestino sporcizia giovani” su Google. No, no. Così non va. Voto: 4. Esame da ripetere. Inventatevi una bufala tutta vostra la prossima volta, se volete alzare il voto. E che cazzo!


Per trovare una bella prima pagina, tocca andare su La Verità. Il quotidiano di Maurizio Belpietro è l’unico che non ci delude e ci rivela gli autentici retroscena della mobilitazione, sia pure solo di quella italiana. E’ stata tutta una manovra del Governo. A che scopo? Ma per le tasse, ovviamente! “Hanno usato migliaia di ragazzi per giustificare le tasse verdi”. Il sottotitolo poi non è neppure del tutto falso: “Il Governo e molti professori hanno spinto gli studenti a scendere in piazza”. Che stia maturando una coscienza verde? Macché! “Obiettivo: spegnere il cervello e accettare qualsiasi fesseria green”. Dai, a questi per incoraggiarli gli diamo 7 meno. Il “meno” perché non possono continuare a infilare la parola “tasse” su ogni apertura di prima. Ci sono che i migranti, i comunisti e gli ebrei, no?


Un’onda verde ha sommerso la Terra

La marea verde cresce e non si arresta. Il terzo sciopero globale, dopo quelli del 15 marzo e del 24 maggio, è riuscito a mobilitare ancora più giovani – e non solo giovani – di quanto fatto nelle due, già eccezionalmente partecipate, manifestazioni precedenti. Le squallide operazioni di sputtanamento lanciate contro Greta e i “gretini” – ragazzini viziati che se ne fregano dei quelli meno fortunati di loro costretti a lavorare -, gli sproloqui pseudo scientifici di chi continua  negare i cambiamenti climatici, i tentativi di distogliere l’attenzione puntando le canne di un fucile sempre carico contro migranti, neri o gli “ebrei” di turno, hanno clamorosamente fallito il loro scopo. Nemmeno le spocchiose  dichiarazioni di forza hanno ottenuto l’effetto sperato. Bolsonaro che ti va a dichiarare, proprio mentre all’Onu si parlava di clima, che “l’Amazzonia è mia e me la gestisce io” è riuscito solo a far incazzare ancora di più le ragazze ed i ragazzi brasiliani che, proprio nel momento in cui scriviamo, sono scesi in piazza a milioni per le strade di Rio e di San Paolo. La protesta ha investito tutta la terra da est a ovest, seguendo il corso del sole e del fuso orario. L’Australia dove ogni giorno sbarcano migranti costretta ad abbandonare isole già finite in fondo al mare, l’Indonesia dai cieli oscurati dai fumi provenienti dalle foreste in fiamme, e ancora l’India, la Turchia dove sono state organizzate “feste tematiche” sul clima perché nel Paese dei Erdogan non si può scioperare. In tutti le città, in tutti i paesi del mondo, i giovani di Fridays For Future si sono mobilitati come e quanto hanno potuto. 
Checché se ne dica, siamo di fronte, per la prima volta nella storia dell’umanità, ad un movimento di dimensione globale, non ideologico, basato su affermazioni scientifiche, che non mira a conquistare Palazzi d’Inverno, e che ha un obiettivo nel suo contesto tanto semplice quanto fondamentale: consegnare agli uomini e alle donne che verranno dopo di noi, un pianeta vivibile. Un obiettivo definitivo, che va conquistato a qualunque costo. Un bene comune imprescindibile che appartiene a tutti coloro che abitano questo pianeta, al di là di diverse religioni, geografie, politiche, specie, generi e culture. E vorrei aggiungere anche “etnie” se non fosse che è una cosa che non esiste perché è un modo edulcorato per dire “razza”.
Siamo di fronte insomma ad un’onda verde che, per prima cosa, è riuscita a superare gli argini di un ambientalismo che, in tanti casi, andava poco al di là di una mistica dichiarazione di amore per la natura. L’onda verde su cui naviga Fridays For Future non è giardinaggio ma rivoluzione. Ne sono consapevoli le milioni di giovani e meno giovani che oggi, venerdì 27 settembre 2019, hanno occupato le piazze del mondo. Lo hanno scritto nei loro cartelli, lo hanno sventolato nelle loro bandiere, lo hanno gridato nei loro slogan. Salvare la terra dalla dittatura dei fossili significa giustizia sociale. Significa diritti civili, significa reddito, casa, scuole, ospedali, città vivibili. Significa democrazia diffusa e partecipata. Significa aprire i porti ai migranti perché solo insieme l’umanità si potrà salvare. I muri, non sono la soluzione agli sconvolgimenti causati dai cambiamenti climatici ma parte del problema. Non fosse altro che per il tremendo costo in emissioni di Co2 che portano con se tutte le politiche di guerra. 
La generazione FfF scesa in piazza oggi è la prima ad essere cresciuta dopo la caduta del muro di Berlino e libera dal peso delle ideologie novecentesche. Con leggerezza e spontaneità, hanno saputo vedere ciò che è davanti agli occhi di tutti: capitalismo e umanità non hanno nessun futuro comune. Ed hanno scelto l’umanità. 

Milioni di partecipanti allo sciopero. Nel mondo, il clima è già cambiato

“A Milano in 100 mila. Cinquantamila a Napoli, trentamila a Roma, ventimila a Torino” titola Repubblica. Un milione di partecipanti in tutta Italia, secondo il Fatto Quotidiano. Altissima partecipazione anche nel Veneto. A Venezia la ragazze ed i ragazzi di Fridays fo Future hanno dato vita ad un coloratissimo corteo, fermatosi per suonare l’allarme della crisi climatica davanti alla sede della Rai, scandendo i nomi delle cento multinazionali colpevoli del 70% delle emissioni di Co2, tra cui spicca l’italianissima Eni. Trento, Padova e Schio ganno fatto da teatro ad altrettanto partecipate manifestazioni, portando in piazza migliaia di studenti. 
Le manifestazioni, al momento in cui scriviamo, non sono ancora finite ma già le notizie che rimbalzano sul web riportano numeri da spavento. A New York, le strade sono state occupate da oltre 250 mila manifestanti. Una risposta chiara al vertice del clima che, proprio nella Grande Mela, si è appena concluso con risultati assolutamente deludenti. Se qualche Paese ha messo in cantiere qualche buona pratica, è chiaro come il sole che proprio i grandi inquinatori – Usa, Cina, Russia, Paesi arabi, in testa – non hanno nessuna intenzione di cambiare rotta. In compenso, si stanno attrezzando per avvantaggiarsi il più possibile dagli sconvolgimenti che si stanno preparando, come lo scioglimento dei ghiacciai artici che renderanno disponibili nuovi giacimenti fossili. Tipo il Trumpche chiede alla Danimarca se gli vende la Groenlandia. Questo per dare la misura di come la battaglia per la terra sia, come scrive Vandana Shiva, più che altro una battaglia contro gli idioti e la loro idiozia. Ma il clima sta già cambiando. Adesso deve cambiare anche la politica.

Deniz, rinchiuso dentro un Cpr, a due settimane di sciopero della fame, ci scrive...

Deniz è stato fermato a Piacenza perché privo di documenti. Da agosto è rinchiuso nel Cpr di Torino. Rinchiuso in una struttura carceraria, senza essere mai stato condannato e senza che nessuno gli abbia mai detto quanto durerà la sue reclusione.
Deniz Pinaroglu è di origine turca, si è dichiarato rifugiato polito, perseguitato dal regime di Erdogan. Dall’1 settembre ha deciso di intraprendere uno sciopero della fame perché considera illegittimo il suo fermo e chiede che venga esaminata la sua richiesta d’asilo.
In questa lettera che è riuscito ad inviare oltre le sbarre del Cpr, ci fa sapere come sta procedendo la sua protesta e quali sono le richieste sue e degli altri migranti rinchiusi.


Il diciannovesimo giorno del mio sciopero della fame, un’amica parlamentare mi ha visitato. Ha detto che stava seguendo il mio caso e stava tentando di accelerare l’iter burocratico. Abbiamo parlato dei problemi di questo posto e le ho inoltrato le mie richieste, che sono le seguenti:

1. Monitoraggio regolare, nel Cpr, da parte degli individui/ong indipendenti e impegnati nel salvaguardare i diritti umani,

2. Nominare professionisti che prendono sul serio il proprio lavoro e portare le cause al tribunale della città per discutere i casi delle persone trattenute nel Cpr, non giudici pensionati,

3. Nell’infermeria, all’interno del Cpr, devono lavorare le persone che rispettano l’etica professionale e le visite effettuate devono essere registrate in un sistema ospedaliero sulla rete senza subire modifiche,

4. Diversificazione dei pasti e migliorare e rispettare le condizioni igieniche con delle ispezioni periodiche,

5. Accelerare il processo burocratico che si svolge qui dentro il Cpr e impedire/evitare che le persone trascorrano i migliori anni della loro vita tra 4 mura,

6. Formazione linguistica e di diverse attività formative per le persone che rimarranno qui a lungo,

7. Chiudere questi e campi simili a lungo termine.

La mia richiesta personale: appena possibile, uscire di qui senza perdere la salute, ricostruire la mia vita.

Ringrazio; La deputata Jessica Costanzo per il suo interessamento e la sensibilità per la situazione,
Al mio caro Murat Cinar, che è stato con me sin dall’inizio del processo ed è stato il mio interprete, ai miei avvocati Federico Milano e Gianluca Vitale
“La famiglia” della nostra famiglia Mika Sims and Zeynep Koçak
Alla cara Ezel Alcu, che ha portato la mia situazione alla stampa italiana, correndo il rischio di perdere il lavoro.
Engin Aslan da cui ho ricevuto informazioni sul mio caso, parliamo al telefono quasi ogni giorno.
I miei angeli custodi a Güleycan Demir, Naciye Demir, Naat Naat, Yeşim Pınaroğlu, Seçil Pınaroğlu, Nazlı Bayram ‘a.
Ai compagni/attivisti della Göçmen Dayanışma Ağı – Migrant Solidarity Network che si sono riuniti per trovare soluzioni ai problemi degli immigrati in solidarietà e lotta,
Al caro Luca De Simoni e #BlackPost, #LinformazioneNero #subianco, che hanno fatto sentire la mia voce in Italia,
Ad Alda e agli amici che compongono #Lasciatecientrare, il cui lavoro e solidarietà sono sempre stati al mio fianco,
Non sono stato in grado di scrivere i nomi di alcuni a causa della loro sicurezza, che erano con me prima e dopo lo sciopero della fame; dalla Grecia verso l’Italia, dalla Polonia alla Turchia, dalla Svizzera dalla Germania, dalla Francia all’Inghilterra per combattere spalla a spalla per superare i confini, i miei compagni che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro l’ingiustizia, ai miei cari heval ed a tutti miei amici…

Sto continuando con lo sciopero della fame.

Per la libertà,

Con solidarietà e in lotta …

Clima, è cominciata la settimana di mobilitazione per il pianeta. Ed è cominciata alla grande!

Ci siamo. E’ cominciata la settimana di mobilitazione mondiale contro i cambiamenti climatici con l’obiettivo di far pressione sul summit dell’Onu, che si svolgerà a New York a partire da lunedì 23 settembre. Saranno sette giorni di manifestazioni, occupazioni, marce, iniziative che coinvolgeranno 156 Paesi e che culmineranno nello sciopero globale previsto per venerdì 27. 
Le prime manifestazioni che si sono svolte nella maggiori città del globo terrestre sono andate ben oltre le più ottimistiche previsioni. Ben oltre anche la precedente manifestazione del 15 marzo che hanno messo in movimento milioni di studenti. 
La piazza di Sidney riempita di manifestatnti per il clima
“Non ci sono foto che rendano giustizia a questo. I primi numeri dicono 400.000 in tutta l’Australia, 100.000 a Berlino, 100.000 a Londra, 50.000 ad Amburgo – ha scritto Greta Thunberg sulla sua pagina Facebook – . E le prime cifre in Germania sono di 1,4 milioni di persone!!! Ma è una cosa più che gigantesca ovunque!!!! In ogni città. Insieme stiamo cambiando il mondo”.
In Australia, il primo continente che, per una questione di fuso orario, si è mobilitato, la partecipazione è stata da record: 100mila persone a Melbourne, 80mila a Sydney, 30mila Brisbane, 20mila ad Adelaide e Hobart, 15mila a Canberra e 10mila a Perth. Più del doppio di quanto registrato il 15 marzo. E la protesta ha coinvolto anche Paesi come la Thailandia dove qualche centinaio di attivisti ha occupato il ministero per l’Ambiente.

Mobilitazioni anche in Indonesia e in Malesia, dove le mille isole sono devastate da incendi dolosi che hanno come mandanti le multinazionali che speculano sulla polpa di legno e sull’olio di palma. Il fumo ha coperto i cieli di tante città del Borneo e l’aria è diventata così irrespirabile che manifestare all’aperto è impossibile. A Giacarta e a Kuala Lampur, i ragazzi sono stati costretti ad organizzare solo iniziative al coperto.
Il cielo sopra Kuala Kampur
Ad Istanbul, capitale di un Paese in cui scioperare non è affatto facile!, le ragazze ed i ragazzi di Fridays for Future hanno preparato una grande festa ne cuore del quartiere di Kadikoy con incontri, musica e workshop. Degli artisti hanno anche realizzato un gigantesco murales su un edificio del quartiere che ritrae Greta e il suo inseparabile impermeabile giallo. Anche a Islamabad, Pakistan, e addirittura a Kabul, Afghanistan, – altri Paesi in cui protestare non è affatto facile – i giovani sono riusciti ad organizzare cortei che si sono mossi per le strade delle città scortati da intere formazioni militari in assetto da guerra. Manifestazioni come queste aiutano a c
omprendere perché la causa climatica non può essere slegata alle battaglie per la giustizia sociale, la pace, la parità di genere.
Ma la protesta ha toccato anche l’Africa, sposandosi alle cause locali. A Nairobi, in Kenia, i giovani hanno protestato per il clima chiedendo al Governo di bloccare le concessioni di estrazione alle multinazionali dei fossili. Ad Hong Kong, dove da alcune settimane la gente sta già occupando le piazze per chiedere più democrazia al Governo di Pechino, i manifestanti si sono presi una… “pausa” e hanno cambiato i loro slogan con quelli della “giustizia climatica”. A Berlino, nel momento in cui scriviamo, migliaia di manifestanti stanno girando in bicicletta per le strade, bloccando il traffico automobilistico proprio nel momento in cui la causa climatica ottiene una importante vittoria: il Governo tedesco infatti ha appena approvato un pacchetto da 54 miliardi di euro per contrastate il climate change e superare l’economia fossile. E senza aver, per questo, aumentato il debito pubblico, dimostrando difendere l’ambiente per il bene di tutti costa alle casse dello Stato molto meno che devastarlo per i profitti di pochi. 
Il grande murales ritraente Greta dipinto ad Istanbul
In Italia, dove già Fridays for Future si era mobilitata in collaborazione con il comitato No Grandi Navi per occupare il red carpet della Mostra del Cinema di Venezia, le iniziative sono davvero troppe per poterle elencare. In questa pagina di Fridays for Future potete trovare un elenco in aggiornamento continuo e partecipare a quella più vicina a voi, seguendo il consiglio del regista Michael Moore, una delle tantissime celebrità che si sono spesa a favore dello sciopero mondiale per il clima: “Salta la scuola, lascia perdere il lavoro, smetti di fare quello che stai facendo per un paio d’ore e prendi parte agli eventi in programma nella tua città! Quale altra scelta abbiamo?”
Il punto sta tutto qua. Non abbiamo nessun’altra scelta. Ed è questo il grande salto che i cambiamenti climatici hanno fatto fare all’ambientalismo: non si tratta più di difendere un bene comune come l’ambiente. Stavolta ci giochiamo tutto. L’ambientalismo è diventato un campo di battaglia globale in un pianeta diventato troppo piccolo per permettere al capitalismo e all’umanità di continuare a prosperare assieme. Tu da che parte stai? 

Le manifestazioni che si stanno svolgendo in tutto il pianeta
IL 27 SETTEMBRE A VENEZIA L’APPUNTAMENTO SARA’ ALLE 8.30 NEL PIAZZALE DELLA STAZIONE DEI TRENI SANTA LUCIA. VIENI ANCHE TU E PORTA QUALCOSA PER FAR RUMORE PERCHE’ VOGLIAMO FARNE DAVVERO TANTO!

Perché abbiamo occupato il red carpet di Venezia in nome dell'ambiente

Parlano gli attivisti che hanno ‘invaso’ il Festival del Cinema e ricevuto l’appoggio di Mick Jagger e Roger Waters: “Venezia è diventata la città delle navi inquinanti e grandi opere fallimentari; da qui lanciamo l’allarme per tutelare l’ambiente e la biodiversità”
Lo avevano annunciato sin dall’inizio, i giovani del Climate Camp. Come si usa adesso, ne avevano fatto pure un hashtag: #wewanttheredcarpet. Noi vogliamo il tappeto rosso. Il tappeto in questione è quello conduce all’elegante sala delle premiazioni della Mostra del Cinema di Venezia. Quello riservato ai grandi divi dello schermo che fanno passerella tra fan scatenati a chiedere autografi e selfie. Mai, prima di sabato 7 settembre, il tappeto rosso delle celebrità era stato “profanato” da persone che con i luccichii di Hollywood hanno poco da spartire. “Anche se, a ben vedere, di film dedicati a disastri ambientali ed a futuri apocalittici ne sono stati realizzati a centinaia – scherza Chiara Buratti, attivista dello spazio sociale Morion di Venezia -. Stavolta che al futuro apocalittico ci siamo davvero vicini e che, in quando a disastri ambientali, ne avremmo da vendere, ci è sembrato giusto salire sul red carpet per ribadire che i cambiamenti climatici e le devastazioni che comportano, ci piacciono solo nei film di fantascienza”. Chiara è una dei 400 tra ragazze e ragazzi, rigorosamente vestiti di tute bianche, che al sorgere del sole di sabato hanno scalcato la cancellata del Palazzo del Cinema e sono andati a sedersi sul red carpet. Un vero e proprio blitz che ha preso in controtempo le forze dell’ordine, convinte che l’annunciata occupazione dell’ingresso delle Mostra sarebbe stata tentata nel tardo pomeriggio, in occasione della manifestazione cittadina. Alla polizia non è rimasto altro che far cordone attorno agli occupanti, impedendo a tanti altri attivisti che arrivavano da Venezia di raggiungerli per dar loro man forte, rifornirli di cibo e, soprattutto, di acqua, considerato che la giornata era afosa e il sole non dava tregua.

IL TAPPETO ROSSO SI COLORA DI VERDE

L’assedio è durato oltre sette ore. Alla fine, ottenuta la visibilità voluta, gli attivisti se ne sono ritornati pacificamente al Camp. Ma per tutto il tempo che hanno tenuto duro sopra il Red Carpet, non hanno cessato un solo minuto di alternarsi ai megafoni per chiedere, tanto alla politica quanto alla cultura, di riconoscere come tema centrale delle loro agende l’emergenza imposta dai cambiamenti climatici. Una emergenza che ha come posta in gioco il futuro del pianeta. Richiesta rimasta inascoltata dai vertici della Mostra del Cinema, irritati dal fatto che, per la prima volta in 76 edizioni, il loro prezioso tappeto rosso sia stato oltraggiato da attivisti. Solidarietà senza confini invece è arrivata da molti artisti. Su tutti ricordiamo l’intero cast del film “Effetto domino” di Alessandro Rossetto. Alcuni dei suoi interpreti erano seduti sul tappeto con gli attivisti. E ancora l’attore Donald Sutherland e due mostri sacri della musica rock del calibro di Roger Waters e Mick Jagger. “Sono felice che i giovani abbiano occupato il tappeto rosso – ha dichiarato la voce dei Rolling Stones -. Sono loro che erediteranno il pianeta”. Jagger non ha risparmiato una frecciata contro Donald Trump: “Purtroppo negli Usa le leggi che avrebbero aiutato a proteggere il clima sono stati tutte annullate. I ragazzi fanno bene ad arrabbiarsi e a manifestare”. E intanto che qualcuno già twittava che due “semi conosciuti” come Jagger e Waters vanno solo in cerca di visibilità per avere una particina in qualche film, le ragazze e i ragazzi sopra il carpet cambiavano il loro hashtag in: #greenredcarpet. “Abbiamo colorato di verde il tappeto rosso”.

CANNONATE CONTRO IL CAMPANILE DI SAN MARCO

Quindici minuti a piedi dai fasti della Mostra del Cinema di Venezia, proprio nel cuore della lunga striscia di terra del Lido che separa la laguna dal mare Adriatico, c’è un forte militare abbandonato che risale agli inizi del secolo scorso. Nella seconda guerra, dopo l’armistizio, i soldati tedeschi che lo avevano occupato, minacciarono di tirare cannonate contro il campanile di San Marco. Con una azione esemplare, i partigiani riuscirono a disarmare la guarnigione nazista che si arrese prima di fare il tiro a segno sulla Piazza. Non è facile trovare il forte. Tutta la struttura è coperta da una fitta vegetazione e solo un branco di capre selvatiche portato là negli anni ‘70 da qualche figlio dei fiori riesce ad arrampicarsi sopra le mura per pascolare. Proprio qui i ragazzi e le ragazze di Fridays For Future e gli attivisti del comitato No Grandi Navi hanno deciso di realizzare il Climate Camp, il primo campeggio dedicato alla difesa del clima. “C’è voluto una settimana di lavoro ai nostri quaranta attivisti, per ripulire tutto, fare amicizia con le capre e rendere l’area utilizzabile anche per chi vorrà continuare ad utilizzare l’area quando noi ce ne saremo andati” ci spiega Anna Irma Battino, giornalista di Global Project, il portale che ha curato la comunicazione del Camp.

TUTTO AD IMPATTO ZERO

L’invito lanciato da FfF e dai No Navi a venire a Venezia con la tenda e il sacco a pelo per partecipare ai cinque giorni di campeggio climatico è stato accolto da un migliaio di attivisti provenienti da tutta Europa, in rappresentanza di tantissimi movimenti e associazioni. Ho incontrato un gruppo di ragazze e ragazzi provenienti dalla città tedesca di Colonia che sono arrivati in laguna a piedi. Greta ne sarebbe entusiasta. Sono studenti universitari che militano nel comitato Ende Gelände che lotta per chiudere la miniera di carbone di Garzweiler, uno dei siti più inquinanti e inquinanti dell’Ue. Per arrivare a Venezia ci hanno impiegato tutte le vacanze ma, dicono, ne valeva la pena “perché chi non ha mai viaggiato a piedi non può dire di sapere cosa vuol dire viaggiare”. Al ritorno però, mi assicurano, prenderanno un treno. Al Camp si sono trovati bene. Hanno fatto le pulci alla struttura con un piglio davvero “teutonico” e l’hanno promossa a pieni voti. La cucina era completamente vegana e ha usato solo verdure coltivate nell’isola apposta per il Camp. A chilometro “super zero”, insomma. Le stoviglie e i bicchieri erano tutti riutilizzabili e prima di restituirli per avere indietro l’euro di caparra toccava lavarli e con detersivi eco-compatibili. E ancora: energia proveniente solo da un impianto fotovoltaico, biciclette per tutti, raccolta differenziata spinta, flora e fauna del litorale rispettata, capre comprese. Pure le zanzare sono state allontanate con prodotti biologici.

PENSIERI, PAROLE, OPERE E OMISSIONI

L’obiettivo del Climate Camp era quello di costruire dal basso un percorso di lotta europeo e condiviso per contrastare i cambiamenti climatici. Senza dimenticare che questa è fondamentalmente una lotta contro il capitalismo. Capitalismo che non è soltanto la causa dei cambiamenti climatici, ma anche dei dei disastri che produce e di cui si nutre, trasformandoli in merce e profitto. Senza questa premessa, come sottolineava Chico Mendes, l’ambientalismo non sarebbe altro che volenteroso giardinaggio. Le azioni come l’occupazione del red carpet, la grande manifestazione finale che ha visto sfilare nelle strade del Lido alcune migliaia di persone dietro le bandiere dei No Navi, e anche la “battaglia navale” del venerdì, in cui una ventina di imbarcazioni ha inseguito la Msc Lirica sul canale della Giudecca mentre le lance della polizia cercavano di allontanarle, sono state precedute da incontri e discussioni che hanno visto la partecipazione di tanti relatori provenienti da tutta Europa e anche dal resto del mondo, come Moira Millán, portavoce del popolo mapuche della Patagonia, e Nnimmo Bassey, attivista nigeriano. Il tutto diviso in tre grandi tematiche: Grandi opere, migrazioni e ecofemminismo. I tre campi di battaglia in cui si giocherà la partita per il futuro della Terra.

VENEZIA B

Venezia, città fondata su un irripetibile equilibrio tra terra e mare, luogo d’incontro tra oriente ed occidente, crogiolo di lingue mediterranee e porto sempre aperto per i viaggiatori che arrivavano dalle altre sponde del mare, è stata la poetica ed emblematica cornice che ha donato prestigio al Climate Camp. “Proprio da questa città in cui i finanziamenti destinati alla salvaguardia sono stati dirottati alla realizzazione di una grande opera come il Mose, che si è rivelata fallimentare e devastante per l’ambiente; proprio da questa città dove le enormi ed inquinanti navi da crociera continuano a transitare indisturbate a pochi metri da piazza San Marco – ha sottolineato Marco Baravalle, portavoce del Sale Docks – proprio da questa città che sarà una delle prime a venire colpita dall’innalzamento del mare, vogliamo lanciare un appello affinché venga invertita una rotta che non porta verso nessun futuro, fermando la politica delle grandi opere e del consumo indiscriminato del suolo, per tutelare l’ambiente e la biodiversità”. Se è vero quello che dice Greta Thunberg che non abbiamo un piano b, è altrettanto vero che non abbiamo neppure una Venezia di riserva.

Tappeti rossi per il clima. Fridays For Future occupa il Red Carpet

Un giorno da Leoni. Protesta simbolica di centinaia di giovani alla mostra del Cinema, poi marcia in Laguna contro cambiamenti climatici e Grandi navi

Un flash mob, una marcia, l’occupazione del red carpet e pure una battaglia navale. Il Climate Camp non si è fatto mancare nulla e ha voluto dimostrare al mondo che alle parole debbono seguire i fatti. Tante le iniziative di lotta che hanno colorato il primo campeggio climatico di Venezia: dal flash mob stesi per terra con la mascherina al viso, organizzato dalle ragazze e dai ragazzi di Fridays For Future e messo in scena davanti ai cancelli della 76esima Mostra del Cinema di Venezia il 28 agosto, giorno dell’inaugurazione, sino alla grande e partecipata marcia per il clima che si è svolta nel pomeriggio di ieri, lungo i viali alberati del Lido.

LE BANDIERE LAGUNARI dei No Navi hanno sventolato assieme agli striscioni ambientalisti di tanti comitati come Ende Gelände, il movimento tedesco che si batte contro la miniera di carbone in Vestfalia. A far da colonna sonora, i giovani di Fridays For Future che si sono ingegnati con tamburelli e altri percussioni. Ad aprire il corteo composto da migliaia di persone e dar voce all’impianto di altoparlanti, il furgoncino messo a disposizione dagli spazi sociali del Veneto. Furgoncino, ovviamente ad energia solare, «perché le parole e le azioni hanno detto gli attivisti vanno supportati con mezzi coerenti».

Una battaglia emblematica questa dei No Navi perché contrappone la tutela della salute dei cittadini e della difesa della città e dell’ambiente, ai profitti miliardari delle compagnie di crociera. Una battaglia che, in fin dei conti, è la stessa di tutti i movimenti dal basso e di tutti i tanti comitati che difendono il territorio. Magliette, cartelloni, striscioni e bandiere che coloravano il corteo, rappresentavano le tante battaglie che si stanno combattendo in Italia e in Europa, da quelle contro i Pfas e la Tav a quelle contro le autostrade e l’estrattivismo.

La marcia si è conclusa davanti ad un serrato spiegamento di forze dell’ordine che ha impedito ai manifestanti di raggiungere il palazzo della Mostra del Cinema. «La polizia ci sbarra la strada, ma non tiene conto che sul Red Carpet ci siamo già stati stamattina!» hanno ironizzato gli ambientalisti.

LA MANIFESTAZIONE pomeridiana infatti è stata preceduta nella mattinata da una vera e propria occupazione del Tappeto Rosso dove i divi fanno passerella. Tappeto che per ben sette ore si è colorato di verde. Prima dell’apertura dei cancelli della mostra, qualche centinaio di giovani con la tuta bianca era riuscita a raggiungere ed a sedersi sopra il famoso tappeto, preparandosi ad una azione di resistenza passiva. Man mano che la notizia girava sui social, gli attivisti sono stati raggiunti subito da altre centinaia di simpatizzanti, sino a coprire tutto il Red Carpet, prima che la polizia stringesse i cordoni, impedendo anche l’arrivo di rifornimenti come l’acqua e il cibo.

PAROLE DI SUPPORTO e di incoraggiamento ai manifestanti sono arrivate da vari artisti presenti alla Mostra tra i quali Roger Waters e Mick Jagger. «Sto tutto dalla parte dei ragazzi che protestano ha dichiarato la stella dei Rolling Stones saranno loro che erediteranno il pianeta».

SILENZIO IMBARAZZANTE invece da parte dei vertici della Mostra che non si sono neppure degnati di commentare l’iniziativa. Ma per ben sette ore le ragazze ed i ragazzi hanno tenuto duro, senza mollare un solo centimetro di tappeto. È la prima volta, in tutti i 76 anni di storia della Mostra, che degli attivisti riescono a mettere piede sopra il Red Carpet dei divi. Ci sono riusciti ieri per dare voce ad una battaglia, quella per il clima, che non dovrebbe essere ignorata da nessuna istituzione perché è la battaglia per il futuro della terra. «Il nostro pianeta sta bruciando! hanno urlato al megafono È il momento di mobilitarci tutti, di prendere veri provvedimenti, di reclamare a gran voce e senza sconti giustizia climatica e sociale». L’occupazione del Red Carpet è stata preceduta il giorno prima, venerdì 6, da una azione altrettanto clamorosa e portata a termine per di più sotto un autentico nubifragio.

UNA VENTINA DI BARCHE, con a bordo una delegazione internazionale, è salpata dal Lido di Venezia per dirigersi lungo il canale della Giudecca e compiere una direct action, come hanno chiamato l’azione di disturbo, nei confronti della Msc Lirica, una delle tante Grandi Navi che continuano a scorrazzare impunemente dentro la laguna, nonostante l’inquinamento comprovato, gli evidenti rischi per la città storica, la devastazione del delicato equilibrio che regola l’ecosistema lagunare e le inutili dichiarazioni e le ancor più inutili promesse di trovare una soluzione di tanti ministri e governi. L’arrivo delle barche della polizia che hanno cercato di allontanare le imbarcazioni degli ambientalisti ha scatenato una sorta di battaglia navale in una laguna per di più movimentata dal brutto tempo e dall’incessante moto ondoso. Nel frattempo, dal molo del Lido, alcune centinaia di attivisti rimasti a terra gridavano «Fuori le navi dalla laguna».

È questa e solo questa infatti la soluzione che i veneziani chiedono. E non certo lo scavo devastante di altri canali o la realizzazione di altre strutture portuali. La politica delle Grandi Opere ha già fatto troppi danni. Ora è tempo difendere quel che rimane dell’ambiente e di chiedere per tutto il pianeta giustizia climatica.

I cinque giorni dell’altro Lido, il campeggio a «impatto zero»

Un giorno da Leoni. Al meeting veneto dei ragazzi di Fridays For Future forum su Grandi opere, migrazioni e ecofemminismo

Batteria Ca’ Bianca è una grande area demaniale abbandonata situata proprio nel bel mezzo del Lido di Venezia. Ai tempi della prima guerra mondiale, era un forte militare e dalle grandi finestre di marmo bianco uscivano minacciose le bocche dei cannoni. Ai tempi nostri, solo un nutrito branco di grosse capre selvatiche riesce a farsi largo tra le grandi erbacce che hanno conquistato tutti i muri e nessuno direbbe che, solo a poche centinaia di metri qui, scintillano le luci della Mostra del Cinema di Venezia ed i grandi divi fanno passerella tra gli ammiratori a caccia dia autografi.

«C’è voluto una settimana di lavoro ai nostri quaranta attivisti, per ripulire tutto, fare amicizia con le capre e rendere l’area utilizzabile spiega Anna Irma Battino di Global Project -. Come se non bastasse, all’ultimo momento abbiamo dovuto occupare un terreno qui vicino perché l’area che avevamo previsto per il campeggio si è rivelata insufficiente. Attendevamo 800 partecipanti ed invece sono arrivati in mille. Ragazze e ragazzi da tutta Europa. Germania, Austria e Spagna, in particolare. Comunque, quando finalmente abbiamo appeso il grande striscione con la scritta ‘Climate Campo Venezia’, è stata una bella soddisfazione per tutti».

È stato inaugurato così, mercoledì 4 settembre, il primo campeggio internazionale di Venezia dedicato al grande tema dei cambiamenti del clima. O meglio, della giustizia climatica, come preferiscono puntualizzare le ragazze ed i ragazzi di Fridays For Future e del comitato No Grandi Navi che hanno organizzato questa «cinque giorni» di campeggio che si è concluso ieri pomeriggio. Giustizia climatica perché, senza inserirlo in un contorno più ampio di lotta contro un sistema economico basato sul solo profitto e sulla mercificazione di beni comuni e diritti umani, l’ambientalismo come spiegava Chico Mendes non sarebbe che giardinaggio. E al giardinaggio si sono già abbondantemente dedicati ripulendo tutta quell’area! Tre sono stati i grandi temi in cui si sono sviluppati i seminari e le discussioni del Camp: grandi opere, migrazioni ed ecofemminismo. I tre principali scenari in cui si svilupperà la battaglia per la giustizia climatica.

Una battaglia che vede Venezia in prima fila. E non solo perché sarà la prima città italiana a patire gli effetti di un innalzamento del livello del mare. «Da questa città in cui i finanziamenti destinati alla salvaguardia sono stati dirottati alla realizzazione di una grande opera come il Mose che, oramai è chiaro a tutti, si è rivelata fallimentare e devastante per l’ambiente; da questa città dove le grandi ed inquinanti navi da crociera continuano a transitare indisturbate a pochi metri da piazza San Marco ha spiegato l’attivista Marco Baravalle proprio da questa città fondata su un irripetibile equilibrio tra mare e terra, vogliamo lanciare un appello affinché venga invertita una rotta che non porta verso nessun futuro, fermando la politica delle grandi opere e del consumo indiscriminato del suolo, per tutelare l’ambiente e la biodiversità. Perché, proprio come non abbiamo un pianeta B, non abbiamo neppure una Venezia di riserva».

Venezia ed ambiente è un binomio di sicuro impatto e che non poteva non trovare eco alla Mostra del Cinema. Tra gli artisti che hanno sottolineato la loro vicinanza al Camp, va ricordato l’intero cast di Effetto domino, il film di Alessandro Rossetto, che sono saliti nella pedana delle premiazioni con la maglietta No Grandi Navi. Tra i relatori che hanno animato i pomeriggi e le serate del Camp, contribuendo ad assegnargli una vera patente di internazionalità, citiamo Moira Millán, portavoce del popolo mapuche della Patagonia e coordinatrice del «Movimiento Mujeres Indigenas por el Buen Vivir», il filosofo austriaco Gerald Raunig e il suo conterraneo Oliver Ressler, l’attivista climatico nigeriano Nnimmo Bassey, la spagnola Margalida Maria Ramis Sastre del gruppo Defensa de la Naturalesa e l’italiano Marco Armiero direttore dellEnvironmental Humanities Lab del Royal Institute of Technology di Stoccolma.

Tutti insieme per cinque giorni, a discutere in inglese, spagnolo, francese e italiano, trascorrendo le serate a guardare film o a cantare in spiaggia dietro ad una chitarra. Il tutto, c’è bisogno di dirlo?, ad impatto zero. Cucina vegana, stoviglie e bicchieri monouso da lavare con detersivi ecocompatibili, energia fotovoltaica e raccolta differenziata. Erbacce a parte, anche la flora del litorale è stata rispettata. E anche la fauna, vale a dire le capre, sono state ben contente di accettare il pane che avanzava dalle mani dei loro ospiti umani.

A Venezia si è aperto il primo Climate Camp internazionale

Dibattiti e strategie per difendere il pianeta Terra, fino a sabato 8 settembre 
Quattro giorni di incontri per approfondire le cause economiche e sociali che stanno alla base dei cambiamenti climatici. Quattro giorni per discutere e mettere assieme le strategie per contrastarli e fermare il preoccupante trend di riscaldamento del pianeta. Il primo Climate Camp internazionale organizzato dalle ragazze e dai ragazzi di Fridays For Future e dalle attiviste e dagli attivisti del comitato No Grandi Navi è iniziato mercoledì 4 e si concluderà sabato 8 settembre. Il luogo è la spiaggia del Lido di Venezia che, proprio nei giorni in cui è illuminato dalle stelle della Mostra del Cinema. La formula è quella del campeggio libero. Un campeggio pensato con i criteri di ridurre al massimo l’impatto ambientale: niente plastiche e bicchieri monouso, cucina rigorosamente vegana, raccolta differenziata spinta, corrente elettrica fornita da impianti fotovoltaici. Inoltre, tutto il campeggio sarà recintato da un sistema di difesa delle dune di sabbia, in modo tale da non danneggiare il delicato ecosistema del litorale. 


L’appello di FfF e dei No Navi è stato accolto da oltre 700 attiviste e attivisti in rappresentanza dei movimenti in difesa dell’ambiente di tutta Europa che da mercoledì pomeriggio stanno arrivando in vaporetto da Venezia per raggiungere l’isola del Lido. Tra i tanti relatori che prenderanno voce nei tanti appuntamenti ci saranno anche rappresentati dei associazioni ecologiste delle Americhe come l’argentina mapuche Moira Millàn de Movimiento Mujeres Indigenas por el Buen Vivir e dell’Africa, come il nigeriano Nnimmo Bassey direttore della Health of Mother Earth Foundation. Tre saranno i grandi ambiti di discussione in cui gli incontri sono stati divisi: grandi opere, migrazioni ed ecofemminismo. I tre principali scenari in cui si consumerà la battaglia per la giustizia climatica. La lista completa degli appuntamenti dei dibattiti è sul sito del Venice Climate Camp e sulla pagina facebook. «L’ultimo rapporto Ipcc chiarisce la drammaticità della situazione e nei pochi anni che rimangono per arrivare allo zero netto di emissioni, ci è richiesto un cambiamento di rotta radicale – hanno spiegato i portavoce di FfF Venezia – Una rivoluzione che deve trasformare il nostro modello energetico con la fuoriuscita dal fossile sino a cambiare le nostre abitudini alimentari limitando l’uso della carne». Venezia, città costruita su un irreperibile equilibrio tra terra ed acqua, è, in questo senso, un perfetto emblema di un sistema ecologico che va non solo difeso ma anche imitato. «Proprio da questa città in cui i fondi destinati alla sua salvaguardia sono stati dirottati alla realizzazione di una grande opera come il Mose che, oramai è chiaro a tutti, si è rivelata fallimentare e devastante per l’ambiente. Proprio da questa città dove le grandi e inquinanti navi da crociera continuano a transitare indisturbate a pochi metri da piazza San Marco – commenta l’attivista Marco Baravalle – proprio dalla nostra Venezia che sarà la prima a subire gli effetti dell’innalzamento del livello del mare, vogliamo lanciare un appello affinché venga invertita una rotta che non porta verso nessun futuro, fermando la politica delle grandi opere e il devastante consumo del suolo, per tutelare l’ambiente e la biodiversità. Perché, proprio come non abbiamo un pianeta B, non abbiamo neppure una Venezia di riserva».

Nuovo rotte migratorie, stessa risposta violenta. In Messico la polizia carica i migranti africani

Anche il Messico alza un muro contro i migranti africani. La situazione è precipitata a Tapachula, cittadina dello Stato del Chiapas a pochi chilometri dal Guatemala. Una zona di selve tropicali dove nella tradizionale rotta dei migranti mesoamericani verso gli Stati Uniti si sono aggiunti i profughi provenienti dai Paesi equatoriali dell’Africa: Congo, Camerun e Angola, in particolare. Qualche giorno fa la guardia nazionale messicana ha cercato di chiudere e di sgomberare un campo chiamato Ventunesimo Secolo dove erano stati sistemati circa 700 migranti. Ne sono seguiti cariche e tafferugli che sono ancora in corso. Irineo Mujica attivista di Pueblo Sin Fronteras ha denunciato come la polizia messicana abbia picchiato anche bambini e donne incinte, una delle quali ha perso il piccolo. 


“Il Messico non ha soldi per rimpatriare questi migranti ai quali non viene data nessuna alternativa – ci spiega l’attivista -. Queste persone vengono da perlomeno due mesi di cammino tra le giungle del Centroamerica, si trovano in una situazione quantomeno precaria e certo non possono tornare indietro. Con la chiusura del campo, ora sono costretti a vivere sulla strada senza nessuna assistenza. Il Governo messicano così come quello dello stato del Chiapas, hanno accettato in tutto e per tutto le richieste del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di impedire a qualsiasi costo il passaggio di questi migranti ma non hanno predisposto nessuna soluzione per queste persone. Dicono che è colpa dei migranti che non vogliono farsi identificare ma è completamente falso e hanno avviato una campagna di criminalizzazione di queste persone senza neppure accennare ad una possibile soluzione del problema”. Campagna di criminalizzazione che Pueblo Sin Fronteras ha formalmente denunciato alla commissione Interamericana dei diritti umani. 

Gli scontri di Tapachula hanno perlomeno il merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica la rotta alternativa a quella che conduce all’Europa aperta dai migranti dell’Africa equatoriale verso gli Stati Uniti. Anche la risposta degli Usa riflette quella Europea, giocata sull’esternalizzazione della frontiera tramite la complicità di Governi ricattabili e ubbidienti cui viene demandato il lavoro sporco. Una ulteriore testimonianza di come la questione migratoria sia una questione globale che non può più essere nascosta e che va risolta globalmente con politiche di accoglienza e mantenendo come punto fermo il diritto della gente di migrare. 

Di seguito alcuni video e immagini inviatici da Pueblo Sin Fronteras






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